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sabato 3 novembre 2018
Le necessità dei lavoratori: solidità e onestà dell'azienda
L’attivazione di servizi di benessere aziendale rappresentano un vero e proprio investimento per le aziende, una strategia che sempre più spesso nasce dall’impiego del premio di risultato e che ha come conseguenza l’aumento della soddisfazione dei dipendenti.
Un'azienda solida, un capo onesto, possibilità di lavoro flessibile e crescita professionale: ecco cosa piace ai lavoratori. Le richieste dei lavoratori si fanno sempre più chiare, avendo maggiore consapevolezza del proprio ruolo e delle competenze. Ma cosa vogliono di preciso? Ce lo rivela il recente sondaggio condotto da Kelly Services, Talent@work, che ha intervistato oltre 14mila candidati in dieci Paesi Europei su tre aspetti principali: ambiente e modalità di lavoro, leadership.
Il primo elemento è determinante: il 55% dei candidati, prima di accettare un’offerta, si informa sulle condizioni generali dei lavoratori. Ma conta anche la possibilità di fare carriera: il 41% punta a crescere dal punto di vista professionale. Il 40% ha bisogno anche di sapere che andrà a far parte di un’azienda solida, non accettando l’instabilità tipica di questo momento storico.
Per quanto riguarda il rapporto con la leadership, i lavoratori dichiarano di essere condizionati dal manager che è alla guida dell’azienda per cui si stanno candidando: nel dettaglio, l’86% considera un elemento fondamentale averne una buona opinione. In particolare, sono considerati valori fondanti il senso di responsabilità e l’onestà. Anche nel macro tema del rapporto con la leadership torna l’argomento della crescita professionale e il 69,6% si aspetta di acquisire nuove competenze con il nuovo lavoro.
Per quanto riguarda l’ultimo settore della ricerca la situazione appare altalenante. In generale piace l’idea di un lavoro flessibile, che garantisca un buon equilibrio tra vita privata e professionale, ma lo smart working non convince tutti. Il 66% dei rispondenti dichiara infatti di trovare il rapporto con i colleghi più semplice convivendo in ufficio, mentre il 45% apprezza il fatto di poter socializzare con altre persone, e il 34% dei lavoratori che hanno scelto il remoto afferma di sentirsi isolato.
Secondo quanto rivelato dal 5° Rapporto Welfare e 2° Rapporto Wellbeing di OD&M Consulting, risultato di due indagini condotte su un campione di 161 aziende italiane oltre 500 lavoratori, il 77,5% delle grandi aziende vanta un piano di welfare attivo ma anche il 62,5% delle piccole imprese sta pensando all’implementazione nel breve periodo.
Sono sette su dieci, inoltre, le aziende che vanno incontro ai bisogni dei lavoratori promuovendo analisi sociodemografiche o survey interne/focus group.
Il welfare aziendale è ormai un pilastro fondamentale del Total Reward per la gestione del rapporto azienda/lavoratore; proprio per questo, per garantire il successo dei piani sono cruciali il coinvolgimento dei dipendenti e la soddisfazione di effettivi bisogni che si estendono sempre più alla dimensione famigliare e al benessere individuale – afferma Miriam Quarti, Senior Consultant e Responsabile dell’area Reward&Performance di OD&M Consulting -. Presidiare l’intero processo, identificare le modalità di implementazione più coerenti con le finalità e procedere soprattutto con una comunicazione strategica e operativa mirata sono aspetti fondamentali per il successo del piano. Il welfare aziendale è parte integrante di un nuovo patto tra azienda e lavoratore, basato non più solo sull’erogazione di denaro, ma anche di servizi che aiutano le persone ad accrescere il loro benessere nell’organizzazione. Questo è un aspetto da valorizzare in modo adeguato con i lavoratori.
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mercoledì 11 maggio 2016
Trovare lavoro con un tweet ecco hashtag jobfair
Il 19 maggio Twitter con l'iniziativa #Jobfair ha lanciato una giornata di mercato virtuale dell'impiego per chi cerca e chi offre lavoro, nella quale le aziende e le persone a caccia di lavoro possano dialogare in 140 battute.
Le regole sono poche e semplici: ad ogni azienda interessata a trovare nuovo personale, dopo aver seguito la procedura d'iscrizione all'iniziativa, basterà inviare un tweet che, oltre all'hashtag #JobFair, dovrà riportarne di altri, per meglio descrivere l'offerta lavorativa.
A partire dal 2014 la società ha iniziato a celebrare delle giornate particolari, e il 19 maggio è una di queste date nella quale domanda e offerta di lavoro sono invitate ad incontrarsi. Per le aziende c'è l'opportunità di registrarsi in anticipo sotto il simbolo #Jobfair (fiera del lavoro), E compilare liste delle posizioni disponibili. nel giorno fissato gli aspiranti iniziano a consultare le inserzioni, e avviano lo scambio di messaggi per la selezione e la trattativa finale.
In Italia l'hashtag ufficiale della giornata sarà #JobFair. Sarà quindi sufficiente pubblicare i propri tweet inserendo l'hashtag ufficiale per facilitarne la condivisione. Nel corso della giornata le aziende di tutta Europa twitteranno in tempo reale le proprie offerte di lavoro, mentre chi è in cerca di una nuova occupazione risponderà inviando il proprio curriculum vitae.
Durante l’evento ci sarà anche la possibilità di ricevere consigli e suggerimenti da esperti del settore, che daranno il loro contributo aggiungendo l’hashtag ufficiale ai loro Tweet.
Le aziende o le agenzie di selezione che stanno cercando personale per le proprie posizioni aperte potranno:
・ indicare il settore di pertinenza (es. #Marketing, #Vendite)
・ il luogo di lavoro (es. #Milano, #Roma o #CentroItalia)
così da misurare al meglio la ricerca degli annunci di lavoro.
Twitter poi invierà ulteriori informazioni a tutte le aziende che si registreranno, che avranno così la possibilità di partecipare a sessioni di formazione dedicate all'uso di Twitter per le attività di job scouting.
Il tema del lavoro è sempre più comune sul social network: sono già tante le aziende che hanno attivato un account specifico sulla piattaforma per la selezione del personale e Twitter è uno strumento molto efficace che per chi voglia costruire il proprio profilo professionale e una rete di contatti, restare aggiornato sulle novità che riguardano i diversi settori e andare alla ricerca di nuove opportunità.
Certo, condensare il proprio curriculum, in appena 140 caratteri, non sarà un'impresa semplice, ma un uso sapiente degli hashtag, che mettano in risalto i punti di forza (ad esempio: #inglese, #espertomarketing, ecc.), potrebbe darvi la possibilità di essere contattati per un colloquio.
Concludendo, il 19 maggio Twitter si trasformerà in una enorme fiera del lavoro europea: un'opportunità da cogliere al volo.
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venerdì 9 ottobre 2015
Integrazione salariale: rimborso alle aziende entro sei mesi
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha fornito le prime indicazioni e chiarimenti operativi in merito alle nuove disposizioni in tema di riordino della materia degli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, con particolare riferimento durata e procedimento di concessione del trattamento straordinario di integrazione salariale.
La cassa integrazione riformata comporta novità anche per le imprese, con la nuova decadenza per la richiesta di rimborso all’INPS. Il trattamento viene infatti anticipato dall’azienda alla fine di ogni periodo di paga, con importo rimborsato dall’INPS o conguagliato in base alle norme sui contributi dovuti e prestazioni corrisposte.
Per i trattamenti richiesti dal 24 settembre (entrata in vigore del Dlgs 148/2015) o in data anteriore ma non ancora conclusi al 24 settembre, è introdotto il termine di 6 mesi dalla fine del periodo di paga. In via esemplificativa, se il periodo autorizzato scatta il giorno 1° ottobre, l’azienda potrà richiedere il rimborso all’INPS o effettuare il conguaglio entro 6 mesi decorrenti dal 30 ottobre, quindi entro il 30 aprile, a pena di decadenza.
Se il provvedimento di concessione è successivo al termine del trattamento di integrazione salariale autorizzato, i 6 mesi decorrono dalla concessione. In via esemplificativa, nell’ipotesi in cui il trattamento sia autorizzato per il periodo dal 1° dicembre 2015 al 30 novembre 2016, con decreto direttoriale emesso e datato 1° gennaio 2017, i sei mesi decorrono dalla data del provvedimento, ovvero dal 1° gennaio 2017.
Nel caso in cui non sia ancora stato chiesto il rimborso INPS per trattamenti conclusi prima del 24 settembre, i 6 mesi decorrono dall’entrata in vigore del decreto (quindi, bisogna chiedere il rimborso entro il 24 marzo, a pena di decadenza) oppure, se successiva, dalla data del provvedimento di autorizzazione. Esempio: trattamento di integrazione salariale dal primo dicembre 2013 al 30 novembre 2014, i sei mesi si calcolano dal 24 settembre 2015 (entrata in vigore del decreto di riforma ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro). Se però il decreto di concessione è stato emesso il 30 settembre 2015, i 6 mesi decorrono da tale data.
Resta possibile, per la cassa integrazione straordinaria, il pagamento diretto da parte dell’INPS, che deve essere disposto dal ministero del Lavoro contestualmente al provvedimento di concessione.
L’impresa deve farne richiesta, sulla base di documentate difficoltà finanziarie. Il pagamento diretto INPS può essere revocato nel caso in cui il servizio ispettivo accetti l’assenza di difficoltà finanziarie dell’azienda.
Cambia il sistema di calcolo dei contributi da parte delle imprese beneficiarie della cassa integrazione. C’è un collegamento diretto tra costo del trattamento e la sua durata. Le aziende devono un contributo ordinario e, nei casi di utilizzo delle integrazioni salariali, un contributo aggiuntivo.
Il contributo ordinario per la cassa integrazione ordinaria. A carico delle imprese potenziali beneficiarie della cassa integrazione ordinaria è stabilito un contributo ordinario, nella misura di:
a) 1,70 % della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per i dipendenti delle imprese industriali
che occupano fino a 50 dipendenti;
b) 2,00 % della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per i dipendenti delle imprese industriali che occupano oltre 50 dipendenti;
c) 4,70 % della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per gli operai delle imprese dell'industria e artigianato edile;
d) 3,30 % della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per gli operai delle imprese dell'industria e artigianato lapidei;
e) 1,70 % della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per gli impiegati e quadri delle imprese dell'industria e artigianato edile e lapidei che occupano fino a 50 dipendenti;
f) 2,00 % della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per gli impiegati e quadri delle imprese dell'industria e artigianato edile e lapidei che occupano oltre 50 dipendenti.
Il contributo ordinario per la cassa integrazione straordinaria. L’articolo 23 del Decreto conferma l’aliquota di contribuzione ordinaria già prevista dalla normativa precedente: “E' stabilito un contributo ordinario nella misura dello 0,90 % della retribuzione imponibile ai fini previdenziali dei lavoratori per i quali trova applicazione la disciplina delle integrazioni salariali straordinarie, di cui 0,60 % a carico dell'impresa o del partito politico e 0,30 % a carico del lavoratore.
Poi c’è un contributo dovuto sia per la cassa integrazione ordinaria che straordinaria in caso di presentazione della domanda di integrazione salariale. L’art. 5 del Decreto Legislativo n. 148 del 14 settembre 2015 stabilisce la contribuzione addizionale che devono versare le imprese: “A carico delle imprese che presentano domanda di integrazione salariale è stabilito un contributo addizionale, in misura pari a:
9 % della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate, relativamente ai periodi di integrazione salariale ordinaria o straordinaria fruiti all'interno di uno o più interventi concessi sino a un limite complessivo di 52 settimane in un quinquennio mobile; b) 12 % oltre il limite di cui alla lettera a) e sino a 104 settimane in un quinquennio mobile; c) 15 % oltre il limite di cui alla lettera b), in un quinquennio mobile.
Si passa quindi dalle vecchie aliquote del 4% per la CIG ordinaria (che diventava 8% nelle aziende con oltre 50 addetti) e del 3% per la CIGS (che diventava 4,5% nelle imprese con più di 50 dipendenti) alla percentuale identica per entrambi i trattamenti del 9% che poi diventa il 12% e il 15%, come chiarito sopra. Per la cassa integrazione straordinaria le aliquote raddoppiano come minimo. Ovviamente in caso di utilizzo dei trattamenti di integrazione salariale.
Dall’altro lato calano invece i contributi ordinari dovuti da tutte le imprese potenziali beneficiarie per la cassa integrazione ordinaria, mentre quelli per la cassa integrazione straordinaria rimangono identici. La percentuale per la CIGO infatti è ora dell’1,70% per le aziende fino a 50 dipendenti, mentre nel passato era dell’1,90%. Per le aziende con oltre 50 dipendenti la percentuale è del 2% rispetto al 2,2% della precedente normativa.
domenica 3 novembre 2013
Opportunità di lavoro con i career days
I career days sono delle occasioni da parte degli studenti e laureati per ottenere un approccio con il mondo del lavoro e di solito si sviluppano in due giornate, in cui i partecipanti possono conversare con i manager e i responsabili delle risorse umane di aziende.
I partecipanti possono sostenere colloqui individuali e di gruppo, raccogliere informazioni relative ai profili professionali richiesti, consegnare i propri curricula direttamente ai responsabili delle aziende.
Il Career Day rappresenta senza dubbio uno dei momenti più importanti della vita universitaria degli studenti e laureati. In Italia da tempo hanno preso piede iniziative di placement che permettano la maggiore visibilità possibile dei curricula per studenti e laureati, nonché nell’offrire tutte quelle opportunità che permettano a studenti e laureati di avere elementi utili per una ricerca attiva delle opportunità di lavoro in una dimensione sia territoriale che europea.
Nel corso degli eventi, si possono conoscere direttamente i recruiter, svolgere presso i loro desk brevi colloqui conoscitivi, consegnare il proprio Cv e partecipare alle presentazioni aziendali.
Il Career Day è una tappa del percorso di ricerca di lavoro: generalmente bisogna informarsi sulle aziende che partecipano e sulle posizioni aperte ed è ovviamente indispensabile raccogliere notizie sulle aziende che interessano di più Per arrivare preparati al momento della consegna del CV allo stand e magari sostenere un breve colloquio- e fare una buona impressione - è importante conoscere anche la storia dell’azienda, la situazione finanziaria, le aree di attività.
Non bisogna eliminare a priori nessuna azienda, ed è importante entrare in contatto con tutti, cercare occasioni di dialogo, ed stabilire gli incontri come occasioni di scambio ed acquisizione.
Prima del colloquio è utile prepararsi a presentarsi in modo rapido con argomentazioni adeguate all’azienda che si ha di fronte.
È fondamentale leggere i profili per capire i termini utilizzati dalle aziende per presentarsi e illustrare le figure che sono inseguite ed inoltre fare domande per capire qual è il profilo che sta cercando l’azienda. Approfondire i criteri di scelta: che tipo di persone stanno cercando? Come sono considerati e trattati i giovani?
Approfondire le aspettative verso i ruoli proposti per i neoassunti, andando oltre le schede di presentazione e ponete delle domande: quali sono i contenuti del lavoro? Quali le persone con cui si lavora? Quali sono gli elementi di difficoltà del lavoro?
Di fronte si ha i responsabili delle risorse umane delle maggiori aziende italiane, cerca di raccogliere spunti e i suggerimenti che potranno esserti utili anche per colloqui futuri. Il Career Day è un’opportunità per capire cosa cercano le aziende e cosa si aspettano dai candidati.
L’International Career Day è un evento dedicato alle opportunità di carriera in ambito internazionale. La manifestazione è rivolta a laureandi, neolaureati e giovani professionisti e permette di conoscere meglio le posizioni aperte, gli ambienti di lavoro, i corsi di formazione e di sviluppo professionale, i corsi di laurea e le possibilità di borse di studio.
Sarà possibile ottenere informazioni sulle opportunità di lavoro e le condizioni di vita all’estero grazie alla presenza di consulenti Eures di alcuni paesi europei come Germania, Gran Bretagna, Irlanda, Norvegia, Svezia, Spagna, Francia, Danimarca e Svizzera.
Durante la manifestazione sarà inoltre possibile entrare in contatto diretto con le imprese, le università e le business school che offrono opportunità in ambiente multiculturali.
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sabato 20 luglio 2013
Sgravi 2012 scadenza il 25 luglio 2013
Ultimi giorni per richiedere gli sgravi contributivi legati alle retribuzioni premiali derivanti dalla contrattazione di secondo livello, corrisposte nel 2012. Scade infatti il 25 luglio il termine per trasmettere le istanze all'Inps, tramite il canale telematico, anche per i lavoratori iscritti all'Inpgi e per quelli ex-Inpdap ed ex-Enpals.
Peraltro, il messaggio Inps 10127 del 21 giugno 2013, oltre ad aver dettato le tempistiche per l'invio delle domande dai datori di lavoro interessati o degli intermediari abilitati, ha concesso anche una sorta di compromesso: per consentire agli utenti di verificare ed eventualmente aggiornare le istanze inoltrate, c'è tempo fino alle 23 del 26 luglio per annullarle e trasmetterle nuovamente.
Le modalità di richiesta dello sgravio sono state fornite dall'Ente di previdenza con la circolare 73/2013. La fonte normativa, invece, è nella legge 92/2012, che ha riagganciato la concessione dei benefici contributivi sulle erogazioni di produttività ai criteri regolatori della legge 247/2007. È poi intervenuto il Dm Lavoro-Economia del 27 dicembre 2012, che ha fissato al 2,25% della retribuzione contrattuale annua (corrisposta al lavoratore e imponibile ai fini contributivi, comprensiva della retribuzione variabile interessata allo sgravio) il limite degli emolumenti di secondo livello assoggettabili alla riduzione contributiva. Anche per i premi 2013, bisogna attendere una disposizione analoga.
Lo sgravio è pari al 25% dell'aliquota dovuta dai datori di lavoro, mentre riguarda l'intera contribuzione a carico del lavoratore, senza perdita di copertura pensionistica.
Prima di procedere con le istanze, però, è bene verificare il rispetto delle condizioni richieste: intanto, le somme interessate al beneficio e previste dagli accordi collettivi di secondo livello dovevano essere incerte nella loro corresponsione o nel loro ammontare, in linea con lo spirito incentivante.
Un altro requisito è il collegamento degli emolumenti a parametri di produttività e di competitività: possono rientrarvi anche le intese stipulate in base all'articolo 8 del Dl 138/2011 (contratti di prossimità). Inoltre, gli accordi aziendali o territoriali istitutivi dei salari di secondo livello dovevano essere depositati presso la Dtl, entro il 6 maggio 2013.
Per accedere all'agevolazione, l'impresa deve rispettare le condizioni previste dalla legge 296/2006, in materia di regolarità contributiva e la parte economica prevista da accordi e contratti collettivi. Tutte le domande trasmesse, secondo le condizioni previste, saranno ammesse al beneficio (che andrà recuperato attraverso le denunce Uniemens) e l'Inps ne darà comunicazione entro 60 giorni dal termine per la presentazione. Se le risorse disponibili - pari a 650 milioni di euro - non fossero sufficienti a coprire la concessione dello sgravio nella misura richiesta dalle aziende, l'istituto dovrà riproporzionare gli importi.
Peraltro, il messaggio Inps 10127 del 21 giugno 2013, oltre ad aver dettato le tempistiche per l'invio delle domande dai datori di lavoro interessati o degli intermediari abilitati, ha concesso anche una sorta di compromesso: per consentire agli utenti di verificare ed eventualmente aggiornare le istanze inoltrate, c'è tempo fino alle 23 del 26 luglio per annullarle e trasmetterle nuovamente.
Le modalità di richiesta dello sgravio sono state fornite dall'Ente di previdenza con la circolare 73/2013. La fonte normativa, invece, è nella legge 92/2012, che ha riagganciato la concessione dei benefici contributivi sulle erogazioni di produttività ai criteri regolatori della legge 247/2007. È poi intervenuto il Dm Lavoro-Economia del 27 dicembre 2012, che ha fissato al 2,25% della retribuzione contrattuale annua (corrisposta al lavoratore e imponibile ai fini contributivi, comprensiva della retribuzione variabile interessata allo sgravio) il limite degli emolumenti di secondo livello assoggettabili alla riduzione contributiva. Anche per i premi 2013, bisogna attendere una disposizione analoga.
Lo sgravio è pari al 25% dell'aliquota dovuta dai datori di lavoro, mentre riguarda l'intera contribuzione a carico del lavoratore, senza perdita di copertura pensionistica.
Prima di procedere con le istanze, però, è bene verificare il rispetto delle condizioni richieste: intanto, le somme interessate al beneficio e previste dagli accordi collettivi di secondo livello dovevano essere incerte nella loro corresponsione o nel loro ammontare, in linea con lo spirito incentivante.
Un altro requisito è il collegamento degli emolumenti a parametri di produttività e di competitività: possono rientrarvi anche le intese stipulate in base all'articolo 8 del Dl 138/2011 (contratti di prossimità). Inoltre, gli accordi aziendali o territoriali istitutivi dei salari di secondo livello dovevano essere depositati presso la Dtl, entro il 6 maggio 2013.
Per accedere all'agevolazione, l'impresa deve rispettare le condizioni previste dalla legge 296/2006, in materia di regolarità contributiva e la parte economica prevista da accordi e contratti collettivi. Tutte le domande trasmesse, secondo le condizioni previste, saranno ammesse al beneficio (che andrà recuperato attraverso le denunce Uniemens) e l'Inps ne darà comunicazione entro 60 giorni dal termine per la presentazione. Se le risorse disponibili - pari a 650 milioni di euro - non fossero sufficienti a coprire la concessione dello sgravio nella misura richiesta dalle aziende, l'istituto dovrà riproporzionare gli importi.
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domenica 3 marzo 2013
INPS: agevolazioni per le aziende per lo sgravio contributivo
L'Inps concede più tempo alle aziende che hanno beneficiato dello sgravio contributivo sulle retribuzioni di secondo livello per integrare (se necessario) il versamento al Fondo di tesoreria relativo agli anni 2010 e/o 2011. Con il messaggio 3678/2013, diffuso il 1° marzo, l'istituto ha risposto positivamente alle richieste di agevolare le operazioni di contabilizzazione del contributo dello 0,5% afferente il Tfr.
Con la circolare 151/2012 l'Inps aveva invitato le aziende a modificare i calcoli eseguiti in passato (anni 2010 e/o 2011) e a versare le differenze relative agli anni trascorsi, entro il 16/3/2013. Tuttavia, al fine di semplificare il complesso degli adempimenti posti in capo ad aziende e intermediari, ora indica un percorso facilitato.
Le differenze sulle quote di Tfr, scaturenti a seguito dell'effettiva fruizione da parte delle aziende dello sgravio contributivo per gli anni 2010 e/o 2011, potranno essere versate al Fondo di tesoreria, per la prima volta, nel corso del corrente anno, entro il 16 giugno (periodo "maggio 2013"), senza eseguire ricalcoli per gli anni precedenti. Per il futuro, la quota insorgente di Tfr dovrà essere versata nell'anno in cui i datori di lavoro fruiscono effettivamente dello sgravio, anche se lo stesso si riferisce a somme erogate in base a contratti che riguardano annualità precedenti.
Si legge nella circolare “al fine di semplificare il complesso degli adempimenti che fanno capo ad aziende ed intermediari, si è pervenuti nella determinazione che le differenze di TFR – divenute tali a seguito dell’effettiva fruizione da parte delle aziende dello sgravio contributivo per gli anni 2010 e/o 2011 anche sul contributo 0,50% ex lege n. 297/1982 - potranno essere versate al Fondo di Tesoreria, per la prima volta, nel corso del corrente anno, entro il 16 maggio 2013. A regime, il versamento dovrà intervenire nell’anno in cui i datori di lavoro fruiscono effettivamente dell’incentivo, ancorché lo stesso si riferisca a somme erogate in relazione a previsioni contrattuali che riguardano annualità precedenti.
Con la circolare 151/2012 l'Inps aveva invitato le aziende a modificare i calcoli eseguiti in passato (anni 2010 e/o 2011) e a versare le differenze relative agli anni trascorsi, entro il 16/3/2013. Tuttavia, al fine di semplificare il complesso degli adempimenti posti in capo ad aziende e intermediari, ora indica un percorso facilitato.
Le differenze sulle quote di Tfr, scaturenti a seguito dell'effettiva fruizione da parte delle aziende dello sgravio contributivo per gli anni 2010 e/o 2011, potranno essere versate al Fondo di tesoreria, per la prima volta, nel corso del corrente anno, entro il 16 giugno (periodo "maggio 2013"), senza eseguire ricalcoli per gli anni precedenti. Per il futuro, la quota insorgente di Tfr dovrà essere versata nell'anno in cui i datori di lavoro fruiscono effettivamente dello sgravio, anche se lo stesso si riferisce a somme erogate in base a contratti che riguardano annualità precedenti.
Si legge nella circolare “al fine di semplificare il complesso degli adempimenti che fanno capo ad aziende ed intermediari, si è pervenuti nella determinazione che le differenze di TFR – divenute tali a seguito dell’effettiva fruizione da parte delle aziende dello sgravio contributivo per gli anni 2010 e/o 2011 anche sul contributo 0,50% ex lege n. 297/1982 - potranno essere versate al Fondo di Tesoreria, per la prima volta, nel corso del corrente anno, entro il 16 maggio 2013. A regime, il versamento dovrà intervenire nell’anno in cui i datori di lavoro fruiscono effettivamente dell’incentivo, ancorché lo stesso si riferisca a somme erogate in relazione a previsioni contrattuali che riguardano annualità precedenti.
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domenica 24 febbraio 2013
La valutazione e la motivazione delle risorse umane
Analizzare le tecniche per misurare le performance dei collaboratori, le tecniche di motivazione per migliorarne le prestazioni e i risultati nell’impresa e/o organizzazioni. Questi sono i principali canali di valutazione delle risorse umane.
Analisi della realtà e valutazione nelle organizzazione. Sistemi di valutazione: complessità, problemi, orientamenti. La valutazione delle risorse umane: contesti colturali e qualità del servizio. La valutazione tra sistemi di gestione e pratiche empiriche. La misura della personalità in ambito organizzativo: i big five (emergenza dei big five, definizione dei big five, gli strumenti di misura dei cinque fattori, il NEO-Personality Inventory, Il Big. Five Questionnaire. Strumenti di rilevazione: dall’analisi della posizione alla valutazione del potenziale. L’intervista di valutazione delle prestazioni. Gli Assessment Center.
Si trascorre una buona parte della vita lavorando. Diversi studi e ricerche evidenziano come non sia solo l'aspetto retributivo, per quanto importante, il solo parametro per rendere qualsiasi lavoro piacevole a priori.
Compito del management aziendale dovrebbe essere anche quello di migliorare gli aspetti sociali del lavoro, sempre finalizzato all'incremento della produttività e al raggiungimento degli obiettivi aziendali. Saper dirimere controversie e mediare tra situazioni e necessità diverse, caratteri differenti e differenti sensibilità - spesso causa di attriti che nulla hanno a che vedere con i progetti o il core business - è una delle caratteristiche più apprezzabili, considerate parte integrante della "capacità di gestione" di un'attività imprenditoriale. E più ancora la capacità di creare un ambiente di lavoro piacevole, quale che sia l'accezione che si vuole dare al termine.
In un interessante convegno è emerso che la capacità di gestire e motivare le risorse umane e l'importanza strategica per un'azienda di far emergere quelle competenze che spesso rimangono trascurate rimanendo un patrimonio non utilizzato ancorché sconosciuto. Tra gli interventi espressi da responsabili di HR provenienti da differenti realtà, è emerso come l'orientamento aziendale verso aspetti di "buon governo" non è non differibile, perchè rappresenta quel plus che può fare la differenza rispetto ai competitor.
Il ruolo del management diventa fondamentale in seno al tessuto culturale dell'azienda: quanto un'azienda sia attenta ai bisogni delle proprie risorse fa la differenza in termini di risultati.
Il dilemma emerso nel corso degli interventi è dicotomico: necessità di intervenire in tempi medio lunghi per riconoscere le capacità effettive delle risorse, oppure necessità aziendale di raggiungere standard di produttività coerente con i parametri di redditività propri? In questo senso i contratti a tempo determinato risultano negativi, perchè non consentono di acquisire sufficiente conoscenza delle risorse in organico.
Disporre di più tempo per farsi conoscere grazie ad un contratto a tempo indeterminato può portare a una brillante carriera in seno alla società, con soddisfazione da parte di entrambe le parti.
Per i responsabili di HR, il problema di conoscere, verificare e far crescere queste peculiarità insite in ciascuna risorsa si scontra con l'innegabile necessità di disporre di molto tempo per approfondire tali aspetti, onde poter definire il migliore utilizzo della risorsa per l'azienda stessa, massimizzando i risultati.
Questo si scontra con la realtà quotidiana per cui le competenze sono rigorosamente espresse dai curricula delle persone che interagiscono con l'azienda e che individuano rigidamente il reparto in cui la specifica risorsa verrà inserita. A questo si aggiunge la difficoltà ad accettare che il personale possa essere utilizzato in altri ruoli effettuando una sorta di rotazione che consentirebbe l'emergere di capacità differenti da quelle reimpostate, ad esempio, dalla carriera scolastica.
Analisi della realtà e valutazione nelle organizzazione. Sistemi di valutazione: complessità, problemi, orientamenti. La valutazione delle risorse umane: contesti colturali e qualità del servizio. La valutazione tra sistemi di gestione e pratiche empiriche. La misura della personalità in ambito organizzativo: i big five (emergenza dei big five, definizione dei big five, gli strumenti di misura dei cinque fattori, il NEO-Personality Inventory, Il Big. Five Questionnaire. Strumenti di rilevazione: dall’analisi della posizione alla valutazione del potenziale. L’intervista di valutazione delle prestazioni. Gli Assessment Center.
Si trascorre una buona parte della vita lavorando. Diversi studi e ricerche evidenziano come non sia solo l'aspetto retributivo, per quanto importante, il solo parametro per rendere qualsiasi lavoro piacevole a priori.
Compito del management aziendale dovrebbe essere anche quello di migliorare gli aspetti sociali del lavoro, sempre finalizzato all'incremento della produttività e al raggiungimento degli obiettivi aziendali. Saper dirimere controversie e mediare tra situazioni e necessità diverse, caratteri differenti e differenti sensibilità - spesso causa di attriti che nulla hanno a che vedere con i progetti o il core business - è una delle caratteristiche più apprezzabili, considerate parte integrante della "capacità di gestione" di un'attività imprenditoriale. E più ancora la capacità di creare un ambiente di lavoro piacevole, quale che sia l'accezione che si vuole dare al termine.
In un interessante convegno è emerso che la capacità di gestire e motivare le risorse umane e l'importanza strategica per un'azienda di far emergere quelle competenze che spesso rimangono trascurate rimanendo un patrimonio non utilizzato ancorché sconosciuto. Tra gli interventi espressi da responsabili di HR provenienti da differenti realtà, è emerso come l'orientamento aziendale verso aspetti di "buon governo" non è non differibile, perchè rappresenta quel plus che può fare la differenza rispetto ai competitor.
Il ruolo del management diventa fondamentale in seno al tessuto culturale dell'azienda: quanto un'azienda sia attenta ai bisogni delle proprie risorse fa la differenza in termini di risultati.
Il dilemma emerso nel corso degli interventi è dicotomico: necessità di intervenire in tempi medio lunghi per riconoscere le capacità effettive delle risorse, oppure necessità aziendale di raggiungere standard di produttività coerente con i parametri di redditività propri? In questo senso i contratti a tempo determinato risultano negativi, perchè non consentono di acquisire sufficiente conoscenza delle risorse in organico.
Disporre di più tempo per farsi conoscere grazie ad un contratto a tempo indeterminato può portare a una brillante carriera in seno alla società, con soddisfazione da parte di entrambe le parti.
Per i responsabili di HR, il problema di conoscere, verificare e far crescere queste peculiarità insite in ciascuna risorsa si scontra con l'innegabile necessità di disporre di molto tempo per approfondire tali aspetti, onde poter definire il migliore utilizzo della risorsa per l'azienda stessa, massimizzando i risultati.
Questo si scontra con la realtà quotidiana per cui le competenze sono rigorosamente espresse dai curricula delle persone che interagiscono con l'azienda e che individuano rigidamente il reparto in cui la specifica risorsa verrà inserita. A questo si aggiunge la difficoltà ad accettare che il personale possa essere utilizzato in altri ruoli effettuando una sorta di rotazione che consentirebbe l'emergere di capacità differenti da quelle reimpostate, ad esempio, dalla carriera scolastica.
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Lavorare nella gestione risorse umane e il ruolo della motivazione
Quando l’entusiasmo e la motivazione calano, in ufficio si lavora male. E un collaboratore insoddisfatto è più pericoloso di un affare mancato. la mancanza di motivazione al lavoro è un fenomeno più frequente di quanto si immagini. Statistiche internazionali hanno rilevato che il 70% dei lavoratori è insoddisfatto del proprio lavoro.
Un consulente esterno all’azienda esperto in benessere, motivazione e gestione delle risorse umane, riesce a riaccendere entusiasmo e motivazione anche negli individui apparentemente più spenti o che si lamentano maggiormente.
La presenza del consulente può essere inoltre importante in alcune situazioni critiche che si possono presentare nella vita di un lavoratore – dipendente, come ad esempio, quando viene richiesto un cambiamento di mansione, che potrebbe generare angoscia e resistenza con il rischio di non recepire la richiesta di crescita dell’azienda.
Tutto questo può sfociare in una considerazione di sé che provoca frustrazione e ferisce generando un senso di inadeguatezza, incapacità di reagire razionalmente di fronte alle difficoltà influenzando così la motivazione e l'interesse al lavoro. In questi casi non è sufficiente individuare l’inserimento del soggetto nelle giuste forme di orientamento formativo, ma è necessario richiamare una forte attenzione alla dimensione psicologica per poter coinvolgere il soggetto a prendere consapevolezza delle proprie risorse, individuarle e gestirle.
Il consulente può entrare in gioco con la sua professionalità stimolando la presa di coscienza delle proprie capacità e facendo emergere l’energia necessaria per affrontare il cambiamento con competenza e sicurezza.
Grazie alle tecniche di ascolto attivo e di autoesplorazione, il cliente arriva a valutare serenamente le proprie abilità, il proprio talento, le proprie motivazioni, i propri valori e a rispettare le proprie paure senza essere giudicato.
Occorre facilitare il passaggio da una possibile valutazione confusa di sé ad un’autoconoscenza consapevole verso la riattivazione della fiducia e di risorse.
Le aziende sono composte da persone con i loro sentimenti, le loro emozioni, le loro modalità comunicative, le loro aspirazioni, i loro bisogni. Tutto questo non emerge dai bilanci, dai budget, dalle relazioni mensili, eppure ne è la forza propulsiva, ne è l’essenza, l’anima.
Il consulente affronta le conoscenze e le dinamiche perché questa essenza, questo potenziale, possa esprimersi sempre di più verso l’eccellenza, in simbiosi con gli altri per realizzare team straordinari.
Il consulente aziendale ha un obiettivo primario: il potenziamento e lo sviluppo delle risorse dell’individuo, attivando le capacità latenti di ognuno e trasformandole in capacità reali, dando spazio all’efficacia relazionale e alla soddisfazione personale in rapporto al proprio vissuto professionale. E' necessario, quindi, migliorare il livello di competenze individuali e al tempo stesso improntare una relazione di aiuto che riveli motivazioni, ambizioni, e conflitti e incapacità di gestire le proprie frustrazioni.
Al consulente spetta il compito di mediare tra azienda e dipendente. L’azienda desidera migliorare il rendimento delle varie professionalità in termini quantitativi e qualitativi e in questo senso il benessere dei lavoratori è la più grande risorsa ed investimento. In questo senso è possibile immaginare nel ruolo del consulente, una figura che inizia con il lavoratore un percorso che va dall’acquisizione di una maggiore autonomia di sé all’apprezzamento verso il valore dell’interdipendenza, riuscendo a realizzare forme di relazioni positive e sinergie efficaci.
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domenica 16 dicembre 2012
Inps circolare 127 del 2012: assunzioni incentivi ed agevolazioni
Le aziende che operano sul territorio nazionale con diverse unità produttive, in caso di assunzione o di utilizzo in somministrazione di lavoratori a cui si applicano riduzioni contributive, dovranno verificare che, all'interno della propria struttura, non vi siano in essere obblighi di riassunzione o diritti di precedenza alla riassunzione o, se esistenti, che siano stati rispettati.
È questa una delle novità che emerge dalla circolare Inps 137 del 2012. Nella circolare, l'Istituto passa in rassegna le disposizioni contenute nell'articolo 4 della legge 92 del 2012. Si tratta di principi generali che si propongono di realizzare una più razionale disciplina delle assunzioni agevolate. Per fruire delle riduzioni contributive collegate a un soggetto, il datore di lavoro non deve aver violato il diritto di precedenza di un altro ex dipendente. Questo principio vale anche in caso di somministrazione. Ne deriva che – prima di eseguire la nuova assunzione o di consentire l'ingresso in azienda del somministrato – si deve verificare che non vi siano altri che vantano diritti di precedenza. Se vi sono, si deve dimostrare che l'opzione è stata regolarmente offerta all'avente diritto, mediante comunicazione scritta, eventualmente contenente un termine entro cui esprimersi. Ciò che rende più complicato il tutto è l'assenza di un limite territoriale. Questo obbligherà le aziende a un capillare controllo per essere certe della liceità degli incentivi.
Quindi bilancino sulle agevolazioni anche se l'assunzione viene effettuata in ottemperanza a un preesistente obbligo di legge, contratto collettivo o accordo individuale: in sostanza, quando non si rileva la volontarietà nell'instaurazione del rapporto di lavoro. Nella circolare vengono richiamate alcune norme che originano dei diritti di precedenza a favore dei lavoratori. Il ricorso alla somministrazione non consente il superamento di questi vincoli.
Sempre sul fronte del contratto di somministrazione si rileva un'interessante puntualizzazione dell'Inps: nel rispetto dell'articolo 21 della legge Biagi, si ricorda che l'utilizzatore deve rimborsare al somministratore gli oneri previdenziali «effettivamente sostenuti». Con ciò, dunque, si afferma che l'utilizzatore fruisce indirettamente delle agevolazione contributive applicabili all'agenzia di somministrazione.
Su questo principio si basa la teoria dell'equivalenza tra lavoratore diretto e indiretto che assume un significato determinante quando si tratta di beneficiare delle agevolazioni. Nel senso che, tra utilizzo diretto e indiretto, non si può mai superare il periodo massimo di fruizione degli incentivi, previsti dalle norme di riferimento. Tuttavia, se da un lato il principio del cumulo appare stringente, dall'altro introduce una flessibilità che, applicata alle assunzioni effettuate, ai sensi dell'articolo 8 della legge 407/90 (disoccupati e cassaintegrati di lungo periodo), si rivela positivo. Viene, infatti, riconosciuto il beneficio anche in caso di una trasformazione a tempo indeterminato di un precedente rapporto a termine che, avendo avuto una durata inferiore a sei mesi, consente al lavoratore di mantenere l'anzianità di disoccupazione di 24 mesi, utile per l'incentivo previsto.
Tornando alla somministrazione, va osservato che, a indorare la pillola per le imprese, soccorre la previsione dell'articolo 4, che rende possibile il superamento del cumulo delle prestazioni lavorative effettuate dallo stesso lavoratore con più utilizzatori. Ciò consentirà alle agenzie di somministrazione di stipulare più contratti agevolati a tempo determinato di 12 mesi con lo stesso lavoratore, durante la sua permanenza nelle liste di mobilità, purché la somministrazione sia effettuata in favore di utilizzatori diversi e non collegati tra loro.
È questa una delle novità che emerge dalla circolare Inps 137 del 2012. Nella circolare, l'Istituto passa in rassegna le disposizioni contenute nell'articolo 4 della legge 92 del 2012. Si tratta di principi generali che si propongono di realizzare una più razionale disciplina delle assunzioni agevolate. Per fruire delle riduzioni contributive collegate a un soggetto, il datore di lavoro non deve aver violato il diritto di precedenza di un altro ex dipendente. Questo principio vale anche in caso di somministrazione. Ne deriva che – prima di eseguire la nuova assunzione o di consentire l'ingresso in azienda del somministrato – si deve verificare che non vi siano altri che vantano diritti di precedenza. Se vi sono, si deve dimostrare che l'opzione è stata regolarmente offerta all'avente diritto, mediante comunicazione scritta, eventualmente contenente un termine entro cui esprimersi. Ciò che rende più complicato il tutto è l'assenza di un limite territoriale. Questo obbligherà le aziende a un capillare controllo per essere certe della liceità degli incentivi.
Quindi bilancino sulle agevolazioni anche se l'assunzione viene effettuata in ottemperanza a un preesistente obbligo di legge, contratto collettivo o accordo individuale: in sostanza, quando non si rileva la volontarietà nell'instaurazione del rapporto di lavoro. Nella circolare vengono richiamate alcune norme che originano dei diritti di precedenza a favore dei lavoratori. Il ricorso alla somministrazione non consente il superamento di questi vincoli.
Sempre sul fronte del contratto di somministrazione si rileva un'interessante puntualizzazione dell'Inps: nel rispetto dell'articolo 21 della legge Biagi, si ricorda che l'utilizzatore deve rimborsare al somministratore gli oneri previdenziali «effettivamente sostenuti». Con ciò, dunque, si afferma che l'utilizzatore fruisce indirettamente delle agevolazione contributive applicabili all'agenzia di somministrazione.
Su questo principio si basa la teoria dell'equivalenza tra lavoratore diretto e indiretto che assume un significato determinante quando si tratta di beneficiare delle agevolazioni. Nel senso che, tra utilizzo diretto e indiretto, non si può mai superare il periodo massimo di fruizione degli incentivi, previsti dalle norme di riferimento. Tuttavia, se da un lato il principio del cumulo appare stringente, dall'altro introduce una flessibilità che, applicata alle assunzioni effettuate, ai sensi dell'articolo 8 della legge 407/90 (disoccupati e cassaintegrati di lungo periodo), si rivela positivo. Viene, infatti, riconosciuto il beneficio anche in caso di una trasformazione a tempo indeterminato di un precedente rapporto a termine che, avendo avuto una durata inferiore a sei mesi, consente al lavoratore di mantenere l'anzianità di disoccupazione di 24 mesi, utile per l'incentivo previsto.
Tornando alla somministrazione, va osservato che, a indorare la pillola per le imprese, soccorre la previsione dell'articolo 4, che rende possibile il superamento del cumulo delle prestazioni lavorative effettuate dallo stesso lavoratore con più utilizzatori. Ciò consentirà alle agenzie di somministrazione di stipulare più contratti agevolati a tempo determinato di 12 mesi con lo stesso lavoratore, durante la sua permanenza nelle liste di mobilità, purché la somministrazione sia effettuata in favore di utilizzatori diversi e non collegati tra loro.
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sabato 22 settembre 2012
Tasse sul lavoro e sulle imprese si devono ridurre
Ricordiamo che le tasse tedesche, inglesi, e soprattutto quelle spagnole hanno un alleato nel regime fiscale del paese in cui operano: meno tasse quindi più utili, un vantaggio competitivo incolmabile rispetto a italiane e francesi.
Facciamo un esempio. Una azienda che chiude il bilancio con circa 380mila euro di utile netto ne avrebbe guadagnati molti di più, diciamo quasi 600mila, se avesse avuto sede in Spagna. Il difetto è di una tassazione effettiva complessiva che sfiora il 58% dell'imponibile, che si sarebbe fermata al 29% se invece che italiana fosse stata una impresa spagnola. Questi sono i calcoli di Confindustria, che da tempo sollecita una riforma che alleggerisca il peso del fisco su "chi tiene in piedi il Paese", sia aziende che lavoratori.
Da questo studio emerge che le imprese tedesche, le inglesi, e soprattutto le spagnole, hanno un amico nel regime fiscale del paese dove operano: meno tasse quindi più utili, un vantaggio competitivo profondo rispetto a quello che si verifica in Italia e Francia. "L'imposizione fiscale complessiva in rapporto al reddito imponibile (effective tax rate) - spiega il rapporto - è decisamente superiore in Italia (58%) rispetto alla Germania (43%), al Regno Unito (40%) e alla Spagna (29%). Di poco diversa la situazione della Francia, dove il carico fiscale complessivo (60%) risulta lievemente superiore a quello italiano per effetto dell'indeducibilità del compenso corrisposto ad amministratori esterni all'impresa".
Lo studio che Confindustria ha elaborato in collaborazione con Deloitte, calcola l'onere fiscale complessivo di una società per azioni italiana (oltre alle imposte sul reddito, anche le altre principali forme di imposizione: ad esempio, le imposte locali sugli affari, sugli immobili, di solidarietà sociale, ed altre specifiche imposte locali) e l'ipotetico onere che la stessa impresa avrebbe subito se fosse stata localizzata in uno degli altri tre Paesi presi in esame.
La società presa in esame, come esempio dallo studio (ha un fatturato di 27,7 milioni di euro, esercita attività di ricerca e sviluppo nel campo dell'automazione di processi industriali e del testing di componenti e prodotti finiti, ha 180 dipendenti, ed esporta circa il 65% delle esportazioni), una volta pagate le tasse su un utile ante imposte di 986.503 chiude il bilancio (come regime si ipotizza quello del 2009) con un utile netto di circa 383mila euro in Italia, che sarebbe più basso dell'8% se l'azienda fosse in Francia, e più alto del 20% in Germania, del 37% in Gran Bretagna, e ben del 58% in Spagna dove supererebbe quota 600mila euro (605.347).
Lo studio prende anche in esame la tassazione del reddito in capo ai soci dell'azienda per l'utile distribuito dalla società, per verificare il diverso modo di affrontare il problema della doppia imposizione e l'effettivo onere fiscale complessivo nei diversi Paesi. Ed anche in questo caso la graduatoria è confermata. Il rapporto esamina diverse ipotesi di distribuzione di un dividendo. E nel caso sia pari al 50% dell'utile distribuibile in Italia, per esempio, l'imposizione fiscale sul socio sarebbe al 71% il Francia, al 66% in Italia, al 47% in Germania, al 38% in Gran Bretagna, al 27% in Spagna.
Vediamo quali potrebbero gli obiettivi da perseguire per dare un taglio alle tasse sia sul lavoro che sulle imprese.
In linea generale, cui deve essere un tentativo di concedere benefici fiscali sugli stipendi, privilegiando la parte variabile legata alla produttività e di introdurre elementi di maggior flessibilità in termini di orario e organizzazione del lavoro. E si dovrebbe pensare sia a misure che riducano la quota fissa dello stipendio aumentando il cosiddetto salario di produttività, a misure di defiscalizzaizone presenti nelle voci della busta paga, alla riduzione del cuneo fiscale, a incentivi all’assunzione dei giovani.
Ricordiamo che in questa disputa tra tasse ed “intenzioni” di abbassarle vi è un forte disaccordo tra chi muove le leve della politica e chi difende in principi dei lavoratori e delle aziende. Infatti Mario Monti ha bocciato l'ipotesi di abbassare l'irpef, mentre il ministro del lavoro Elsa Fornero ha ribadito la necessità di ridurre le tasse sulle retribuzioni senza però intaccare il gettito, cioè le entrate complessive dello stato. Non va dimenticato, poi, che l'ultima riforma del lavoro si è mossa invece nella direzione opposta: per finanziare i nuovi sussidi alla disoccupazione e scoraggiare l'utilizzo dei contratti precari, i contributi sulle busta paga verranno infatti innalzati nei prossimi anni, piuttosto che ridotti.
L'Italia ostenta da tempo un record negativo in Europa: quello di essere uno dei paesi con il costo del lavoro lordo più alto e con le retribuzioni nette (sottratti i contributi e le tasse) meno elevate. Secondo le rilevazioni dell'Ocse il salario medio netto di un lavoratore senza figli a carico è di poco superiore a 27.700 dollari, contro gli oltre 38mila della Gran Bretagna e i 33mila circa della Germania. E nello stesso tempo le retribuzioni lorde che incidono sui conti delle imprese non sono a buon mercato, ma mettono l'Italia ai vertici della classifica europea. Colpa delle tasse e dei contributi che, secondo le statistiche dell'Ocse, nel nostro paese pesano sui salari per quasi il 47%, 1 o 2 punti in meno della Francia o alla Germania ma quasi il 10-15% in più della Gran Bretagna e alla Spagna a addirittura oltre il 20% in più rispetto agli Stati Uniti e alla Svizzera.
Questo è uno dei motivi che un lavoratore italiano che percepisce uno stipendio medio-basso, pesa sui conti della sua azienda per una cifra più che doppia. Secondo le stime del Consiglio Nazionale dei Consulenti del lavoro, una busta paga netta di 1.300 euro al mese, comporta per l'impresa un esborso di oltre 2.700 euro ogni 30 giorni. A divorare le retribuzioni c'è una lunga sfilza di tasse e soprattutto di contributi. In primis quelli pensionistici che arrivano sino al 33% del salario (23% circa a carico delle imprese e oltre il 9% a carico del lavoratore), a cui va aggiunto un altro 7% circa per il Tfr (trattamento di fine rapporto), cioè la quota di stipendio accantonata tradizionalmente per la liquidazione (che può arrivare anche al 9-10%, con un contributo aggiuntivo, se il dipendente sceglie di destinare i soldi a un fondo della previdenza complementare). Qualche altro punto percentuale dello stipendio se ne va per i contributi sociali alla maternità e alla disoccupazione (variabili a seconda dei settori), mentre le aziende devono pagare pure l'IRAP (imposta regionale sulle attività produttive), che è legata anche al numero dei dipendenti dell'impresa.
Poi c’è l'IRPEF, (imposta sui redditi delle persone fisiche), che colpisce la busta paga (in questo caso al netto dei contributi) ed è una tassa progressiva, con aliquote comprese tra il 23 e il 43%, che crescono con l’aumento della retribuzione.
Comunque se effettivamente si vuole ridurre le tasse o i contributi sugli stipendi, il governo non avrà che l'imbarazzo della scelta, sempre che i vincoli del bilancio pubblico lo permettano e che sia la volontà di dare un aiuto concreto ai lavoratori e alle imprese.
Facciamo un esempio. Una azienda che chiude il bilancio con circa 380mila euro di utile netto ne avrebbe guadagnati molti di più, diciamo quasi 600mila, se avesse avuto sede in Spagna. Il difetto è di una tassazione effettiva complessiva che sfiora il 58% dell'imponibile, che si sarebbe fermata al 29% se invece che italiana fosse stata una impresa spagnola. Questi sono i calcoli di Confindustria, che da tempo sollecita una riforma che alleggerisca il peso del fisco su "chi tiene in piedi il Paese", sia aziende che lavoratori.
Da questo studio emerge che le imprese tedesche, le inglesi, e soprattutto le spagnole, hanno un amico nel regime fiscale del paese dove operano: meno tasse quindi più utili, un vantaggio competitivo profondo rispetto a quello che si verifica in Italia e Francia. "L'imposizione fiscale complessiva in rapporto al reddito imponibile (effective tax rate) - spiega il rapporto - è decisamente superiore in Italia (58%) rispetto alla Germania (43%), al Regno Unito (40%) e alla Spagna (29%). Di poco diversa la situazione della Francia, dove il carico fiscale complessivo (60%) risulta lievemente superiore a quello italiano per effetto dell'indeducibilità del compenso corrisposto ad amministratori esterni all'impresa".
Lo studio che Confindustria ha elaborato in collaborazione con Deloitte, calcola l'onere fiscale complessivo di una società per azioni italiana (oltre alle imposte sul reddito, anche le altre principali forme di imposizione: ad esempio, le imposte locali sugli affari, sugli immobili, di solidarietà sociale, ed altre specifiche imposte locali) e l'ipotetico onere che la stessa impresa avrebbe subito se fosse stata localizzata in uno degli altri tre Paesi presi in esame.
La società presa in esame, come esempio dallo studio (ha un fatturato di 27,7 milioni di euro, esercita attività di ricerca e sviluppo nel campo dell'automazione di processi industriali e del testing di componenti e prodotti finiti, ha 180 dipendenti, ed esporta circa il 65% delle esportazioni), una volta pagate le tasse su un utile ante imposte di 986.503 chiude il bilancio (come regime si ipotizza quello del 2009) con un utile netto di circa 383mila euro in Italia, che sarebbe più basso dell'8% se l'azienda fosse in Francia, e più alto del 20% in Germania, del 37% in Gran Bretagna, e ben del 58% in Spagna dove supererebbe quota 600mila euro (605.347).
Lo studio prende anche in esame la tassazione del reddito in capo ai soci dell'azienda per l'utile distribuito dalla società, per verificare il diverso modo di affrontare il problema della doppia imposizione e l'effettivo onere fiscale complessivo nei diversi Paesi. Ed anche in questo caso la graduatoria è confermata. Il rapporto esamina diverse ipotesi di distribuzione di un dividendo. E nel caso sia pari al 50% dell'utile distribuibile in Italia, per esempio, l'imposizione fiscale sul socio sarebbe al 71% il Francia, al 66% in Italia, al 47% in Germania, al 38% in Gran Bretagna, al 27% in Spagna.
Vediamo quali potrebbero gli obiettivi da perseguire per dare un taglio alle tasse sia sul lavoro che sulle imprese.
In linea generale, cui deve essere un tentativo di concedere benefici fiscali sugli stipendi, privilegiando la parte variabile legata alla produttività e di introdurre elementi di maggior flessibilità in termini di orario e organizzazione del lavoro. E si dovrebbe pensare sia a misure che riducano la quota fissa dello stipendio aumentando il cosiddetto salario di produttività, a misure di defiscalizzaizone presenti nelle voci della busta paga, alla riduzione del cuneo fiscale, a incentivi all’assunzione dei giovani.
Ricordiamo che in questa disputa tra tasse ed “intenzioni” di abbassarle vi è un forte disaccordo tra chi muove le leve della politica e chi difende in principi dei lavoratori e delle aziende. Infatti Mario Monti ha bocciato l'ipotesi di abbassare l'irpef, mentre il ministro del lavoro Elsa Fornero ha ribadito la necessità di ridurre le tasse sulle retribuzioni senza però intaccare il gettito, cioè le entrate complessive dello stato. Non va dimenticato, poi, che l'ultima riforma del lavoro si è mossa invece nella direzione opposta: per finanziare i nuovi sussidi alla disoccupazione e scoraggiare l'utilizzo dei contratti precari, i contributi sulle busta paga verranno infatti innalzati nei prossimi anni, piuttosto che ridotti.
L'Italia ostenta da tempo un record negativo in Europa: quello di essere uno dei paesi con il costo del lavoro lordo più alto e con le retribuzioni nette (sottratti i contributi e le tasse) meno elevate. Secondo le rilevazioni dell'Ocse il salario medio netto di un lavoratore senza figli a carico è di poco superiore a 27.700 dollari, contro gli oltre 38mila della Gran Bretagna e i 33mila circa della Germania. E nello stesso tempo le retribuzioni lorde che incidono sui conti delle imprese non sono a buon mercato, ma mettono l'Italia ai vertici della classifica europea. Colpa delle tasse e dei contributi che, secondo le statistiche dell'Ocse, nel nostro paese pesano sui salari per quasi il 47%, 1 o 2 punti in meno della Francia o alla Germania ma quasi il 10-15% in più della Gran Bretagna e alla Spagna a addirittura oltre il 20% in più rispetto agli Stati Uniti e alla Svizzera.
Questo è uno dei motivi che un lavoratore italiano che percepisce uno stipendio medio-basso, pesa sui conti della sua azienda per una cifra più che doppia. Secondo le stime del Consiglio Nazionale dei Consulenti del lavoro, una busta paga netta di 1.300 euro al mese, comporta per l'impresa un esborso di oltre 2.700 euro ogni 30 giorni. A divorare le retribuzioni c'è una lunga sfilza di tasse e soprattutto di contributi. In primis quelli pensionistici che arrivano sino al 33% del salario (23% circa a carico delle imprese e oltre il 9% a carico del lavoratore), a cui va aggiunto un altro 7% circa per il Tfr (trattamento di fine rapporto), cioè la quota di stipendio accantonata tradizionalmente per la liquidazione (che può arrivare anche al 9-10%, con un contributo aggiuntivo, se il dipendente sceglie di destinare i soldi a un fondo della previdenza complementare). Qualche altro punto percentuale dello stipendio se ne va per i contributi sociali alla maternità e alla disoccupazione (variabili a seconda dei settori), mentre le aziende devono pagare pure l'IRAP (imposta regionale sulle attività produttive), che è legata anche al numero dei dipendenti dell'impresa.
Poi c’è l'IRPEF, (imposta sui redditi delle persone fisiche), che colpisce la busta paga (in questo caso al netto dei contributi) ed è una tassa progressiva, con aliquote comprese tra il 23 e il 43%, che crescono con l’aumento della retribuzione.
Comunque se effettivamente si vuole ridurre le tasse o i contributi sugli stipendi, il governo non avrà che l'imbarazzo della scelta, sempre che i vincoli del bilancio pubblico lo permettano e che sia la volontà di dare un aiuto concreto ai lavoratori e alle imprese.
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domenica 16 settembre 2012
Lavoro e formazione nella scuola e nelle aziende
Gli ultimi dati pervenuti registrano che solo il 5% degli studenti delle scuole superiori (Istituti tecnici e professionali) hanno partecipato, nell’ultimo anno scolastico, a progetti che prevedevano alternanza di scuola lavoro. Questo accade nonostante un altro dato: il 2012 ha dimostrato che sono circa 22mila le assunzioni, che prevedono personale tecnico specializzato, ad essere considerate di difficile reperimento.
Nel mese di luglio è stato attivato il Comitato nazionale per l’alternanza scuola lavoro. Questo fa si che finalmente vengano attivati i DL n. 77 del 2005 e n. 22 del 2008, fino ad ora rimasti a bloccati e solo sulla carta; devono in pratica essere rimossi tutti gli ostacoli che vengono ad interrompere lungo il cammino dei giovani verso il lavoro. Unitamente a ciò devono essere definiti i modelli di certificazione delle competenze che gli studenti avranno modo di acquistare durante le loro esperienze di scuola/lavoro, esperienze che andranno a figurare sul loro curriculum.
Con l’anno scolastico 2012 – 2013 arriverà un nuovo organismo: il Politecnico professionale, esso rappresenta un modello di scuola superiore utile a cercare di colmare ulteriormente il divario presente tra scuola e lavoro e tra domanda e offerta d’impiego. I poli in questione saranno collegati direttamente con le zone produttive presenti sul territorio così che i loro studenti possano avere il modo di ricevere una formazione e delle esperienze lavorative a tutti gli effetti, sarà così facilitata la loro graduale entrata nel mondo del lavoro.
Vediamo le linee guida interpretative degli accordi di formazione, che sono molto vaste, ma i punti di maggior interesse riguardano sicuramente la formazione online, erogata cioè con il sistema di e-learning, e il regime transitorio degli accordi, che disciplina la validità della formazione già ricevuta e gli obblighi derivanti per le aziende dall'applicazione delle intese.
Quanto all'e-learning, le linee guida confermano che questa nuova tipologia di insegnamento è riferita a parti limitate della formazione obbligatoria e dunque non può essere utilizzata per l'intero percorso formativo di tutti i soggetti interessati.
Ai fini della validità della formazione deve essere possibile memorizzare le ore di collegamento, ovvero dare prova che l'intero percorso sia stato realizzato e deve essere garantita la possibilità di ripetere parti del percorso di apprendimento secondo gli obiettivi formativi, purché rimanga traccia delle ripetizioni in modo da tenerne conto in sede di valutazione finale.
Deve anche essere possibile stampare il materiale utilizzato per le attività formative. L’accesso ai contenuti successivi ai moduli iniziali «deve avvenire secondo un percorso obbligato (che non consenta di evitare una parte del percorso)».
La formazione online non è ritenuta correttamente rispettata se è erogata per mezzo della semplice trasmissione di lezioni "frontali" a distanza: è richiesta, al contrario, la presenza dei requisiti di interattività della formazione e di soggetti (tutor e/o docenti) che possiedano determinate caratteristiche.
Per quanto riguarda la disciplina transitoria, ci sono alcune importanti precisazioni: il termine per completare il percorso formativo per dirigenti è di 18 mesi (si veda lo schema in alto), a meno che le modalità della formazione dei dirigenti non siano individuate da accordi aziendali. In questo caso, il termine entro cui programmare e completare l'attività è di 12 mesi a partire dall'11 gennaio 2012, data di pubblicazione degli accordi (dunque entro l'11 gennaio 2013).
Gli accordi individuano solo per il futuro la disciplina della formazione e pertanto sono esonerate le aziende che abbiano già pienamente rispettato le precedenti disposizioni in materia ed effettuato la formazione in base alle "vecchie" disposizioni degli articoli 37 e 38 del Dlgs 81 del 2008, che non prevedevano un monte ore minimo per ritenere valida la formazione.
Se la formazione è stata svolta da più di cinque anni prima della pubblicazione dell'accordo, prima dell'11 gennaio 2007, l'aggiornamento andrà realizzato secondo le nuove modalità entro 12 mesi dall'11 gennaio 2012. La validità dei corsi pregressi solo se il datore di lavoro riesce a dimostrare - con documenti o con qualunque altro mezzo idoneo - l'effettiva partecipazione dei lavoratori ai corsi. Diversamente tutto il percorso formativo non potrà essere ritenuto valido e l'imprenditore soggiacerà ai nuovi obblighi imposti dagli accordi.
Nel mese di luglio è stato attivato il Comitato nazionale per l’alternanza scuola lavoro. Questo fa si che finalmente vengano attivati i DL n. 77 del 2005 e n. 22 del 2008, fino ad ora rimasti a bloccati e solo sulla carta; devono in pratica essere rimossi tutti gli ostacoli che vengono ad interrompere lungo il cammino dei giovani verso il lavoro. Unitamente a ciò devono essere definiti i modelli di certificazione delle competenze che gli studenti avranno modo di acquistare durante le loro esperienze di scuola/lavoro, esperienze che andranno a figurare sul loro curriculum.
Con l’anno scolastico 2012 – 2013 arriverà un nuovo organismo: il Politecnico professionale, esso rappresenta un modello di scuola superiore utile a cercare di colmare ulteriormente il divario presente tra scuola e lavoro e tra domanda e offerta d’impiego. I poli in questione saranno collegati direttamente con le zone produttive presenti sul territorio così che i loro studenti possano avere il modo di ricevere una formazione e delle esperienze lavorative a tutti gli effetti, sarà così facilitata la loro graduale entrata nel mondo del lavoro.
Vediamo le linee guida interpretative degli accordi di formazione, che sono molto vaste, ma i punti di maggior interesse riguardano sicuramente la formazione online, erogata cioè con il sistema di e-learning, e il regime transitorio degli accordi, che disciplina la validità della formazione già ricevuta e gli obblighi derivanti per le aziende dall'applicazione delle intese.
Quanto all'e-learning, le linee guida confermano che questa nuova tipologia di insegnamento è riferita a parti limitate della formazione obbligatoria e dunque non può essere utilizzata per l'intero percorso formativo di tutti i soggetti interessati.
Ai fini della validità della formazione deve essere possibile memorizzare le ore di collegamento, ovvero dare prova che l'intero percorso sia stato realizzato e deve essere garantita la possibilità di ripetere parti del percorso di apprendimento secondo gli obiettivi formativi, purché rimanga traccia delle ripetizioni in modo da tenerne conto in sede di valutazione finale.
Deve anche essere possibile stampare il materiale utilizzato per le attività formative. L’accesso ai contenuti successivi ai moduli iniziali «deve avvenire secondo un percorso obbligato (che non consenta di evitare una parte del percorso)».
La formazione online non è ritenuta correttamente rispettata se è erogata per mezzo della semplice trasmissione di lezioni "frontali" a distanza: è richiesta, al contrario, la presenza dei requisiti di interattività della formazione e di soggetti (tutor e/o docenti) che possiedano determinate caratteristiche.
Per quanto riguarda la disciplina transitoria, ci sono alcune importanti precisazioni: il termine per completare il percorso formativo per dirigenti è di 18 mesi (si veda lo schema in alto), a meno che le modalità della formazione dei dirigenti non siano individuate da accordi aziendali. In questo caso, il termine entro cui programmare e completare l'attività è di 12 mesi a partire dall'11 gennaio 2012, data di pubblicazione degli accordi (dunque entro l'11 gennaio 2013).
Gli accordi individuano solo per il futuro la disciplina della formazione e pertanto sono esonerate le aziende che abbiano già pienamente rispettato le precedenti disposizioni in materia ed effettuato la formazione in base alle "vecchie" disposizioni degli articoli 37 e 38 del Dlgs 81 del 2008, che non prevedevano un monte ore minimo per ritenere valida la formazione.
Se la formazione è stata svolta da più di cinque anni prima della pubblicazione dell'accordo, prima dell'11 gennaio 2007, l'aggiornamento andrà realizzato secondo le nuove modalità entro 12 mesi dall'11 gennaio 2012. La validità dei corsi pregressi solo se il datore di lavoro riesce a dimostrare - con documenti o con qualunque altro mezzo idoneo - l'effettiva partecipazione dei lavoratori ai corsi. Diversamente tutto il percorso formativo non potrà essere ritenuto valido e l'imprenditore soggiacerà ai nuovi obblighi imposti dagli accordi.
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domenica 29 luglio 2012
Annunci di lavoro: come individuare le aziende che cercano lavoro
Nelle inserzioni pubblicate online la maggioranza delle aziende non riesce a spiegare che cosa concretamente cerca e, nello stesso tempo, i lavoratori non riescono a capirlo.
Quindi le aziende che cercano nuove forze lavoro faticano a trovare collaboratori adeguati e i lavoratori non riescono a identificare opportunità cui proporsi con ottime possibilità.
Vediamo tre esempi di errori che le aziende possono commettere durante la stesura di un annuncio di lavoro:
L’azienda non si presenta in modo adeguato: sebbene per legge l’azienda sia obbligata a presentarsi, in realtà la parte descrittiva risulta carente, spesso ricca di frasi ad effetto che però non spiegano bene l'obiettivo.
L’azienda è poco chiara riguardo la mansione richiesta: spesso la job description non illustra in modo efficiente il tipo di lavoro che si richiede.
Molto spesso nelle inserzioni di lavoro si riduce ad uno sterile elenco di requisiti che non mettono a fuoco le reali mansioni richieste.
Se l’azienda non è ben presentata è buona norma ricercare informazioni sulla stessa navigando sul on line, sul sito internet.
Quando non vi è ben chiaro cosa realmente cerca l’azienda, qual è la mansione richiesta, cercate di analizzare il testo dell’annuncio e valutate la corrispondenza tra le proprie capacità e le richieste dell’azienda.
Se siete decisi a trovare un nuovo posto di lavoro fate attenzione. Non tutti gli annunci celano proposte lavorative di uguale valore. Inoltre, il breve contenuto testuale dell’annuncio va letto con estrema attenzione, al fine di comprendere quali sono i requisiti sui quali vale la pena puntare nella fase di recruitment.
Vediamo come comportarsi davanti a una serie di annunci di lavoro?
Ruolo e figura ricercata: “consulenti commerciali” che nascono dei meri ruoli di promoting, “account manager” che sono veri e propri direttori commerciali e così via. A volte scorrere con troppa rapidità gli annunci di lavoro, pur avendo fiducia del solo intuito sulla denominazione della figura professionale ricercata, è sbagliato. E’ invece meglio impiegare qualche minuto in più, andando a leggere soprattutto le caratteristiche richieste delle attività da svolgere, chiarendo così ogni dubbio sulla natura della professione per la quale ci si sta candidando.
Esperienza: la presenza o meno, nell’annuncio, di una richiesta “esperienza nel ruolo”, è importante per scindere le proposte professionali tra senior e junior. Se l’esperienza è richiesta espressamente, e non ne possedete alcuna, è meglio non procedere ovviamente alla propria candidatura.
Lingue: se l’annuncio richiede esplicitamente la conoscenza delle lingue, fate attenzione. Il colloquio verterà su un breve dialogo nella lingua conosciuta. Meglio essere onesti, e indicare, nel messaggio di risposta, le sole lingue effettivamente conosciute ed il livello di conoscenza.
Chiarimenti: se siete fortemente interessati a partecipare a un processo di selezione per un determinato annuncio, ma non siete soddisfatti del contenuto testuale dell’annuncio, giudicato non troppo chiaro, niente vieta di procedere a un contatto diretto con l’azienda, al fine di chiarire determinati dubbi.
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venerdì 29 giugno 2012
Riforma del lavoro 2012. Licenziamenti nelle aziende sopra i 15 dipendenti
Per i licenziamenti disciplinari (giustificato motivo soggettivo o giusta causa) e per quelli economici (giustificato motivo oggettivo), nel caso in cui li ritenga illegittimi, il giudice può disporre il reintegro o un indennizzo fra le 12 e le 24 mensilità.
La norma specifica con una certa precisione in quali casi il giudice disporrà il reintegro e quando invece sceglierà il risarcimento.
Nei casi di licenziamenti disciplinari è previsto il reintegro quando «il fatto contestato non sussiste o il lavoratore non lo ha commesso ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle tipizzazioni di giustificato motivo soggettivo e di giusta causa previste dai contratti collettivi applicabili».
Mentre, per i licenziamenti economici è previsto il reintegro quando il giudice accerti «la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustifico motivo oggettivo». Negli altri casi, è previsto un risarcimento economico, da 12 a 24 mensilità.
Nel caso del licenziamento disciplinare illegittimo, il giudice stabilirà l'ammontare del risarcimento «in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo».
Nel caso di licenziamento economico, la determinazione della somma tiene conto anche delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell’ambito delle procedure di conciliazione.
Per i casi in cui è previsto il reintegro, il datore di lavoro viene anche condannato a pagare un’indennità collegata alla retribuzione dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, «dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione». In ogni caso l’indennità non potrà essere superiore a dodici mensilità. Per il medesimo periodo vanno versati anche i contributi previdenziali e assistenziali, maggiorati degli interessi ma senza sanzioni.
Se il lavoratore ha svolto altre attività lavorative, l’azienda deve versare la differenza fra i contributi a cui il lavoratore avrebbe avuto diritto nel caso in cui non fosse stato illegittimamente licenziato e quelli versati per l’attività nel frattempo svolta. Se i contributi sono stati versati a un diverso ente previdenziale, l’addebito dei costi di trasferimento è a carico del datore di lavoro.
Anche qui, il lavoratore deve tornare al lavoro a trenta giorni dal reintegro o dall’invito dell’azienda, pena la risoluzione del rapporto di lavoro, a meno che non abbia chiesto l’indennità sostitutiva (15 mensilità).
Fanno eccezione i casi in cui il giudice dispone il reintegro per mancanza di licenziamento in forma scritta, o per mancato rispetto delle varie procedure di comunicazione (in sostanza, quelle previste dall‘articolo 7 dello Statuto dei lavoratori o dall’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604). Qui, il risarcimento che l’azienda deve pagare insieme al reintegro è limitato a sei/dodici mensilità, a meno che non ci sia anche un vizio relativo alla causa del licenziamento, nel qual caso valgono le norme sopra citate.
Se il licenziamento è revocato entro quindici giorni, il lavoratore torna al suo posto e non si applica nessun’altra sanzione. Solo per i casi di licenziamento economico (giustificato motivo oggettivo), che sia obbligatoria una fase di conciliazione preventiva. Si tratta quindi di una norma che riguarda solo le aziende sopra i 15 dipendenti.
Nello specifico, questo tipo di licenziamento «deve essere preceduto da una comunicazione effettuata dal datore di lavoro alla Direzione territoriale del lavoro» in cui l’azienda deve «dichiarare l’intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo e indicare i motivi del licenziamento medesimo nonché le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato».
Entro sette giorni da questa comunicazione la direzione del lavoro convoca le parti davanti alla Commissione provinciale di conciliazione di cui all’articolo 410 del codice di procedura civile.
Si tratta di un tentativo di conciliazione stragiudiziale, durante il quale vengono valutate le soluzioni alternative al recesso, e che si conclude in venti giorni (a meno che le parti non vogliano continuare per raggiungere un accordo).
Se la conciliazione non si conclude positivamente, il datore di lavoro può comunicare il licenziamento e il lavoratore può ricorrere al magistrato che nello stabilire l’indennizzo nel caso in cui ritenga effettivamente illegittimo il licenziamento, terrà conto della condotta delle parti in questa fase di conciliazione. Se il giudice alla fine ritiene il licenziamento legittimo il lavoratore non ha diritto al risarcimento che eventualmente la controparte aveva offerto in fase di conciliazione, e che era stato rifiutato.
Se la conciliazione si conclude positivamente, con la soluzione del rapporto di lavoro e con un accordo economico, il lavoratore mantiene il diritto all’assicurazione per l’impiego (la nuova Aspi) e può anche essere previsto, per favorirne la ricollocazione professionale, l’affidamento «ad un’agenzia di cui all’articolo 4, primo comma, lettere a) e b), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276».
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Riforma del lavoro 2012. Licenziamenti aziende con meno di 15 dipendenti
Addio reintegro automatico in caso di licenziamento per motivi economici. Prevista in alcuni casi un'indennità risarcitoria. La procedura di conciliazione, obbligatoria in questo primo caso, non potrà più essere bloccata da una malattia «fittizia» del lavoratore. Uniche eccezioni saranno maternità o infortuni sul lavoro. La riforma del lavoro, così come disegnata dal ddl definitivo, modifica le norme sul licenziamento in Italia previste fino a oggi dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori reintroducendo il possibile reintegro per tutti i tipi di licenziamento illegittimo (a discrezione del giudice e solo in casi estremi). Ad esclusione per i licenziamenti discriminatori, le nuove norme sul reintegro si applicano solo alle aziende con più di 15 dipendenti.
Nelle piccole imprese sotto i 15 dipendenti le regole restano immutate.
Per quanto riguarda i ricorsi le norme restano le stesse:
il licenziamento individuale illegittimo è sanzionato con un’indennità fra 2,5 e 6 mensilità
il licenziamento discriminatorio è sanzionato con il reintegro, senza onere della prova a carico del lavoratore, perché è il giudice stabilire se il licenziamento è discriminatorio.
A stabilire ciò era e resta l’articolo 3 della legge n° 108 del 1990, in base alla quale il licenziamento discriminatorio «é nullo indipendentemente dalla motivazione addotta e comporta, quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro, le conseguenze previste dall‘articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300». E vale anche per i dirigenti.
La riforma del lavoro introduce come novità l’obbligo da parte di qualunque azienda di comunicare le motivazioni del licenziamento. E dovrà farlo per iscritto, in base all‘articolo 1 della legge 15 luglio 1966, n. 604 sui licenziamenti individuali.
Si tratta di un cambiamento rispetto a quanto previsto dall‘articolo 2 della stessa legge, secondo la quale il datore di lavoro doveva comunicare le motivazione del licenziamento solo se il lavoratore lo richiedeva: la richiesta doveva arrivare entro otto giorni dal provvedimento e l’impresa a quel punto aveva cinque giorni per far pervenire la motivazione scritta.
Adesso, più semplicemente, «la comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato».
Il lavoratore ha ancora 60 giorni per impugnare il licenziamento, ma ha solo altri 180 giorni per depositare il ricorso alla cancelleria del tribunale o per comunicare alla controparte la richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, mentre prima aveva 270 giorni per il deposito in cancelleria (articolo 32, comma 1, della legge 4 novembre 2010, n. 183).
La precisazione sulla formulazione del licenziamento è importante perché la nuova norma prevede una diversificazione di diritti a seconda delle diverse tipologie di licenziamento.
Le leggi proteggono dal licenziamento e prevedono sempre il reintegro, anche sotto i 15 dipendenti, per le donne in gravidanza (decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151), o in concomitanza del matrimonio (decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198). Il periodo di protezione della “concomitanza con il matrimonio” va dal giorno delle pubblicazioni a un anno dalla celebrazione delle nozze.
È previsto il reintegro del posto di lavoro anche nel caso in cui il licenziamento sia ritenuto non valido perché comunicato in forma orale per tutte le aziende, anche sotto i 15 dipendenti.
Oltre al reintegro, il giudice stabilisce un’indennità «commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative». In ogni caso questo risarcimento non può essere inferiore a cinque mensilità. Il datore di lavoro deve pagare anche i contributi previdenziali e assistenziali per il medesimo periodo.
Il lavoratore deve tornare al lavoro entro trenta giorni dall’invito del datore di lavoro in seguito all’ordine di reintegrazione. Se non lo fa, il rapporto di lavoro è risolto.
Il lavoratore, nel caso in cui non voglia tornare in azienda, ha diritto a chiedere in sostituzione del reintegro un risarcimento pari a 15 mensilità (senza contribuzione). La richiesta deve essere fatta entro 30 giorni dall’ordine di reintegro o dall’invito del datore di lavoro a rientrare.
sabato 5 maggio 2012
Imprese arrivano i rimborsi IVA
L'Agenzia delle Entrate: in arrivo 2,2 miliardi per rimborsare l'Iva alle imprese, 400 milioni da subito.
È una forte respiro per le aziende, a corto di liquidità, alle riprese con i ritardi sui rimborsi Iva. E' una boccata di ossigeno per più di 11.000 partite Iva, ossia per chi vanta crediti sull'imposta sul valore aggiunto. Sono in arrivo per imprese, artigiani e professionisti, rimborsi di crediti Iva per circa 2,2 miliardi di euro. Lo comunica l'Agenzia delle Entrate. In particolare, 400 milioni di euro saranno erogati già nei prossimi giorni, mentre 1,8 miliardi verranno pagati a partire dalla seconda metà del mese di maggio. La somma complessiva rimborsata nel 2012 a imprese, artigiani e professionisti arriverà a 3,1 mld (+14% rispetto ai 2,7 mld del 2011).
In particolare, ha spiegato l'Agenzia delle Entrate, 400 milioni saranno erogati già nei prossimi giorni, mentre 1,8 miliardi verranno pagati a partire dalla seconda metà del mese di maggio. Con questa nuova iniezione di liquidità, la somma complessiva rimborsata nel 2012 a imprese, artigiani e professionisti arriverà a 3,1 miliardi di euro, a fronte dei 2,7 miliardi erogati nello stesso periodo del 2011.
Sono quattro le strade possibili per ottenere il rimborso dei crediti Iva: l'istanza di rimborso, la compensazione, la cessione a terzi e l'attestazione bancaria. Ogni strada, però, è piena di ostacoli rappresentati da limiti quantitativi o da inerzie degli uffici.
Analizziamole in modo accorto.
Istanza di rimborso
I crediti Iva annuali possono essere chiesti a rimborso compilando il quadro VR della dichiarazione Iva, che va presentata in via telematica dal 1° febbraio dell'anno successivo a quello dichiarato e fino alla fine di settembre. L'istanza di rimborso del credito Iva dei primi tre trimestri dell'anno viene presentata in via telematica con il modello Iva TR, entro l'ultimo giorno del mese successivo al trimestre (per il primo trimestre entro il 30 aprile, per il secondo entro il 31 luglio e per il terzo entro il 31 ottobre).
Se viene scelta la procedura semplificata per il pagamento del credito Iva da parte del fisco, questo dovrebbe essere pagato entro 60 giorni dalla richiesta direttamente dal concessionario della riscossione sul c/c bancario o postale comunicato dall'intestatario del conto fiscale. Se si sceglie il metodo ordinario il rimborso dovrebbe essere effettuato entro tre mesi.
Non tutti i contribuenti possono chiedere il rimborso annuale o trimestrale, che sono concessi solo a determinate condizioni.
L'istanza di rimborso del credito Iva può essere presentata solo per i crediti maturati nei primi tre trimestri dell'anno; il credito dell'ultimo trimestre va in dichiarazione annuale Iva.
Il credito Iva dovrebbe essere pagato dal 90esimo giorno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (dal 60esimo per i rimborsi chiesti all'agente della riscossione). Sul rimandato pagamento sono riconosciuti gli interessi del 2% annuo, senza sanzioni a carico del fisco.
Compensazione
Anche senza la presentazione della richiesta di rimborso annuale, il credito Iva dell'anno può essere utilizzato per compensare i debiti Iva dei periodi successivi, in liquidazione, per qualunque importo, anche superiore a 516.456,00 euro. Può essere compensato con il modello F24 per pagare l'Iva dovuta a titolo di acconto, di saldo o di versamento periodico.
Può essere compensato con il modello F24 anche per pagare imposte o contributi di natura diversa e/o nei confronti di diversi enti impositori, per un importo complessivo inferiore a 5mila euro annui, già dal primo giorno del periodo d'imposta successivo a quello in cui il credito stesso è maturato. Per i crediti trimestrali, la compensazione dei primi 5 mila euro, invece, può essere effettuata dalla data di presentazione dell'istanza senza attendere il giorno 16 del mese successivo a quello di invio (data rilevante, invece, per gli importi superiori a 5mila euro).
La compensazione del credito annuale (F24) con altri tributi per importi superiori a 5mila euro e fino a 15mila può essere effettuata dal giorno 16 del mese successivo a quello di presentazione della dichiarazione annuale e per importi superiori solo se c'è il visto di conformità di un dottore commercialista, esperto contabile o consulente del lavoro.
Senza chiedere il compenso, si recupera velocemente il credito Iva vantato, ma il limite massimo dei crediti di imposta e dei contributi compensabili in F24 è di 516.456,90 euro per ciascun anno solare. L'eccedenza può essere chiesta a rimborso nei modi ordinari o portata in compensazione nell'anno solare successivo.
Cessione a terzi
La cessione a terzi del credito Iva annuale, preventivamente chiesto a rimborso nel quadro VR della dichiarazione Iva, deve risultare da atto pubblico o da scrittura privata autenticata da notaio. Questo atto deve tra l'altro contenere l'esatta individuazione delle parti e dell'importo del credito ceduto (risoluzione 6 del settembre 2006, n. 103).
Il creditore, cedente dell'eccedenza di Iva ha l'obbligo di notificare formalmente all'ufficio dell'agenzia delle Entrate competente l'avvenuta cessione – che può essere anche parziale – del credito.
Colui che cede il credito Iva annuale deve inviare la copia autentica dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata dal notaio all'ufficio Iva competente territorialmente nei suoi confronti (circolare 8 luglio 1997, n. 192/E).
Possono essere ceduti solo i crediti risultanti dalla dichiarazione Iva annuale per i quali sia stato chiesto il rimborso nel quadro VR del modello Iva. Il credito Iva dei primi tre trimestri, per il quale è stato effettuato il rimborso, non può formare oggetto di cessione a meno che non confermato in dichiarazione annuale.
Il cessionario paga al cedente del credito Iva annuale il prezzo della cessione e le Entrate rimborsano il credito del cedente al cessionario. Quando viene notificata una cessione di credito all'ufficio Iva, questo, se ha perplessità sui documenti prodotti, deve informare il cedente prima dell'ordine di pagamento.
Attestazione del credito
I contribuenti creditori d'imposta, intestatari del conto fiscale, possono richiedere all'Agenzia delle Entrate di attestare la certezza e la liquidità del credito, nonché la data indicativa di erogazione del rimborso (articolo 10, comma 1 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269).
Anche in questo caso è indispensabile aver chiesto prima il rimborso del credito alle Entrate. L'Agenzia può rilasciare l'attestazione anche per i crediti Iva (risoluzione 4 aprile 2006, n. 49/E; allegato I circolare 3 marzo 2004, n. 9/E). Oltre all'Iva, la certificazione può riguardare i crediti per l'Irpef, l'Ires, l'Irap, le imposte sostitutive, le ritenute alla fonte, l'imposta di registro, l'imposta sulle successioni e donazioni, le imposte ipotecarie e catastali, l'imposta sulle assicurazioni e l'imposta di bollo (circolare 3 marzo 2004, n. 9/E).
Il rilascio di questa attestazione non è presupposto per l'immediata liquidazione del rimborso, in quanto l'ufficio deve prima effettuare tutti i necessari controlli. L'amministrazione finanziaria, infatti, attesta la certezza e la liquidità del credito e non anche la sua esigibilità (circolare 3 marzo 2004, n. 9/E).
L'attestazione consente agli istituti di credito (che hanno sottoscritto convenzioni con l'Agenzia) di anticipare ai creditori il 90% del credito. Così si facilita l'accesso al credito a tutte le imprese in attesa di rimborsi periodici Iva in conto fiscale, senza la necessità di una vera e propria cessione.
È una forte respiro per le aziende, a corto di liquidità, alle riprese con i ritardi sui rimborsi Iva. E' una boccata di ossigeno per più di 11.000 partite Iva, ossia per chi vanta crediti sull'imposta sul valore aggiunto. Sono in arrivo per imprese, artigiani e professionisti, rimborsi di crediti Iva per circa 2,2 miliardi di euro. Lo comunica l'Agenzia delle Entrate. In particolare, 400 milioni di euro saranno erogati già nei prossimi giorni, mentre 1,8 miliardi verranno pagati a partire dalla seconda metà del mese di maggio. La somma complessiva rimborsata nel 2012 a imprese, artigiani e professionisti arriverà a 3,1 mld (+14% rispetto ai 2,7 mld del 2011).
In particolare, ha spiegato l'Agenzia delle Entrate, 400 milioni saranno erogati già nei prossimi giorni, mentre 1,8 miliardi verranno pagati a partire dalla seconda metà del mese di maggio. Con questa nuova iniezione di liquidità, la somma complessiva rimborsata nel 2012 a imprese, artigiani e professionisti arriverà a 3,1 miliardi di euro, a fronte dei 2,7 miliardi erogati nello stesso periodo del 2011.
Sono quattro le strade possibili per ottenere il rimborso dei crediti Iva: l'istanza di rimborso, la compensazione, la cessione a terzi e l'attestazione bancaria. Ogni strada, però, è piena di ostacoli rappresentati da limiti quantitativi o da inerzie degli uffici.
Analizziamole in modo accorto.
Istanza di rimborso
I crediti Iva annuali possono essere chiesti a rimborso compilando il quadro VR della dichiarazione Iva, che va presentata in via telematica dal 1° febbraio dell'anno successivo a quello dichiarato e fino alla fine di settembre. L'istanza di rimborso del credito Iva dei primi tre trimestri dell'anno viene presentata in via telematica con il modello Iva TR, entro l'ultimo giorno del mese successivo al trimestre (per il primo trimestre entro il 30 aprile, per il secondo entro il 31 luglio e per il terzo entro il 31 ottobre).
Se viene scelta la procedura semplificata per il pagamento del credito Iva da parte del fisco, questo dovrebbe essere pagato entro 60 giorni dalla richiesta direttamente dal concessionario della riscossione sul c/c bancario o postale comunicato dall'intestatario del conto fiscale. Se si sceglie il metodo ordinario il rimborso dovrebbe essere effettuato entro tre mesi.
Non tutti i contribuenti possono chiedere il rimborso annuale o trimestrale, che sono concessi solo a determinate condizioni.
L'istanza di rimborso del credito Iva può essere presentata solo per i crediti maturati nei primi tre trimestri dell'anno; il credito dell'ultimo trimestre va in dichiarazione annuale Iva.
Il credito Iva dovrebbe essere pagato dal 90esimo giorno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (dal 60esimo per i rimborsi chiesti all'agente della riscossione). Sul rimandato pagamento sono riconosciuti gli interessi del 2% annuo, senza sanzioni a carico del fisco.
Compensazione
Anche senza la presentazione della richiesta di rimborso annuale, il credito Iva dell'anno può essere utilizzato per compensare i debiti Iva dei periodi successivi, in liquidazione, per qualunque importo, anche superiore a 516.456,00 euro. Può essere compensato con il modello F24 per pagare l'Iva dovuta a titolo di acconto, di saldo o di versamento periodico.
Può essere compensato con il modello F24 anche per pagare imposte o contributi di natura diversa e/o nei confronti di diversi enti impositori, per un importo complessivo inferiore a 5mila euro annui, già dal primo giorno del periodo d'imposta successivo a quello in cui il credito stesso è maturato. Per i crediti trimestrali, la compensazione dei primi 5 mila euro, invece, può essere effettuata dalla data di presentazione dell'istanza senza attendere il giorno 16 del mese successivo a quello di invio (data rilevante, invece, per gli importi superiori a 5mila euro).
La compensazione del credito annuale (F24) con altri tributi per importi superiori a 5mila euro e fino a 15mila può essere effettuata dal giorno 16 del mese successivo a quello di presentazione della dichiarazione annuale e per importi superiori solo se c'è il visto di conformità di un dottore commercialista, esperto contabile o consulente del lavoro.
Senza chiedere il compenso, si recupera velocemente il credito Iva vantato, ma il limite massimo dei crediti di imposta e dei contributi compensabili in F24 è di 516.456,90 euro per ciascun anno solare. L'eccedenza può essere chiesta a rimborso nei modi ordinari o portata in compensazione nell'anno solare successivo.
Cessione a terzi
La cessione a terzi del credito Iva annuale, preventivamente chiesto a rimborso nel quadro VR della dichiarazione Iva, deve risultare da atto pubblico o da scrittura privata autenticata da notaio. Questo atto deve tra l'altro contenere l'esatta individuazione delle parti e dell'importo del credito ceduto (risoluzione 6 del settembre 2006, n. 103).
Il creditore, cedente dell'eccedenza di Iva ha l'obbligo di notificare formalmente all'ufficio dell'agenzia delle Entrate competente l'avvenuta cessione – che può essere anche parziale – del credito.
Colui che cede il credito Iva annuale deve inviare la copia autentica dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata dal notaio all'ufficio Iva competente territorialmente nei suoi confronti (circolare 8 luglio 1997, n. 192/E).
Possono essere ceduti solo i crediti risultanti dalla dichiarazione Iva annuale per i quali sia stato chiesto il rimborso nel quadro VR del modello Iva. Il credito Iva dei primi tre trimestri, per il quale è stato effettuato il rimborso, non può formare oggetto di cessione a meno che non confermato in dichiarazione annuale.
Il cessionario paga al cedente del credito Iva annuale il prezzo della cessione e le Entrate rimborsano il credito del cedente al cessionario. Quando viene notificata una cessione di credito all'ufficio Iva, questo, se ha perplessità sui documenti prodotti, deve informare il cedente prima dell'ordine di pagamento.
Attestazione del credito
I contribuenti creditori d'imposta, intestatari del conto fiscale, possono richiedere all'Agenzia delle Entrate di attestare la certezza e la liquidità del credito, nonché la data indicativa di erogazione del rimborso (articolo 10, comma 1 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269).
Anche in questo caso è indispensabile aver chiesto prima il rimborso del credito alle Entrate. L'Agenzia può rilasciare l'attestazione anche per i crediti Iva (risoluzione 4 aprile 2006, n. 49/E; allegato I circolare 3 marzo 2004, n. 9/E). Oltre all'Iva, la certificazione può riguardare i crediti per l'Irpef, l'Ires, l'Irap, le imposte sostitutive, le ritenute alla fonte, l'imposta di registro, l'imposta sulle successioni e donazioni, le imposte ipotecarie e catastali, l'imposta sulle assicurazioni e l'imposta di bollo (circolare 3 marzo 2004, n. 9/E).
Il rilascio di questa attestazione non è presupposto per l'immediata liquidazione del rimborso, in quanto l'ufficio deve prima effettuare tutti i necessari controlli. L'amministrazione finanziaria, infatti, attesta la certezza e la liquidità del credito e non anche la sua esigibilità (circolare 3 marzo 2004, n. 9/E).
L'attestazione consente agli istituti di credito (che hanno sottoscritto convenzioni con l'Agenzia) di anticipare ai creditori il 90% del credito. Così si facilita l'accesso al credito a tutte le imprese in attesa di rimborsi periodici Iva in conto fiscale, senza la necessità di una vera e propria cessione.
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sabato 10 dicembre 2011
Lavori usuranti, modello per il pensionamento per le aziende
Vediamo il decreto ministeriale del 20 settembre 2011(che indica le modalità operative per l'accesso anticipato al pensionamento per gli addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti.
Il testo contiene le semplificazioni procedurali che erano state chieste dalle aziende e dalle organizzazioni sindacali prevedendo, tra l'altro, l'utilizzo di un solo modello informatico, disponibile sul sito del ministero del Lavoro, da utilizzare per registrare sia le comunicazioni obbligatorie e sanzionabili sia le comunicazioni necessarie per la procedura di monitoraggio e rilevazione dei lavoratori che svolgono attività usurante.
Il testo pubblicato oggi prevede poi la possibilità di introdurre, tramite convenzioni da stipulare con gli enti previdenziali, ulteriori elementi di semplificazione delle incombenze di comunicazione utilizzando la comunicazione per via informatica.
Con il messaggio n. 22647 dell’ INPS sono state illustrate le tipologie di lavori particolarmente faticosi e pesanti e il periodo minimo di svolgimento delle suddette lavorazioni richiesto ai fini del riconoscimento del beneficio pensionistico in questione; è stata altresì precisata la misura del suddetto beneficio pensionistico sia per il periodo transitorio fino al 2013 che da tale anno in poi. Sono state precisate le modalità di presentazione della domanda di riconoscimento dello svolgimento di lavori particolarmente faticosi e pesanti per coloro che hanno maturato o maturino i requisiti pensionistici agevolati entro il 31 dicembre 2011.
Il datore di lavoro dovrà rispettare il termine di trenta giorni per mettere a disposizione una copia della documentazione necessaria per la presentazione della domanda di pensionamento del lavoratore. Il pensionamento anticipato per gli usuranti, a regime dal 2013, prevede un ritiro con un'età anagrafica inferiore di tre anni rispetto ai lavoratori ordinari.
Per il periodo di maturazione dei requisiti che va dal 2008 al 2012, l'anticipo rispetto a quanto previsto per i lavoratori dipendenti in via ordinaria, varia invece tra uno e tre anni in riferimento all'età anagrafica e tra uno e due in relazione al valore della quota pensione.
Solo con riferimento ai lavoratori che svolgono impieghi notturni è prevista una graduazione del beneficio in base alle notti effettive lavorate nel corso dell'anno. È stabilito che la riduzione del requisito dell'età anagrafica non può comunque superare l'anno per i lavoratori che prestano lavoro notturno per un numero di giorni lavorativi annui da 64 a 71 e i due anni per coloro che svolgono lavoro notturno per un numero di giorni lavorativi annui da 72 a 77. Il beneficio pieno dei tre anni di anticipo è dunque accordato solo a coloro che svolgono almeno 78 notti di lavoro all'anno.
In particolare la domanda, presentata all'ente previdenziale presso il quale il lavoratore interessato è iscritto, deve secondo il decreto legislativo del 21 aprile 2011 n. 67:
indicare la volontà di avvalersi, per l'accesso al pensionamento, del beneficio;
specificare i periodi per i quali è stata svolta ciascuna delle attività lavorative.
Quali sono le attività usuranti secondo l’INPS .
Lavoratori impegnati in mansioni particolarmente usuranti sono:
Lavoratori dipendenti notturni decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 che possano far valere una permanenza minima nel periodo notturno.
Lavoratori addetti alla cosiddetta linea catena che, all'interno di un processo produttivo in serie, contraddistinto da un ritmo collegato a lavorazioni o a misurazione di tempi di produzione con mansioni organizzate in sequenze di postazioni, svolgano attività caratterizzate dalla ripetizione costante dello stesso ciclo lavorativo su parti staccate di un prodotto finale, che si spostano a flusso continuo o a scatti con cadenze brevi determinate dall'organizzazione del lavoro o dalla tecnologia, con esclusione degli addetti a lavorazioni collaterali a linee di produzione, alla manutenzione, al rifornimento materiali e al controllo di qualità.
Conducenti di veicoli pesanti adibiti a servizi pubblici di trasporto di persone.
Con riguardo ai lavoratori che sono stati impegnati in “lavori nelle cave: mansioni svolte dagli addetti alle cave di materiale di pietra e ornamentale” nonché in “lavori in galleria cava o miniera: mansioni svolte con carattere di prevalenza e continuità”, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con circolare n. 25 del 2011, ha chiarito che i lavoratori di segheria del marmo possono farsi rientrare nelle predette categorie purché dette attività siano state svolte comunque nell’ambito del ciclo produttivo all’interno delle cave.
Il testo contiene le semplificazioni procedurali che erano state chieste dalle aziende e dalle organizzazioni sindacali prevedendo, tra l'altro, l'utilizzo di un solo modello informatico, disponibile sul sito del ministero del Lavoro, da utilizzare per registrare sia le comunicazioni obbligatorie e sanzionabili sia le comunicazioni necessarie per la procedura di monitoraggio e rilevazione dei lavoratori che svolgono attività usurante.
Il testo pubblicato oggi prevede poi la possibilità di introdurre, tramite convenzioni da stipulare con gli enti previdenziali, ulteriori elementi di semplificazione delle incombenze di comunicazione utilizzando la comunicazione per via informatica.
Con il messaggio n. 22647 dell’ INPS sono state illustrate le tipologie di lavori particolarmente faticosi e pesanti e il periodo minimo di svolgimento delle suddette lavorazioni richiesto ai fini del riconoscimento del beneficio pensionistico in questione; è stata altresì precisata la misura del suddetto beneficio pensionistico sia per il periodo transitorio fino al 2013 che da tale anno in poi. Sono state precisate le modalità di presentazione della domanda di riconoscimento dello svolgimento di lavori particolarmente faticosi e pesanti per coloro che hanno maturato o maturino i requisiti pensionistici agevolati entro il 31 dicembre 2011.
Il datore di lavoro dovrà rispettare il termine di trenta giorni per mettere a disposizione una copia della documentazione necessaria per la presentazione della domanda di pensionamento del lavoratore. Il pensionamento anticipato per gli usuranti, a regime dal 2013, prevede un ritiro con un'età anagrafica inferiore di tre anni rispetto ai lavoratori ordinari.
Per il periodo di maturazione dei requisiti che va dal 2008 al 2012, l'anticipo rispetto a quanto previsto per i lavoratori dipendenti in via ordinaria, varia invece tra uno e tre anni in riferimento all'età anagrafica e tra uno e due in relazione al valore della quota pensione.
Solo con riferimento ai lavoratori che svolgono impieghi notturni è prevista una graduazione del beneficio in base alle notti effettive lavorate nel corso dell'anno. È stabilito che la riduzione del requisito dell'età anagrafica non può comunque superare l'anno per i lavoratori che prestano lavoro notturno per un numero di giorni lavorativi annui da 64 a 71 e i due anni per coloro che svolgono lavoro notturno per un numero di giorni lavorativi annui da 72 a 77. Il beneficio pieno dei tre anni di anticipo è dunque accordato solo a coloro che svolgono almeno 78 notti di lavoro all'anno.
In particolare la domanda, presentata all'ente previdenziale presso il quale il lavoratore interessato è iscritto, deve secondo il decreto legislativo del 21 aprile 2011 n. 67:
indicare la volontà di avvalersi, per l'accesso al pensionamento, del beneficio;
specificare i periodi per i quali è stata svolta ciascuna delle attività lavorative.
Quali sono le attività usuranti secondo l’INPS .
Lavoratori impegnati in mansioni particolarmente usuranti sono:
Lavoratori dipendenti notturni decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 che possano far valere una permanenza minima nel periodo notturno.
Lavoratori addetti alla cosiddetta linea catena che, all'interno di un processo produttivo in serie, contraddistinto da un ritmo collegato a lavorazioni o a misurazione di tempi di produzione con mansioni organizzate in sequenze di postazioni, svolgano attività caratterizzate dalla ripetizione costante dello stesso ciclo lavorativo su parti staccate di un prodotto finale, che si spostano a flusso continuo o a scatti con cadenze brevi determinate dall'organizzazione del lavoro o dalla tecnologia, con esclusione degli addetti a lavorazioni collaterali a linee di produzione, alla manutenzione, al rifornimento materiali e al controllo di qualità.
Conducenti di veicoli pesanti adibiti a servizi pubblici di trasporto di persone.
Con riguardo ai lavoratori che sono stati impegnati in “lavori nelle cave: mansioni svolte dagli addetti alle cave di materiale di pietra e ornamentale” nonché in “lavori in galleria cava o miniera: mansioni svolte con carattere di prevalenza e continuità”, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con circolare n. 25 del 2011, ha chiarito che i lavoratori di segheria del marmo possono farsi rientrare nelle predette categorie purché dette attività siano state svolte comunque nell’ambito del ciclo produttivo all’interno delle cave.
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