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sabato 3 febbraio 2018

NASpI in caso di rifiuto al trasferimento





La NASPI è un assegno che spetta ai lavoratori in disoccupazione involontaria, quindi chiunque ha perso il lavoro a partire dal 1° 2015, ha diritto ad un assegno di disoccupazione se ha lavorato almeno 3 mesi.

L’INPS, con messaggio n. 369 del 26 gennaio 2018, si è pronunciato in merito all'accesso alla NASpI nelle ipotesi di:

risoluzione consensuale in seguito al rifiuto da parte del lavoratore al proprio trasferimento ad altra sede della stessa azienda distante oltre 50 chilometri dalla residenza del lavoratore e/o mediamente raggiungibile in 80 minuti (o oltre) con i mezzi di trasporto pubblico;

dimissioni per giusta causa a seguito del trasferimento del lavoratore.

L' Inps ricorda le precedenti istruzioni in materia e sottolinea che in questi casi lo stato di disoccupazione del lavoratore si puo considerare involontario e dare quindi diritto al trattamento di disoccupazione NASPI, sia nel caso si realizzi per risoluzione consensuale con procedura di conciliazione e l'erogazione di somme compensative al lavoratore, sia per dimissioni per giusta causa.

Va ricordato che si ha giusta causa di dimissioni qualora il trasferimento non sia sorretto da comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive e ciò anche indipendentemente dalla distanza tra la residenza del lavoratore e la nuova sede di lavoro.

Inoltre, nel caso di specie è possibile accedere all’indennità di disoccupazione NASpI, in presenza di tutti i requisiti legislativamente previsti, anche laddove il lavoratore ed il datore di lavoro pattuiscano, in sede di conciliazione, la corresponsione, a favore del lavoratore stesso, di somme a vario titolo e di qualunque importo.

In caso, invece, di dimissioni a seguito del trasferimento del lavoratore ad altra sede della stessa azienda, ricorre la giusta causa delle dimissioni qualora il trasferimento non sia sorretto da comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive e ciò indipendentemente dalla distanza tra la residenza del lavoratore e la nuova sede di lavoro.

Stante quanto sopra, in presenza di dimissioni che il lavoratore asserisce avvenute per giusta causa, a seguito di trasferimento ad altra sede dell’azienda è ammesso l’accesso alla prestazione NASpI a condizione che il trasferimento non sia sorretto da “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive” previste dall’art. 2103 c.c.

Al lavoratore è richiesta la  documentazione (dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà ex D.P.R n. 445/2000) da cui risulti almeno la sua volontà di “difendersi in giudizio” nei confronti del comportamento illecito del datore di lavoro (allegazione di diffide, esposti, denunce, citazioni, ricorsi d’urgenza ex articolo 700 c.p.c., sentenze ecc. contro il datore di lavoro, nonché ogni altro documento idoneo), e se la controversia giudiziale o extragiudiziale. non ha raggiunto una definizione il lavoratore è tenuto  a comunicarne l’esito . Inoltre laddove l’esito della lite dovesse escludere la ricorrenza della giusta causa di dimissioni, l’INPS potrà procedere al recupero di quanto pagato a titolo di indennità di disoccupazione.

Ma occorre fare molta attenzione al contenuto del messaggio dell’Inps, in quanto, come vedremo, al lavoratore che ha deciso di lasciare il posto di lavoro perché non è sostenibile il trasferimento da parte dell’azienda, conviene la risoluzione consensuale del rapporto, e quindi un accordo con il datore di lavoro, anziché perseguire la strada della dimissione per giusta causa. Vediamo perché.

In ordine al requisito della involontarietà dello stato di disoccupazione, ai sensi dell’art.2 comma 5 della citata legge n. 92 e dell’art. 3 comma 2 del citato decreto n.22 le predette indennità di disoccupazione sono riconosciute anche nelle ipotesi di:

dimissioni per giusta causa;

e di risoluzione consensuale intervenuta nell’ambito della procedura di conciliazione di cui all’art.7 della legge n.604 del 1966 come modificato dall’art.1, comma 40, della legge n.92 del 2012.

Quindi il primo aspetto che chiarisce il messaggio dell’Inps è che la risoluzione consensuale tra datore di lavoro e lavoratore che rifiuta il trasferimento ad altra sede aziendale (sempre distante oltre 50 chilometri dalla residenza del lavoratore e/o mediamente raggiungibile in 80 minuti o oltre con i mezzi di trasporto pubblico) deve essere effettuata nell’ambito della procedura di conciliazione.


mercoledì 19 aprile 2017

Lavoro: licenziarsi da un contratto a tempo indeterminato


Per contratto di lavoro a tempo indeterminato si deve intendere un accordo fra le parti nel quale un soggetto, il lavoratore, si impegna dietro versamento di una retribuzione e senza vincolo di durata alcuno, a prestare la propria attività lavorativa accettando il potere direttivo, organizzativo e disciplinare di un altro soggetto, il datore di lavoro.

Con il D. lgs 151/2015, entrato in vigore in attuazione del Jobs Act, è stata rivista la disciplina delle dimissioni volontarie e della risoluzione consensuale. Il Jobs Act, a rafforzamento del contrasto alle dimissioni in bianco, ha introdotto una ulteriore novità, ovvero la compilazione in via telematica delle dimissioni.

Le dimissioni volontarie sono le classiche  date dal lavoratore per ragioni personali (famiglia, cambio lavoro, salute ecc.), in questo caso il lavoratore di sua spontanea volontà rassegna le dimissioni dal proprio lavoro a tempo indeterminato in quanto per ragioni personali non può più proseguire con il lavoro.

Il lavoratore può rassegnare le proprie dimissioni volontarie dando un margine di preavviso al datore di lavoro per consentirgli di trovare un altro lavoratore per sostituirlo nelle sue mansioni ordinarie. Il preavviso è stabilito dai CCNL i quali distinguono il periodo di preavviso in base alle mansioni del lavoratore (es. impiegato o operaio) e l’anzianità di servizio (un operaio con più anni di esperienza sarà più difficile da sostituire).

Proprio per la sua peculiarità il preavviso è sempre obbligatorio, nel caso in cui lavoratore dia le proprie dimissioni in tronco, quindi smettendo di lavorare da un giorno all’altro o comunque prima della scadenza del preavviso il datore di lavoro può richiedere un risarcimento al lavoratore, pari di solito alle giornate di mancato preavviso.

Caso diverso sono le dimissioni per giusta causa. In questo caso infatti le dimissioni vengono presentate dal lavoratore non per ragioni personali, ma perché per qualche ragione il rapporto di lavoro si è incrinato irrimediabilmente e il lavoratore non ritiene più di poter proseguire il lavoro neanche temporaneamente

In questo modo potreste avere diritto ad un risarcimento per un danno da voi subito a torto, stimato in una condizione di parità relativa all'ammontare delle retribuzioni che avreste percepito per la durata intera del contratto.  Ovviamente, prima di effettuare tutti gli incartamenti valutate sempre bene la situazione, senza fare cose affrettate.  Analizzando il motivo del recesso del contratto.  Per poi, informarvi con delle persone esperte nel campo.

Il contratto a tempo indeterminato è un accordo redatto per iscritto tra il datore di lavoro ed un dipendente, regolato dal Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro (CCNL). Esso non riporta la scadenza del rapporto lavorativo e deve contenere: i dati del principale e del lavoratore; la mansione data a quest'ultimo; l'importo dello stipendio mensile; l'orario di attività; i giorni di ferie; le eventuali ore di permesso; le informazioni riguardanti il licenziamento e le dimissioni.

L'articolo 2118 c. C. Prevede che tale obbligazione può essere sospesa soltanto dando un opportuno preavviso, per consentire all'imprenditore di trovare un subentrante, senza creare disguidi alla società. In questi casi, non occorre che il dirigente esprima la sua accettazione, perché la scelta di licenziarsi è una dichiarazione volontaria unilaterale ed inoppugnabile. Tuttavia, prima che il datore di lavoro ne venga a conoscenza, è possibile decidere per la sua revoca.

Il periodo di preannuncio è differente secondo la tipologia dell'accordo stipulato, il tipo di assunzione, l'anzianità raggiunta, ecc. Comunque, se non vengono indicate specifiche disposizioni, si applicano le regole basilari oppure quelle di equità. Le dimissioni assumono validità quando il datore di lavoro la riceve e, dunque, ne viene a conoscenza.

Se vi dimettete senza dare il preannuncio, dovrete sborsare un'indennità di mancato preavvertimento al datore di lavoro.  L'importo da rimunerare corrisponderà all'ammontare della retribuzione che avreste dovuto incassare durante i giorni di preavviso non rispettato.

Comunque, il responsabile può anche rifiutare quest'ultimo.  In questo caso, purché voi siate d'accordo, vi dovrà erogare l'indennità sostitutiva, corrispondente sempre allo stipendio relativo al suddetto intervallo.

Il licenziamento dovrà essere presentata al sovraintendente, attraverso una raccomandata con ricevuta di ritorno, per poter documentare la data di spedizione. Se lo desiderate, potrete anche presentarla mediante posta elettronica certificata e, comunque, entro un lasso massimo di un mese, a partire dalla data del vostro licenziamento volontario. Il datore di lavoro vi dovrà inviare una comunicazione, per richiedervi di firmare la vostra rescissione dal contratto.

Nella lettera delle dimissioni da trasmettere direttamente all'Ufficio del personale della vostra azienda, dovrete: specificare che si tratta di una comunicazione di licenziamento; indicare i vostri dati anagrafici, la data dell'assunzione, la tipologia della funzione, il livello, il giorno a partire dal quale sarà effettivo l'esonero dal lavoro; puntualizzare, nella parte conclusiva della missiva, la scadenza del periodo di preavviso; firmarla e datarla; farne una copia e conservarla insieme alla ricevuta dell'invio.

Il datore di lavoro deve provvedere al pagamento del T.F.R. attraverso la busta paga con la quale eroga l’ultima retribuzione, che, ovviamente, deve essere corrisposto al termine effettivo del rapporto di lavoro e, quindi, con le stesse modalità seguite fino ad oggi, a meno che le parti non si mettano d’accordo diversamente, ma sempre consegnando la busta paga al lavoratore.

Solitamente, nel giro di due o tre mesi, il datore di lavoro provvede a regolarizzare la posizione del dipendente dimesso, quindi, trascorso tale periodo, le consiglio di metterlo ufficialmente in mora a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno.






Lavoro: licenziarsi da un contratto a tempo determinato



Il contratto a tempo determinato è un contratto di lavoro subordinato, nel quale esiste un tempo ben preciso di durata del contratto con una data che indica la fine del rapporto.

L’apposizione del termine, a pena di nullità, deve risultare dall’atto scritto, direttamente (data, evento) o indirettamente dal contesto complessivo dell’atto medesimo.

Nel contratto a tempo determinato non è previsto l'istituto del preavviso ne' il recesso anticipato: il rapporto può cessare prima della scadenza del termine esclusivamente per comune volontà delle parti oppure per recesso per giusta causa (articolo 2119 codice civile).

Questo implica che le dimissioni da parte del lavoratore sono consentite solo se anche il datore di lavoro è d'accordo ovvero quando vi sono condizioni che impediscono di proseguire l'attività di lavoro (dimissioni per giusta causa).

Non è quindi ammesso il licenziamento con preavviso, sia per giustificato motivo che recedere da parte del datore di lavoro, nè le dimissioni da parte del lavoratore a prescindere dalla sussistenza della giusta causa.

In caso di dimissioni per giusta causa il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno che è pari all'ammontare delle retribuzioni che avrebbe percepito se il contratto avesse avuto la durata prevista.

In caso di dimissioni prima del termine senza giusta causa non è previsto esplicitamente il risarcimento del danno, ma la giurisprudenza, ravvisando un palese inadempimento contrattuale, ha previsto un risarcimento integrale del danno provocato al datore di lavoro.

Quando si ottiene un contratto a tempo determinato occorre esaminarlo bene. Per poi poter, in eseguito muoversi in base a quello che viene concordato e poi firmato. Il contratto a tempo determinato prevede sempre una scadenza di fine lavoro. Ma può succedere di volersi licenziare prima per motivi di vario genere. Per questo bisogna seguire delle regole e agire in modo corretto.

La prima cosa che va fatta è quella di rispettare i termini in materia di preavviso. Pertanto questi dipendono dai tempi relativi all'assunzione del contratto a tempo determinato. Di solito questi prevedono quindici giorni. Mentre, se ancora siete nel periodo di prova, non è necessario avvisare. Invece, il problema sorge se lavorate già da tempo nell'azienda. Quindi, dovrete procedere diversamente e cioè avvisare il datore preventivamente. A questo punto è necessario che parlate direttamente con il vostro datore di lavoro, portandogli la lettera di dimissioni. Oppure spedendo tutto tramite raccomandata con ricevuta di ritorno.

A questo punto se vi trovate sotto il periodo di prova o meno, dovrete sottoscrivere una lettera di dimissioni. Questa la dovete consegnare direttamente al vostro datore o all'ufficio del personale competente, in caso di grande azienda. Inoltre, potrete redarla sia a mano che in via telematica. Scrivendola e indicando luogo e data e sottoscrivendo in prima persona la vostra decisione di licenziarvi. È bene farsi consigliare anche da un esperto legale quale può essere un consulente del lavoro. Fate attenzione a non fare errori nella lettera di licenziamento che andate a presentare.

Una volta effettuata la consegna della lettera di licenziamento sarete liberi di non presentarvi più sul posto di lavoro. Il vostro contratto a tempo determinato verrà considerato decaduto e potrete quindi dedicarvi a cercare altro.

Il contratto di lavoro a tempo determinato si estingue normalmente e automaticamente alla data prevista dalle parti stipulanti nel contratto di assunzione. Tale data - lo ricordiamo ancora una volta - può essere stabilita in termini assoluti con il riferimento a un giorno, mese e anno precisi oppure può essere fissata mediante il riferimento al verificarsi di un determinato fatto previsto dalle parti (la chiusura di una fiera; il rientro in servizio del lavoratore sostituito eccetera). In questo caso non si può certo parlare di licenziamento; d'altro canto, pur se il datore non è tenuto ad alcuna formale comunicazione scritta, non pare inopportuno - soprattutto nel caso in cui la durata non sia stata stabilita con riferimento a una data certa ma in relazione a un fatto che potrebbe anche non essere a conoscenza del sostituto (come, appunto, il rientro del lavoratore sostituito, magari assegnato a un diverso reparto aziendale) - consegnare al lavoratore una lettera in cui lo si informa che, per l'avvenuto verificarsi della causale estintiva prevista, a decorrere dal tale giorno, il rapporto si intenderà risolto, con l'obbligo del dipendente di riconsegnare il pass aziendale (e quant'altro in suo possesso, tipo buoni mensa eccetera) e il suo diritto a ricevere le spettanze di fine rapporto.







giovedì 22 settembre 2016

Inps: dimissioni e decorrenza pensione



L’Inps, con il messaggio n. 3755 del 20 settembre 2016, ha fornito alcuni chiarimenti in ordine alla decorrenza da attribuire ai trattamenti pensionistici in caso di dimissioni e risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. In caso di dimissioni telematiche, la decorrenza della pensione si calcola sull'ultimo giorno di lavoro, ossia sulla data precedente a quella inserita nel modulo online.

La decorrenza della pensione di un lavoratore che ha dato le dimissioni o ha risolto consensualmente il rapporto di lavoro per via telematica come previsto dal Jobs Act si calcola in base all’ultimo giorno di lavoro: lo specifica l’istituto previdenziale con Messaggio n.3755 del 20 settembre 2016. I riferimenti legislativi sono il decreto legislativo 151/2015 attuativo della Riforma del Lavoro e il decreto ministeriale del 15 dicembre 2015 che stabilisce le modalità operative per le dimissioni telematiche.

Per determinare la decorrenza della pensione, l’INPS prende come riferimento l’ultimo giorno di lavoro, che, in base alle regole di compilazione del modello telematico per le dimissioni, è quello precedente a quello indicato dal lavoratore.

Il modulo prevede infatti che, nel campo “Data di decorrenza dimissioni/risoluzione consensuale“, venga indicato il giorno successivo all’ultimo giorno di lavoro. In pratica, la data indicata coincide con il primo giorno di mancato svolgimento di attività di lavoro.

A partire dal 12 marzo 2016 le dimissioni volontarie e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro dovranno essere effettuate in modalità esclusivamente telematiche, tramite una semplice procedura online accessibile dal sito Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, utilizzando la specifica procedura online accessibile dal sito del ministero del Lavoro. Sono esclusi da questo obbligo il lavoro domestico, i casi di risoluzione a seguito di conciliazione stragiudiziale e le ipotesi di convalida presso le DTL. Bisogna utilizzare il modulo online, accessibile tramite credenziali INPS, da inviare all’indirizzo di posta elettronica certificata del datore di lavoro e alla direzione territoriale competente.

A partire da tale data, infatti, i datori di lavoro non possono più accogliere le dimissioni presentate dal lavoratore su carta semplice.

Pertanto il lavoratore dimissionario:

se in possesso di PIN INPS, può compilare autonomamente i predetti modelli reperibili sul sito del Ministero del Lavoro.

oppure può rivolgersi ad uno dei soggetti abilitati (patronati, organizzazioni sindacali, enti bilaterali e commissioni di certificazione).


Le dimissioni e risoluzioni consensuali dovranno essere rese “efficaci” dal lavoratore attraverso la compilazione e l'invio telematico procedura che, pena l'inefficacia del recesso, dovrà aver cura di adempiere per mezzo proprio o per tramite di soggetto delegato. L'utilizzo della procedura telematica costituisce, inoltre, unica modalità con cui il lavoratore, entro sette giorni dalla data di convalida del recesso, potrà anche revocare le proprie dimissioni richiamando codice identificativo della comunicazione inviata e marcata temporalmente. Ciò premesso, ai fini della determinazione della decorrenza dei trattamenti pensionistici, la data di cessazione del rapporto di lavoro dipendente coincide con la data dell’ultimo giorno di lavoro, ovvero, con il giorno precedente a quello indicato nella sezione del modulo “Data di decorrenza delle dimissioni /risoluzione consensuale”.




sabato 9 aprile 2016

Lavoro: criticità delle dimissioni telematiche


La nuova procedura per le dimissioni e la risoluzione consensuale introdotta dal Jobs Act ha ottime ragioni ma può presentare anche qualche problema.

Tra le numerose disposizioni contenute nella Legge delega n. 183/2014 “Jobs Act” il Legislatore, nell'obiettivo di adeguamento della regolamentazione del mercato del lavoro sulla base delle nuove esigenze tecnico/produttive, ha lasciato spazio anche alla revisione di una serie di procedure che trovano loro rappresentazione normativa nel D.Lgs 151/2015 conosciuto come “Decreto Semplificazioni”. Uno degli aspetti contenuti nel suddetto decreto è la volontà del Legislatore di effettuare un nuovo “giro di vite” sul fenomeno delle cosiddette “dimissioni in bianco”.

Ricordiamo come, a riguardo, era già intervenuta la precedente riforma del mercato del lavoro Legge n. 92/2012 (Legge Fornero) che aveva introdotto la procedura di convalida delle dimissioni volontarie quale strumento che, nelle more di accertare la genuina volontà del recesso da parte del lavoratore, si configurava, fino al 11 marzo 2016, un valido strumento che permettesse  di accertare la legittimità del recesso con una simbiotica compartecipazione delle parti all'adempimento.

Vediamo com’è articolata la nuova procedura per le dimissioni e le risoluzioni consensuali?

Il lavoratore può procedere personalmente oppure tramite soggetti individuati dalla norma.

Nel caso in cui decidesse di procedere direttamente dovrà:

munirsi di Pin Inps (se non ne è già in possesso);

effettuare apposita registrazione sul portale www.cliclavoro.gov.it munendosi, in tal modo, di una user e di una password;

accedere al sito www.lavoro.gov.it per la compilazione dell'apposito modello. Nel caso in cui il rapporto sia iniziato dopo l'anno 2008, il sistema proporrà automaticamente i rapporti di lavoro esistenti, in modo da consentire al lavoratore la scelta di quello dal quale intende recedere. Al contrario, per i rapporti iniziati prima del 2008 (ante introduzione del modello “UniLav”), sarà lo stesso lavoratore a dover inserire manualmente tutti i dati necessari;

inviare telematicamente il modello, ricevendo, al contempo, un codice alfanumerico attestante
l'avvenuta trasmissione. Il modello sarà automaticamente inoltrato alla competente Direzione Territoriale del Lavoro e alla casella di posta elettronica del datore di lavoro. Da quanto indica il Dicastero di Via Flavia, con la circolare n. 12/2016, per il datore di lavoro sembrerebbe possibile indicare anche una mail “ordinaria” e non, necessariamente, un indirizzo di posta elettronica certificata.

Dal 12 marzo 2016 le dimissioni e risoluzioni consensuali dovranno essere rese “efficaci” dal lavoratore attraverso la compilazione e l'invio telematico come abbiamo visto sopra, procedura che questi, pena l'inefficacia del recesso, dovrà aver cura di adempiere per mezzo proprio o per tramite di soggetto delegato. L'utilizzo della procedura telematica costituisce, inoltre, unica modalità con cui il lavoratore, entro sette giorni dalla data di convalida del recesso, potrà anche revocare le proprie dimissioni richiamando codice identificativo della comunicazione inviata e marcata temporalmente.

La nuova procedura riguarda tutti i datori di lavoro privati con esclusione dei rapporti di lavoro domestico. La procedura di convalida ex art. 26 D.Lgs 151/2016 non riguarderà i casi di dimissioni o risoluzioni consensuali intervenute durante il periodo di congedo di maternità/paternità del soggetto lavoratore o dei primi tre anni di vita del bambino che restano soggette all'obbligo.

Vediamo di mettere  in evidenza altre criticità che la nuova norma solleva. Innanzitutto ci si chiede cosa succederebbe se il lavoratore non seguisse la procedura prevista dalla norma. In caso di mancato esperimento della procedura telematica, il datore di lavoro sarà costretto ad aprire un procedimento disciplinare – ex art. 7 della L. n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori) – dovendo, molto probabilmente, giungere a un licenziamento disciplinare per assenze ingiustificate. Tale recesso comporterebbe, come noto, l'obbligo di pagare il “ticket di licenziamento”.

Un’altra situazione paradossale nella quale potrebbe venirsi a trovare il datore di lavoro è quella relativa all'esercizio del “diritto di ripensamento”. Immaginiamo un lavoratore che, all'improvviso, si dimette. Il datore di lavoro deve correre subito ai ripari ed effettuare una nuova assunzione. Ma il “vecchio” lavoratore, entro sette giorni, può ripensarci e revocare le dimissioni. Quale sarà la sorte del neo-assunto in “sostituzione”?

Infine, se il lavoratore vuole procedere personalmente all’invio delle dimissioni telematiche e non è già in possesso del Pin Inps, dovrà per prima cosa provvedere a tale richiesta e attendere che gli sia recapitato via posta tradizionale una parte del codice. A questo punto, il lavoratore potrebbe trovarsi nella paradossale situazione di non poter rassegnare le dimissioni, o magari a doverle procrastinare nel tempo, in quanto non ha ricevuto in tempo utile il codice pin.

venerdì 8 gennaio 2016

Convalida dimissioni lavoratrice madre


Il nuovo modello è rivolto a madri e padri lavoratori e ricorda le alternative alle dimissioni con i nuovi congedi parentali.

Anche se è indubbio che la convalida delle dimissioni della lavoratrice madre costituisca una misura volta a rendere effettivo il divieto di licenziamento fino all’anno di vita della prole, occorre valutare se le tutele siano concepite in modo così speculare da condizionare i rispettivi ambiti d’applicazione e in particolare il regime delle dimissioni durante il periodo di prova.

E’ stata recentemente pubblicata la lettera circolare prot. n. 22350 del 18 dicembre 2015 della Direzione Generale per l’Attività Ispettiva, del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con la quale comunica, alle proprie Direzioni territoriali, la modifica del modello di convalida delle dimissioni e risoluzione consensuale del rapporto di lavoro da parte delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri.

La compilazione del nuovo modello avverrà entro l’anno 2016 ed è stata predisposta al fine di far conoscere esaustivamente ai lavoratori interessati, le possibili alternative alle dimissioni ed i relativi diritti, come:

la possibilità di fruire del congedo parentale su base oraria (ex art. 32, D.L.vo n. 151/2001);
il diritto a chiedere la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a part-time, in alternativa al congedo parentale (art. 8, comma 7, D.L.vo .n 81/2015).

In particolare, nella prima parte del modulo per la dichiarazione della lavoratrice madre/lavoratore padre, sono stati introdotti la possibilità di fruire del congedo parentale su base oraria (ex art. 32, D.L.gs n.151/2001) ed il diritto a chiedere la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a part-time, in luogo del congedo parentale (art. 8, comma 7, D.L.gs n. 81/2015).

La lettera circolare del Ministero rileva come nel nuovo modulo sia stato altresì precisato che l’estensione dell’indennità prevista per il licenziamento all'ipotesi di dimissioni della lavoratrice madre/del lavoratore padre (ex art. 55 comma 1 D.Lgs n.151/2001) è riferita soltanto a quelle presentate fino al compimento del primo anno di vita del figlio, salva l’ipotesi di dimissioni per giusta causa per le quali spetta l’indennità.

Nel nuovo modello è stato specificato la causa delle dimissioni non convalidate, riconducibili alle seguenti tipologie: “mancata genuinità del consenso”, “mancata conoscenza dei propri diritti”, “altro”.

Sono state apportate delle variazioni all'elenco delle motivazioni delle dimissioni/risoluzioni consensuali, inserendo il riferimento a “organizzazione e condizioni di lavoro particolarmente gravose” e “mutamento della sede di lavoro e delle mansioni”.

L’ipotesi delle dimissioni/risoluzioni consensuali per trasferimento d’azienda (ex lettera f), prima classificata come "chiusura/cessazione/trasferimento d’azienda" è stata ora definita quale “mutamento delle condizioni di lavoro a seguito di trasferimento d’azienda”.

La riformulazione della lettera f è stata attuata al fine di prevenire eventuali elusioni della disciplina relativa al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda (art. 2112 c.c.): in tale ipotesi il personale che riceve la richiesta di convalida dovrebbe chiarire al lavoratore interessato che, in caso di rilevanti modifiche delle condizioni di lavoro in occasione del trasferimento d’azienda, si applica la disciplina delle dimissioni per giusta causa.

Infine si rileva come sia stato eliminato il riferimento al “desiderio di cura esclusiva della prole” in quanto, trattandosi di una causale difficilmente verificabile, potrebbe dissimulare eventuali causali connesse a situazioni di discriminazione.

Inoltre, al fine di evitare la duplicazione nella rilevazione dei dati, il Ministero ha precisato che, ove non si proceda alla convalida in ragione del fatto che la richiesta risulta di competenza di altro Ufficio, il personale addetto dovrà limitarsi ad indirizzare la lavoratrice madre/il lavoratore padre alla Direzione territorialmente competente, senza procedere alla compilazione della modulistica in discussione e senza computare la relativa pratica tra le “dimissioni non convalidate”.

Il Ministero ha precisato, ulteriormente, che – in entrambi i modelli sopraindicati – sono state altresì apportate alcune modifiche con riferimento all’elenco delle motivazioni delle dimissioni/risoluzioni consensuali e, in particolare, è stato inserito il riferimento a:

organizzazione e condizioni di lavoro particolarmente gravose e/o difficilmente conciliabili con le esigenze di cura della prole (nuova lettera d);

mutamento della sede di lavoro e delle mansioni (nuove lettere e, f).

L’ipotesi delle dimissioni/risoluzioni consensuali per trasferimento d’azienda (che nel precedente modulo era classificata come “chiusura/cessazione/trasferimento azienda”, alla lettera f) è stata ora definita in maniera più circostanziata nella nuova lettera h, quale “mutamento delle condizioni di lavoro a seguito di trasferimento d’azienda“.

In particolare, per evitare di causare confusione, si è eliminata l’ipotesi di dimissioni per chiusura/cessazione d’azienda in cui in sostanza si è in presenza di un licenziamento con tutte le conseguenze in termini di indennità e trattamento di disoccupazione, di cui il lavoratore/la lavoratrice dovrebbe essere informato/informata.

La riformulazione della lettera f) è stata effettuata al fine di prevenire eventuali violazioni della disciplina dell’art. 2112 del codice civile: in tale ipotesi il personale che riceve la richiesta di convalida dovrebbe chiarire al lavoratore interessato che – in caso di rilevanti modifiche delle condizioni di lavoro in occasione del trasferimento d’azienda che abbiano determinato la decisione di dimettersi della lavoratrice/del lavoratore – si applica la disciplina delle dimissioni per giusta causa.

E’ stato, altresì, eliminato il riferimento al “desiderio di cura esclusiva della prole” (precedentemente contenuto alla lettera d), in quanto, trattandosi di una situazione difficilmente verificabile in base a parametri oggettivi in occasione della procedura di convalida, potrebbe dissimulare eventuali causali connesse a situazioni di discriminazione che potrebbero aver determinato una manifestazione di volontà non genuina da parte della lavoratrice madre/del lavoratore padre interessati. Del resto, tale motivazione, qualora realmente sussistente, potrebbe senz’altro confluire nella voce “altro“.

La nuova modulistica è disponibile sul sito intranet, nell’apposita sezione “Modulistica in uso” e dovrà essere utilizzata, in sostituzione di quella attualmente adottata, per l’effettuazione del monitoraggio delle convalide delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri, a partire dall’anno 2016.


sabato 5 settembre 2015

Ultime novità su lavoro e delega fiscale



Fra le novità, le più importanti sono quelle sui controlli a distanza: è stato riscritto l’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori per adeguare la disciplina all'evoluzione tecnologica, prevedendo norme specifiche per telefoni e tablet (strumenti sui quali, in pratica, non ci sono paletti). Secondo il ministro, si tratta di una «norma chiara e ben definita» che si muove nel «rispetto delle norme sulla privacy».

Le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro non saranno più “in bianco”, ma dovranno avvenire solo attraverso un modulo online, «numerato e datato», fornito dal ministero del Lavoro. I lavoratori potranno cedere, a titolo gratuito, ai colleghi i riposi e le ferie maturate. La durata della Naspi, l'indennità di disoccupazione in vigore da maggio, è portata fino a 24 mesi anche dopo il 2016: sono queste alcune delle novità sul lavoro, che hanno avuto il via libera del Consiglio dei ministri e che il Sole analizza valutando efficacia e fattibilità.

E’ stata istituita l’ANPAL (Agenzia nazionale per le politiche attive), sono stati fatti accordi con le Regioni per il rafforzamento dei centri per l’impiego con tanto di assegno di ricollocamento, riconosciuto a chi dopo quattro mesi di NASPI non ha ancora trovato lavoro, per aiutare a trovare una nuova occupazione.

Sono state unificate nel nuovo ispettorato generale lavoro le competenze prima distribuite fra tre diversi enti (ispettorato, INPS e INAIL), prevedendo il coordinamento con le ASL allo scopo di migliorare le performance delle ispezioni, semplificando al contempo la vita alle imprese.

Inoltre, i “nuovi” ammortizzatori sociali (Cig) vengono estesi a circa 1,4 milioni di lavoratori e 150mila datori, finora esclusi. Il Jobs Act estende le tutele della Cig a lavoratori e imprese, ridisegna le regole e riduce la burocrazia. Sul tema semplificazioni, invece, i controlli dei dipendenti si adeguano all'evoluzione tecnologica. L'Ispettorato nazionale del lavoro, poi, coordinerà tutte le attività di vigilanza in materia.

Sul fisco sono stati fatti interventi ad ampio raggio: dalla revisione delle sanzioni penali e delle sanzioni amministrative al riordino del contenzioso per arrivare a nuove regole sugli interpelli, le agenzie fiscali e la lotta all'evasione. I decreti approvati dal Cdm di venerdì dovranno ora passare al parlamento per un ultimo parere e avere un ultimo via libera dal Governo entro la fine di settembre.

E’ poi stato stabilizzato il finanziamento per la NASPI a 24 mesi (che quindi non scenderà a 18 mesi dal 2017). E’ anche stata finanziata la stabilizzazione degli interventi su maternità, permessi, cure parentali contenuti nel decreti sulla conciliazione vita-lavoro (previsti in via sperimentale per il solo 2015, diventando quindi strutturali). Infine, c’è una razionalizzazione dell’utilizzo della cassa integrazione a due anni, tre solo nei contratti di solidarietà.

Riguardo la delega fiscale si conferma la sensazione che interventi contenuti nella delega; non è incisiva sui grandi problemi di fondo.

I cinque decreti legislativi approvati in esame preliminare, sono:

Semplificazione e razionalizzazione delle norme in materia di riscossione

L’obiettivo del provvedimento è quello di creare un sistema di riscossione che favorisca la compliance, attraverso norme che inducano il contribuente ad adempiere spontaneamente ai versamenti delle imposte, anche attraverso forme più ampie di rateizzazione. Anche l’erario potrà beneficiare di una maggiore certezza nei tempi di riscossione e di modalità semplificate.

In caso di definizione concordata dell’accertamento, il pagamento può essere effettuato in quattro anni, anziché tre, con un minimo di otto rate e un massimo di sedici.

Viene introdotto il principio del ‘lieve inadempimento’, secondo cui non è prevista la decadenza della rateizzazione nel caso di ritardo del versamento fino a 5 giorni, o di un minor versamento fino al 3% del dovuto con un limite massimo di 10.000 euro.

Riordino delle agenzie fiscali

L’obiettivo della legge delega è quello della revisione dell’organizzazione delle agenzie fiscali, a 15 anni dalle loro istituzione, in funzione del potenziamento dell’efficienza dell’azione amministrativa e della razionalizzazione della spesa. Il decreto prevede il riassetto dei servizi di assistenza, consulenza e controllo per facilitare gli adempimenti tributari, contribuire ad accrescere la competitività delle imprese italiane e favorire un forte richiamo degli investimenti in Italia.

Controlli meno invasivi: la riorganizzazione delle agenzie deve garantire un approccio collaborativo tra amministrazione fiscale, imprese e cittadini. La loro attività deve essere ispirata al principio del ‘controllo amministrativo unico’. In questo modo si evitano duplicazioni e sovrapposizioni e si riduce il disagio per l’attività dell’impresa.

Nell'operazione di riorganizzazione delle agenzie è prevista una riduzione dell’organico dirigenziale con la contestuale riattivazione delle procedure concorsuali.

Riforma del sistema sanzionatorio penale e amministrativo

Il decreto legislativo ha l’obiettivo di rivedere il sistema sanzionatorio penale e amministrativo per tenere conto dei comportamenti che, seppure illeciti, sono comunque privi di elementi fraudolenti e quindi meno gravi. Sono invece rese più severe le sanzioni penali in caso di comportamenti fraudolenti.

Stima e monitoraggio dell’evasione fiscale e monitoraggio e riordino delle disposizioni in materia di erosione fiscale

Nel decreto si prevede di intervenire in modo continuativo e strutturale sul monitoraggio e sulla revisione delle cosiddette “spese fiscali”, sulla rilevazione e l’evoluzione dell’evasione fiscale e contributiva e dei risultati conseguiti nell'azione di contrasto inserendoli in modo sistematico nelle procedure di bilancio.

Contenzioso e interpello

L’intervento normativo si muove prevalentemente lungo le seguenti principali direttrici:
1) l’estensione degli strumenti deflattivi del contenzioso;
2) l’estensione della tutela cautelare al processo tributario;
3) l’immediata esecutività delle sentenze per tutte le parti.

Per ridurre il contenzioso tributario viene potenziato lo strumento della mediazione che attualmente riguarda solo gli atti posti in essere dall’Agenzia delle Entrate con valore non superiore ai 20.000 euro. Con il presente decreto il reclamo finalizzato alla mediazione si applica a tutte le controversie, indipendentemente dall’ente impositore, comprese quindi quelle degli enti locali. Il reclamo viene esteso anche alle controversie catastali (classamento, rendite, ecc) che a causa del valore indeterminato ne sarebbero state escluse. Dal punto di vista soggettivo il reclamo è esteso a Equitalia e ai concessionari della riscossione.

Lo strumento della conciliazione si applica anche al giudizio di appello (fino ad ora riguardava solo le cause di primo grado).

martedì 18 novembre 2014

Dimissioni senza preavviso fino al compimento dell’anno di età del bambino




Il Ministero del Lavoro con l’interpello n. 28/2014 del 7 novembre 2014 ha risposto ad un quesito riguardante le dimissioni della lavoratrice madre/lavoratore padre e l’obbligo di preavviso. Viene confermato che lavoratrice madre o del lavoratore padre non sono tenuti a concedere al datore di lavoro il periodo di preavviso in caso di dimissioni presentate nel periodo in cui sussiste il divieto di licenziamento. E cioè fino al compimento di un anno di età del bambino, non fino al compimento del terzo anno come avviene per la convalida delle dimissioni.

L’articolo 54, comma 1 del D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151 stabilisce il divieto di licenziamento della lavoratrice dall’inizio del periodo di gravidanza sino al compimento di un anno di età del bambino. Il divieto di licenziamento è esteso al padre lavoratore nell’ipotesi in cui questi abbia fruito del congedo di paternità sino al compimento di un anno di vita del bambino.

In caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo di vigenza del divieto di licenziamento [e cioè sino all’anno di vita del bambino], la lavoratrice e il padre lavoratore [sempre che quest’ultimo abbia fruito del congedo di paternità]:

hanno diritto alle indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento;

non sono tenuti ad osservare il preavviso [articolo 55, comma 5 del D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151].

Le menzionate disposizioni in ordine all’obbligo del preavviso non risultano in alcun modo modificate in ragione dell’introduzione dell’articolo 55, comma 4 del richiamato D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, che, introdotto dall’articolo 4, comma 16 della Legge 28 giugno 2012, n. 92, afferisce il solo obbligo di convalida delle dimissioni. Detta norma infatti solo stabilisce che ‘la risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino […] devono essere convalidate dal Servizio ispettivo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali competente per territorio. A detta convalida è sospensivamente condizionata l’efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro’.

Giusto quanto disposto dall’articolo 4, comma 23-bis della Legge 28 giugno 2012, n. 92, l’estensione temporale al terzo anno di vita del bambino dell’obbligo di convalida trova applicazione, almeno a parere dello scrivente, anche nell’ipotesi di risoluzione di un:

 contratto di collaborazione coordinata e continuativa [anche se nella forma del ‘lavoro a progetto’];

contratto di associazione in partecipazione.

Al Ministero è stata richiesta la corretta interpretazione dell’art. 55, comma 5, D.Lgs. n. 151/2001, concernente la possibilità della lavoratrice madre o del lavoratore padre di presentare le dimissioni senza l’osservanza del preavviso sancito dall’art. 2118 c.c.. La domanda era: se la disposizione (la dimissione senza preavviso) si riferisca alle dimissioni presentate durante il primo anno di vita del bambino, ovvero a quelle comunicate al datore di lavoro entro il compimento del terzo anno.

La convalida della dimissione è fino ai primi 3 anni di vita del bambino. Il Ministero nel rispondere ricorda la normativa riguardante la convalida delle dimissioni: “L’art. 55, comma 4 del D. Lgs. n. 151 del 2001, come modificato dall’art. 4, comma 16, della L. n. 92/2012, stabilisce che la risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentata dalla lavoratrice, durante la gravidanza e dalla lavoratrice o dal lavoratore nel corso dei primi tre anni di vita del bambino, deve essere convalidata dal servizio ispettivo del Ministero del Lavoro”.

Le modifiche della Legge Fornero (L. 92/2012) quindi hanno comportato l’estensione, da un anno ai primi tre anni di vita del bambino, del periodo in cui è necessario attivare la procedura di convalida, proprio al fine di predisporre una tutela rafforzata volta a salvaguardare la genuinità della scelta da parte della lavoratrice o del lavoratore”.

Dimissioni senza preavviso fino ad un anno di vita del bambino. Il Ministero però circoscrive la possibilità di dimettersi al primo anno (e non ai tre anni): “In ordine alla questione circa l’obbligo di preavviso nel caso di dimissioni, l’art. 55, comma 5, stabilisce che “nel caso di dimissioni di cui al presente articolo, la lavoratrice o il lavoratore non sono tenuti al preavviso”. La disposizione, sebbene faccia riferimento all’articolo 55 nel suo complesso, è evidentemente riferita all’ipotesi di “dimissioni” presentate nel periodo in cui sussiste il divieto di licenziamento e cioè fino al compimento di un anno di età del bambino. Ciò in considerazione del fatto che le modifiche relative all’estensione temporale da 1 a 3 anni, come sopra osservato, riguardano esclusivamente la procedura di convalida delle dimissioni stesse”.

Riepilogando, fino ad un anno di età del figlio,  la lavoratrice madre o il lavoratore padre possono dimettersi senza preavviso. La dimissione è soggetta convalida di dimissioni, la quale è prevista fino ai 3 anni di età del bambino. Dopo il primo anno di vita del bambino, per dimettersi è necessario concedere il periodo di preavviso. Per tutte le altre informazioni vediamo il licenziamento e la dimissione durante il primo anno di vita del bambino.

Il Ministero chiarisce, infatti, che l’estensione temporale da 1 a 3 anni, introdotta dalla Riforma
Fornero, interessa esclusivamente la procedura di convalida delle dimissioni.
Ne consegue, pertanto, che le dimissioni presentate dalla lavoratrice madre o dal lavoratore padre
(che ha usufruito del congedo di paternità):

entro il primo anno di età del bambino, devono essere convalidate e non sono soggette
all’obbligo di preavviso (anzi, la lavoratrice o il lavoratore hanno diritto alle indennità previste dalle
disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento quali, ad esempio, l’indennità
sostitutiva del preavviso);

oltre il primo anno di vita del bambino e fino al terzo anno di età, devono essere
convalidate e sono soggette al rispetto dei termini di preavviso stabiliti dal CCNL di riferimento.




sabato 8 febbraio 2014

Inps, un piano di accorpamento




Le dimissioni di Antonio Mastrapasqua arrivano in un momento decisivo per il nuovo Inps. Entro la fine di marzo il commissario straordinario che gli succederà dovrà presentare al ministro Enrico Giovannini il piano industriale 2014-2016, il documento con gli obiettivi e il cronoprogramma finale del processo di incorporazione di Inpdap ed Enpals partito due anni fa.

Un "ultimo miglio" fitto di scelte importanti, destinate a pesare sul funzionamento della più grande tecnostruttura amministrativa italiana, con un bilancio secondo solo a quello dello Stato e responsabile di un insieme di prestazioni e servizi che non ha pari in nessun altro ente previdenziale pubblico unico europeo.

Le linee guida di quel piano sono contenute in una missiva che Mastrapasqua ha inviato al direttore generale, Mauro Nori, all'inizio di gennaio. Un documento anticipato dal Sole 24 Ore una ventina di giorni fa e che ora diventa il lascito di una gestione durata più di cinque anni, chiamata a confrontarsi con tre diversi governi e un susseguirsi di piani emergenziali fatti di tagli lineari sui costi di funzionamento dell'Istituto.


Che cosa voleva Mastrapasqua? Una struttura di vertice più compatta, con 31 dirigenti generali (più 17 con incarichi di studio e ricerca riassorbibili con i pensionamenti dei responsabili operativi) contro i 56 di partenza, un dimezzamento delle direzioni centrali a 15, la prospettiva di estendere la funzionalità della centrale unica acquisti all'intero ente con il varo dei nuovi regolamenti di contabilità e un complessivo ridisegno della rete delle sedi territoriali. E ancora: una rimappatura "georefenziata" delle sedi territoriali, misurata sulle nuove esigenze socio-economiche dei diversi distretti e capace di innescare il massimo di sinergie possibili con Agenzia delle entrate, Equitalia e Inail, l'altro grande Istituto nazionale del Welfare a sua volta impegnato nell'attuazione di un piano industriale frutto delle ultime incorporazioni di enti assicurativi pubblici minori.

Parte del patrimonio immobiliare controllato da Inps (il valore è di 3,2 miliardi) verrebbe valorizzato anche (non solo) con questa riconfigurazione, che tra l'altro riguarda il perimetro dove è operativo oltre il 90% dei dipendenti del nuovo Inps, circa 33mila, di cui 25.800 nel solo aggregato ex Inps pre-incorporazioni (sono il 23% in meno rispetto a dieci anni fa, come ha fatto notare ancora recentemente la Corte dei conti).

È un piano che correrà in parallelo e senza sovrapporsi ai famosi 25 tavoli attivati dal commissario per la spending review, Carlo Cottarelli. Inps da quest'anno dovrà già garantire i 515 milioni di minore spesa di funzionamento che erano stati previsti dalla vecchia spendi review di Enrico Bondi e dai tagli successivi; una riduzione che supera il 12% dell'insieme dei costi di gestione. Al suo successore Mastrapasqua lascia anche un'altra eredità importante: la possibilità di gestire la programmazione contabile e di bilancio del nuovo Inps con la certezza che le vecchie anticipazioni alla Ctps dell'Inpdap (25,2 miliardi) non dovranno essere più restituite al Tesoro.

Lo aveva chiesto lo stesso Mastrapasqua a novembre, con la legge di stabilità in discussione, quel «chiarimento nella rappresentazione contabile dell'Istituto» che il legislatore ha poi adottato e che consentirà ora il pieno recupero delle perdite patrimoniali che erano state stimate. Cinque anni fa, quando Antonio Mastrapasqua venne nominato commissario straordinario dell'Inps in Italia erano attivi cinque entri previdenziali che oggi non esistono più (Sportass, Ipost, Enam, Inpdap ed Enpals), oltre a varie gestioni previdenziali poi razionalizzate nell'Istituto.

E in questi cinque anni le regole della nostra previdenza pubblica sono state ritoccate costantemente, fino all'ultima riforma Fornero del 2011. Quello di Mastrapasqua è stato un esercizio complesso, che ora viene inevitabilmente compromesso dalle ombre del conflitto di interessi e delle inchieste. All'Inps si aprirà una fase nuova: trasparenza e nitidezza di comportamenti aiuteranno di sicuro a portare avanti il difficile compito di dare agli italiani un minimo di sicurezza sulle loro pensioni.

domenica 2 febbraio 2014

Dimissioni della lavoratrice madre e dei lavoratori padri



Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha reso noto con la Nota del 9 dicembre 2013 prot. n. 21490, che è stata adeguata la modulistica per la convalida delle dimissioni e della risoluzione consensuale delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri avvenute nei primi tre anni di vita del bambino o di accoglienza del minore adottato. Sarà possibile utilizzare il nuovo modello a partire dal 1° gennaio 2014. Rispetto al precedente modulo di dichiarazione utilizzato dagli Uffici, nel nuovo modulo è contemplata la casistica della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro che deve essere convalidato a seguito della modifica apportata al Testo Unico sulla maternità e paternità dalla Riforma Fornero (art. 4, co. 16, Legge n. 92/2012). Il nuovo modello prevede altresì che venga richiesto anche il dato relativo al numero dei figli e l’età degli stessi (fino ad un anno, da 1 a 3 anni, oltre i 3 anni).

L’ordinamento vigente stabilisce che ‘la risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, o, in caso di adozione internazionale, nei primi tre anni decorrenti dalle comunicazioni di cui all'articolo 54, comma 9 del Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151, devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per territorio. A detta convalida è sospensivamente condizionata l'efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro’. Dal 2014 la convalida presso la Direzione Territoriale di Lavoro competente per territorio dovrà avvenire presentando un apposito modulo, allegato al presente messaggio.

In tale modulo saranno incluse informazioni aggiuntive rispetto a quelle richieste dal modulo attualmente in uso. In particolare, dovranno essere specificati i seguenti elementi: numero ed età dei figli, se vi è stata erogazione di incentivo all’esodo, se il lavoratrice o la lavoratrice hanno in precedenza chiesto di poter ricorrere a strumenti di flessibilità dell’orario o di poter ricorrere ad un rapporto di lavoro a tempo parziale.

La L. 92/2012 ha infatti modificato il comma 4, dell’articolo 55, del d. lgs 151/2001 (T.U. Maternità) per quanto riguarda la convalida presso la Direzione territoriale del lavoro competente per territorio delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro di lavoratrici madri/lavoratori padri durante il periodo protetto che ora quindi dovranno essere convalidate presso la DTL:
dalla lavoratrice durante il periodo di gravidanza;
dalla lavoratrice e dal lavoratore durante i primi 3 anni di vita del bambino;
dalla lavoratrice ed dal lavoratore durante i primi 3 anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento.
Nel modulo in aggiunta alle dimissioni della lavoratrice madre/del lavoratore padre, è stato inserito il riferimento all’ipotesi della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro e, oltre al numero dei figli, è stata specificata anche l’età degli stessi (fino ad 1 anno, da l a 3 anni, oltre 3 anni).
Il Ministero precisa che ai dati contenuti nel report relativo al monitoraggio in questione sono state aggiunte le seguenti informazioni: qualifica, età del figlio, erogazione di incentivo all’esodo, richiesta di part time/orario flessibile da parte del lavoratore/lavoratrice.
Infine si fa presente che la nuova modulistica dovrà essere utilizzata, in sostituzione di quella attualmente adottata, per l’effettuazione del monitoraggio delle convalide delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri, a partire dal mese di gennaio 2014.

domenica 24 marzo 2013

Contribuzione dovuta sulle interruzioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato


L'INPS, con la circolare n. 44 del 22 marzo 2013, ha fornito alcuni chiarimenti sui criteri impositivi e sulla misura del nuovo contributo sulle cessazioni dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato previsto dalla legge di Riforma del mercato del lavoro.

La legge introduce un nesso tra il contributo e il teorico diritto all’Aspi da parte del lavoratore il cui rapporto di lavoro è stato interrotto; conseguentemente, i datori di lavoro saranno tenuti all’assolvimento della contribuzione in tutti i casi in cui la cessazione del rapporto generi in capo al lavoratore il teorico diritto alla nuova indennità, a prescindere dall’effettiva percezione della stessa.

Restano escluse dall’obbligo contributivo le cessazioni del rapporto di lavoro a seguito di:

dimissioni (ad eccezione di quelle per giusta causa o intervenute durante il periodo tutelato di maternità);

risoluzioni consensuali, ad eccezione di quelle derivanti da procedura di conciliazione presso la D.T.L., nonché da trasferimento del dipendente ad altra sede della stessa azienda distante più di 50 km dalla residenza del lavoratore e\o mediamente raggiungibile in 80 minuti o più con i mezzi pubblici;

decesso del lavoratore. 

Il contributo non è dovuto, per il periodo 2013 – 2015, nei seguenti casi: 

licenziamenti effettuati in conseguenza di cambi di appalto, ai quali siano succedute assunzioni presso altri datori di lavoro, in applicazione di clausole sociali che garantiscano la continuità occupazionale prevista dai CCNL;

 interruzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, nel settore delle costruzioni edili, per completamento delle attività e chiusura del cantiere.   

Ne consegue che, per le interruzioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato intervenute nel 2013, a decorrere dal 1 gennaio, per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni, la contribuzione da versare sarà pari a € 483,80 (€1.180X41%).  

Per i soggetti che possono vantare 36 mesi di anzianità aziendale, l’importo massimo da versare nel 2013 sarà, quindi, € 1.451,00 (€483,80 X 3).

L'Inps ha precisato che:
1. il contributo è scollegato all’importo della prestazione individuale; conseguentemente, lo stesso è dovuto nella misura indicata, a prescindere dalla tipologia del rapporto di lavoro cessato (full time o part time);

2. per i rapporti di lavoro inferiori ai dodici mesi, il contributo va rideterminato in proporzione al numero dei mesi di durata del rapporto di lavoro; a tal fine, si considera mese intero quello in cui la prestazione lavorativa si sia protratta per almeno 15 giorni di calendario. Per un rapporto di 10 mesi, ad esempio, l’importo da versare nel 2013 sarà pari a € 403,16;

3. nell’anzianità aziendale si devono includere tutti i periodi di lavoro a  tempo indeterminato. Quelli a tempo determinato si computano se il rapporto è stato trasformato senza soluzione di continuità o se comunque si è dato luogo alla restituzione del contributo dell’1,40%.

4. nel computo dell’anzianità aziendale non si tiene conto dei periodi di congedo di cui all’articolo 42, c. 5 del D.lgs, 151/2001; 

5. la contribuzione va sempre assolta in unica soluzione, non essendo prevista una definizione rateizzata.

6. il contributo è dovuto anche per le interruzioni dei rapporti di apprendistato diverse dalle dimissioni o dal recesso del lavoratore, ivi compreso il recesso del datore di lavoro al termine del periodo di formazione.


mercoledì 31 ottobre 2012

Lavoro: buonuscita per il licenziamento a chi si rivolge e modalità del tfr

Il trattamento di fine rapporto, buonuscita, è la somma che spetta al lavoratore dipendente al termine del lavoro in azienda. Il TFR è un'indennità di carattere assicurativo, un risparmio forzoso.

Iniziamo con dire che l’indennità di buonuscita è una somma di denaro corrisposta al lavoratore quando termina il servizio. E si rivolge ai lavoratori iscritti al fondo di previdenza per i dipendenti civili e militari dello Stato gestito dall’Inps Gestione ex Inpdap, assunti con contratto a tempo indeterminato entro il 31 dicembre 2000, che hanno risolto, per qualunque causa, il rapporto di lavoro e quello previdenziale con l’Inps Gestione ex Inpdap con almeno un anno di iscrizione.

Per il personale assunto con contratto a tempo indeterminato dopo il 31 dicembre 2000 trova applicazione, la disciplina del trattamento di fine rapporto (Tfr), con esclusione del personale non contrattualizzato (ad esempio: militari, docenti e ricercatori universitari, ecc.) per il quale continua ad applicarsi la disciplina dell’indennità di buonuscita anche se assunti successivamente a tale data.

A partire dalle anzianità maturate a decorrere dal 1° gennaio 2011, l’importo della prestazione è calcolato in due quote:

la prima quota si calcola in base all’anzianità maturata fino al 31 dicembre 2010 ed è pari a tanti dodicesimi dell’80% della retribuzione annua lorda percepita al momento del collocamento a riposo comprensiva della tredicesima mensilità, per quanti sono gli anni utili. Si considera come anno intero la frazione di anno superiore a sei mesi. (decreto del Presidente della Repubblica 1032 del 29 dicembre 1973 e successive integrazioni e modificazioni);

la seconda quota si calcola in base all’anzianità maturata dal 1° gennaio 2011 ed è determinata dall’accantonamento di una quota pari al 6,91% della retribuzione contributiva annua e dalle relative rivalutazioni, per ogni anno di servizio. Le frazioni dell’ultimo anno di servizio sono proporzionalmente ridotte e l’aliquota del 6,91 per cento sarà applicata alla retribuzione contributiva mensile in base alla retribuzione utile mensile. Si considera come mese intero la frazione di mese uguale o superiore a 15 giorni.

Il TFR si calcola sommando, per ciascun anno intero di servizio, e/o mesi, una quota pari e, comunque, non superiore all'importo della retribuzione dovuta, divisa per 13,5.

L’indennità può pertanto essere quindi percepita:
in una sola rata, per importi complessivi lordi non superiori ai 90.000 euro;

in due rate se la cifra, sempre complessiva lorda, sia tra i 90.000 euro e i 149.999, nel qual caso ad una rata da 90.000 ne seguirà una seconda dopo 12 mesi, con la parte restante del trattamento;

in tre rate infine se la buonuscita per il licenziamento è uguale o superiore ai 150.000 euro; per quest’ultima tipologia la prima rata è sempre da 90.000 euro, la seconda è di 60.000 e si percepisce a distanza di 12 mesi, mentre la terza (ad altri 12 mesi dall’ultima) contiene la parte mancante.

E’ bene ricordare  che la buonuscita per il licenziamento non è suddivisibile per rate qualora il rapporto di lavoro si sia concluso, per la presentazione delle dimissioni o il raggiungimento della massima età, entro il 30 Novembre 2010.

Vediamo le modalità di pagamento, in particolare, la norma dispone che l’indennità sia corrisposta:
in unico importo se l’ammontare complessivo lordo è pari o inferiore a 90.000 euro;

in due importi se l’ammontare complessivo lordo è superiore a 90.000 euro ma inferiore a 150.000 euro. In questo caso la prima somma da liquidare è pari a 90.000 euro e la seconda è pari all’importo residuo. La
seconda somma verrà corrisposta dopo 12 mesi dalla decorrenza del diritto al pagamento;

in tre importi se l’ammontare complessivo lordo è uguale o superiore a 150.000 euro. In questo caso la prima somma da liquidare è pari a 90.000 euro, la seconda è pari a 60.000 euro e la terza è pari all’importo residuo. La seconda e la terza somma saranno pagate rispettivamente dopo 12 e 24 mesi dalla decorrenza del diritto al pagamento.

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