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lunedì 19 giugno 2017

Pensioni: domande INPS aperte per APe sociale e pensione precoci



Decreti APe sociale e pensione precoci nella Gazzetta Ufficiale n.138 del 16 giugno, contemporaneamente alle istruzioni INPS (circolare INPS n. 99 che disciplina l’applicazione della pensione anticipata dei lavoratori precoci e la circolare n.100 che disciplina l’applicazione dell’APE sociale), che sanciscono quindi il via libera alle domande per i nuovi canali di flessibilità in uscita . Il presidente dell’INPS, Tito Boeri, ha confermato l’apertura dei termini per la domanda a partire dalla  mezzanotte del 17 giugno del 2017: «siamo in grado di raccogliere le domande di Ape sociale».


Secondo il Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, con la pubblicazione dei decreti: «i lavoratori in condizioni di difficoltà, per quest’anno stimati in circa 60mila, possono anticipare fino a tre anni e sette mesi l’età di pensionamento, con potenziali effetti positivi sul ricambio generazionale in azienda».

Si stimano 35mila soggetti con i requisiti APE e 20mila precoci. Il nuovo ammortizzatore sociale (anticipo pensionistico APE) è riservato a chi ha più di 63 anni e si trova in condizioni di disagio lavorativo e sociale.

Per i Precoci si apre una finestra di uscita con 41 anni di contributi  purché rientrino in una delle quattro categorie di disagio valide per l’APE sociale: disoccupazione da almeno 3 mesi, familiari disabili a carico, invalidità pari o superiore al 75%, lavoro usuranti per almeno 6 anni negli ultimi 7.

I termini per la presentazione delle domande preliminari si chiudono il 15 luglio per chi matura i requisiti entro fine 2017. Le domande di APE saranno accolte nel limite di spesa di 300 milioni di euro per quest’anno. Quelle per i lavoratori precoci fino a 360 milioni.

il conto alla rovescia è partito per presentare le domande all’INPS di accesso all’Ape sociale o al pensionamento anticipato da parte dei lavoratori precoci, ovvero chi ha lavorato almeno un anno prima di compierne 19.

Chi può accedere
Con qualche mese di ritardo sulla tabella di marcia (i nuovi sono in vigore dal 1° maggio) si attiva dunque il nuovo ammortizzatore sociale per gli over 63enni in condizione di bisogno che non hanno ancora l’età per la pensione di vecchiaia. Mentre per i precoci si apre una finestra di uscita alla pensione con 41 anni di contributi versati (contro i 41 anni e 10 mesi per gli uomini e i 42 e 10 mesi se donne) a patto di rientrare in una delle quattro categorie di disagio valide per l’Ape sociale: disoccupazione da almeno 3 mesi, familiari disabili a carico, una invalidità pari o superiore al 75%, aver svolto un lavoro usurante per almeno 6 anni negli ultimi 7.

Assegno massimo di 1.500 euro lordi
L’Ape sociale è una vera e propria indennità ponte verso la pensione. Il suo importo è commisurato alla pensione attesa, con un massimo di 1.500 euro lordi mensili per 12 mensilità (circa 1.325 netti) fino a un massimo di 43 mesi, ma il termine potrebbe allungarsi di qualche mese se dal 2019 cambieranno i requisiti di pensionamento per l’adeguamento alla nuova aspettativa di vita (si parla di un allungamento possibile di 3 o 5 mesi). L’Ape sociale è inoltre tassata come reddito da lavoro dipendente e gode quindi di tutte le detrazioni e i crediti d’imposta spettanti a tali redditi, compreso quindi il “bonus” 80 euro che i pensionati non hanno. È inoltre compatibile con redditi da lavoro dipendente o da collaborazione coordinata e continuativa, fino al limite di 8mila euro annui, e da lavoro autonomo fino al limite di 4.800 euro annui. Per accedere si terrà conto di tutta la contribuzione versata, compresi i contributi figurativi cumulati in caso di cassa integrazione, per esempio, principio attualmente non previsto per l’accesso alla pensione anticipata. «L’Ape sociale - ha spiegato Stefano Patriarca, uno dei consiglieri economici di palazzo Chigi che più ha lavorato a questa misura - è una rilevante innovazione nel nostro welfare».

Domande entro il 15 luglio
I termini per la presentazione delle domande si chiudono il 15 luglio per chi matura i requisiti entro quest’anno ed entro il 31 marzo del 2018 per chi li matura l’anno venturo (si veda l’altro articolo in pagina) sia per l’Ape sociale sia per usufruire della finestra di anticipo precoci. Le due misure sono sperimentali e restano in vigore nella versione attuale per due anni. Dovrebbero intercettare domande per circa 35mila che usufruiranno dell’Ape e 20mila precoci nel primo anno di applicazione secondo stime governative e dell’Inps. Le domande di Ape sociale saranno accolte nel limite di spesa di 300 milioni di euro per quest’anno e fino a 609 milioni di euro per il 2018. Quelle per i precoci fino a 360 milioni quest’anno e 505 l’anno prossimo.



sabato 20 maggio 2017

Pensioni: flessibilità in uscita, ecco le possibilità previste



Sono previsti dei percorsi alternativi, anche se non sempre facilmente attuabili, alla pensione di vecchiaia ordinaria, i cui requisiti anagrafici per il 2016 sono di 66 anni e 7 mesi per gli uomini indipendentemente dal settore lavorativo e per le donne dipendenti della pubblica amministrazione, di 65 anni e 7 mesi per le dipendenti del settore privato e di 66 anni e 1 mese per le autonome e le iscritte alla gestione separata dell'Inps. La riforma previdenziale di fine 2011 oltre alla vecchiaia ha regolato la pensione anticipata, che si raggiunge quest'anno con 42 anni e 10 mesi di contributi (un anno in meno per le donne) indipendentemente dall'età. Garantisce un vantaggio, rispetto alla “vecchiaia” a chi ha iniziato a lavorare non troppo dopo i venti anni di età e non ha “buchi” contributivi.

Sempre legata all'ultima riforma c'è la pensione anticipata con il sistema contributivo, a cui può accedere solo chi ha iniziato a versare dal 1996 e quindi è soggetto al calcolo della pensione interamente con il sistema contributivo. Sono necessari 20 anni di contributi (quindi proprio quest'anno diventa effettivamente fruibile), 63 anni e 7 mesi di età e l'importo dell'assegno previdenziale deve essere almeno 2,8 volte il valore di quello sociale, quindi deve essere pari almeno a 1.254,60 euro lordi.

Sono ancora in vigore le agevolazioni per i lavoratori soggetti ad attività usuranti o svolte di notte, a cui si applica ancora il sistema delle “quote” (somma di età e anni di contributi) ma aggiornato all'aspettativa di vita. I requisiti minimi per i dipendenti sono quota 97,6 con un minimo di 61 anni e 7 mesi di età e 35 anni di contributi e, per gli autonomi, quota 98,6 con un minimo di 62 anni e 7 mesi di età e 35 anni di contributi (per i notturnisti si possono aggiungere 1-2 anni in relazione al numero di notti lavorate).

Per le donne dipendenti che hanno maturato 57 anni e 3 mesi di età e 35 di contributi (58 anni e 3 mesi per le autonome) entro il 2015, è ancora aperta l'opzione donna, cioè la possibilità di andare in pensione trascorsi la finestra mobile o anche successivamente a fronte però del calcolo dell'assegno con il metodo contributivo che comporta in media una penalizzazione del 25-30% rispetto al sistema misto a cui avrebbero diritto.

Ci sono poi delle alternative che prevedono il coinvolgimento del datore di lavoro e non si basano quindi sulla sola scelta del lavoratore. Sempre con la riforma del 2011 è stata introdotta la possibilità di gestire i dipendenti in esubero a cui manchino non più di 4 anni alla pensione erogando una sorta di prepensione interamente a carico dell'azienda. Una volta raggiunti i requisiti minimi, scatterà la pensione vera e propria.

Fa convivere la pensione con il lavoro il part time introdotto con la legge di Stabilità 2016, destinato a chi, dipendente a tempo indeterminato, ha già almeno 20 anni di contributi ed entro il 2018 raggiungerà i requisiti per la pensione di vecchiaia. In accordo con l'azienda possono ridurre l'orario dal 40 al 60% e incassare oltre a quanto dovuto, la parte di contributi a carico dell'azienda per le ore non lavorate.

Infine c'è il mix di part time e pensione di più complessa attuazione. Previsto dal Jobs act attende ancora le indicazioni operative, ma può scattare solo nell'ambito di contratti di solidarietà espansivi (riduzione generalizzata di orario a fronte di nuove assunzioni): in questa situazione i dipendenti a cui mancano non più di 2 anni alla pensione si possono ridurre l'orario almeno per oltre la metà e percepire in anticipo una parte della pensione fino a incassare complessivamente quanto avrebbero preso continuando a lavorare a tempo pieno. Ulteriori misure ad hoc sono riservate ai lavoratori coinvolti nelle bonifiche dell'amianto e per i nati nel 1952.


martedì 9 agosto 2016

Anticipo della pensione, sette mesi in più



La possibilità di andare in pensione fino a 3 anni prima grazie ad un prestito previdenziale da restituire in 20 anni, il cosiddetto Ape – Anticipo pensionistico,  è stata estesa a tutti i lavoratori, anche statali ed autonomi. Quindi non solo dipendenti del settore privato: l’anticipo pensione APE sarà utilizzabile anche da quelli pubblici e dai lavoratori autonomi.

Pensione anticipata è una prestazione economica a domanda, erogata ai lavoratori dipendenti e autonomi iscritti all’assicurazione generale obbligatoria (ago) ed alle forme esclusive, sostitutive, esonerative ed integrative della medesima, nonché alla gestione separata.

Anticipo della pensione a cui sta lavorando il governo, e che dovrebbe diventare lo strumento di riferimento per garantire più flessibilità al sistema previdenziale diventa più ampio. Lo sconto massimo sull’età, infatti, potrebbe arrivare a 3 anni e 7 mesi, secondo quanto dichiarato dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Tommaso Nannicini, mentre finora si era ipotizzato un tetto a tre anni. Se questa sarà la soluzione finale, ciò significa che verrà abbuonato l’adeguamento alla speranza di vita che, dal 2012 a oggi, ha fatto lievitare di sette mesi il minimo anagrafico per la pensione di vecchiaia. L’Ape, inoltre, partirà prima della legge di Stabilità, con un provvedimento ad hoc.

Dal punto di vista tecnico, l’Ape, acronimo di anticipo pensionistico, che dovrebbe debuttare nel 2017, ruota intorno a un finanziamento che sarà erogato dalle banche a vantaggio del neo-pensionato e che servirà a pagare gli assegni nel periodo che precede il raggiungimento del requisito anagrafico standard per la pensione di vecchiaia. Successivamente tale somma verrà rimborsata dal pensionato in un arco temporale di vent’anni.

Il finanziamento sarà erogato dalle banche, ma per semplificare le procedure, è previsto un intervento dell’Inps che dovrebbe fare da “interlocutore” tra lavoratore e istituto di credito. L’intervento, e i costi, a carico dello Stato, saranno determinati dagli aiuti sotto forma di detrazioni, riconosciuti alle persone più in difficoltà, quali i disoccupati di lungo corso. Chi vorrà anticipare la pensione e avrà redditi medio-alti, invece, dovrebbe vedere l’operazione interamente a suo carico. Alcuni dettagli dell’operazione, però, non sono ancora stati definiti in attesa degli ulteriori incontri con i sindacati che si svolgeranno in settembre.

L’Ape costituisce l’intervento più consistente e anche più complesso del pacchetto previdenza a cui sta lavorando il governo: sul fronte della flessibilità sono ipotizzati interventi a favore dei lavoratori impegnati in attività particolarmente faticose e per chi ha iniziato a lavorare da minorenne, nonché nuove regole per consentire di “sommare” più facilmente i contributi versati in gestioni differenti e raggiungere così i requisiti minimi per andare in pensione senza oneri; sul fronte dell’adeguatezza degli assegni, invece, si dovrebbe intervenire sugli importi pensionistici più bassi, aumentando la platea di chi ricade nella “no tax area” e di chi beneficia della quattordicesima, o incrementando il valore di quest’ultima attualmente riconosciuto ai pensionati con oltre 64 anni di età.

L’Anticipo Pensionistico di cui si sta discutendo, e che dovrebbe partire nel 2017, fa leva su un finanziamento erogato da istituti di credito al pensionato mediante l’erogazione del trattamento pensionistico mensile nel periodo antecedente al raggiungimento dei requisiti anagrafici necessari per la pensione di vecchiaia. Sebbene il ‘prestito pensionistico’ sia erogato dalle banche, è l’INPS a fare da ‘anello di congiunzione’ tra lavoratori/pensionati e banche.


La decurtazione sulla pensione dipende dagli anni di anticipo con cui ci si ritira e dall'entità dell’assegno: secondo i primi calcoli, il taglio può andare da un 5 a un 15-20% per chi sceglie i tre anni di anticipo.

Vediamo un esempio: un lavoratore che si ritira con l’anticipo pensionistico APE un anno prima e ha una pensione di 800 euro netti al mese, paga per 20 anni una rata di circa 53 euro, che sale a quasi 160 euro nel caso di pensione anticipata di tre anni: i calcoli sono della UIL e forniscono una serie di esempi di applicazione dell’opzione nel più vasto quadro di Riforma Pensioni da inserire nella Legge di Stabilità 2017. Una nuova possibilità di pensione anticipata fino a tre anni, con un trattamento (l’anticipo pensionistico APE) che poi si restituisce quando si percepisce l’assegno previdenziale vero e proprio, attraverso un piano di ammortamento spalmato su 20 anni.

sabato 9 luglio 2016

Pensione anticipata per dipendenti, privati, autonomi e statali


La possibilità di andare in pensione fino a 3 anni prima grazie ad un prestito previdenziale da restituire in 20 anni, il cosiddetto Ape – Anticipo pensionistico,  è stata estesa a tutti i lavoratori, anche statali ed autonomi. Quindi non solo dipendenti del settore privato: l’anticipo pensione APE sarà utilizzabile anche da quelli pubblici e dai lavoratori autonomi.

Il nuovo meccanismo di Anticipo pensionistico inserito nella Riforma Pensioni 2016/2017, che a sua volta confluirà nella prossima legge di Stabilità, si allarga anche ai dipendenti pubblici e agli autonomi. “Lo schema è che tutti i cittadini con i requisiti previsti possano decidere di aderire all’Ape”, ha dichiarato il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, al termine del 3° vertice tra Governo e sindacati  che si è svolto la settimana scorsa sulle nuove misure per garantire una maggiore flessibilità in uscita.

Ricordiamo che l’APE è una sorta di anticipo sulla pensione che si può chiedere a tre anni dal requisito anagrafico: si percepisce un trattamento finanziato dalle banche fino al raggiungimento della pensione vera e propria, da restituire poi con un piano di ammortamento ventennale. Fra le tante questioni da risolvere c’è quella delle detrazioni, che serviranno ad alleggerire il carico della restituzione delle rate del prestito pensionistico.

La decurtazione sulla pensione dipende dagli anni di anticipo con cui ci si ritira e dall'entità dell’assegno: secondo i primi calcoli, il taglio può andare da un 5 a un 15-20% per chi sceglie i tre anni di anticipo.

Vediamo un esempio: un lavoratore che si ritira con l’anticipo pensionistico APE un anno prima e ha una pensione di 800 euro netti al mese, paga per 20 anni una rata di circa 53 euro, che sale a quasi 160 euro nel caso di pensione anticipata di tre anni: i calcoli sono della UIL e forniscono una serie di esempi di applicazione dell’opzione nel più vasto quadro di Riforma Pensioni da inserire nella Legge di Stabilità 2017. Una nuova possibilità di pensione anticipata fino a tre anni, con un trattamento (l’anticipo pensionistico APE) che poi si restituisce quando si percepisce l’assegno previdenziale vero e proprio, attraverso un piano di ammortamento spalmato su 20 anni.

Al lordo delle detrazioni, i più penalizzati (in base agli esempi che seguono), in termini percentuali risultano i titolari di pensioni basse che scelgono di ritirarsi con tre anni di anticipo: per restituire l’anticipo pensione APE subiscono un taglio sulla pensione lorda pari al 17,7%, contro il 13,9% di coloro che percepiscono un assegno da 2mila 500 euro netti al mese. In generale, il peso della decurtazione dovuta alla restituzione del prestito sui trattamenti bassi è maggiore che non su quelli alti. Ecco i calcoli dello studio UIL.

Pensione di 800 euro netti: si tratta di un trattamenti lordo intorno ai 900 euro al mese. Ecco quando paga di restituzione nei tre diversi casi ipotizzati:

Un anno di anticipo: importo da restituire 10mila 400 euro, rata mensile per 20 anni pari a 53,24 euro, rata annua 692,12 euro. Decurtazione del 5,9% della pensione.
Due anni di anticipo: importo da restituire 20mila 800 euro, rata mensile di 106,48 euro (1.384,24 euro l’anno), decurtazione pari all’11,8%.
Tre anni di anticipo: importo da restituire 31mila 200 euro, rata mensile da 159,71 euro (2.076,23 euro l’anno), e percentuale su trattamento lordo del 17,7%.
Pensione da mille euro netti al mese: si tratta di circa 1200 euro lordi. Ecco i diversi possibili piani di rateazione di questo pensionato.
Un anno di anticipo: importo da restituire, 13mila euro, rata mensile 66,55 euro (annua, 865,15), percentuale su trattamento lordo, 5,5%.
Due anni di anticipo: importo da restituire, 26mila euro, rata mensile 133,09 euro (1.730,17 euro all’anno), decurtazione 11,1%;
Tre anni di anticipo: importo da restituire 39mila euro, rata 199,64 euro (2.595,32 euro all’anno), decurtazione 16,6%.
Pensione da 2500 euro netti al mese: significa un trattamento lordo di 3600 euro. Piani di rateazione a secondo degli anni di anticipo:
Un anno di anticipo: importo da restituire 32mila 500 euro, rata da 166,37 euro (2.162,81 euro annui), percentuale 4,6%;
Due anni di anticipo: importo da restituire 65mila euro, rata da 332,74 euro (4mila 325,62 euro annui), percentuale 9,2%;
Tre anni di anticipo: importo da restituire 97mila 500 euro, rata da 499,10 euro,decurtazione 13,9%.

La decurtazione si dovrebbe azzerare o ridurre al minimo per una particolare fascia di lavoratori a basso reddito: disoccupati senza speranza di ritrovare un impiego, lavoratori impiegati in lavori pesanti e anche per soggetti coinvolti in lavoro di cura familiare. In questi casi la detrazione fiscale non solo dovrebbe compensare l'intero importo della rata ma anche coprire una fetta del “capitale”. Le detrazioni dovrebbero ridursi di molto e addirittura scomparire nei casi “uscita volontaria” dal lavoro da soggetti con reddito elevato, per i quali il taglio dell'assegno potrebbe arrivare anche al 15 per cento.

L'Ape, l'Anticipo pensionistico, passerà obbligatoriamente per l'Inps. Il lavoratore “over 63” intenzionato ad anticipare l'uscita dal lavoro non dovrà recarsi in banca per ottenere il “prestito” ma dovrà interloquire con l'ente previdenziale. Che dovrà anzitutto certificare la sua situazione previdenziale, a partire dal montante contributivo, privo dei contributi relativi agli anni di anticipo (da 1 a 3). A quel punto l'Inps con il soggetto finanziario, probabilmente previsto da un'apposita convenzione, perfezionerà l'operazione di “prestito”.

martedì 21 giugno 2016

Pensione: part time agevolato le novità


E’ ufficiale: il nuovo intervento di flessibilità in uscita previsto dalla legge di Stabilità, ossia la possibilità di accedere al part-time agevolato per la pensione per i lavoratori del settore privato a cui mancano al massimo 3 anni al raggiungimento del requisito di vecchiaia, sarà operativo dal 2 giugno prossimo.

Il  cambio di appalto fa venir meno il part time agevolato. E questo anche se il lavoratore è assunto dal nuovo appaltatore in continuità. Pertanto, in caso di subentro nell’appalto, il datore di lavoro e il lavoratore dovranno avviare una nuova procedura e verificare che i fondi non siano esauriti. Questo è uno dei chiarimenti della circolare 90/2016 dell’Inps in cui sono state fornite le istruzioni operative per fruire del nuovo strumento di pensionamento anticipato introdotto con la legge di Stabilità 2016.

Dal 2 giugno si può avviare l’iter amministrativo che porta il lavoratore al part time agevolato. Un iter che parte dalla richiesta di certificazione dei requisiti all’Inps ma che ha come atto fondamentale la firma di un accordo tra lavoratore e datore di lavoro in cui è necessario specificare nel dettaglio numerosi elementi: dalla norma di riferimento alla mancata reversibilità, dalla percentuale di riduzione dell’orario fino alla stessa clausola di decadenza dell’accordo, appunto in caso di cambio appalto (si veda il decalogo nel grafico a fianco).

I lavoratori interessati sono tutti i dipendenti con contratto a tempo pieno e indeterminato del settore privato (incluso i dipendenti degli enti pubblici economici), iscritti sia in Inps che in altre gestioni assicurative compreso la gestione ex Inpdap, in possesso del requisito contributivo di 20 anni al momento del rilascio della certificazione e che raggiungano, entro il 31 dicembre 2018, l’età pensionabile prevista per il pensionamento di vecchiaia (66 anni e 7 mesi).

Restano, invece, esclusi i lavoratori delle pubbliche amministrazioni in senso stretto (articolo 1 comma 2 Dlgs 165/2001) e quelli che oltre al rapporto di lavoro oggetto di trasformazione svolgono altra attività lavorativa (sia subordinata che autonoma) da cui consegue l’obbligo di versamento di contribuzione in qualsiasi gestione previdenziale compresa la gestione separata dell’Inps.
Sono incompatibili con la nuova disciplina i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, il lavoro domestico, il lavoro intermittente, il lavoro a domicilio. Mentre possono stipulare l’accordo coloro che lavorano con un contratto di somministrazione o di lavoro agricolo.

Per accedere al part time agevolato è irrilevante se il lavoratore sia già titolare di un trattamento pensionistico, purché la richiesta riguardi un percorso lavorativo distinto e, per quest’ultimo, egli sia in possesso del requisito di almeno 20 anni di contributi (diversi dunque da quelli che hanno dato diritto al trattamento pensionistico).

L’Inps ha precisato che il perfezionamento del diritto alla pensione anticipata successivamente al riconoscimento del diritto al part time agevolato non comporta di per sé la decadenza dal beneficio; mentre il conseguimento della pensione anticipata successivamente al riconoscimento del diritto al part time agevolato comporta la decadenza.

A coloro che rientrano nel regime contributivo puro (anzianità contributiva successiva alla data del 31 dicembre 1995) non è consentito l’accesso al regime agevolato se, al momento della domanda, l’importo della pensione, calcolato sulla base del coefficiente di trasformazione relativo all'età pensionabile, sia inferiore a 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale.

Il primo passaggio essenziale della procedura amministrativa è la domanda di rilascio della certificazione Inps utile ad attestare il possesso dei requisiti. Non è previsto alcun termine entro cui l’Inps deve rilasciare tale certificazione.

Successivamente, si potrà procedere alla redazione e sottoscrizione dell’accordo di trasformazione da full time a part time la cui durata è legata alla data di raggiungimento dell’età pensionabile. È bene chiarire che la successiva modifica dei termini dell’accordo (ad esempio la modifica della percentuale), determina la cessazione del beneficio riconosciuto dallo Stato. L’Inps ha spiegato che si dovrà procedere a riavviare integralmente l’iter amministrativo previsto.

Concluso il contratto fra le parti, il datore lo dovrà trasmettere alla Direzione del lavoro territorialmente competente, tenuta a rilasciare un proprio visto di conformità con sistema di silenzio assenso, in caso di mancato riscontro entro cinque giorni.

Ricevuto il visto o trascorsi inutilmente i cinque giorni, il datore di lavoro trasmetterà istanza telematica all’Inps con le indicazioni utili alla stima del beneficio e i dati del contratto di lavoro.

L’ente previdenziale, entro cinque giorni lavorativi dalla domanda, dovrebbe rilasciare la relativa autorizzazione (in questo caso però non si applica il silenzio assenso).

Questo intervento permette a tali lavoratori di poter optare per un part-time al 40-60%, con una busta paga più alta rispetto all’orario di lavoro ridotto, in quanto anche comprensiva di un importo esentasse che sarà pari ai contributi per l’orario che non più lavorato, e contributivi figurativi che vanno a coprire gli anni del part-time come fossero full-time.

Pertanto, ne consegue che nonostante la scelta dell’orario lavorativo ridotto, il lavoratore non arriva a subire nessun taglio sulla pensione finale.

Lo Stato, per la porzione di orario non lavorato  riconoscerà al lavoratore una contribuzione figurativa “corrispondente alla prestazione non effettuata, in modo che alla maturazione dell'età pensionabile il lavoratore percepirà l'intero importo della pensione, senza alcuna penalizzazione”. In altre parole, lo scopo è quello di evitare che il lavoratore percepisca meno contributi negli ultimi anni di attività, cosa che comporterebbe una decurtazione ingente del futuro assegno previdenziale.

Facendo un esempio pratico: nel caso in cui il lavoratore decida di ridurre il proprio orario di lavoro del 50%, grazie al meccanismo previsto all’interno del decreto, riceverà una retribuzione corrispondente a circa il 65% di ciò che percepiva in precedenza. Nel momento in cui andrà in pensione, riceverà il 100% dell’assegno previdenziale.

Il beneficio viene riconosciuto dall’INPS fino a esaurimento risorse, così ripartite:

60 milioni di euro per il 2016,

120 milioni di euro per il 2017,

60 milioni di euro per il 2018.



domenica 29 maggio 2016

Pensioni, tutte le regole taglia-assegni e la novità del riscatto della laurea



Trovato l’acronimo, l’anticipo pensionistico cosiddetto Ape, è allo studio del gruppo di esperti coordinato dal sottosegretario Tommaso Nannicini, dell’Ape finora sono state fissate solo le coordinate principali. L’anticipo rispetto al pensionamento di vecchiaia sarà al massimo di tre anni sull’età fissata dalla riforma Fornero.

Dunque il meccanismo, se approvato con la prossima legge di Stabilità, dovrebbe interessare, per primi, i nati nel 1951 (da maggio in poi), nel 1952 e nel 1953. Si tratta dei lavoratori che, alla vigilia della pensione, hanno subito - per la riforma Fornero - un rinvio dell’assegno anche di quattro/cinque anni. Per questi lavoratori non ha operato neppure la salvaguardia introdotta dai decreti correttivi del Dl 201/11, cioè la possibilità di andare in pensione anticipata a 64 anni (cui va aggiunta l’aspettativa di vita) per quanti entro il 31 dicembre 2012 avessero maturato quota 96, con almeno 60 anni di età e 35 anni di contributi oltre ai resti. Residuale, finora, la possibilità di andare in pensione di vecchiaia a 63 anni (oltre all'aspettativa di vita) con la pensione totalmente contributiva (con almeno 20 anni di contributi versati tutti dal 1996).

Per quanto riguarda le donne del privato (lavoratrici subordinate) l’Ape potrebbe - all'inizio - avere un impatto limitato. Le nate nel 1951, dipendenti del settore privato, infatti, hanno potuto andare in pensione con 20 anni di contributi e 60 anni di età alla fine del 2011. Inoltre, fino allo scorso anno era aperta l’opzione per la pensione di anzianità con l’assegno contributivo, a patto che le lavoratrici dipendenti maturassero 57 anni di età e 35 di contributi, oltre alla speranza di vita (58 e 35 per le autonome).

Il meccanismo di anticipo dell’Ape è strutturale e, in base allo sconto massimo di tre anni rispetto al‎ pensionamento ordinario di vecchiaia, interesserà a scorrere gli anni successivi rispetto al triennio di prima applicazione.

Come anticipato la penalizzazione percentuale per ogni anno di anticipo della pensione dovrebbe interessare la quota retributiva dell’assegno, quella, cioè, relativa ai contributi versati fino al 1995 (per quanti al 31 dicembre 1995 avevano meno di 18 anni di contributi) o fino al 2011 (per coloro che al 31 dicembre 1995 avevano almeno 18 anni di contributi). Il taglio percentuale potrebbe essere più alto per gli assegni oltre tre volte il trattamento minimo (superiori, nel 2016, a 1.505 euro mensili): fino a questo limite la penalità potrebbe essere del 2-3% per ogni anno di anticipo, oltre potrebbe arrivare al 5-8 per cento. Si tratta naturalmente di ipotesi che andranno vagliate alla luce dei costi e della compatibilità dei conti pubblici.

Per quanto riguarda la quota contributiva della pensione non dovrebbero esserci penalizzazioni, ma occorrerà stabilire se il coefficiente di trasformazione della dote di contributi sarà quello dell’età anticipata di pensionamento o quello dell’età da legge. Nel primo caso occorrerà prevedere una copertura figurativa che, come ipotizza Pier Paolo Baretta, sottosegretario all’Economia, potrebbe essere offerta dalla banche o dalle assicurazioni. L’intervento di banche e assicurazioni, in questo caso, avrà una doppia valenza, in quanto dovrà assicurare anche il finanziamento per l’anticipo della pensione, così da non caricare l’operazione sulle finanze statali e non incidere sul fabbisogno. Il conto di banche e assicurazioni, in questo modo, rincarerà.

Una prima stima dei costi, ma solo per quanto riguarda l’anticipo della pensione (e non in relazione all’utilizzo del coefficiente di trasformazione più vantaggioso) è stato fatto dalla Uil. Con un tasso di interesse del 3,5% - pari a quello applicato dall’Inps per i prestiti pluriennali ai dipendenti pubblici - per una pensione lorda di 1.500 euro mensili l’anticipo di un anno potrebbe costare al pensionato 1.700 euro; con una pensione di 3mila euro lordi il conto salirebbe a oltre 3.400 euro. La restituzione avverrà una volta raggiunta l’età della vecchiaia e potrà essere dilazionata in più anni. Occorrerà comunque prevedere una garanzia statale a favore di banche e assicurazioni in caso di mancata restituzione del prestito.

Uno degli aspetti fondamentali da chiarire è quello se l’Ape interesserà anche i pubblici dipendenti, finora non toccati dagli ammorbidimenti della legge Fornero.

Allo studio c’è anche il riscatto della laurea, cioè il versamento dei contributi per gli anni passati all’università in modo da avvicinare il momento della pensione. L’idea è rendere flessibile anche il riscatto: potendo scegliere non solo il numero degli anni da recuperare, cosa possibile già oggi. Ma anche la somma da versare e quindi l’effetto sull’assegno futuro. Perché una mossa del genere? Chi oggi è vicino dalla pensione e chiede il riscatto della laurea di solito si vede presentare un conto parecchio salato. E questo perché il calcolo viene fatto sulla base del suo stipendio attuale che, a fine carriera, tende a essere più alto. Chi chiede il conteggio, quindi, spesso rinuncia all’operazione e resta al lavoro fino alla scadenza naturale. Rendere flessibile il riscatto significa slegare la somma da pagare dallo stipendio attuale, considerarla un versamento volontario di contributi.



Pensioni novità: quando andare in pensione? Le proposte




Sono previsti dei percorsi alternativi, anche se non sempre facilmente attuabili, alla pensione di vecchiaia ordinaria, i cui requisiti anagrafici per il 2016 sono di 66 anni e 7 mesi per gli uomini indipendentemente dal settore lavorativo e per le donne dipendenti della pubblica amministrazione, di 65 anni e 7 mesi per le dipendenti del settore privato e di 66 anni e 1 mese per le autonome e le iscritte alla gestione separata dell'Inps. La riforma previdenziale di fine 2011 oltre alla vecchiaia ha regolato la pensione anticipata, che si raggiunge quest'anno con 42 anni e 10 mesi di contributi (un anno in meno per le donne) indipendentemente dall'età. Garantisce un vantaggio, rispetto alla “vecchiaia” a chi ha iniziato a lavorare non troppo dopo i venti anni di età e non ha buchi contributivi.

Sempre legata all'ultima riforma c'è la pensione anticipata con il sistema contributivo, a cui può accedere solo chi ha iniziato a versare dal 1996 e quindi è soggetto al calcolo della pensione interamente con il sistema contributivo. Sono necessari 20 anni di contributi (quindi proprio quest'anno diventa effettivamente fruibile), 63 anni e 7 mesi di età e l'importo dell'assegno previdenziale deve essere almeno 2,8 volte il valore di quello sociale, quindi deve essere pari almeno a 1.254,60 euro lordi.

Sono ancora in vigore le agevolazioni per i lavoratori soggetti ad attività usuranti o svolte di notte, a cui si applica ancora il sistema delle “quote” (somma di età e anni di contributi) ma aggiornato all'aspettativa di vita. I requisiti minimi per i dipendenti sono quota 97,6 con un minimo di 61 anni e 7 mesi di età e 35 anni di contributi e, per gli autonomi, quota 98,6 con un minimo di 62 anni e 7 mesi di età e 35 anni di contributi (per i notturnisti si possono aggiungere 1-2 anni in relazione al numero di notti lavorate).

Per le donne dipendenti che hanno maturato 57 anni e 3 mesi di età e 35 di contributi (58 anni e 3 mesi per le autonome) entro il 2015, è ancora aperta l'opzione donna, cioè la possibilità di andare in pensione trascorsi la finestra mobile o anche successivamente a fronte però del calcolo dell'assegno con il metodo contributivo che comporta in media una penalizzazione del 25-30% rispetto al sistema misto a cui avrebbero diritto.

Ci sono poi delle alternative che prevedono il coinvolgimento del datore di lavoro e non si basano quindi sulla sola scelta del lavoratore. Sempre con la riforma del 2011 è stata introdotta la possibilità di gestire i dipendenti in esubero a cui manchino non più di 4 anni alla pensione erogando una sorta di pre pensione interamente a carico dell'azienda. Una volta raggiunti i requisiti minimi, scatterà la pensione vera e propria.

Fa convivere la pensione con il lavoro il part time introdotto con la legge di Stabilità 2016, destinato a chi, dipendente a tempo indeterminato, ha già almeno 20 anni di contributi ed entro il 2018 raggiungerà i requisiti per la pensione di vecchiaia. In accordo con l'azienda possono ridurre l'orario dal 40 al 60% e incassare oltre a quanto dovuto, la parte di contributi a carico dell'azienda per le ore non lavorate.

Infine c'è il mix di part time e pensione di più complessa attuazione. Previsto dal Jobs act attende ancora le indicazioni operative, ma può scattare solo nell'ambito di contratti di solidarietà espansivi (riduzione generalizzata di orario a fronte di nuove assunzioni): in questa situazione i dipendenti a cui mancano non più di 2 anni alla pensione si possono ridurre l'orario almeno per oltre la metà e percepire in anticipo una parte della pensione fino a incassare complessivamente quanto avrebbero preso continuando a lavorare a tempo pieno. Ulteriori misure ad hoc sono riservate ai lavoratori coinvolti nelle bonifiche dell'amianto e per i nati nel 1952.

La proposta di Damiano per la flessibilità delle pensioni prevede un pensionamento flessibile a partire dai 62 anni e 7 mesi di età e 35 anni di contributi con una penalità del 2% per ogni anno di anticipo rispetto all’età di 66 anni e 7 mesi, mentre per i lavoratori precoci si garantirebbe un’uscita unica a 41 anni di contributi. Nella petizione, inoltre, c’è la volontà di ulteriori interventi per rendere più equa la previdenza italiana con:

1) l’ottava e ultima salvaguardia degli esodati;

2) il monitoraggio di opzione donna per l’inclusione di altre lavoratrici;

3) un meccanismo adeguato di indicizzazione per le pensioni medio basse. Intanto, i lavoratori precoci sono tornati a chiedere con forza l’introduzione di quota 41 senza penalizzazioni sia sui palchi delle organizzazioni sindacali che negli studi di programma che da sempre si occupano di pensionati e della flessibilità in uscita.


lunedì 25 aprile 2016

L’Inps lancia l’allarme, per i nati negli anni 80 rischia il pensionamento a 75 anni



Sono in arrivo le buste arancioni contenenti la previsione della pensione futura degli Italiani, tra qui numerosi giovani. Dalle informazioni in essa contenute, reperibili anche tramite l’applicativo “La Mia Pensione INPS” disponibile sul sito dell’Istituto, si evince come siano in molti i giovani per i quali l’uscita dal mondo del lavoro per andare in pensione sia prevista oltre i 75 anni di età.

La disoccupazione giovanile potrebbe avere effetti devastanti sull’età di raggiungimento della pensione per le generazioni più giovani. Secondo il presidente dell’Inps, Tito Boeri, chi è nato dopo il 1980 rischia di andare in pensione con i requisiti minimi non a 70 anni, ma «due, tre, forse anche cinque anni dopo». L’Inps ha condotto uno studio apposito sulla classe 1980, «una generazione indicativa» ha detto Boeri prendendo a riferimento «un universo di lavoratori dipendenti, ma anche artigiani», ed è emerso come per un lavoratore tipo «ci sia una discontinuità contributiva, legata probabilmente a episodi di disoccupazione, di circa due anni. Il vuoto contributivo pesa sul raggiungimento della pensione, che a seconda della sua lunghezza, «può slittare anche fino a 75 anni».

«Non voglio terrorizzare ma solo rendere consapevoli dell’importanza della continuità contributiva» ha aggiunto il presidente dell’Inps, tornando a sollecitare al governo una riforma per rendere più flessibile l’età di uscita dal lavoro. «L’uscita flessibile è un tema che va affrontato non fra cinque anni ma, credo, adesso. Abbiamo studiato il comportamento di due tipi di imprese, con o senza lavoratori bloccati dalla riforma del 2011. Abbiamo visto che le prime hanno assunto meno giovani con una forte penalizzazione di questi ultimi. Dato il livello della disoccupazione giovanile e dato che rischiamo di avere intere generazioni perdute nel Paese, e dato che invece abbiamo bisogno di quel capitale umano, credo sia m0lto importante fare questa operazione in tempi stretti» ha concluso Boeri.

Entro la fine dell’anno sette milioni di italiani riceveranno la busta arancione con le stime Inps sulla previdenza pubblica futura. Un aiuto, che però rischia di fornire numeri troppo ottimisti. I calcoli sono fatti con un Pil che cresce all’1,5% e una vita lavorativa senza buchi contributivi.

La busta arancione dell’Inps, in arrivo entro l’estate nella buca delle lettere, costringerà sette milioni di italiani a misurarsi con i numeri della propria pensione pubblica. Il rischio è che, nonostante la volontà illustrativa della lettera, l’effetto della trasparenza previdenziale sia troppo ottimista. Perché per mettere in piedi una strategia in vista del futuro serve del realismo.

I conti dell’Inps e quelli di un’ipotesi meno positiva, che è possibile simulare sempre attraverso lo strumento web dell’Inps se si hanno tempo e conoscenze, gli scenari possono essere diversi e decisamente meno confortanti qualora il futuro riservi una crescita economica piatta e quindi spegnere uno dei motori di crescita degli assegni pubblici.

Secondo «La Mia pensione Inps» un dipendente trentenne con un reddito attuale di mille euro netti al mese andrà in pensione di vecchiaia nel 2056 con un vitalizio di 1.749 euro lordi, il 75% di una retribuzione finale che, sempre al lordo delle tasse, sarà pari a 2.330 euro al mese. Al netto delle tasse, l’assegno mensile sarà di millequattrocento euro. Se, invece, si assumono ipotesi più realistiche sull’andamento del Pil (Prodotto interno lordo), uno dei parametri fondamentali a cui sono indicizzate le rendite pubbliche e sulla dinamica di carriera, l’assegno sarà pari a 1.217 euro lordi, il 95% di una retribuzione finale decisamente più bassa, 1.284 euro al mese. Al netto delle tasse l’assegno sarà di 1.029 euro, cioè quattrocento in meno rispetto alle proiezioni Inps. Il tasso di sostituzione elevato (94%) non deve trarre in inganno: il trentenne avrà guadagnato meno e avrà una coperta Inps ben più corta.

La pensione dei lavoratori viene ormai calcolata, in tutto o in parte, secondo il metodo contributivo, che fissa l’importo in funzione dei contributi versati, dell’andamento del Pil (Prodotto interno lordo) e della speranza di vita. «Per quanto riguarda i contributi, la stima dell’Inps prevede una crescita della retribuzione pari all’1,5% annuo, oltre l’inflazione, quindi una previsione positiva sulla propria carriera. In linea con le ipotesi assunte dalla Ragioneria Generale dello Stato, viene ipotizzata una crescita annua dell’1,5% (anch’essa in termini reali) del Pil: è un dato decisamente superiore a quello registrato da alcuni anni a questa parte».
Si ipotizza che il lavoratore faccia una discreta carriera e che l’Azienda Italia corra, mentre negli ultimi anni è quasi ferma.

Ottocento euro l’anno per un lavoratore dipendente trentenne con un reddito attuale di mille euro netti al mese, quasi 4.700 per un quarantenne che oggi ha una retribuzione di duemila euro al mese, oltre diecimila per un altro quarantenne che lavora in proprio. Sono le cifre che questi tre lavoratori dovranno versare in una pensione di scorta per compensare il divario che, al momento del pensionamento, avranno rispetto all’attuale reddito. Conti che valgono se si accetta il rischio sottoscrivendo una linea d’investimento con il 30% di azioni. Se invece si cerca il porto sicuro di una garantita, l’impegno aumenta decisamente: millecento euro per il trentenne, 5.640 per il dipendente quarantenne. Se il quarantenne è un lavoratore autonomo, l’assegno previdenziale stimato è pari a 2.472 euro lordi (1.871 euro netti) pari al 50,8% della retribuzione finale stimata (4.866 euro al mese al lordo delle tasse). Con PIL al +1% l’assegno scende a 1.952 euro lordi (1.543 euro netti) pari al 61,8% della retribuzione finale stimata (3.160 euro al mese al lordo delle tasse).

domenica 24 aprile 2016

Pensioni, ecco la nuova flessibilità


Un combinazione tra prestito previdenziale e opzione donna. Con un sistema di “garanzie a catena” per rendere più leggero l'impatto sui conti pubblici nel breve periodo, che prevede il coinvolgimento degli istituti di credito, dell'Inps e, direttamente o indirettamente, anche dei fondi pensione, che in ogni caso, con una distinta operazione, beneficeranno di una riduzione dell'aliquota fiscale sui rendimenti (attualmente al 20%) di almeno 4-5 punti e un incremento della deducibilità dei versamenti.

È questa una delle 2-3 opzioni per rendere più flessibili le uscite verso la pensione. Che si ridurrebbe per ogni anno di anticipo soprattutto per effetto del calcolo con il contributivo per il periodo tra l'uscita e il raggiungimento della soglia di vecchiaia. La penalizzazione (3-4% l'anno) verrebbe attutita con un dispositivo imperniato sul concetto del “prestito”, garantito, almeno in parte, da intermediari finanziari cui verrebbero a loro volta assicurati particolari incentivi. Anche l'Inps avrebbe un ruolo di ulteriore garanzia nei confronti degli istituti di credito.

Tommaso Nannicini, ha annunciato che il ricorso al secondo pilastro (previdenza complementare) sarà rafforzato non solo con interventi sul versante dalla tassazione (il ritorno all'aliquota dell'11,5% da quella attuale del 30% costerebbe circa 800 milioni) ma anche della governance (compreso il ruolo della Covip), della concentrazione dei fondi e «anche del rapporto tra risparmio obbligatorio tra primo e secondo pilastro». Una vera e propria riforma che punterebbe a rendere quasi obbligatoria una parte della “copertura previdenziale” attraverso forme integrative e che in questa chiave potrebbe vedere anche nuove misure sulla destinazione del Tfr (anche obbligatoria).

Una delle altre due opzioni tecniche sul tavolo degli esperti si rifarebbero maggiormente alla proposta del presidente dell'Inps, Tito Boeri: calcolo dell'assegno, a prescindere dall'età di uscita, quasi interamente vincolato agli anni di versamenti effettuati. L'anticipo avrebbe anche l'obiettivo di favorire la “staffetta generazionale”. Un'ulteriore opzione si rifarebbe al potenziamento della previdenza integrativa anche attraverso una spinta più specifica in questa direzione da parte degli accordi aziendali e, più in generale, di una destinazione più vincolante di contributi da parte del lavoratore e del datore di lavoro. Il tutto dovrebbe essere accompagnato da un contributo sempre di natura “generazionale” (quindi all'interno del sistema previdenziale) sugli assegni più elevati e versati con condizioni molto più vantaggiose rispetto a quelle del sistema attuale.

Quindi le aspettative di nuovi interventi sulle regole per andare in pensione sono molto alte. Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, si è sempre detto favorevole alla cosiddetta «flessibilità in uscita», che significa appunto correggere la riforma Fornero per permettere il pensionamento qualche anno prima, ma con un assegno un po’ più basso.

Oggi per andare in pensione di vecchiaia servono 66 anni e 7 mesi, che dal 2019 verranno adeguati ogni due anni alla speranza di vita, arrivando a 70 anni, si prevede, nel 2049. Ma i giovani nati dopo il 1980 e con carriera discontinua rischiano di dover aspettare fino a 75 anni, dice il presidente dell’Inps, Tito Boeri. Per la pensione anticipata occorrono 42 anni e 10 mesi di contributi, che si stima saliranno a 46 anni e 3 mesi nel 2049.

I sindacati parlano di requisiti insostenibili mentre le aziende, soprattutto le grandi, sono disposte a pagare di tasca propria il pensionamento anticipato pur di mandare a casa i lavoratori anziani. A frenare le aspettative è stato finora, come ovvio, il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, e con lui la Ragioneria generale, allarmati per l’aumento della spesa pubblica e soprattutto per la perdita di credibilità presso la commissione Ue che deriverebbe da un intervento che suonasse come uno smobilizzo della riforma Fornero. Tuttavia nel Piano di riforme appena inviato a Bruxelles c’è scritto che il governo valuterà, «la fattibilità di una maggiore flessibilità nelle scelte individuali, salvaguardando la sostenibilità finanziaria.
La Camera dei Deputati ha dato la disponibilità a discutere del coinvolgimento di banche e assicurazioni nella «flessibilità in uscita» lo ha fatto rispondendo a una domanda di Maino Marchi (Pd) che alludeva al ruolo che questi soggetti possono giocare nell’ambito dell’ipotesi del «prestito pensionistico». Funzionerebbe così: il lavoratore a 2-3 anni dai requisiti di vecchiaia potrebbe chiedere un mini anticipo sulla pensione, tipo 700 euro al mese, che poi restituirebbe in piccolissime rate trattenute dal momento in cui decorre la pensione piena. Per limitare al massimo i costi, l’Inps potrebbe stipulare convenzioni con il sistema bancario e assicurativo, che fornirebbero l’anticipo sotto forma di prestito. Lo Stato si accollerebbe solo il costo degli interessi.

La proposta classica di flessibilità in uscita è quella Baretta-Boeri, che prevede la possibilità di andare in pensione fino a 4 anni di anticipo rispetto ai requisiti previsti dalla riforma Fornero per la pensione di vecchiaia ma con una penalizzazione pari al 2% per ogni anno, quindi fino a un massimo dell’8%. Stime informali dell’Inps hanno calcolato in 3,6 miliardi la maggior spesa nel 2017 che diventerebbero 7,5 miliardi nel 2026. Una variante calcolata ipotizzando una penalizzazione maggiore (3% per ogni anno di anticipo) e che solo il 70% degli interessati acceda al prepensionamento costerebbe 1,5 miliardi l’anno prossimo che salirebbero a 3,7 nel giro di dieci anni. Ieri il sottosegretario alla presidenza, Tommaso Nannicini, ha detto che le proposte che prevedono flessibilità generalizzata costano troppo, fra i 5 e i 7 miliardi l’anno.

Un’ipotesi che periodicamente ricorre è l’estensione agli uomini dell’«opzione donna»: la possibilità prorogata per quest’anno per le donne di andare in pensione con almeno 57 anni d’età e 35 di contributi ma con l’assegno interamente calcolato col contributivo. Ci si perde in genere almeno il 25-30%. Nonostante ciò la spesa per lo Stato salirebbe nei prossimi anni, per via dei pensionamenti in più, e quindi anche questa proposta ha poche possibilità.

mercoledì 13 aprile 2016

Pensioni di flessibilità: al via part-time in uscita


La riforma delle pensioni è uno degli argomenti più controversi e dibattuti degli ultimi anni, soprattutto dopo quella del ministro Fornero del 2011 che, tra le varie problematiche sollevate, ha generato anche i cosiddetti lavoratori esodati, numerosi dei quali rimasti ancora oggi senza pensione né stipendio. Il nuovo meccanismo è destinato ai lavoratori del settore privato con contratto a tempo indeterminato ed orario pieno, che possiedono il requisito contributivo minimo.

Al via il part-time agevolato in uscita per i lavoratori vicino alla pensione. Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha infatti firmato il decreto che disciplina le modalità della norma introdotta dalla legge di stabilità 2016. Il nuovo meccanismo è destinato ai lavoratori del settore privato con contratto a tempo indeterminato ed orario pieno, che possiedono il requisito contributivo minimo per la pensione di vecchiaia (20 anni di contributi) e che maturano il requisito anagrafico entro il 31 dicembre 2018.

Tutti coloro che hanno i requisiti potranno concordare col datore di lavoro il passaggio al part-time, con una riduzione dell'orario tra il 40 ed il 60%, ricevendo ogni mese in busta paga, in aggiunta alla retribuzione per il part-time, una somma esentasse corrispondente ai contributi previdenziali a carico del datore di lavoro sulla retribuzione per l'orario non lavorato. Inoltre, per il periodo di riduzione della prestazione lavorativa, lo Stato riconosce al lavoratore la contribuzione figurativa corrispondente alla prestazione non effettuata, in modo che alla maturazione dell'età pensionabile il lavoratore percepirà l'intero importo della pensione, senza alcuna penalizzazione.

In pratica, chi si trova a tre anni dalla pensione (passati i 63 anni e 7 mesi) potrà richiedere il part time mantenendo gli stessi contributi che garantiva l'impiego a tempo pieno.

Il lavoratore interessato deve richiedere all'Inps - per via telematica se è in possesso del Pin, o rivolgendosi ad un patronato oppure recandosi presso uno sportello dell'Istituto - la certificazione che attesta il possesso del requisito contributivo e la maturazione di quello anagrafico entro il 31 dicembre 2018. Dopo il rilascio della certificazione da parte dell'Inps, il lavoratore ed il datore stipulano un "contratto di lavoro a tempo parziale agevolato" nel quale viene indicata la misura della riduzione di orario. La durata del contratto è pari al periodo che intercorre tra la data di accesso al beneficio e la data di maturazione, da parte del lavoratore, dell'età per il diritto alla pensione di vecchiaia. Dopo la stipula del contratto, il decreto prevede il rilascio, in cinque giorni, del nulla osta da parte della Direzione territoriale del lavoro e, da ultimo, il rilascio in cinque giorni dell'autorizzazione conclusiva da parte dell'Inps.

Il decreto è stato trasmesso alla Corte dei Conti e diventerà operativo dopo la relativa registrazione.
È inoltre allo studio una nuova estensione della cosiddetta Opzione donna, vale a dire il regime sperimentale nato nel 2004 e appena rilanciato che consente alle lavoratrici dipendenti l'uscita anticipata con 57 anni e 35 di contributi ma con ricalcolo contributivo della pensione.

Inoltre, restano in campo anche le soluzioni più strutturali che riguardano i requisiti di età o contributivi partendo dai disegni di legge presentati in Parlamento o dalla proposta avanzata dal presidente dell'Inps, Tito Boeri, accomunate dalla formula dell'anticipo con penalizzazione (2-3% l'anno rispetto alla vecchiaia). Così come altri interventi di “semplificazione” dei meccanismi di uscita con ricongiunzioni non onerose.

Il contratto di part time agevolato per i lavoratori che raggiungono i requisiti per la pensione di vecchiaia entro il 2018 «rischia di essere precluso per le donne» per effetto del diverso requisito anagrafico previsto in questi anni e dell’equiparazione nel 2018 dell’età tra maschi e femmine. Lo spiega la Uil. Le donne nate nel 1951 - che raggiungerebbero i 66 anni e 7 mesi entro il 2018 sono già uscite nel 2012. Quelle nate nel 1952 escono quest’anno con 64 anni mentre quelle del 1953 raggiungeranno i requisiti fuori tempo massimo.


domenica 3 aprile 2016

Pensioni: serve contributo da importi elevati per i giovani


Sono quasi 475mila le pensioni liquidate prima del 1980, e quindi elargite da più di 36 anni. Lo dice l'Inps. Il dato è estrapolato dalle tabelle sugli anni di decorrenza delle pensioni riguardo assegni di vecchiaia (comprese le anzianità) e superstiti del settore privato. Per le pensioni di vecchiaia l'età media alla decorrenza era di 54,9 anni, per quella ai superstiti di 41,3. I dati non riguardano i baby pensionati del pubblico impiego, usciti dal lavoro prima del 1992 con almeno 14 anni di contributi.

«Poichè sono state fatte concessioni eccessive in passato - ha spiegato il presidente dell'Inps Tito Boeri ai microfoni di SkyTg24 - e queste concessioni pesano oggi sulle spalle dei contribuenti, credo sarebbe opportuno andare per importi elevati e chiedere un contributo di solidarietà dalle pensioni più alte, per i giovani e anche rendere più facile a livello europeo questa uscita flessibile».

Il presidente dell'Inps Tito Boeri sottolinea l'importanza di intervenire «in tempi ragionevolmente stretti» con una riforma per avere maggior flessibilità nelle pensioni. Interpellato in particolare sulla richiesta giunta ieri al Governo dai sindacati di intervenire già prima del Def spiega: «È importante che si intervenga - ha detto -, non è qualcosa che si può rimandare a lungo. Soprattutto gli aspetti più importanti sul mercato del lavoro sono qualcosa su cui bisogna intervenire adesso, perché il blocco morde e in qualche modo ostruisce l'ingresso dei giovani nel mercato del lavoro adesso, non fra tre anni. Penso che sia opportuno intervenire in tempi ragionevolmente stretti».

Dopo le polemiche sull'alto numero di pensionati sotto i 750 euro al mese, quasi 6 su 10, il presidente Boeri invita a «guardare al dato medio per pensionato, e non alla pensione media», perché spiega «la situazione è meno grave di quel che si possa pensare». D a Vicenza spiega: «C’ stata una informazione errata, bisogna guardare al dato medio per pensionato, non alla pensione media - ha spiegato -. In Italia sono molti i pensionati che percepiscono più di un trattamento, questo non vuol dire che le pensioni non siano basse in Italia, ma la situazione è meno grave di quel che si possa pensare prendendo il dato per pensione singola». Boeri ha poi aggiunto che «i dati medi per pensionati per il 2014 cominceranno ad essere disponibili a partire da luglio» e il quadro sarà più chiaro con quei dati.

A Boeri era stato chiesto nel dettaglio se la presenza di una così vasta platea di pensionati di lunga data, non sia il caso anche di andare a rivedere i diritti acquisiti, anche per rendere più sostenibile il sistema pensionistico. «Abbiamo formulato delle proposte molto articolate, che guardano all’età, alla decorrenza della prima pensione — ha risposto Boeri —. Perché quando si guarda anche agli importi pensionistici bisognerebbe sempre guardare da quanto tempo vengono percepiti questi importi.

Possono essere anche importi limitati ma se uno li ha percepiti da quando aveva meno di 40 anni, chiaramente cumulandosi nel tempo vengono a stabilire un trasferimento di ricchezza pensionistica considerevole».

Quanto alla richiesta di intervenire sulle pensioni già prima del Def rivolta sabato al governo dai sindacati, il presidente dell’Inps ha spiegato che è importante intervenire «in tempi ragionevolmente stretti» con una riforma del sistema previdenziale per avere maggior flessibilità nelle pensioni. «È importante che si intervenga — ha detto —, non è qualcosa che si può rimandare a lungo. Soprattutto gli aspetti più importanti sul mercato del lavoro sono qualcosa su cui bisogna intervenire adesso, perché il blocco morde e in qualche modo ostruisce l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro adesso, non fra tre anni». «Dopo di che ci sono delle compatibilità a livello europeo — ha precisato —, ci sono delle priorità che non spetta a me stabilire nell’azione di governo, se si vuole intervenire è opportuno farlo adesso».

Per Boeri è «importante» introdurre la flessibilità in uscita perché «migliorerebbe le condizioni del mercato del lavoro, soprattutto per l’ingresso dei giovani»: «Abbiamo messo in luce come questa brusca impennata nei requisiti anagrafici e contributivi che è stata posta in essere con la riforma del 2011 abbia penalizzato i giovani — ha spiegato —: le imprese in cui c’erano più lavoratori bloccati da quelle riforme sono quelle che hanno assunto meno giovani».

Ma c’è anche un secondo motivo: «È un fatto di libertà. Ci sono delle persone che hanno dei piani individuali, per cui pensano a un certo punto di uscire dal mercato del lavoro verso il pensionamento. Se questa uscita è possibile concepirla in modo che sia sostenibile e non gravi sul futuro dei giovani, e non faccia aumentare il debito pensionistico, il che vuol dire fare delle riduzioni dell’importo delle pensioni per impedire che queste persone si avvantaggino rispetto a quanti lavorano più a lungo, se è possibile fare un intervento di questo tipo, è bene farlo. Però bisogna farlo con queste caratteristiche».

giovedì 15 ottobre 2015

Pensioni 2016: flessibilità in uscita part-time agevolato


Flessibilità in uscita nella Legge Stabilità 2016, dai 63 anni un part-time volontario al 50% per tre anni, con contribuzione piena ai fini della pensione.

Se per le pensioni flessibili bisognerà aspettare il 2016 in stabilità entrerà comunque una misura di «invecchiamento attivo» per consentire ai lavoratori di optare per un part-time volontario con contribuzione piena negli ultimi tre anni di contratto. Il sistema sarebbe basato su un'intesa tra datore e dipendente: quest'ultimo opta per un part-time volontario (almeno al 50%) con la garanzia del versamento in busta paga dei contributi netti che l'azienda avrebbe dovuto versare all'INPS, mentre la contribuzione figurativa al cento per cento viene fiscalizzata. I beneficiari saranno tutti i dipendenti over 63 del settore privato e per l'azienda non ci sarebbero vincoli per nuove assunzioni.

Quindi alla fine, una prima misura di flessibilità entra nella Legge di Stabilità 2016: un part-time agevolato, per gli ultimi tre anni di lavoro prima della maturazione del requisito per ritirarsi, che si può scegliere a partire dai 63 anni: l’impresa pagherà comunque i contributi pieni così che, al momento della pensione, avrà un assegno senza decurtazioni.

E’ una forma di prepensionamento attivo, opzione volontaria del lavoratore. E’ quindi necessario un accordo fra datore di lavoro e dipendente. Il part-time dev’essere almeno al 50% dell’orario. Il lavoratore riceve in busta paga i contributi che l’impresa avrebbe dovuto versare all’INPS con il tempo pieno, ma il periodo in part-time è coperto da contribuzione figurativa. La pensione, quindi, sarà piena.

Esiste già una norma simile, inserita nel decreto ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro del Jobs Ac, che prevede la possibilità di un part time in vista delle pensione per i dipendenti a cui mancano al massimo due anni, nelle imprese che applicano contratti di solidarietà espansiva in forza di clausole che prevedano nuove assunzioni. Anche in questo caso, part-time al 50%, è necessario l’accordo del lavoratore.

Prevista anche una misura di solidarietà espansiva, tramite accordi collettivi. Uno scivolo per i lavoratori a due anni dalla pensione che possono optare per il part-time condizionato a nuove assunzioni. Nel dettaglio, la misura proposta in manovra dai tecnici del ministero del Lavoro prevede un part-time almeno al 50%. Per la quota non lavorata, tali occupati cumulano la pensione. Le aziende che opteranno per questo regime avranno degli sgravi sulle assunzioni di giovani lavoratori.

La forma di pensionamento agevolato con part-time in Legge di Stabilità si differenzia da quella del Jobs Act in una serie di punti fondamentali:

è accessibile a tre anni dalla pensione;

non è condizionata da alcun accordo di nuove assunzioni;

è una scelta volontaria del dipendente, che può accedere alla pensione con gradualità, con un meccanismo che consente di non dimezzare lo stipendio pur scegliendo un part time al 50%, e con la garanzia di ricevere alla fine un assegno pieno.

Rammentiamo che la Legge di Stabilità contiene anche altri due interventi, questi attesi, sul prepensionamento: una nuova salvaguardia esodati (la settima e, nelle intenzioni dell’esecutivo, l’ultima), e un prolungamento per l’intero 2015 dell’Opzione Donna. Sempre sulle pensioni, c’è l’innalzamento della no tax area per i pensionati.

«Per noi è indispensabile che nella legge di Stabilità siano contenuti alcuni interventi sul tema della previdenza». Lo dichiara Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro della Camera. «Siamo disponibili a esaminare anche le ipotesi di part time per gli over 63, pur sapendo che si tratta di una misura che non può essere considerata sostitutiva di un intervento strutturale sulla flessibilità», conclude Damiano «Sulla settima salvaguardia degli esodati - continua l'esponente - la Commissione Lavoro della Camera ha definito un testo che prevede la tutela di altri 26mila lavoratori, con l'impiego dei risparmi delle precedenti salvaguardie. Va risolta la questione relativa alla Opzione Donna, attraverso la correzione della circolare restrittiva dell'Inps, che per noi non ha bisogno di coperture finanziarie come del resto confermato nelle audizioni informali dallo stesso ministero del Lavoro».

«Per quanto riguarda il tema della flessibilità - aggiunge Damiano - abbiamo già sottolineato come l'annuncio del premier, che rimanda la misura al 2016, sia un errore. Si renderà necessario trovare soluzioni che traccino un cammino giudicato ormai da tutti irreversibile: infatti, l'attuale sistema pensionistico è troppo rigido e consentire un'uscita flessibile, a partire dai 62 anni, può evitare di aumentare il numero dei nuovi poveri, cioè di coloro che avendo perso l'occupazione rimangono per anni senza alcun sostegno, e favorire l'ingresso dei giovani nel lavoro attraverso il turn over».

martedì 6 ottobre 2015

Pensioni anticipata con il prestito aziendale e con il part-time


Il prestito aziendale potrebbe essere la soluzione per raggiungere la tanto agognata flessibilità in uscita. Il meccanismo è attualmente allo studio dell’esecutivo e consentirebbe ai lavoratori, in accordo con l’azienda, un’uscita anticipata dal mondo del lavoro, tramite un prestito aziendale da rimborsare successivamente attraverso l’Inps una volta raggiunta l’età pensionabile.

Lo schema del prestito previdenziale dovrebbe supporre non tanto una scelta del lavoratore di accedere alla pensione anticipata, quanto la volontà dell’azienda di attuare un ricambio o ridurre il personale.

La famosa flessibilità in uscita, tanto desiderata dai lavoratori e discussa negli ultimi mesi, potrebbe infine arrivare tramite il meccanismo del prestito pensionistico. Ha sostenuto il Ministro Padoan per portare a carico dell'azienda il costo dell'uscita dal lavoro. "Nell'ipotesi che la misura vada nella legge di stabilità, azienda e lavoratore dovrebbero trovare un accordo per l'uscita anticipata con costi sia per l'impresa che per il pensionando", un'ipotesi che metterebbe in sicurezza i forzieri pubblici e consentirebbe il compromesso dell'impatto zero sul bilancio dell'Inps. Resta evidente però che tale meccanismo presenta anche un certo grado di rischio, visto che non tutte le aziende potrebbero essere disposte ad intervenire per agevolare il meccanismo della staffetta generazionale.

Quindi nell’ipotesi c’è un prestito pensionistico per il lavoratore vicino all'età di vecchiaia a carico delle aziende: l'ipotesi per introdurre maggiore flessibilità di uscita verso la pensione con una spesa molto bassa per lo Stato, ma il rischio è che sia poco utilizzata per gli alti costi sia per l'impresa sia per il lavoratore che dovrebbe restituire all'azienda una volta andato in pensione e tramite l'Inps il prestito ricevuto. In pratica - hanno spiegato fonti vicine al dossier - nell'ipotesi che la misura vada nella Legge di Stabilità, azienda e lavoratore dovrebbero trovare un accordo per l'uscita anticipata con costi sia per l'impresa che per il pensionando mentre lo Stato avrebbe solo costi residuali.

L'azienda pagherebbe i contributi per la persona che esce in anticipo - L'azienda, a fronte della possibilità di aumentare il turn over, svecchiando il personale, infatti, dovrebbe pagare i contributi per la persona che esce in anticipo rispetto all'età di vecchiaia fino al raggiungimento dei requisiti per l'accesso alla pensione. L'impresa pagherebbe anche una quota della pensione ma questa dovrebbe poi essere restituita dal lavoratore, tramite l'Inps, una volta raggiunti i requisiti e andato in pensione con un meccanismo ancora da affinare. Ad esempio, una persona che dovesse lasciare il lavoro in anticipo di due anni a fronte dell'accordo su un prestito di 800 euro al mese su una pensione di 1.000 euro al mese, si ipotizza che la persona in pensione anticipata ha maturato un debito di 20.800 euro con l'azienda, venga applicata una trattenuta di 1.400 euro l’anno ovvero poco più di 100 euro al mese- 

Per questo si sarebbe pensato ad una sorta di “prestito” a carico delle aziende. Le società pagherebbero i contributi al lavoratore che lascia in anticipo fino a quando questi non avrà raggiunto i requisiti pensionistici. La società dovrà inoltre pagare anche una quota delle pensioni, ma questa somma sarebbe poi restituita dal lavoratore tramite l'Inps.

I benefici per le aziende? Potrebbero aumentare il turnover a costi tutto sommato contenuti ma elevati anche per i lavoratori, che si vedrebbero, come abbiamo visto sopra, costretti a restituire somme al datore di lavoro.

Una via non molto diversa esiste già: la prevede la riforma Fornero per i lavoratori in esubero, che possono anticipare la pensione a condizione che l’azienda paghi la prestazione e continui a versare i contributi per tutti gli anni di anticipo.

Con la nuova ipotesi, l’azienda non dovrebbe pagare tutto l’assegno anticipato, ma solo una parte che verrebbe ad essa rimborsato in prospettiva. Uno sconto rispetto alla versione Fornero c’è, ma rimane comunque pesante il peso dei contributi da versare per gli anni mancanti all’età pensionabile. E questo potrebbe essere un limite, soprattutto se si volesse puntare a un utilizzo generalizzato del meccanismo anche per realizzare estesi turnover a favore dei giovani.

A quel punto sarebbe davvero più utile tornare alla formula originaria – senza contributi – e magari ampliare le causali di impiego possibile.

Anticipo pensione con il part-time
Anticipo sulla pensione per lavoratori con 20 anni di contributi e meno di 2 dalla pensione di vecchiaia: trasformazione in part-time nelle aziende con contratti di solidarietà espansiva, come previsto nel decreto ammortizzatori attuativo del Jobs Act. Si tratta di una trasformazione da tempo pieno in part-time riservato a lavoratori con meno di 24 mesi dal raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia: in particolari condizioni, potranno ottenere in cambio un anticipo del trattamento, percependo una quota parte dell’assegno finale, mentre l’impresa continuerà a versare i contributi pieni in modo tale che, alla fine dei due anni, non subiranno decurtazioni nel trattamento previdenziale definitivo.

I lavoratori con i requisiti indicati (meno di due anni dal raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia) ed almeno 20 anni di contributi possono chiedere un part-time fino al 50% (è possibile accordarsi per un part time diversamente modulato) e al contempo inoltrare domanda di anticipo della pensione.

L’erogazione della quota anticipata di pensione in cambio della trasformazione in part-time è riservata alla stipula in azienda di contratti di solidarietà espansiva,  che prevedono una riduzione stabile dell’orario di lavoro (e della relativa retribuzione) con contestuale assunzione a tempo indeterminato di nuovo personale. I contratti di solidarietà espansiva sono incentivati con un contributo INPS pari al 15% della retribuzione lorda di ogni nuovo assunto per i primi 12 mesi mentre per i due anni successivi il contributo è ridotto al 10% e 5%. Il contratto di solidarietà espansiva si applica solo per incrementare gli organici e solo in base al contratto collettivo aziendale, che deve prevedere modalità di attuazione.

lunedì 21 settembre 2015

Riforma pensioni: flessibilità in uscita, opzione donna, opzione uomo e blocca il turn over


L’ipotesi allo studio del governo. Giuliano Poletti riaccende le speranze  per chi spera nella flessibilità pensionistica:” Stiamo lavorando sulle riforma delle pensioni. Sappiamo che c'è un aspetto da risolvere legato a uno scalino alto che blocca il turn over introdotto dalla Legge Fornero.

Il Governo lavora all'uscita anticipata delle donne dal lavoro dal 2016 a 62-63 anni con 35 di contributi: si tratta di una nuova opzione donna - spiegano tecnici dell'Esecutivo - che prevedrebbe, invece del ricalcolo contributivo, una riduzione dell'assegno legata alla speranza di vita e pari a circa il 10% per tre anni di anticipo rispetto all'età di vecchiaia. Senza interventi sulla riforma Fornero le donne del settore privato l’anno prossimo si troveranno di fronte a un nuovo scalino con il passaggio dell’età di vecchiaia da 63 anni e 9 mesi a 65 anni e 7 mesi (1 anno e 10 mesi in più rispetto al 2015).

La penalizzazione sarebbe meno pesante perché non sarebbe previsto il ricalcolo contributivo sull'intera vita lavorativa (come nell’opzione donna che scade quest’anno) ma solo un sistema legato alla speranza di vita. In pratica chi decide di uscire prima avrà un assegno decurtato.

Si studia anche un meccanismo di flessibilità per gli uomini guardando però solo a coloro che hanno perso il lavoro a pochi anni dalla pensione. Si lavora a una sorta di opzione uomo (sempre con decurtazione legata alla speranza di vita) ovvero la possibilità di accedervi con 3 anni di anticipo rispetto all'età di vecchiaia (66 anni e 7 mesi dal 2016) con un taglio dell'assegno legato non al ricalcolo contributivo, ma all'equità attuariale, cioè al tempo più lungo di percezione dell'assegno. Il Governo - spiegano tecnici dell'Esecutivo - studia anche il prestito pensionistico e una sorta di assegno di solidarietà per le situazioni di maggiore disagio, ossia all'anticipo di una parte della prestazione da restituire una volta che si raggiungono i requisiti per la pensione. Per le situazioni di maggiore disagio si ipotizza una ''pensione di solidarietà'', ovvero una sorta di ammortizzatore sociale di accompagnamento alla pensione.

Vediamo le proposte di Cesare Damiano

Pensione anticipata. Tra le varie idee è quella che è risultata a lungo la più gradita ai pensionandi. La soluzione vedrebbe l’uscita dal lavoro esattamente come avveniva nella pensione di anzianità soppressa dalla Fornero ma con qualche anno di ritardo. Età minima 62 anni a cui aggiungere 38 anni di contributi, con 63 anni servirebbero invece 37 anni di versamenti e così via (nella formulazione originaria occorrevano 60 anni di età più 40 di contributi).  Oggi servono 42 anni e 6 mesi per gli uomini e 41 anni e 6 mesi per le donne per accedere alla pensione anticipata (che è il nome dell’istituto, sebbene molti intendono il termine come mera anticipazione della pensione). E’ una delle soluzioni più “difficili” da attuare a causa degli elevati costi: si stima una spesa superiore ai 10 miliardi.

Pensione flessibile con penalizzazioni decrescenti. Età minima 62 anni con 35 anni di contributi: si percepirebbe inizialmente un assegno decurtato dell’8% che andrebbe a scalare fino a raggiungere lo zero (quindi fine della penalizzazione) a 66 anni. Con 41 anni di contributi si conseguirebbe la pensione di vecchiaia indipendentemente dall’età, come accadeva quando era in vigore la pensione di anzianità (all'epoca bastavano 40 anni di contributi).

Sul tema dei pensionamenti flessibili, si potrebbe individuare una strada che si potrebbe tradursi in realtà un nuovo meccanismo di flessibilità, prendendo in esame l'ipotesi Damiano del pensionamento anticipato con la quota 97, seppur con una maggiore percentuale di penalizzazione per ogni anno mancante dal raggiungimento dei termini di pensionamento. Al posto del 2% iniziale, si potrebbe passare ad un 3 o 4%, con l'effetto di arrivare a toccare un tetto massimo attorno al 15% per coloro che decidessero di uscire dal lavoro attorno ai 62 anni di età.

L'intervento per rendere flessibile l'uscita in pensione ci sarà. Ma dovrà essere compatibile con il quadro dei conti pubblici e degli obiettivi definiti dal Def, il Documento di Economia e Finanza con il quale il governo ha definito le stime per il Paese nel prossimo futuro. E quindi non potrà che essere minimo, focalizzato sulle categorie con maggiori problemi. "Sono possibili correttivi per chi è vicino ai requisiti ma in difficoltà con il lavoro", ha spiegato il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan.

mercoledì 8 luglio 2015

Pensioni: la proposta del presidente dell’Inps Boeri



Un contributo di solidarietà sulle pensioni più ricche, per finanziare la flessibilità in uscita; la possibilità di lasciare il lavoro in anticipo di qualche anno spalmando su più anni il montante dei contributi, in maniera tale da non peggiore il debito previdenziale; un’operazione trasparenza sui vitalizi dei politici; l’armonizzazione dei trattamenti e (delle procedure), la possibilità di versare contributi aggiuntivi in base al principio che «non si va in pensione ma la pensione si prende» (e quindi la si può integrare in maniera volontaria di più e meglio di quanto non avvenga oggi) e la costruzione di una rete di protezione sociale per dare una risposta al problema degli over 55 che si trovano senza lavoro.

I cinque punti della proposta

Flessibilità sostenibile, una rete di protezione sociale dai 55 anni in su, unificazione delle posizioni assicurative (con la fine delle ricongiunzioni onerose), armonizzazione dei tassi di rendimento e nuove opportunità di versamenti perché «non si va in pensione, ma si prende la pensione». Sono i cinque punti sui quali si incardina la proposta di riforma del sistema previdenziale messa a punto dal presidente dell’Inps, Tito Boeri, delineata alla Camera in occasione della presentazione della relazione annuale dell’Istituto.

Una bozza di riforma già «sottoposta all'attenzione dell’Esecutivo» e formulata, ha puntualizzato, «non per esigenze di cassa, ma ricercando maggiore equità, tanto fra le generazioni diverse che all'interno di ciascuna generazione».
Contributo solidarietà su pensioni elevate

In ogni caso per Tito Boeri è giusto «chiedere a chi ha redditi pensionistici elevati in virtù di trattamenti molto più vantaggiosi di quelli di cui godranno i pensionati del domani, un contributo al finanziamento di uscite verso le pensioni più flessibili».

Incentivi tempo indeterminato forse troppo costosi
«Incentivi fiscali così potenti difficilmente potranno essere mantenuti in via per lungo tempo. Sono molto, forse troppo costosi». È l’ulteriore valutazione del presidente dell’Inps sugli aiuti previsti nel Jobs act per i contratti a tempo indeterminato. Al tasso attuale di assunzioni «si può stimare che la perdita di gettito a regime di una decontribuzione triennale valida solo a partire dal 2015 sia di circa cinque miliardi. Se la decontribuzione dovesse poi continuare anche per tutto il 2016, al tasso attuale di assunzione e di utilizzo degli incentivi il costo salirebbe a 10 miliardi su base annua».

Apertura al Jobs Act - Boeri ha sottolineato i risultati raggiunti dal Jobs Act, con l'aumento dei contratti a tempo indeterminato in un periodo di ripresa anemica.

Retribuzione minima oraria - "Peccato" ha detto Boeri, che tale misura prevista nella legge delega al governo, sia stata messa da parte. L'introduzione di un salario minimo orario, secondo Boeri, è importantissime ed evita che la contrattazione collettiva lasci con meno tutele i lavoratori con meno tutele contrattuali.

Importante che le donne lavorino - La diversificazione, con due redditi che entrano in famiglia, è un valido strumento per difendere le famiglie dalla crisi.

Reddito minimo garantito - Come rimarcato in passato, le proposte secondo Boeri hanno il pregio di aprire il dibattito anche se hanno difetti di progettazione. "Il diavolo è nei dettagli" ha detto il presidente INPS che ha auspicato aggiornamenti che rendano più mirati ed efficaci i provvedimenti.

Flessibilità in uscita - Discorso analogo per reddito minimo. I testi proposti nelle audizioni alla Camera e al Senato, secondo Boeri, si "allontanano dai meccanismi del contributivo, riesumando gli schemi dell'anzianità" che, secondo l'INPS, è insostenibile. L'INPS può formulare proposte, ne ha tutto il diritto visto il capitale umano di cui dispone. Il confronto, comunque, deve "avvenire nelle sedi opportune" dice Boeri. Dobbiamo superare la "malattia dell'ultima sigaretta" di cui sono afflitte, secondo l'INPS, le ultime riforme pensioni: occorre dare stabilità.

Operazione "La mia pensione" - Sarà possibile, tramite il sito dell'Ente, simulare la pensione di vecchiaia sulla base di simulazioni fatte sulle statistiche in possesso dell'INPS per valutare in futuro quanto si percepirà.

Sono 5 i punti fondamentali della proposta presentata da Tito Boeri:

1) Protezione sociale per over 55: primo passo per il reddito minimo, al di sopra dei 55 anni è troppo difficile trovare un lavoro e per questo bisogna tutelare queste persone secondo Boeri e la povertà è triplicata durante la recessione. E' una misura di assistenza, che va finanziata con la fiscalità generale.

2) Unificazione dei trattamenti iniziata con il pagamento che avviene per tutti il primo del mese. Per ogni 3 pensionati vengono messe in pagamento quattro pensioni. Boeri propone di unificare la pensione tra regimi diversi, modificando senza oneri aggiuntivi (via le ricongiunzioni onerose) categorie come la gestione separata.

3) Armonizzazione. Ci sono forti asimmetrie tra i trattamenti previdenziali, non fondate sui diversi livelli contributivi e riflettono differenze macroscopiche tra generazioni e categorie. Stop ai trattamenti di favore. I vitalizi dei parlamentari sono "pensioni sottratte alle riforme previdenziali degli ultimi 25 anni" ha detto Boeri, auspicando un intervento di Camera e Senato: oggi non ci sono informazioni sul rendimento di tali vitalizi. Chi ha redditi pensionistici più elevati dovrà dare un contributo di solidarietà per le uscite flessibili.

4) Flessibilità sostenibile. Chi va in pensione prima deve spalmare il montante contributivo su più anni e, ogni anno in meno di età, è chiaro che l'assegno mensile si abbassi. Questa flessibilità non grava sulle generazioni future perché non fa aumentare il reddito pensionistico. Si può permettere a chi vuole uscire anticipatamente di farlo, senza gravare sulle generazioni future.

5) Non si va in pensione ma si prende la pensione. Anche i pensionati possono contribuire al finanziamento della previdenza di chi si è ritirato dalla vita attiva. L'INPS vuole offrire la possibilità di versare contributi a chi sta già percependo un trattamento previdenziali. Anche i datori di lavoro potranno versare contributi agli ex dipendenti secondo l'ultima proposta INPS.



domenica 5 luglio 2015

Pensione anticipata si pensa al sistema contributivo



Le ultime notizie sulla riforma delle pensioni 2015 vertono sul progetto per la pensione anticipata presentato da Tito Boeri, presidente INPS.

Il piano presentato da Tito Boeri al governo per la riforma delle pensioni ha lo scopo di consentire una maggiore flessibilità in uscita per permettere l’accesso alla pensione anticipata più facilmente.

I progetti di riforma pensioni vedono nuove forme di prepensionamento incentrate sulla flessibilità in uscita, così da smorzare le problematiche relative alla pensione dei lavoratori precoci e al prepensionamento in generale, moltiplicatesi con l'implementazione della Legge Fornero. Ma ovviamente il tutto ruota sui costi per lo Stato, la tenuta dei conti pubblici e il bilancio dell'INPS, in particolar modo dopo la sentenza della Corte Costituzionale sul blocco della rivalutazione delle pensioni per il biennio 2012/23, ritenuto illegittimo e che ha quindi costretto l'esecutivo a intervenire e a concedere rimborsi parziali ai pensionati. Illustriamo dunque i punti principali del piano di Tito Boeri sul prepensionamento con uscita anticipata e flessibile.

L’obiettivo della riforma è di consentire una maggiore flessibilità in uscita trova tutti d’accordo in linea di principio, nel governo e nell’Inps, ma il punto da definire è quello delle risorse. Tutti d’accordo anche sul testo normativo in cui il nuovo intervento va emanato con la prossima legge di stabilità.

Boeri ha già bocciato, oltre all’ipotesi di staffetta generazionale, la proposta Damiano-Baretta per uscire dal lavoro a 62 anni di età e 35 di contributi con una penalizzazione dell’assegno del 2% l’anno fino ad un massimo dell’8% in quanto ritenuta troppo costosa per la finanza pubblica(8,5 miliardi a regime nel 2030). Così come ha fatto per la “quota 100”, ovvero la possibilità di uscire con un mix tra età e contributi, considerata ugualmente troppo pesante per le casse (costo stimato nel 2019 di 10,6 miliardi).

Il presidente dell’Inps ha indicato come «condivisibile» l’estensione della cosiddetta “opzione donna” anche agli uomini: l’assegno dato in anticipo rispetto all’età di vecchiaia è, in questo caso, calcolato tutto con il metodo contributivo. Probabilmente saranno però rivisti sia l’età anagrafica, sia il minimo di contributi necessari (57 e 58 anni, rispettivamente per le dipendenti e per le autonome, oltre a 35 anni anni di contributi).

Altro punto più volte rimarcato dal presidente dell’Istituto è quello di offrire un aiuto contro la povertà in particolare per i lavoratori tra i 55 e i 65 anni che restano disoccupati e che non hanno ancora i requisiti per andare in pensione. Ma, anche in questo caso, non irrilevante resta la questione risorse.

In ogni caso il cardine di tutto è la flessibilità in uscita con penalità, o meglio uscita anticipata con ricalcolo della pensione col contributivo. In sostanza sarà possibile la pensione anticipata con almeno 35 anni di contributi e con un'età minima compresa tra 57 e 62 anni (qualcosina in più per gli autonomi), e la penalità sarà appunto dovuta al ricalcolo della pensione col sistema contributivo per tutti quei lavoratori che sono nel regime misto retributivo-contributivo. Dunque a quanto pare sarà una scelta degli interessati al prepensionamento, come già accade con l'Opzione Donna, a questo punto estesa anche agli uomini.

Un parziale ricalcolo della pensione col contributivo nel progetto di riforma proposto da Boeri dovrebbe anche riguardare i pensionati che, grazie al retributivo, prendono ora un assegno elevato e potrebbero subire una riduzione come "contributo di solidarietà".

Infatti, come affermato dal presidente dell'INPS, una riduzione delle pensioni calcolate col retributivo è inevitabile perché se si decide di dare l'opportunità della pensione anticipata "le pensioni devono essere più basse (se no il maggiore costo) graverà sui giovani".

Infine, Boeri propone anche una sorta di prestito pensionistico per i lavoratori ultra 55enni che restano disoccupati a pochi anni dalla pensione e senza possibilità di trovare in tempi utili un nuovo impiego.

Insomma, purtroppo per i tanti lavoratori pensionandi in attesa di aggiornamenti, le notizie non sembrano affatto positive perchè è chiaro che nei palazzi romani ci si stia sempre più orientando a progetti che porteranno a importanti riduzioni, che forse toccheranno anche chi la pensione già la sta prendendo.

La soluzione che sembra più accessibile per quel che riguarda il lato economico della manovra e la sua sostenibilità sembra essere quella del sistema contributivo: permettere un pensionamento anticipato fronte di un assegno ridotto ricalcolato interamente con il sistema contributivo.

La soluzione che sembra più accessibile per quel che riguarda il lato economico della manovra e la sua sostenibilità sembra essere quella del sistema contributivo: permettere un pensionamento anticipato fronte di un assegno ridotto ricalcolato interamente con il sistema contributivo.



giovedì 21 maggio 2015

Tito Boeri: ipotesi pensione anticipata, ma con penalizzazioni



In pensione anticipata anche a 60 o 62 anni rinunciando al 20-30 per cento dell’assegno: alzi la mano chi non ci penserebbe almeno un minuto. Sulla carta è la soluzione che fa tutti felici. Più libertà per il lavoratore, meno complicazioni per chi governa (vedi esodati), un’occasione per le imprese che possono assumere persone giovani e più produttive.

La proposta di riforma del sistema pensionistico e assistenziale che prenderà corpo nei prossimi mesi troverà spazio nella prossima Legge di Stabilità.

Diverse le opzioni allo studio del Governo, tutte comunque improntate ad una maggiore flessibilità nell'uscita a fronte di penalizzazioni nella misura dell'assegno.

Cercando di tracciare un possibile scenario dei vari interventi che potrebbe essere adottati (e che dovrebbero trovare una collocazione nella prossima legge di Stabilità), emerge quanto segue :

- Si conferma l'intenzione di superare le rigidità attuali che oggi -salvo eccezioni specifiche - obbligano un lavoratore che vuole andare in pensione ad avere 66 anni e 3 mesi e almeno 20 anni di contributi; oppure di aver maturato almeno 42 anni e oltre di contributi indipendentemente dall’età anagrafica;

- Prospettata l'ipotesi di poter andare in pensione prima delle soglie attuali di età; con una penalizzazione minima sul trattamento di pensione.

Diversi sono gli scenari che si aprono: accanto alla formula dell’uscita flessibile con penalizzazioni”, imperniata sulla pensione con 62 anni e tre mesi di età in presenza di un’anzianità minima di 35 anni e riduzione della pensione, si colloca l'ipotesi della “quota cento”, dove cento rappresenta la somma di età anagrafica e anzianità contributiva (35 anni di anzianità contributiva e almeno 60 anni e tre mesi di età anagrafica). Terza strada: l'opzione per tutti di aderire al metodo contributivo per la liquidazione della pensione.

Costi della flessibilità in uscita

Il pensiero corre, tuttavia, al nodo delle risorse. La flessibilità, infatti, costa (anche se l'azione di rimborso ai pensionati imposta dalla Corte Costituzionale sulla mancata rivalutazione delle pensioni non fermerà la riforma).

I tagli sulla pensione, in caso di esercizio di una uscita flessibile, sarebbero di pochi euro. Stando alle parole del premier, si tratterebbe di un taglio di 20 -40 euro al mese. Devono tornare i conti sia con la Ragioneria dello Stato che con la contabilità dell'Unione Europea.

Completerebbe il quadro della riforma la soluzione di adottare un intervento di questo tipo: erogare un assegno temporaneo al lavoratore che decida di lasciare il lavoro fino alla maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia; somma che dovrebbe poi essere restituita dal pensionato operando dei piccoli prelievi sulla pensione finale.

Nello schema del governo c’è una ulteriore variabile: far pagare di più a chi è andato in pensione almeno in parte con il vecchio sistema retributivo, più generoso del contributivo perché concede più di quanto effettivamente versato nella vita lavorativa. Il presidente dell’Inps Tito Boeri propone di finanziare così parte della riforma: ai redditi più alti potrebbe essere chiesto una sorta di contributo di solidarietà.

In caso di uscita a 62 anni invece che a 66 - spiegano all’Inps - il signor Rossi G verrebbe ridursi l’assegno di circa il 20-30%. Il numero è frutto di una complessa operazione in cui, alla penalizzazione prevista per la parte di pensione calcolata con il contributivo, se ne somma una parte (per almeno il 12 per cento) sulla quota di assegno retributivo. Non è chiaro se l’ipotesi prevede un minimo di contribuzione per l’uscita, ma le indiscrezioni dicono che potrebbe essere concessa anche a 60 anni. Lo schema prevede una opzione ulteriore: usare il sistema in vigore per la cosiddetta «opzione donna» che oggi permette di uscire con 57 anni di età e 35 di contributi.


lunedì 23 marzo 2015

Pensione anticipata ed uscita dal lavoro per gli anni 2015 2016



In tutti i casi si parla di flessibilità in uscita per andare in pensione prima e per permettere, in particolar modo, l'accesso a coloro che si ritrovano disoccupati tra i 55 e i 65 anni. A innescare le ultime dichiarazioni sulle pensioni 2015 - 2016 sono state le nuove dichiarazioni di Tito Boeri, presidente dell'Inps.

La Pensione anticipata è il trattamento pensionistico erogato che può essere raggiunto al perfezionamento del solo requisito contributivo indipendentemente dall'età anagrafica del beneficiario. Sostituisce, dal 2012, la pensione di anzianità.

L'istituto ha eliminato il requisito dell'età minima introdotto dalla legge 243/2004 ed ha previsto un sistema di disincentivazione che si realizza attraverso una riduzione del rateo in relazione al tempo mancante per il raggiungimento di un limite minimo di età fissato in 62 anni dalla legge 201/2011.

Più flessibilità per i paletti che regolano l'uscita dal mondo del lavoro come risposta all'allungamento di 4 mesi dell'età pensionabile (dal 2016) “imposta” dalla maggiore aspettativa di vita dei lavoratori. Messa giù in maniera molto semplice, è questo il quadro che da qualche mese caratterizza il dibattito sulla previdenza italiana.

Al momento, quello che è a conoscenza che la priorità di intervento sarà dare una soluzione ai casi di emergenza previdenziale degli esodati che hanno esaurito gli ammortizzatori sociali (in linea con gli interventi di salvaguardia messi in campo negli ultimi anni: la VI salvaguardia per esodati e lavoratori precoci darà modo di accedere alla pensione anticipata privata anche con ampio anticipo), e di “veicolare” la riforma con la prossima legge di Stabilità. Insomma, per prima cosa, si tratterà di dare una mano a chi perde il lavoro e non è in grado, per varie ragioni, di maturare la pensione.

In questo scenario, un altro attore di primo piano come l'Inps è impegnato, con il nuovo presidente Tito Boeri, a portare acqua al mulino dei pensionamenti flessibili. Una proposta organica in questa direzione verrà presentata a giugno, ma Boeri, che ci sta lavorando con il ministero del Welfare, ne ha già anticipato la chiave di volta: una sorta di «reddito minimo» per gli over 55 che hanno perso il lavoro ma non hanno i requisiti per andare in pensione e non hanno nient'altro. Secondo il presidente Inps, per la sostenibilità della proposta potrebbero bastare 1,5 miliardi di euro da cercare risparmiando all'interno della protezione sociale, ad esempio guardando alle gestioni speciali.

C'è poi da tener d'occhio il fronte parlamentare, che vede la minoranza Pd in prima linea nel sollecitare il superamento della legge Fornero e la soluzione al problema esodati. In particolare, il presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, intende animare il dibattito sulle pensioni flessibili portando avanti senza tentennamenti l'iter della varie proposte sul tavolo della commissione. Il ddl C 857 sulla flessibilità in uscita (di cui è primo firmatario, già incardinato), punta a permettere l'accesso alla pensione dei lavoratori al compimento dei 62 anni a condizione di aver maturato 35 anni di contributi, con una penalizzazione massima dell'assegno pensionistico dell'8 per cento. La penalizzazione si riduce gradualmente negli anni successivi, dando modo di percepire il 100% dell'assegno al traguardo dei 66 anni di età. Previsto anche una sorta di “premio” del 2% per chi ritarda l'accesso alla pensione dal 66° al 70° anno di età.


Come anticipato le ultime novità sulle pensioni anticipate di donne e uomini nel 2015 e 2016 partono dalle dichiarazioni di Boeri, che ha nuovamente richiesto al Governo Renzi l'introduzione di criteri di flessibilità per il pensionamento anticipato, aggiungendo che giungerà una proposta di riforma da parte dell'INPS sui prepensionamenti, e che tale proposta sarà presentata entro il prossimo mese di giugno. Prioritaria in questa possibile riforma (qui abbiamo un forte punto di convergenza con le idee espresse più volte dal ministro Poletti) risulterebbe la risoluzione del problema dei soggetti in età avanzata, tra i 55 e i 65 anni, che hanno perso il lavoro e tuttavia non possono accedere alla pensione,

Sulla pensione anticipata con flessibilità in uscita Damiano ha già elaborato due soluzioni: prepensionamento dai 62 anni di età con 35 di contributi e penalizzazioni progressive e Quota 100. Va da sé che Damiano ha dimostrato apprezzamento per le idee simili espresse dal presidente dell'INPS, ricordando inoltre che in Commissione Lavoro si è già tornati a discutere sulle proposte di legge per le pensioni anticipate di donne e uomini, e che sono in calendario incontri con Poletti, lo stesso Boeri e le parti sociali. Dal canto suo Poletti ha ribadito la propria disponibilità a riflettere su una riforma pensioni orientata alla flessibilità e ha spinto ancora sulla necessità di considerare prioritario il caso dei disoccupati senza pensione in età avanzata: "Su questo tema" ha dichiarato il ministro, "siamo d'accordo con Boeri. Lui sta facendo le simulazioni, poi vedremo il da farsi".

A decorrere dal 1° gennaio 2012 i lavoratori dipendenti, autonomi, in possesso di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995 (cioè lavoratori che erano nel sistema retributivo o misto al 31 Dicembre 2011) possono conseguire - ai sensi dell'articolo 24 comma 10 del DL 201/2011 - la pensione anticipata qualora, gli assicurati, abbiano maturato una anzianità contributiva pari a 42 anni ed un mese per gli uomini e a 41 anni ed un mese per le donne. Tale requisito contributivo va aumentato di un mese nel 2013 e di un ulteriore mese nel 2014.

Il requisito contributivo è inoltre soggetto agli adeguamenti alla speranza di vita di cui all'articolo 12, comma 12 bis del DL 78/2010 convertito con legge 122/2010. In forza di tale previsione, dal 1° gennaio 2013, il presupposto contributivo sopraindicato dovrà essere quindi aggiornato, con cadenza triennale, in relazione all'aumento della speranza di vita individuata secondo i criteri stabiliti dal decreto direttoriale del Ministero dell'economia e delle finanze. Decreto da emanare almeno 12 mesi prima della data di decorrenza di ogni aggiornamento.

Tale provvedimento, dal 1º gennaio 2013, ha già aumentato di 3 mesi l'anzianità contributiva per il trattamento in parola e dal 1° gennaio 2016 il requisito contributivo aumenterà di altri 4 mesi. Attualmente i requisiti contributivi per la pensione anticipata, comprensivi degli ulteriori adeguamenti alla speranza di vita Istat individuati nella relazione alla Riforma Fornero del 2011, possono essere rappresentati dalla seguente tabella.

Ai fini del raggiungimento di tale requisito contributivo è valutabile la contribuzione a qualsiasi titolo versata o accreditata in favore dell’assicurato, fermo restando il contestuale perfezionamento del requisito di 35 anni di contribuzione utile per il diritto alla pensione di anzianità disciplinata dalla previgente normativa.

In altri termini è necessario perfezionare almeno 35 anni di contributi senza considerare i periodi di figurativi derivanti dalla disoccupazione indennizzata (tra cui anche l'Aspi e Mini-Aspi; cfr Circolare Inps 180/2014) e malattia.

Chi percepisce prima dei 62 anni di età il pensionamento anticipato subisce una penalizzazione sulle anzianità retributive maturate fino al 2011. Il taglio è pari al 2% per ogni anno di anticipo rispetto ai 60 anni di età e dell'1% per ogni anno prima dei 62. Pertanto un lavoratore che andasse in pensione anticipata a 59 anni subirebbe un taglio del 4% sulle anzianità retributive maturate entro il 2011.

La riduzione si applica sulla quota di trattamento pensionistico calcolata secondo il sistema retributivo. Pertanto, per coloro che hanno un’anzianità contributiva pari a 18 anni al 31 dicembre 1995, la riduzione si applica sulla quota di pensione relativa alle anzianità contributive maturate al 31 dicembre 2011; mentre, per coloro che hanno un’anzianità contributiva inferiore a 18 anni al 31 dicembre 1995, la cui pensione è liquidata nel sistema misto, la riduzione si applica sulla quota di pensione relativa alle anzianità contributive maturate al 31 dicembre 1995.

La norma ha, inoltre, specificato che, nel caso in cui l'età raggiunta dal lavoratore al momento del pensionamento non sia interamente espressa in anni, la riduzione deve essere proporzionata al numero di mesi di età, oltre gli anni già raggiunti, che risulteranno raggiunti.

La Penalizzazione dal 1° Gennaio 2015 - Questo sistema di disincentivi è stato più volte oggetto di intervento da parte del legislatore, (l'ultimo con l'articolo 1, comma 113 della legge 190/2014) con cui si è disposto, in sostanza, la cancellazione della penalità sino al 31 Dicembre 2017. Per effetto di tale modifica, dunque, chi matura un diritto a pensione anticipata tra il 1° Gennaio 2015 e il 31 Dicembre 2017 non subirà più la decurtazione dell'assegno anche se non avrà raggiunto i 62 anni. Mentre la riduzione troverà applicazione a partire dal 1° Gennaio 2018.

I lavoratori il cui primo contributo versato è successivo al 31 dicembre 1995 (e che, quindi, hanno diritto alla liquidazione del trattamento pensionistico con il sistema contributivo) possono conseguire il trattamento anticipato al perfezionamento delle medesime anzianità contributive previste per i lavoratori nel sistema retributivo o misto e qui riportate.



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