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sabato 1 agosto 2015

Pensioni, dal 3 agosto scattano i rimborsi. Vediamo chi riceverà gli arretrati



Dal tre agosto scatta il rimborso delle pensioni INPS. I pensionati coinvolti sono 3.7 milioni, e riceveranno 500 euro in più al mese. Ecco i dettagli della circolare INPS e le percentuali per fascia di reddito.

Con la circolare che rende reale il rimborso delle pensioni, sono state stabilite le percentuali relative alle diverse fasce di reddito.

Pensioni: gestione separata dei rimborsi per gli anni precedenti
Il rimborso per gli anni precedenti al 2012 e al 2013 verrà gestito separatamente per evitare che ci sia cumulo con il reddito complessivo di un determinato anno e quelli prodotti precedentemente, che non sono sottoposti a tassazione progressiva.

Per gli anni 2012 e 2013, i pensionati con importi fino a tre volte il minimo INPS riceveranno un rimborso pari al 100%.

Si abbassa fino al 40% nei casi di assegni superiori a tre volte, e fino a quattro volte, il minimo.

Per gli importi che vanno da quattro a cinque volte il minimo è previsto un rimborso del 20%, che si abbassa al 10% per le somme da cinque a sei volte superiori al minimo INPS. Chi ha pensioni superiori a sei volte il minimo non hanno diritto ad alcun rimborso.

Per gli anni 2014 e 2015, il rimborso sarà pari al 20% rispetto alle percentuali assegnate a ogni fascia per gli anni 2012 e 2013.


Arrivano gli arretrati, ma non per tutti. L'Inca, il patronato della Cgil, in una nota diffusa per fare chiarezza e rispondere così alle numerose richieste ricevute nelle ultime settimane, spiega che gli arretrati «saranno calcolati per fascia, e non saranno per tutti». In particolare, la nota del patronato spiega che «i pensionati italiani che nel 2011 e nel 2012 hanno percepito trattamenti pensionistici compresi fra 3 e 6 volte il minimo, riceveranno automaticamente dall’Inps i rimborsi per gli arretrati e otterranno la rivalutazione della loro pensione mensile a partire dalla rata in pagamento ad agosto 2015 e infine un’ulteriore rivalutazione dell'importo mensile a partire dal 1 gennaio 2016».

Chi riceverà l’aumento. «In sintesi -continua l'Inca- i destinatari sono coloro che hanno percepito nel 2011 pensioni comprese tra 1.405,05 euro e 2.810,10 euro lordi e nel 2012 tra 1.443,00 euro e 2.886,00 euro lordi; coloro che hanno avuto importi inferiori non hanno diritto a nulla perché le loro pensioni non hanno subito il blocco». Lo stesso vale, naturalmente, per gli importi superiori.

Esempio di calcolo per pensioni fino a 1.500 euro lordi Ecco un esempio di calcolo tratto da una circolare dell’Inps. Le pensioni superiori a 3 volte il minimo e pari o inferiori a 4 volte il minimo, fino dunque a 1500 euro, percepiranno dal 1 agosto una rivalutazione complessiva una tantum - calcolando gli arretrati 2012-2015 - di 796,27 euro. In particolare saranno restituiti 210,6 euro per il 2012 e 447,2 per il 2013. Per il 2014 e 2015, invece, la restituzione sarà pari rispettivamente a 89,96 euro e 48,51 euro.

Ecco come è stata definita la platea degli aventi diritto. Il governo ha deciso di attuare la sentenza della Corte Costituzionale «rivalutando parzialmente le pensioni comprese tra 3 e 6 volte il minimo ed escludendo tutte quelle di importo superiore, riducendo in maniera drastica l’onere finanziario a carico dello Stato che sarebbe derivato dall’applicazione integrale della sentenza, che era ipotizzato con importi superiori ai 20 miliardi di euro: l’onere reale risulterà invece inferiore ai 2 miliardi di euro», spiega sempre l'Inca.

Divisione in tre fasce per garantire i redditi più bassi. Il governo ha inoltre disposto che sia gli arretrati che le rivalutazioni dell'importo mensile vengano conteggiati in tre distinte fasce: fra 3 e 4 volte il minimo, fra 4 e 5 volte il minimo e tra 5 e 6 volte il minimo, con l'applicazione di percentuali di rivalutazione decrescenti al crescere della fascia, garantendo quindi in misura maggiore i redditi più bassi. In virtù di questo meccanismo, quindi, «per le pensioni che si avvicinano alle fasce più alta e cioè 6 volte il minimo, spesso l'importo della rivalutazione può essere considerato irrisorio», aggiunge il patronato.

Reintegro al 100% solo per pensioni fino a 3 volte il minimo Andando nel dettaglio di quanto previsto dal decreto, per il 2012 e 2013, percepiranno un reintegro del 100% tutti i trattamenti di importo complessivo fino a tre volte il minimo; il reintegro scende al 40% per gli assegni superiori a 3 volte il minimo e fino a 4 volte; del 20% per quelli tra 4 e 5 volte il minimo; del 10% per quelli tra 5 e 6 volte il minimo. Per il 2014 e il 2015 invece la rivalutazione sarà riconosciuta a partire dalle pensioni superiori a 3 volte il minimo e fino a 6 volte e sarà pari al 20% della percentuale assegnata per ogni fascia di reddito per gli anni 2012-2013.

Rimborsi anche agli eredi. Anche gli eredi avranno diritto ai rimborsi delle pensioni superiori a 3 volte il minimo. L’Inps precisa infatti che i pagamenti riguarderanno «anche le pensioni che al momento della lavorazione risulteranno eliminate». «Il pagamento delle spettanze agli aventi titolo - si legge - sarà effettuato a domanda nei limiti della prescrizione». In sostanza basterà presentare una domanda all'Inps prima che scatti la prescrizione.

La delusione degli “esclusi”. «Sappiamo che molti pensionati sono rimasti delusi per essere stati esclusi, altri invece si dichiarano insoddisfatti di quanto stanno per ricevere, soprattutto per la scarsa incidenza economica che la rivalutazione avrà a partire da gennaio 2016», sottolinea. «Il Patronato è disponibile in tutte le sue sedi per fornire tutte le informazioni del caso e approfondiremo, dopo la pausa estiva l'ipotesi di eventuali contenziosi a tutela del potere di acquisto delle pensioni, non dimenticando mai i criteri di solidarietà ed equità che hanno sempre guidato il nostro lavoro nella tutela dei diritti individuali», conclude la nota del patronato.

Lo stop alla rivalutazione delle pensioni è incostituzionale. La recente sentenza della Consulta ha annullato, bocciandolo, l'art. 24 del decreto legge 201/2011 in materia di perequazione delle pensioni, ossia la cosiddetta norma Fornero contenuta nel ''Salva Italia'' varato dal governo Monti. La norma, giudicata incostituzionale, prevedeva che, per il 2012 e 2013 «in considerazione della contingente situazione finanziaria», sui trattamenti pensionistici di importo superiore a tre volte il minimo Inps (circa 1.500 euro lordi) scattasse il blocco della perequazione, ossia il meccanismo che adegua le pensione al costo della vita.

Rimborso delle pensioni: le cifre Le pensioni superiori a tre volte e pari o inferiori a quattro volte il minimo INPS - fino a un massimo di 1.500 euro - avranno una rivalutazione complessiva di 796.27 euro: 210.6 euro per il 2012 e 447.2 per il 2013. Per gli anni 2014 e 2015, il rimborso ammonterà a 89.96 euro e 48.51 euro.

Proroga per la presentazione del 730: rimborso a scaglioni. Il pagamento delle pensioni avverrà ogni primo del mese, a prescindere dalla gestione previdenziale a cui si fa capo, Il rimborso però - dato che verrà calcolato anche in base alla dichiarazione dei redditi 2015 - verrà scaglionato a causa della proroga per la presentazione del 730. Solamente coloro i quali hanno inviato il modello 730 entro il 30 giugno scorso avranno diritto al rimborso ad agosto, i ritardatari lo riceveranno a settembre.



mercoledì 23 aprile 2014

Calcolo 80 euro in busta paga da maggio 2014



Al momento dell'annuncio della misura, il premier Renzi è stato chiaro: l'aumento in busta paga di 80 euro sarà a beneficio di coloro che guadagnano meno di 1.500 euro al mese. Ma il bonus dovrebbe essere definito a seconda di fasce di reddito stabilite. Per chiarire, il bonus sarà erogato dal datore di lavoro sotto forma di credito e non, dunque, sotto forma di riduzione delle tasse da lavoro da versare e dovrebbe essere in vigore già dal prossimo mese di maggio.

Tornando alle fasce di reddito individuate, per quelli che percepiscono un reddito annuo fino a 8.000 euro, che avrebbero un reddito mensile netto di 407 euro, il bonus mensile dovrebbe essere di 25 euro; per chi percepisce tra gli 8.000 e i 12.000 euro all'anno e ha uno stipendio netto mensile medio di 750 euro, il bonus dovrebbe essere di 92 euro; che sale a 97 euro per chi invece ha in reddito compreso tra i 12.000 e i 15.000 euro all'anno.

Chi invece percepisce tra i 15.000 e i 20.000 euro l'anno e ha uno stipendio mensile medio di 1.250 euro, avrà un bonus di circa 83 euro; infine avrà un bonus di 60 euro chi ha un reddito annuo compreso tra i 20.000 e i 25.000 euro l'anno, cioè uno stipendio mensile di circa 1.416 euro. In questi casi il bonus scatta in maniera automatica, cosa che invece non accade in altri casi come, per esempio, per chi svolge un  lavoro a contratto di collaborazione coordinata e continuativa da 12mila euro insieme ad un’altra occupazione.

Questo lavoratore se assunto da maggio a settembre con un contratto di lavoro subordinato compatibile con l’altro contratto e che riceve un compenso di 5mila euro, nel primo caso avrebbe un bonus da 480 euro, calcolando il 4% di 12mila euro; e nel secondo da 640 euro, prendendo però in considerazione entrambi i redditi percepiti, ma per ottenere il bonus deve comunicare i propri dati al datore di lavoro con cui ha il contratto da co.co.pro.

Il calcolo bonus Renzi che arricchirà le buste paga di milioni di italiani fino ad ottanta euro al mese per almeno tutto il 2014, è presto fatto.

Per chi ha una busta paga di 718,00 euro netti mensili il bonus equivale a 39,40 euro al mese e cioè 315,00 euro in più all'anno.

48,10 euro in più al mese invece per chi prende ad esempio 836,00 euro al mese e cioè 385,00 euro netti per l'anno 2014.

Per chi guadagna 1.063,00 euro al mese il bonus ammonta a 65,60 euro mensili e quindi 525,00 euro per quest'anno.

Per chi invece guadagna tra i 1.200,00 euro ai 1.609,00 euro al mese, ad esempio, vedrà riconoscersi un bonus pari a 80,00 euro al mese.

Oltre i 1.773,00 euro mensili, il bonus viene azzerato. Come detto prima restano fuori dal gettito positivo, coloro che sono stati definiti "incapienti" e cioè quelli che guadagnano meno di 8.000,00 euro netti all'anno.

Avere 80 euro in più in busta paga per almeno otto mesi è un bonus che giustifica una pensione più povera? I circa dieci milioni di lavoratori dipendenti che percepiranno la «mancia» del governo

Il taglio del cuneo fiscale può trasformarsi in una seccante partita di giro.

Ma proprio su un capitolo decisivo come quello previdenziale. Il perché è presto spiegato. Il decreto prevede che il tanto agognato bonus sia un «credito» e non una «detrazione». Le parole, in questo caso, sono importanti perché indicano che è compito del datore di lavoro (che in gergo fiscale si chiama «sostituto di imposta») individuare l'area nella quale effettuare il prelievo degli 80 euro da aggiungere alla busta paga.

La norma concede uno spazio di manovra abbastanza largo. Se, infatti, le ritenute Irpef non fossero sufficienti a reperire l'ammontare del bonus, il datore di lavoro potrà «estrapolare» i soldi dai contributi previdenziali, cioè dalla somma che in busta paga viene trattenuta dal reddito lordo e versata all'ente previdenziale (nella maggior parte dei casi l'Inps) per costruire la futura pensione.

Sulla carta non dovrebbero esserci problemi perché la manovrina studiata dal ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, e dal premier Matteo Renzi prevedrebbe che sia lo Stato a farsi carico di quei contributi. Spieghiamolo ancora meglio: se nella busta paga del dipendente le ritenute Irpef non superano gli 80 euro, il datore di lavoro può autonomamente decidere di prelevare in tutto o in parte quella cifra dai contributi previdenziali

Si tratta del dispositivo che era stato studiato anche per il bonus da destinare a incapienti (coloro che hanno un reddito annuo lordo inferiore a 8mila euro e pertanto non pagano tasse, ma i contributi previdenziali li versano ugualmente) e lavoratori autonomi. Con un taglio di 3-4 punti dell'aliquota contributiva gli 80 euro sarebbero pressoché garantiti, ma che ne sarebbe delle pensioni? Le vecchie bozze prevedevano una semplice comunicazione all'Agenzia delle entrate che successivamente avrebbe dovuto provvedere, a sua volta, a notificare la situazione all'Inps o a un altro ente. Questi ultimi constatano solamente che manca all'appello parte dei contributi della posizione del lavoratore. Allo Stato toccherà poi farsi carico di sanare lo sbilancio versando la parte residua.

Se ci si basasse sugli esempi del passato, la risposta dovrebbe essere negativa. La difficile situazione patrimoniale dell'istituto di previdenza pubblica è stata soprattutto generata dall'assorbimento dell'Inpdap, il vecchio ente previdenziale dei dipendenti pubblici. Negli anni scorsi lo Stato dichiarava di aver versato i contributi dei propri dipendenti senza, in realtà, provvedervi. Nell'imminenza dell'ingresso nell'euro, quei soldi furono trasformati in anticipazioni di cassa. I contributi «figurativi» si sono così trasformati in un pozzo senza fondo che hanno determinato 25 miliardi di passivo al cui ripianamento contribuiscono i lavoratori parasubordinati cui si chiede sempre un aumento dei versamenti.

Ora se si guarda bene a quegli 80 euro, il rischio non è soltanto quello di una pensione a cui potrebbe mancare qualche «pezzo» (non trascurando che - con le attuali regole - solo i più fortunati otterranno il 60% dell'ultimo stipendio) ma soprattutto quello di vedere che lo Stato prende con una mano ciò che dà con l'altra. Non si tratta del taglio alle detrazioni per il coniuge a carico e della stangata sulla Tasi, ma di un aumento delle aliquote contributive che generalmente rappresenta il modo più veloce per gestire eventuali «crisi». Ecco, per avere circa 1.000 euro in più all'anno valeva la pena creare confusione e incertezza?

Se le ritenute Irpef non fossero sufficienti a reperi­re l’ammontare del bonus, il datore di lavoro potrà «estrapolare » i soldi dai contributi previ­denziali, cioè dalla somma che in busta paga viene trattenuta dal reddito lordo e versata all’ente previdenziale (nella maggior parte dei casi l’Inps) per co­struire la futura pensione.

Se nella busta paga del dipendente le ritenute Irpef non supe­rano gli 80 euro, il datore di lavo­ro può aut­onomamente decide­re di prelevare in tutto o in parte quella cifra dai contributi previ­denziali.

Si tratta del dispositivo che era stato studiato anche per il bonus da destinare a incapienti (coloro che hanno un reddito annuo lordo inferiore a 8mila euro e pertanto non pagano tas­se, ma i contributi previdenzia­li li versano ugualmente) e lavo­ratori autonomi. Con un taglio di 3-4 punti dell’aliquota contri­butiva gli 80 euro sarebbero pressoché garantiti, ma che ne sarebbe delle pensioni?

Le vecchie bozze prevedevano una semplice comunicazione al­l’Agenzia delle entrate che suc­cessivamente avrebbe dovuto provvedere,a sua volta,a notifi­care la situazione all’Inps o a un altro ente. Questi ultimi consta­tano solamente che manca al­l’appello parte dei contributi della posizione del lavoratore. Allo Stato toccherà poi farsi cari­co di sanare lo sbilancio versan­do la parte residua. Ci si può fidare? Se ci si basas­se sugli esempi del passato, la risposta dovrebbe essere negativa”.

De Francesco spiega poi un altro rischio: quello di un aumento delle aliquote contributive.

“Ora se si guarda bene a quegli 80 euro, il rischio non è soltanto quello di una pensione a cui po­trebbe mancare qualche «pez­zo » (non trascurando che – con le attuali regole- solo i più fortu­nati otterranno il 60% dell’ulti­mo stipendio) ma soprattutto quello di vedere che lo Stato prende con una mano ciò che dà con l’altra. Non si tratta del taglio alle detrazioni per il coniuge a carico e della stangata sulla Tasi, ma di un aumento delle aliquote contributive che generalmente rappresenta il modo più veloce per gestire eventuali «crisi»”.

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