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martedì 5 dicembre 2017

Contratto di apprendistato: licenziamento e preavviso come funziona




Il contratto di apprendistato presenta tra le proprie peculiarità, rispetto al rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la possibilità per il datore di lavoro di recedere una sola volta, alla conclusione del periodo formativo. Il recesso è quindi esercitabile soltanto al termine del periodo formativo, esattamente nel giorno coincidente con il termine del periodo di apprendistato, con preavviso ma senza obbligo di motivazione. Le parti possono dunque recedere liberamente dal contratto, ma nel rispetto del preavviso e solo se a decorrere dal termine del periodo di formazione (art 2118 c.c.). Se questo non avviene, il rapporto prosegue come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

L'apprendistato è lo strumento più diffuso per l'inserimento nel mercato del lavoro. Si tratta di un particolare rapporto all'interno del quale il lavoratore acquisisce delle competenze professionali attraverso l'inserimento all'interno dell'organizzazione produttiva del datore di lavoro presso il quale svolge le proprie mansioni. Si dice, infatti, che si tratta di un contratto di lavoro a causa mista: da un lato, infatti, il lavoratore svolge una vera e propria prestazione lavorativa ricevendo in cambio, oltre alla retribuzione, una formazione specifica.

Se il licenziamento al termine dell’apprendistato non è legittimo si trasforma automaticamente in tempo indeterminato. Questo perchè, anche alla luce della disciplina sui contratti di lavoro in apprendistato, quando il licenziamento dell’apprendista risulta nullo (ad esempio per procedura irregolare) ed il rapporto si considera non interrotto – in manca di un regolare preavviso di licenziamento – ciò dà origine a un rapporto subordinato a tempo indeterminato.

Di norma, al termine del contratto, le parti possono recedere. Diversamente il rapporto di lavoro prosegue trasformandosi in tempo indeterminato. La risoluzione unilaterale da parte del datore di lavoro al termine dell’apprendistato richiede dunque formale disdetta, con l’osservanza del periodo di preavviso.

In tal senso, la previsione della disdetta ai sensi dell’art. 2118 c.c., cioè con preavviso, è propria di un rapporto indeterminato. Il mancato esercizio del diritto di recesso da parte del datore di lavoro e la nullità del licenziamento comportano dunque la trasformazione automatica del contratto di apprendistato a contratto di assunzione a tempo indeterminato. In sintesi, al contratto di apprendistato si applicano le norme sul licenziamento previste per gli altri contratti di lavoro dipendente.
Tuttavia, diversamente dagli altri, il mancato raggiungimento degli obiettivi formativi può ad esempio giustificare il licenziamento.

Diversamente, nel periodo di preavviso continua a trovare applicazione la disciplina del contratto di apprendistato (art. 2, co. 1, D. Lgs. n. 167/2011 come modificato dall’art. 1, co. 16, lett. b), L. 28 giugno 2012, n. 92). In questo contesto nulla è cambiato con il decreto legislativo di riordino dei contratti di lavoro attuativo del Jobs Act (art 42 del D.lgs 81/2015).

Per determinare i giorni di preavviso, nel rispetto del giusto livello di inquadramento, bisogna fare riferimento al periodo di preavviso previsto per il livello con cui si era inquadrati da apprendista e non a quello che si raggiunge al termine del periodo formativo. Il preavviso decorre dal momento in cui è conosciuta dall’altra parte e la decorrenza è interrotta nel caso in cui sopraggiungano le ferie.

Il licenziamento dell’apprendista è ammissibile ed è considerato giustificato (motivo oggettivo) se non implica una semplice sostituzione con addetti alle medesime mansioni. È però a carico del datore di lavoro l’onere di dimostrare il motivo. Quindi, se la causa è un riassetto aziendale, vanno comprovate le ragioni che la motivano oltre a quelle del licenziamento in questione.
Per quanto riguarda invece il licenziamento nel periodo di formazione, si applica la disciplina comune del recesso giustificato dai contratti di lavoro a tempo.

Per determinare i giorni di preavviso, nel rispetto del giusto livello di inquadramento, bisogna fare riferimento al periodo di preavviso previsto per il livello con cui si era inquadrati da apprendista e non a quello che si raggiunge al termine del periodo formativo. Il preavviso decorre dal momento in cui è conosciuta dall’altra parte e la decorrenza è interrotta nel caso in cui sopraggiungano le ferie.

Il datore di lavoro può risolvere il contratto di apprendistato alla fine del periodo di formazione. E’, infatti, prevista espressamente la possibilità per le parti di recedere dal contratto con preavviso decorrente dal termine del periodo di formazione.

Al termine del periodo formativo la decisione di risolvere il contratto, quindi, lasciata alle parti che potranno decidere di farlo senza giustificazioni. In questo caso, tuttavia, pur non essendo richieste motivazioni, sarà necessario comunicare in forma scritta la volontà di recedere all’altra parte e calcolando il preavviso, tenendo conto della data di conclusione del contratto. Se, invece, nessuna delle parti esercita la facoltà di recesso al termine del periodo di formazione, il rapporto prosegue come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.


martedì 28 novembre 2017

Lavoro: categorie protette, assunzioni obbligatorie e nominative per i disabili



La legge obbliga i datori di lavoro ad assumere una determinata quota di lavoratori iscritti alle categorie protette. Con questa legge lo Stato italiano ha voluto promuovere l'inserimento nel mondo lavorativo delle persone disabili e delle altre persone a cui la legge riconosce una condizione di svantaggio (es. cechi e sordi, invalidi di guerra, orfani ecc.).

La definizione “categorie protette” si riferisce in particolar modo a soggetti svantaggiati quali orfani, vedove e profughi. Quando invece ci si riferisce alle assunzioni obbligatorie, non è corretto fare riferimento esclusivamente alle categorie protette, poiché a queste si somma la categoria degli invalidi che, chiaramente, riguarda la maggior parte dei destinatari delle leggi a sostegno del lavoro dei disabili.

Quindi, alla luce della normativa vigente, i soggetti beneficiari delle disposizioni relative alle assunzioni obbligatorie sono le persone disoccupate e:

affette da minorazioni fisiche, psichiche e portatori di handicap intellettivo con una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%;

invalide del lavoro con grado di invalidità superiore al 33%;

cechi assoluti o con residuo visivo non superiore ad un decimo ad entrambi gli occhi, con even-tuale correzione (vedi la scheda su cecità e sordità civile);

sorde (vedi la scheda su cecità e sordità civile);

invalide di guerra, invalide civili di guerra e di servizio;

vedove/i di deceduti per causa di lavoro, di guerra o di servizio, orfani, profughi e vittime del terrorismo e della criminalità organizzata.

Le aziende potranno assumere tramite richiesta nominativa o convenzione. Vi è maggiore libertà nella scelta delle persone da avviare al collocamento obbligatorio.

Per i disabili esistono le assunzioni nominative. L'obiettivo legislativo è razionalizzare e semplificare la normativa sul collocamento dei disabili e di potenziare l'accompagnamento e il supporto della persona con disabilità al fine di facilitarne l'inserimento lavorativo.

I datori di lavoro potranno assolvere l'obbligo di avviamento al lavoro scegliendo tra la chiamata nominativa o la stipula di apposite convenzioni con i centri per l'impiego aventi ad oggetto la determinazione di un programma mirante al conseguimento degli obiettivi occupazionali.

Al datore viene anche riconosciuta la possibilità di far precedere la richiesta nominativa dalla richiesta agli uffici competenti di effettuare la preselezione delle persone con disabilità iscritte negli speciali elenchi tenuti dai centri per l’impiego che aderiscano alla specifica occasione di lavoro (sulla base delle qualifiche e secondo le modalità concordate dagli uffici con il datore di lavoro).

Oltre alla chiamata nominativa o per convenzione i datori potranno effettuare l'assunzione diretta di lavoratori in specifiche condizioni di difficoltà, riconoscendo altresì per tali datori di lavoro il diritto a fruire degli incentivi previsti. Nello specifico la chiamata diretta potrà essere effettuata nei confronti di persone con disabilità che abbiano una riduzione della capacità lavorativa superiore al 79% o minorazioni annoverate dalla prima alla terza categoria di cui alle tabelle annesse al D.P.R. 915/1978 o che abbiano una riduzione della capacità lavorativa compresa tra il 67% ed il 79% o minorazioni elencate dalla quarta alla sesta categoria di cui alle tabelle citate, oppure lavoratori con disabilità intellettiva e psicofisica e con riduzione della capacità lavorativa superiore al 45% per un periodo di 60 mesi.

Solo in caso di mancata assunzione secondo le richiamate modalità entro 60 giorni dal momento in cui sorge l’obbligo di assunzione, scatta l’obbligo, per gli uffici competenti, di avviare o i lavoratori secondo l'ordine di graduatoria per la qualifica richiesta o altra specificamente concordata con il datore di lavoro sulla base delle qualifiche disponibili. Gli uffici possono altresì procedere anche previa chiamata con avviso pubblico e con graduatoria limitata a coloro che aderiscono alla specifica occasione di lavoro).

Lo scopo del legge è quello di semplificare la normativa che regola il collocamento dei disabili per facilitarne l’inserimento lavorativo. Il decreto, dal punto di vista delle aziende, lascia una maggior libertà ai datori di lavoro nella scelta dei dipendenti da avviare all’attività. Essi potranno, infatti, scegliere tra la chiamata nominativa e la stipula di convenzioni con i centri dell’impiego mirate al raggiungimento degli obiettivi occupazionali.

Alla richiesta nominativa il datore di lavoro può far precedere la richiesta agli uffici competenti di effettuare la preselezione delle persone con disabilità che aderiscano a quella specifica richiesta di lavoro. Ai datori di lavoro resta anche la scelta dell’assunzione diretta dei lavoratori con disabilità usufruendo comunque degli incentivi previsti.

L’assunzione diretta si potrà effettuare nei confronti di persone con una disabilità fisica superiore al 79% o una ridotta capacità lavorativa compresa tra il 67 e il 79%, oppure, ancora, lavoratori con disabilità psicofisica superiore al 45%.

I datori di lavoro, sia pubblici e sia privati, sono tenuti ad avere alle loro dipendenze lavoratori appartenenti alle categorie descritte nel precedente paragrafo nella misura di:

sette per cento dei lavoratori occupati, se occupano più di 50 dipendenti;

due lavoratori, se occupano da 36 a 50 dipendenti;

un lavoratore, se occupano da 15 a 35 dipendenti.

Per la definizione della base di calcolo, bisogna includere nel computo tutti i lavoratori assunti con vincolo di subordinazione (tranne quelli già assunti con collocamento obbligatorio), i soci di cooperative di produzione e lavoro, i dirigenti, i contratti di inserimento, i lavoratori sommini-strati presso l’utilizzatore, i lavoratori assunti per attività all’estero, i lavoratori socialmente utili (LSU), i lavoratori a domicilio e gli apprendisti.  Bisogna conteggiare anche gli assunti con contratto a tempo determinato fino a 9 mesi.

I datori di lavoro privati che hanno diverse unità produttive sul territorio, possono essere autorizzati dal Servizio provinciale del lavoro (della provincia in cui si ha la sede legale), ad assumere in una unità un numero di lavoratori aventi diritto al collocamento obbligatorio superiore a quello prescritto, portando le eccedenze a compenso del minor numero di lavoratori assunti in altre unità. La richiesta deve essere motivata, e se le unità sono ubicate in regioni diverse, l’autorizzazione deve essere rilasciata dal Ministero del Lavoro.


domenica 24 marzo 2013

Contribuzione dovuta sulle interruzioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato


L'INPS, con la circolare n. 44 del 22 marzo 2013, ha fornito alcuni chiarimenti sui criteri impositivi e sulla misura del nuovo contributo sulle cessazioni dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato previsto dalla legge di Riforma del mercato del lavoro.

La legge introduce un nesso tra il contributo e il teorico diritto all’Aspi da parte del lavoratore il cui rapporto di lavoro è stato interrotto; conseguentemente, i datori di lavoro saranno tenuti all’assolvimento della contribuzione in tutti i casi in cui la cessazione del rapporto generi in capo al lavoratore il teorico diritto alla nuova indennità, a prescindere dall’effettiva percezione della stessa.

Restano escluse dall’obbligo contributivo le cessazioni del rapporto di lavoro a seguito di:

dimissioni (ad eccezione di quelle per giusta causa o intervenute durante il periodo tutelato di maternità);

risoluzioni consensuali, ad eccezione di quelle derivanti da procedura di conciliazione presso la D.T.L., nonché da trasferimento del dipendente ad altra sede della stessa azienda distante più di 50 km dalla residenza del lavoratore e\o mediamente raggiungibile in 80 minuti o più con i mezzi pubblici;

decesso del lavoratore. 

Il contributo non è dovuto, per il periodo 2013 – 2015, nei seguenti casi: 

licenziamenti effettuati in conseguenza di cambi di appalto, ai quali siano succedute assunzioni presso altri datori di lavoro, in applicazione di clausole sociali che garantiscano la continuità occupazionale prevista dai CCNL;

 interruzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, nel settore delle costruzioni edili, per completamento delle attività e chiusura del cantiere.   

Ne consegue che, per le interruzioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato intervenute nel 2013, a decorrere dal 1 gennaio, per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni, la contribuzione da versare sarà pari a € 483,80 (€1.180X41%).  

Per i soggetti che possono vantare 36 mesi di anzianità aziendale, l’importo massimo da versare nel 2013 sarà, quindi, € 1.451,00 (€483,80 X 3).

L'Inps ha precisato che:
1. il contributo è scollegato all’importo della prestazione individuale; conseguentemente, lo stesso è dovuto nella misura indicata, a prescindere dalla tipologia del rapporto di lavoro cessato (full time o part time);

2. per i rapporti di lavoro inferiori ai dodici mesi, il contributo va rideterminato in proporzione al numero dei mesi di durata del rapporto di lavoro; a tal fine, si considera mese intero quello in cui la prestazione lavorativa si sia protratta per almeno 15 giorni di calendario. Per un rapporto di 10 mesi, ad esempio, l’importo da versare nel 2013 sarà pari a € 403,16;

3. nell’anzianità aziendale si devono includere tutti i periodi di lavoro a  tempo indeterminato. Quelli a tempo determinato si computano se il rapporto è stato trasformato senza soluzione di continuità o se comunque si è dato luogo alla restituzione del contributo dell’1,40%.

4. nel computo dell’anzianità aziendale non si tiene conto dei periodi di congedo di cui all’articolo 42, c. 5 del D.lgs, 151/2001; 

5. la contribuzione va sempre assolta in unica soluzione, non essendo prevista una definizione rateizzata.

6. il contributo è dovuto anche per le interruzioni dei rapporti di apprendistato diverse dalle dimissioni o dal recesso del lavoratore, ivi compreso il recesso del datore di lavoro al termine del periodo di formazione.


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