mercoledì 12 aprile 2017

TFR: quando l’Inps paga al posto del datore di lavoro





L’INPS paga il TFR al lavoratore al posto dell’azienda se quest’ultima, pur non avendo avviato procedure fallimentari, sia comunque insolvente: lo stabilisce una nuova sentenza della Corte di Cassazione (numero 7924/2017). Il caso riguarda la liquidazione da un’impresa chiusa, con amministratori irreperibili (esecuzione forzata infruttuosa). Per accedere al Fondo di garanzia presso l'INPS, ex lege 297/1982, se il datore è assoggettabile a fallimento sono necessari tre requisiti: la cessazione del rapporto di lavoro, l'inadempimento integrale del datore e la sua insolvenza.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 7924/2017 pronunciatasi sulla vicenda di alcune lavoratrici che avevano chiesto condannarsi il Fondo di garanzia dell'Inps a corrispondere loro il trattamento di fine rapporto, dovuto in conseguenza della cessazione del rapporto di lavoro con una società.

In, generale, i lavoratori hanno diritto al trattamento di fine rapporto dal Fondo di garanzia INPS, in caso di insolvenza del datore di lavoro. La legge (297/1982), tuttavia, prevede due casi:

impresa sottoposta a procedure concorsuali

inadempimento del datore di lavoro (anche in misura parziale).

In caso di fallimento devono sussistere altre condizioni:

avvenuta cessazione del rapporto di lavoro;

mancato pagamento del TFR (o pagamento parziale);

insolvenza del datore di lavoro.

Se l’insolvenza è accertata anche in sede diversa da quella fallimentare, secondo la nuova sentenza di Cassazione, il lavoratore accede alle prestazione del Fondo di Garanzia, quindi riceve il TFR dall’INPS: «secondo una ragionevole interpretazione», il diritto spetta anche nel caso in cui «l’imprenditore non sia in concreto assoggettato al fallimento e l’esecuzione forzata si riveli infruttuosa».

L'azienda era rimasta inadempiente, il tentativo di esperimento di esecuzione forzata era rimasto infruttuoso per irreperibilità della società e dei suoi amministratori e il Tribunale a cui era stata avanzata istanza di fallimento si era dichiarato incompetente.

Tribunale e Corte d'Appello accolgono la richiesta delle lavoratrici, ritenendo sussistenti i presupposti per l'applicazione dell'art. 2 della L. 29 maggio 1982, n. 297, sul rilievo che la società aveva cessato l'attività quanto meno dal 2003, che non risultavano sue sedi o domicili o dei suoi amministratori realmente reperibili, che pertanto era improbabile sia una procedura concorsuale sia una effettiva e fruttuosa esecuzione, attesa la materiale irreperibilità di questi soggetti.

Le legge distingue distingue a seconda che il datore di lavoro sia stato sottoposto a una procedura concorsuale ovvero che il medesimo non adempia, in caso di risoluzione del rapporto di lavoro, alla corresponsione del trattamento dovuto o vi adempia in misura parziale.

Nel primo caso, relativo a datore di lavoro che sia un imprenditore commerciale soggetto alle procedure esecutive concorsuali, il pagamento da parte del Fondo è subordinato a tre requisiti: l'avvenuta cessazione del rapporto di lavoro; l'inadempimento del datore di lavoro per l'intero credito inerente al trattamento di fine rapporto o per una sua parte; l'insolvenza del medesimo datore di lavoro.

Per la giurisprudenza, l'ingresso a un'azione nei confronti del Fondo è consentita anche quando l'imprenditore non sia in concreto assoggettato al fallimento,  vuoi per le sue condizioni soggettive vuoi per ragioni ostative di carattere oggettivo, e l'esecuzione forzata si riveli infruttuosa.

Ove pertanto l'accertamento del credito in sede fallimentare sia stato impedito a causa della chiusura anticipata della procedura per insufficienza dell'attivo, il credito stesso può essere accertato anche in sede diversa da quella fallimentare e il lavoratore può conseguire le prestazioni del Fondo di garanzia.

Pertanto, secondo il meccanismo configurato dalla legge, la dichiarazione di insolvenza e la verifica sulla esistenza e misura del credito in sede fallimentare fungono da presupposti del diritto verso il Fondo di garanzia.

Solo nel caso in cui l'imprenditore non sia assoggettabile alla procedura concorsuale, è possibile l'intervento del fondo di garanzia a patto che il lavoratore dimostri, attraverso l'esperimento di "un'azione esecutiva, che deve conformarsi all'ordinaria diligenza e che sia esercitata in modo serio ed adeguato", l'insufficienza totale o parziale delle garanzie patrimoniali del datore di lavoro inadempiente, coerentemente con il disposto dell'art. 2740 c.c.

Nel caso di specie, alla data di presentazione della domanda all'Inps da parte delle lavoratrici, la società risultava ancora iscritta al registro delle imprese, ed era pertanto assoggettabile al fallimento, giacché ai fini della decorrenza del termine annuale entro il quale può essere dichiarato il fallimento di un'impresa svolta in forma societaria, occorre far riferimento solo alla data di cancellazione dal registro delle imprese.

Non può dirsi esclusa l'assoggettabilità a fallimento per il sol fatto che la società era sconosciuta alla sede risultante dai pubblici registri, ben avendo potuto la procedura fallimentare avviarsi, attraverso la notifica della convocazione del fallendo con il rito degli irreperibili, ex art. 143 c.p.c., ovvero attraverso la notifica sussidiaria al legale rappresentante presso la residenza anagrafica.

Parimenti insufficiente, secondo la Corte, ai fini dell'accertamento dello stato di insolvenza e, quindi, dell'intervento del Fondo di garanzia, è la sentenza declinatoria della competenza pronunciata dal Tribunale, contro la quale i lavoratori avrebbero potuto proporre impugnazione oppure riassumere in giudizio dinanzi al tribunale indicato come competente e qui ottenere la sentenza dichiarativa di fallimento o la sua chiusura per assoluta insufficienza dell'attivo.

Il lavoratore ha diritto al TFR dall’INPS anche con azienda non assoggettabile a fallimento, purché un’azione esecutiva dimostri l’insufficienza delle garanzie patrimoniali del datore di lavoro inadempiente ( nel caso in esame, infatti, la società era stata erroneamente – secondo la Cassazione – ritenuta non assoggettabile al fallimento, per irreperibilità degli imprenditori e mancanza di un domicilio fiscale dell’impresa).

La Corte stabilisce che comunque sarebbe stato possibile avviare le procedure concorsuali (attraverso specifica procedura prevista per gli irreperibili, oppure notifica sussidiaria al legale rappresentante). Mentre era chiaramente insolvente, era cessato il rapporto di lavoro e non era stato pagato il TFR. Di conseguenza, le lavoratrici hanno diritto al pagamento del trattamento di fine rapporto da parte dell’istituto di previdenza.


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