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domenica 24 marzo 2013

Contribuzione dovuta sulle interruzioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato


L'INPS, con la circolare n. 44 del 22 marzo 2013, ha fornito alcuni chiarimenti sui criteri impositivi e sulla misura del nuovo contributo sulle cessazioni dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato previsto dalla legge di Riforma del mercato del lavoro.

La legge introduce un nesso tra il contributo e il teorico diritto all’Aspi da parte del lavoratore il cui rapporto di lavoro è stato interrotto; conseguentemente, i datori di lavoro saranno tenuti all’assolvimento della contribuzione in tutti i casi in cui la cessazione del rapporto generi in capo al lavoratore il teorico diritto alla nuova indennità, a prescindere dall’effettiva percezione della stessa.

Restano escluse dall’obbligo contributivo le cessazioni del rapporto di lavoro a seguito di:

dimissioni (ad eccezione di quelle per giusta causa o intervenute durante il periodo tutelato di maternità);

risoluzioni consensuali, ad eccezione di quelle derivanti da procedura di conciliazione presso la D.T.L., nonché da trasferimento del dipendente ad altra sede della stessa azienda distante più di 50 km dalla residenza del lavoratore e\o mediamente raggiungibile in 80 minuti o più con i mezzi pubblici;

decesso del lavoratore. 

Il contributo non è dovuto, per il periodo 2013 – 2015, nei seguenti casi: 

licenziamenti effettuati in conseguenza di cambi di appalto, ai quali siano succedute assunzioni presso altri datori di lavoro, in applicazione di clausole sociali che garantiscano la continuità occupazionale prevista dai CCNL;

 interruzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, nel settore delle costruzioni edili, per completamento delle attività e chiusura del cantiere.   

Ne consegue che, per le interruzioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato intervenute nel 2013, a decorrere dal 1 gennaio, per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni, la contribuzione da versare sarà pari a € 483,80 (€1.180X41%).  

Per i soggetti che possono vantare 36 mesi di anzianità aziendale, l’importo massimo da versare nel 2013 sarà, quindi, € 1.451,00 (€483,80 X 3).

L'Inps ha precisato che:
1. il contributo è scollegato all’importo della prestazione individuale; conseguentemente, lo stesso è dovuto nella misura indicata, a prescindere dalla tipologia del rapporto di lavoro cessato (full time o part time);

2. per i rapporti di lavoro inferiori ai dodici mesi, il contributo va rideterminato in proporzione al numero dei mesi di durata del rapporto di lavoro; a tal fine, si considera mese intero quello in cui la prestazione lavorativa si sia protratta per almeno 15 giorni di calendario. Per un rapporto di 10 mesi, ad esempio, l’importo da versare nel 2013 sarà pari a € 403,16;

3. nell’anzianità aziendale si devono includere tutti i periodi di lavoro a  tempo indeterminato. Quelli a tempo determinato si computano se il rapporto è stato trasformato senza soluzione di continuità o se comunque si è dato luogo alla restituzione del contributo dell’1,40%.

4. nel computo dell’anzianità aziendale non si tiene conto dei periodi di congedo di cui all’articolo 42, c. 5 del D.lgs, 151/2001; 

5. la contribuzione va sempre assolta in unica soluzione, non essendo prevista una definizione rateizzata.

6. il contributo è dovuto anche per le interruzioni dei rapporti di apprendistato diverse dalle dimissioni o dal recesso del lavoratore, ivi compreso il recesso del datore di lavoro al termine del periodo di formazione.


domenica 15 aprile 2012

Le novità sul lavoro con partita IVA

La riforma del mercato del lavoro è stata migliorata per non penalizzare in modo indiscriminato tutte le partite IVA: le aziende che collaborano con professionisti che svolgono mansioni previste dal proprio Ordine sono esonerate dall'assunzione, per le altre tempo un anno per mettersi in regola.
La riforma del mercato del lavoro ha dichiarato guerra aperta alla partita IVA, o meglio alle aziende che instaurano collaborazioni esclusive nascondendo un vero e proprio rapporto di dipendenza. Le false partita Iva, infatti è un uso di questo sistema (strumento) da parte delle imprese per utilizzare il lavoro subordinato sotto mentite spoglie.

Nella riforma del lavoro si è voluto colpire le false partite IVA: con l’obbligo di assumere con contratto a tempo indeterminato il titolare di partita IVA, dunque, non riguarderà i professionisti che svolgono le mansioni per le quali sono iscritti all’Albo professionale di riferimento, ovvero non scatterà quando si tratti realmente di lavoro autonomo e professionale.

La semplice iscrizione all’Albo professionale non esonera in modo automatico dall’applicazione delle nuove norme, è necessario valutare l’attività realmente svolta dal collaboratore. Dunque l’esenzione riguarda tutti coloro che sono iscritti ad un Albo professionale, ma solo coloro che esercitano come libera professione (con partita IVA) le mansioni previste dal proprio Ordine.

Questa novità risponde alle valutazioni sollevate dall’Ordine degli Architetti: i professionisti che esercitano la professione presso uno studio, anche se con partita IVA, per più di 6 mesi l’anno guadagnando più del 75% del proprio reddito, possono continuare ad esercitare come autonomi, senza obbligo di assunzione.

In realtà si tratta di una modifica al quadro normativo della precedente bozza della riforma del lavoro, che concede tra l’altro più tempo ai professionisti con partita IVA e alle aziende con le quali hanno un rapporto di lavoro per mettersi in regola.

Infatti l’obbligo di assunzione non riguarderà i rapporti già in essere, ma quelli che verranno avviati in seguito all’entrata in vigore della riforma del lavoro. Per gli altri ci sarà una fase transitoria di un anno per recepire le nuove regole.

Quindi le aziende non potranno più impiegare i titolari di partita IVA a meno che non li assumano come dipendenti nel caso si verifichino almeno due delle seguenti condizioni:

collaborazione continuativa per più di 6 mesi in un anno;

corrispettivo derivante da prestazione presso un’unica azienda pari al 75% del reddito nell’arco dello stesso anno;

postazione di lavoro a disposizione del collaboratore presso la sede del committente.

In conclusione si prevede una presunzione nel senso che si presume che ferma restando la possibilità del committente di provare che si tratti di lavoro autonomo, si configuri il carattere coordinato e continuativo  e non autonomo ed occasionale della collaborazione tutte le volte che essa duri complessivamente più di sei mesi nell’arco di un anno, da essa il collaboratore ricavi più del 75% dei corrispettivi, anche se fatturati a più soggetti riconducibili alla stessa attività d’impresa, e implichi la fruizione di una postazione di lavoro presso la sede istituzionale o le sedi operative del committente. Queste regole possono essere utilizzate distintamente nel corso delle attività di verifica. Qualora l’utilizzo della partita Iva venga giudicato improprio, esso viene considerato una collaborazione coordinata e continuativa (che la normativa non ammette più in mancanza di un progetto), con la conseguente applicazione della relativa sanzione di cui all’art.69 comma 1 del Dlgs 276/03, ossia la trasformazione in contratto di lavoro a tempo indeterminato.
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