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venerdì 29 giugno 2012
Riforma del lavoro 2012. Licenziamenti aziende con meno di 15 dipendenti
Addio reintegro automatico in caso di licenziamento per motivi economici. Prevista in alcuni casi un'indennità risarcitoria. La procedura di conciliazione, obbligatoria in questo primo caso, non potrà più essere bloccata da una malattia «fittizia» del lavoratore. Uniche eccezioni saranno maternità o infortuni sul lavoro. La riforma del lavoro, così come disegnata dal ddl definitivo, modifica le norme sul licenziamento in Italia previste fino a oggi dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori reintroducendo il possibile reintegro per tutti i tipi di licenziamento illegittimo (a discrezione del giudice e solo in casi estremi). Ad esclusione per i licenziamenti discriminatori, le nuove norme sul reintegro si applicano solo alle aziende con più di 15 dipendenti.
Nelle piccole imprese sotto i 15 dipendenti le regole restano immutate.
Per quanto riguarda i ricorsi le norme restano le stesse:
il licenziamento individuale illegittimo è sanzionato con un’indennità fra 2,5 e 6 mensilità
il licenziamento discriminatorio è sanzionato con il reintegro, senza onere della prova a carico del lavoratore, perché è il giudice stabilire se il licenziamento è discriminatorio.
A stabilire ciò era e resta l’articolo 3 della legge n° 108 del 1990, in base alla quale il licenziamento discriminatorio «é nullo indipendentemente dalla motivazione addotta e comporta, quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro, le conseguenze previste dall‘articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300». E vale anche per i dirigenti.
La riforma del lavoro introduce come novità l’obbligo da parte di qualunque azienda di comunicare le motivazioni del licenziamento. E dovrà farlo per iscritto, in base all‘articolo 1 della legge 15 luglio 1966, n. 604 sui licenziamenti individuali.
Si tratta di un cambiamento rispetto a quanto previsto dall‘articolo 2 della stessa legge, secondo la quale il datore di lavoro doveva comunicare le motivazione del licenziamento solo se il lavoratore lo richiedeva: la richiesta doveva arrivare entro otto giorni dal provvedimento e l’impresa a quel punto aveva cinque giorni per far pervenire la motivazione scritta.
Adesso, più semplicemente, «la comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato».
Il lavoratore ha ancora 60 giorni per impugnare il licenziamento, ma ha solo altri 180 giorni per depositare il ricorso alla cancelleria del tribunale o per comunicare alla controparte la richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, mentre prima aveva 270 giorni per il deposito in cancelleria (articolo 32, comma 1, della legge 4 novembre 2010, n. 183).
La precisazione sulla formulazione del licenziamento è importante perché la nuova norma prevede una diversificazione di diritti a seconda delle diverse tipologie di licenziamento.
Le leggi proteggono dal licenziamento e prevedono sempre il reintegro, anche sotto i 15 dipendenti, per le donne in gravidanza (decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151), o in concomitanza del matrimonio (decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198). Il periodo di protezione della “concomitanza con il matrimonio” va dal giorno delle pubblicazioni a un anno dalla celebrazione delle nozze.
È previsto il reintegro del posto di lavoro anche nel caso in cui il licenziamento sia ritenuto non valido perché comunicato in forma orale per tutte le aziende, anche sotto i 15 dipendenti.
Oltre al reintegro, il giudice stabilisce un’indennità «commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative». In ogni caso questo risarcimento non può essere inferiore a cinque mensilità. Il datore di lavoro deve pagare anche i contributi previdenziali e assistenziali per il medesimo periodo.
Il lavoratore deve tornare al lavoro entro trenta giorni dall’invito del datore di lavoro in seguito all’ordine di reintegrazione. Se non lo fa, il rapporto di lavoro è risolto.
Il lavoratore, nel caso in cui non voglia tornare in azienda, ha diritto a chiedere in sostituzione del reintegro un risarcimento pari a 15 mensilità (senza contribuzione). La richiesta deve essere fatta entro 30 giorni dall’ordine di reintegro o dall’invito del datore di lavoro a rientrare.
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