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giovedì 1 settembre 2016

Comporto e licenziamento vediamo la tempistica corretta



Per periodo di comporto  si intende l’arco temporale in cui, in caso di malattia, il lavoratore ha diritto di conservare il posto di lavoro, ovvero non può essere licenziato se non per giusta causa, giustificato motivo oggettivo o per cessazione totale dell’attività di impresa. Il licenziamento è ammesso scaduta la finestra temporale prevista dalla legge o dai CCNL, a meno che lo stato di malattia non dipenda dalla violazione di misure di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.

Il datore di lavoro può consentire al dipendente la ripresa del lavoro nonostante le tante assenze abbiano portato al superamento del periodo di comporto, senza che questo comporti la rinuncia al diritto di licenziamento per superamento del comporto. Il tutto a patto che l’intimazione del licenziamento dipenda effettivamente dal fatto contestato, come chiarito dalla sentenza della Corte di Cassazione n.16462/2015.

Qualora il licenziamento venga intimato immediatamente, al superamento del periodo di comporto, il datore non è obbligato a fornire alcuna prova del fatto che il recesso è dipeso dalla protratta assenza e ricade sul lavoratore l’onere di provare che tale riammissione costituisce una manifestazione tacita della volontà del datore di lavoro di rinunciare al diritto di recesso. Prova invece necessaria in caso di licenziamento intimato dopo un apprezzabile intervallo di tempo. La valutazione della congruità o meno del tempo intercorso fra la ripresa del lavoro ed il licenziamento spetta al giudice che deve tenere conto soprattutto delle caratteristiche organizzative e dimensionali dell’impresa.

Per il licenziamento è necessario la convalida presso la Direzione territoriale del lavoro (Dtl) competente per territorio nel caso di:

dimissioni della lavoratrice in gravidanza,

dimissioni della lavoratrice e lavoratore nei primi 3 anni di vita del bambino,

dimissioni della lavoratrice e lavoratore nei primi 3 anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento.

In tutti gli altri casi di dimissioni, come prevedono ci sono due possibilità:

convalida presso la Dtl o Centro per l’Impiego competente

dichiarazione firmata dalla lavoratrice o lavoratore, in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro, inviata tramite l’UniLav al Centro per l’Impiego.

In caso del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (motivi economici) dal 18 luglio 2012 scatta l’obbligo di conciliazione davanti alla Dtl.

Per cercare un accordo fra le parti che eviti il contenzioso per  illegittimità del licenziamento e riguarda le aziende con oltre 15 dipendenti, in caso di licenziamento per «ragioni inerenti ‘attività produttiva, organizzazione del lavoro e regolare funzionamento di essa» l’azienda deve dare comunicazione alla Dtl (per conoscenza al lavoratore) del luogo in cui il lavoratore presta la sua opera e della volontà di procedere al licenziamento per motivo oggettivo, indicando i motivi e le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore sul mercato del lavoro.

Entro 7 giorni dalla ricezione della comunicazione, la Dtl convoca datore di lavoro e lavoratore, che ne sottoscrive copia per ricevuta.

L’incontro fra le parti si svolge davanti alla commissione provinciale di conciliazione di cui all'articolo 410 del codice di procedura civile:

le parti possono essere assistite dalle organizzazioni di rappresentanza cui sono iscritte o conferiscono mandato, oppure da un componente della rappresentanza sindacale dei lavoratori, da un avvocato o un consulente del lavoro;

il tentativo di conciliazione dura massimo 20 giorni dall’invio della convocazione, fatta salva l’ipotesi in cui le parti non ritengano entrambi di voler proseguire la discussione e raggiungere un accordo;

durante la procedura le parti, con la partecipazione attiva della commissione, procedono ad esaminare anche soluzioni alternative al recesso.

Se la conciliazione ha esito negativo, e comunque entro il termine di 20 giorni stabilito dalla norma, l’azienda può comunicare il licenziamento al lavoratore.  A questo punto, il lavoratore può eventualmente fare ricorso impugnando il licenziamento.  Il giudice, nel determinare eventualmente l’indennità risarcitoria prevista in caso del licenziamento illegittimo (da 12 a 24 mensilità) tiene conto del comportamento delle parti.

Se la conciliazione ha esito positivo il lavoratore ha diritto all’Aspi Assicurazione generale per l’impiego) e può essere anche previsto, al fine di facilitarne il ricollocamento professionale, l’affidamento del lavoratore ad un’agenzia di somministrazione, di intermediazione o di supporto alla ricollocazione sul mercato.

Onere della prova

Nella sentenza si legge inoltre che:

“L’onere della prova della sussistenza di tale nesso (che è in “re ipsa” in ipotesi di licenziamento intimato non appena superata la soglia del comporto) è a carico del datore di lavoro nel caso di licenziamento intimato dopo un apprezzabile intervallo, mentre, nel caso di licenziamento intimato dopo pochi giorni dalla riammissione in servizio, è onere del lavoratore provare che tale riammissione costituisce nel caso concreto – eventualmente in concorso con altri elementi – una manifestazione tacita della volontà del datore di lavoro di rinunciare al diritto di recesso. Tale criterio temporale di discriminazione dell’onere probatorio ha, peraltro, valore solo indicativo, spettando in definitiva al giudice del merito (che è tenuto a dare ragione del proprio convincimento) valutare la congruità o meno (con riguardo, in particolare, alle caratteristiche organizzative e dimensionali dell’impresa) del tempo intercorso fra la ripresa del lavoro ed il licenziamento”.

Le assenze del lavoratore per malattia non giustificano, tuttavia, il recesso del datore di lavoro - in ipotesi di superamento del periodo di comporto - ove l'infermità sia, comunque, imputabile a responsabilità dello stesso datore di lavoro - in dipendenza della nocività delle mansioni o dell'ambiente di lavoro, che abbia omesso di prevenire o eliminare, in violazione dell'obbligo di sicurezza o di specifiche norme - incombendo, peraltro, al lavoratore l'onere di provare il collegamento causale fra la malattia - che ha determinato l'assenza (e, segnatamente, il superamento del periodo di comporto) - ed il carattere morbigeno delle mansioni espletate.



sabato 26 settembre 2015

Lavoro: calcolo periodo di comporto


Il termine periodo di comporto sta ad indicare la somma di tutte le assenze per malattia avvenute in un determinato arco temporale. La normativa prevede che durante tale periodo di comporto (malattia) viene conservato il posto di lavoro. Allorquando si supera il periodo di comporto, si può procedere al licenziamento del dipendente.

Quasi tutti i contratti di lavoro, in caso di superamento del periodo di comporto, consentono al lavoratore la possibilità di richiedere un ulteriore periodo di aspettativa non retribuita (con conservazione del posto ). I contratti di lavoro contengono la specifica previsione che, qualora le assenze siano imputabili a patologie gravi che richiedono terapia salvavita, come ad esempio l'emodialisi, la chemioterapia, ecc., dal computo sono esclusi i giorni di ricovero ospedaliero o in day hospital, nonché i giorni di assenza per l'effettuazione delle relative terapie.

Quando il contratto di lavoro fa riferimento all'anno di calendario si intende il periodo compreso tra il 1° gennaio e il 31 dicembre di ogni anno; se il riferimento è all'anno solare, si deve intendere un periodo di 365 giorni computati dal primo giorno di malattia. Si considerano anche i giorni festivi, comprese le domeniche o comunque non lavorativi che cadono durante la malattia.

Al contrario, per la determinazione del periodo di comporto, non si tiene conto dei giorni festivi o non lavorativi che seguono o precedono immediatamente quelli indicati sul certificato medico.

Al fine di calcolare il periodo di comporto si risale a ritroso dall'ultimo giorno di assenza per malattia ai tre anni o quattro anni, dipende dal CCNL, precedenti per verificare il rispetto del limite massimo consentito per le assenze retribuite. Superati i mesi retribuiti, su domanda del dipendente, possono essere concessi ulteriori mesi non retribuiti, durante i quali è prevista unicamente la conservazione del posto.

Prima di concedere l'ulteriore periodo di assenza non retribuita, l'Amministrazione deve procedere all'accertamento delle reali condizioni di salute del dipendente tramite la ASL, con lo scopo di verificare la sussistenza di eventuali cause di assoluta e permanente inidoneità a svolgere qualsiasi proficuo lavoro.

Pertanto, in base al meccanismo dello scorrimento, in occasione di ogni ulteriore episodio morboso è necessario procedere al seguente calcolo:

• determinare il triennio o quadriennio precedente l'ultimo episodio morboso: dal giorno precedente l'inizio della malattia in atto procedere a ritroso di tre o quattro anni;

• sommare le assenze per malattia intervenute nel triennio come sopra determinato;

• sommare alle assenze per malattia effettuate nel triennio precedente (risultato del punto precedente) quelle del nuovo episodio morboso.

Di volta in volta, sulla scorta delle risultanze derivanti dalla sommatoria di cui all’ultimo punto di cui sopra, sarà necessario:

• verificare il rispetto del periodo massimo di conservazione del posto;

• determinare il trattamento economico da corrispondere: infatti, sulla base dell'entità delle assenze risultanti dal computo effettuato in occasione dell'ultima malattia, il dipendente si colloca in una delle diverse articolazioni temporali contemplate all'interno del periodo massimo, percependo un trattamento economico nella misura prevista per ciascuna di esse.

Durante il periodo di malattia il lavoratore avrà diritto alle normali scadenze dei periodi di paga:
ad una indennità pari al cinquanta per cento della retribuzione giornaliera per i giorni di malattia dal quarto al ventesimo e pari a due terzi della retribuzione stessa per i giorni di malattia dal ventunesimo in poi, posta a carico dell’INPS, secondo le modalità stabilite, e anticipata dal datore di lavoro.

L’importo anticipato dal datore di lavoro è posto a conguaglio con i contributi dovuti all’INPS;
ad una integrazione dell’indennità a carico dell’INPS da corrispondersi dal datore di lavoro, a suo carico, in modo da raggiungere complessivamente le seguenti misure:

100% (cento per cento) per primi tre giorni (periodo di carenza)

75% (settantacinque per cento) per i giorni dal 4° al 20°

100% (cento per cento) per i giorni dal 21° in poi della retribuzione giornaliera netta cui il lavoratore
avrebbe avuto diritto in caso di normale svolgimento del rapporto.

Per retribuzione giornaliera si intende la quota giornaliera della retribuzione di fatto.
In tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto, le assenze del lavoratore per malattia non giustificano il recesso del datore di lavoro ove l'infermità dipenda dalla nocività delle mansioni o dell'ambiente di lavoro che lo stesso datore di lavoro abbia omesso di prevenire o eliminare, in violazione dell'obbligo di sicurezza o di specifiche norme. Peraltro, incombe sul lavoratore l'onere di provare il collegamento causale tra la malattia che ha determinato l'assenza e le mansioni espletate, in mancanza del quale deve ritenersi legittimo il licenziamento.

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