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martedì 9 settembre 2014

Lavoro 2014: i profili e le professioni più richieste



Ecco i profili professionali che le imprese stanno cercando e come si muove il mercato del lavoro, l'analisi di Unioncamere sul 2014.

Anche per il 2014 il saldo occupazionale è in negativo (le uscite dal lavoro superano le assunzioni) ma il trend è in miglioramento: le imprese aumentano il numero di nuovi contratti e diminuiscono i licenziamenti. E’ quanto emerge dall’analisi trimestrale di Unioncamere e Ministero del Lavoro, che individua anche le professionalità richieste in questo momento dal mercato: alti profili intellettuali o scientifici, operai specializzati, conduttori di impianti, addetti alle vendite (calano invece le quotazioni di impiegati e tecnici). Tendenzialmente, le imprese puntano su addetti alla produzione e progettisti più che sul back office, per spingere sul core business.

Previste in tutto l’anno 1 milione 389mila assunzioni (+ 96mila rispetto al 2013): 34mila profili di alta specializzazione, con un incremento annuo di oltre il 15%. In termini assoluti, il maggior numero di nuovi contratti riguarderà profili qualificati in ambito Commercio e Servizi (220mila, +13%). Seguono 84.400 assunzioni di operai specializzati e60mila di conduttori di impianti e operai di macchinari. Diminuiscono le richieste di professioni tecniche ( a quota 63mila), con 800 assunzioni in meno, e quelle esecutive nel lavoro d’ufficio (circa 2mila in meno, per un totale di 67mila).

Professioni alto profilo: ingegneri energetici e meccanici, esperti marketing, analisti e progettisti software.

Medium skills: in aumento la ricerca di commessi e camerieri.

Operai specializzati: cresce la richiesta di elettricisti e operai addetti alle macchine confezionatrici.

Settore agricolo: +54mila assunzioni rispetto al 2013, con richieste di stagionali, addetti alla manutenzione di aree verdi e viticoltori.

Un dato rilevante riguarda la facilità con cui le aziende trovano i profili che cercano: il grado di difficoltà è ai minimi storici. Da una parte si tratta di un segnale positivo, sul fronte dell’incontro fra domanda e offerta di lavoro, dall’altra probabilmente dipende anche dal gran numero di persone espulse dal mercato del lavoro in questi anni di crisi, e quindi in cerca di nuova occupazione.

Continuano i tempi duri per i giovani: gli impieghi a loro disposizione diminuiscono, rappresentando il 27,2% dei nuovi posti di lavoro, contro il 30,4% del 2013. In termini assoluti, le assunzioni di giovani sotto i 30 anni saranno a fine anno circa 167mila. Per quanto riguarda invece le donne, si abbassa al 16,8% (dal 18-19%) il numero di posizioni per cui sono ritenute più adatte, e non a favore di posti tradizionalmente maschili ma di quelli per i quali la differenza di genere non è considerata rilevante. Si conferma, infine, la tendenza al ribasso degli ultimi anni per le assunzioni di lavoratori immigrati.

Contratti
Per quanto riguarda le forme contrattuali, prevale il lavoro dipendente (il 93% dei posti disponibili, in crescita del 9%), in gran parte con assunzioni dirette da parte delle imprese (in calo i contratti di somministrazione). In flessione di circa il 7% le collaborazioni. Cresce anche per questo 2014 il numero delle uscite, 1,5 milioni di unità, e il saldo complessivo resterà a fine anno negativo per 144mila posti.

I fabbisogni occupazionali cambiano in base alle congiunture economiche. Professioni ora molto ricercate potrebbero non esserlo più nel medio termine. Per questo è importante conoscere le tendenze che regolano l’universo del lavoro. Per studiare i movimenti della domanda e gli sbocchi professionali è possibile consultare, oltre ai rapporti del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, le previsioni dell’Isfol sui fabbisogni occupazionali. Vediamo nel dettaglio i 10 lavori in ascesa e le 10 professioni in declino.

Le prime dieci professioni a maggior crescita occupazionale dovrebbero, secondo i dati Isfol, determinare circa il 70% del totale delle nuove posizioni occupazionali previste per il 2015. Tra queste vi sono lavori a bassa qualifica, come personale addetto ai servizi di igiene e pulizia, professioni a media qualifica come personale di segreteria, esercenti, addetti alla ristorazione, esercenti delle vendite all'ingrosso e personale ad elevata specializzazione come tecnici delle scienze quantitative fisiche e chimiche, tecnici delle attività finanziarie ed assicurative e specialisti in scienze giuridiche.

L'Associazione artigiani piccole imprese di Mestre ha analizzato i dati emersi da un'indagine del Ministero del Lavoro: se all'inizio della recessione (2009 per la Cgia) i lavoratori introvabili erano infermieri, ostetriche, falegnami e acconciatori, oggi conviene investire su professioni con un'elevata specializzazione in altri settori.

Analisti e progettisti di software, tecnici programmatori, ingegneri energetici e meccanici, esperti della sicurezza sul lavoro: sono queste le attività che nel 2014 daranno luogo a 29mila nuovi posti di lavoro. Di questi ben 8500 rischiano di restare scoperti. L'unica consolazione?Questo dato è di gran lunga inferiore a quello riferito al 2009: i posti liberi per mancanti di figure specializzate erano 17,600, quasi il doppio.

Qualche anno fa erano richieste persone in grado di svolgere per lo più attività manuali: basti pensare che meno di 5 anni fa si calcolava ci fossero circa 520 posti liberi come panettieri e 700 da falegname. Oggi invece la aziende continuano a denunciare penuria di personale nei settori tecnologici ad alta specializzazione, soprattutto per quanto riguarda l'informatica.

La preparazione dei giovani è spesso al di sotto delle richieste avanzate e molte società hanno ancora metodi di ricerca del personale poco efficaci: si basano ancora su canali informali, passaparola e conoscenze personali. Tra i fattori che determinano questo disallineamento tra domanda e offerta c'è anche il fenomeno della cosiddetta "disoccupazione d'attesa": nei settori dove è richiesta una particolare specializzazione, le condizioni offerte dalla società non soddisfano i candidati. Magre retribuzioni, poca stabilità e scarse prospettive di carriera sembrano essere il motivo per cui molti candidati di valore preferiscono rinunciare in attesa di proposte più vantaggiose.

I dati elaborati dal Centro Studi di Confartigianato sull'occupazione in Italia: la classifica delle regioni e dei settori con il maggior numero di annunci di lavoro.

In questo periodo di difficile congiuntura economica, che sta portando molte imprese addirittura a chiudere, trovare lavoro non è sempre facile. Consapevole della situazione il Centro Studi di Confartigianato, rielaborando i dati dei rapporti ISTAT ed Eurostat sul 2014, ha stilato una classifica delle regioni in cui si trova più facilmente impiego, tra le quali primeggiano quelle localizzate nelle aree del Centro Nord.

Regioni
In generale, nel primo trimestre 2014 in Italia l’indice di occupazione è sceso dello 0,9%, ma in sei regioni l’occupazione è migliorata:

in Trentino Alto Adige c’è stato un incremento del +2,5%;
in Valle d’Aosta del +2%;
in Toscana del +1,7%;
nel Lazio del +0,3%;
in Emilia Romagna e Marche de +0,1%.

Dal punto di vista del settore, sembra essere più facile trovare lavoro in: informatica (produzione di software, consulenze), grazie alla diffusione di Internet e del commercio elettronico (+10,4%), con un peso dell’occupazione delle piccole imprese del 47,2%;

servizi di assistenza sociale residenziale (+8,4%) e non residenziale (+7,6%) e ristorazione (+5,6%);

studi professionali (+5,5% per architettura e ingegneria);
fabbricazione dei macchinari, dove l’occupazione sale del +5% e in cui il 43,7% dell’occupazione è in piccole imprese;

confezione di articoli di abbigliamento (+4,9%), con un peso dell’occupazione delle piccole imprese pari al 70%.

A reggere è principalmente l’occupazione dei lavoratori con più di 35 anni di età, cresciuta del +0,9% nel corso dell’ultimo anno, e dei lavoratori autonomi in calo solo del -0,2% contro una perdita 367.000 posti di lavoro per i dipendenti e un calo annuo del -1,2%. In totale in Italia ci sono 5,3 milioni di persone con gravi difficoltà nel mercato del lavoro:

•3,2 milioni di disoccupati;
•1,7 milioni di inattivi;
•1,2 milioni che hanno perso il posto dall’inizio della crisi (dal 2008 ad oggi).



domenica 1 dicembre 2013

Apprendistato con formazione sia interna che esterna




L’apprendistato secondo la riforma del mercato del lavoro è visto come principale strumento per lo sviluppo professionale del lavoratore, individuando tale istituto come la «modalità prevalente di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro».

L’apprendistato è, senz’altro, una risorsa strategica per i giovani e per gli imprenditori. Questo tipo di formazione professionalizzante prevede la possibilità di erogazione di particolari moduli di formazione all’interno dell’azienda o al suo esterno, presso società o enti di formazione accreditati.

Le regole per la formazione degli apprendisti sono un tema ancora poco compreso dal mercato del lavoro. Per i tanti interventi normativi degli ultimi anni, è molto diffuso il convincimento che questa parte del rapporto sia molto complessa. In realtà la complessità è minore di quanto si creda. Un apprendista assunto con il contratto professionalizzante deve oggi seguire la formazione secondo le regole previste dal contratto collettivo, che individua durata, contenuti e modalità del percorso.

Le Regioni hanno un ruolo solo di sostegno: se riescono, possono organizzare una formazione di base, aggiuntiva rispetto a quella aziendale. Ci sono quindi due canali, uno certo (la formazione aziendale, regolata dal Ccnl) e uno eventuale (la formazione pubblica, erogata dalle Regioni). Questa formazione è stata disciplinata dalle linee guida definite il 17 ottobre scorso dalla Conferenza Stato Regioni, e in attesa di approvazione definitiva (la prossima seduta della Conferenza è fissata al 5 dicembre), per tutti gli apprendisti assunti con contratto professionalizzante.

Secondo le linee guida, l'offerta formativa pubblica è obbligatoria solo se è disciplinata come tale nell'ambito della regolamentazione regionale, anche attraverso specifici accordi, ed è realmente disponibile per l'impresa e per l'apprendista. Se manca questo requisito, la formazione trasversale è comunque obbligatoria, se viene definita come tale dalla disciplina collettiva applicabile al rapporto.

 La formazione pubblica ha una durata variabile in funzione del titolo di studio dell'apprendista al momento dell'assunzione. Le linee guida regionali prevedono un totale di 120 ore di formazione nel triennio, per gli apprendisti senza un titolo di studio, o in possesso di licenza elementare o della sola licenza di scuola media. Il periodo scende a 80 ore, sempre nel triennio, per gli apprendisti in possesso di diploma di scuola superiore o di qualifica o diploma di istruzione e formazione professionale, e scende ancora a 40 ore totali nel triennio , per gli apprendisti che hanno una laurea o un titolo equivalente.

La durata può essere ulteriormente ridotta per gli apprendisti che hanno già completato, in precedenti rapporti di apprendistato, uno o più moduli formativi; la riduzione oraria del percorso coincide con la durata dei moduli già completati. Le linee guida definiscono anche i contenuti del percorso di formazione pubblica, che deve avere, indicativamente, come oggetto una o più competenze predefinite, che vanno dalla sicurezza sul lavoro alle nozioni sulla legislazione del lavoro. Le semplificazioni già in vigore L'intesa conferma poi le innovazioni previste dal Dl 76/2013, e già entrate in vigore. Il piano formativo individuale è obbligatorio soltanto per la formazione per l'acquisizione delle competenze tecnico-professionali e specialistiche.

In secondo luogo, l'impresa è tenuta a registrare sul libretto formativo del cittadino la formazione effettuata e la qualifica professionale eventualmente acquisita dall'apprendista ai fini contrattuali, e in mancanza viene usato il modello approvato con il decreto del ministro del Lavoro del 10 ottobre 2005 (ma viene fatta salva la possibilità di utilizzare la modulistica adottata dal contratto collettivo applicato). Infine, le imprese che hanno sedi in più Regioni, per l'offerta formativa pubblica possono adottare la disciplina della Regione dove si trova la sede legale.

Il contratto di apprendistato consente ai giovani di fare il primo passo nella mercato del lavoro sotto la guida e la supervisione di occhi esperti. Si tratta di una formula rivolta ai giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni, che delega all’azienda responsabile dell’assunzione il compito di monitorare e migliorare la formazione dell’apprendista attraverso un insegnamento di tipo pratico, tecnico-professionale.

I giovani di età compresa tra i 18 e i 29 anni possono essere assunti in tutti i settori di attività, siano essi pubblici o privati, con un contratto di apprendistato professionalizzante o di mestiere, con la finalità di conseguire una qualifica pienamente spendibile sul mercato del lavoro.

La formazione interna ed esterna prevista dal contratto di apprendistato è definita dalla regolamentazione regionale ed è finalizzata all’acquisizione delle competenze base e trasversali. Si affianca alla formazione sul campo, le cui specifiche sono definite dalla contrattazione collettiva ed è utile all’acquisizione delle competenze tecnico-professionali e specialistiche.

Nell’ambito della formazione per le competenze base e trasversali:

La formazione interna in apprendistato – è la formazione definita dalle Regioni, ma che viene gestita all’interno dell’azienda nella quale lavora l’apprendista. Il soggetto responsabile della formazione è il datore di lavoro. Questo tipo di formazione non è finanziata con risorse pubbliche.

La formazione esterna in apprendistato – è la formazione definita dalle Regioni e finanziata con fondi pubblici (nei limiti delle risorse disponibili). Questo tipo di formazione è a carico degli enti di formazione accreditati.




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