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domenica 17 marzo 2013

Lavoro 2013: licenziamenti individuali per motivi economici


Innanzitutto diciamo che il licenziamento individuale per motivi economici è il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, regolato dall’articolo 3 della legge n.604/1966, secondo la quale costituiscono giustificato motivo oggettivo di licenziamento individuale:
la crisi dell'impresa
la cessazione dell'attività
il venir meno delle mansioni cui era in precedenza assegnato il lavoratore, nel caso in cui non è possibile il suo ricollocamento in altre mansioni esistenti in azienda e compatibili e coerenti con il livello di inquadramento.

Il licenziamento individuale per motivi economici, non è dovuto a un inadempimento del lavoratore, ma a esigenze tecniche ed economiche dell’attività aziendale.

Nelle aziende con più di 15 dipendenti l'assenza delle ragioni addotte dal datore di lavoro per licenziare, quando viene comprovata davanti a un giudice, produce il reintegro del lavoratore e il risarcimento del danno subito.

Va messo in evidenza che la disciplina limitativa del licenziamento individuale risultante dalle leggi attualmente vigenti si applica nei confronti dei lavoratori dipendenti che rivestono la qualifica di impiegato ed operaio e, per quelli assunti in prova, dal momento in cui l'assunzione diviene definitiva (art. 10 L. n. 604/1966). La disciplina del licenziamento economico si applica sia ai vecchi lavoratori sia ai nuovi assunti.

Vediamo adesso i primi numeri sulla procedura di conciliazione preventiva, introdotta dalla riforma Fornero per i licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo (cosiddetti licenziamenti economici), danno utili indicazioni per valutare se e come sta funzionando l'istituto.

Secondo i dati del ministero del Lavoro, aggiornati al 31 gennaio 2013, emerge un primo fatto positivo: le direzioni territoriali stanno rispettando i termini che fissa la legge per svolgere la procedura. In gran parte dei casi, le parti sono convocate entro sette giorni dalla formulazione della richiesta di conciliazione, e la procedura si conclude entro i 20 giorni successivi. Non si tratta di un dato banale, se si considerano le croniche difficoltà della Pa quando deve gestire termini così stretti.

Il dato risulta ancora più positivo se si considera che i tentativi di conciliazione richiesti alla data del 31 gennaio sono molti: sono state, infatti, presentate 12.563 richieste, con alcuni picchi nelle città più popolose (1.042 a Roma, 1.180 a Milano, addirittura 1.450 a Napoli).

Risulta importante vedere gli esiti di queste richieste: alla data di osservazione 1.124 procedimenti risultavano ancora pendenti, mentre 1.831 si sono estinti per mancata comparizione delle parti. Le procedure concluse con un accordo tra le parti sono state 3.958, e il numero di quelle concluse con un mancato accordo è quasi identico, 3.638. Sommando le liti concluse con un accordo ai procedimenti abbandonati spontaneamente dalle parti, si scopre che quasi metà dei licenziamenti sono stati abbandonati o conciliati grazie alla procedura (il 46%), in cambio di una transazione economica.

Il grande numero di conciliazioni raggiunte potrebbe essere legato all'incertezza intorno alla nuova disciplina dei licenziamenti: ancora non ci sono sentenze che hanno definito i contorni del nuovo regime sanzionatorio e la procedura accelerata introdotta dalla legge Fornero mostra dei problemi di interpretazione che ne stanno depotenziando l'efficacia.

Un altro fattore, meno episodico e più strutturale, che può aver aumentato il numero delle conciliazioni può essere la regola, introdotta dalla riforma, che consente l'accesso all'Aspi alle persone che risolvono, nell'ambito della procedura obbligatoria, il proprio rapporto di lavoro. In passato le persone che risolvevano il rapporto di lavoro doveva escogitare gli stratagemmi più spericolati per accedere al trattamento di disoccupazione, in quanto questo spetta solo a chi ha perso il lavoro contro la propria volontà.

Quindi in sintesi in riferimento al licenziamento individuale per motivi economici vediamo cosa accade. Se il giudice ritiene non valido il motivo economico addotto dall’azienda, può decidere il reintegro del lavoratore. Sarà il dipendente, nel caso, a scegliere in alternativa l’indennizzo.

Mentre con la riforma riforma Fornero. Se il giudice ritiene non valido il motivo economico addotto dall’azienda, potrà decidere solo per l’indennizzo economico, che sarà tra le 15 e le 27 mensilità in base alle dimensioni dell’azienda, dell’anzianità del lavoratore e del comportamento delle parti.

Se il motivo economico è addotto per mascherare un licenziamento disciplinare o discriminatorio, si ricade nelle due ipotesi qui di seguito. Ossia, Il giudice non è chiamato a valutare il tipo di licenziamento, ma se dovesse valutare l’inesistenza dei motivi economici, scatterà l’indennizzo tra le 15 e le 27 mensilità.
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