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domenica 4 ottobre 2015

Allattamento: il riposo giornaliero è facoltativo


I riposi giornalieri per l’allattamento sono ore di riposo che possono essere richieste dalle mamme che lavorano, e in alcuni casi anche dai papà che lavorano, per avere il tempo di allattare il loro bambino.

Sono regolamentati per legge, esattamente come il congedo parentale e i congedi per malattia del bambino, e per ottenerli bisogna presentare una domanda apposita.
Le ore di riposo giornaliero per l’allattamento spettano alle mamme e in alcuni casi anche ai papà.

Se ne ha diritto se:
• una lavoratrice dipendente, sia che tu abbia messo al mondo un figlio, sia che tu abbia adottato o avuto in affidamento un bambino,
• una lavoratrice dipendente in aspettativa sindacale,
• una lavoratrice socialmente utile (LSU, LPU e ASU) e lavori a tempo pieno.

Per i riposi giornalieri è dovuta un’indennità pari al 100% della retribuzione. L’indennità è anticipata dal datore di lavoro ma è a carico dell’INPS. Ai fini della pensione, il periodo di congedo viene conteggiato per intero con l’accredito dei contributi figurativi (ossia i contributi accreditati, senza oneri a carico del lavoratore, per periodi durante i quali non ha prestato attività lavorativa). Non è richiesta nessuna anzianità contributiva pregressa.

Il datore di lavoro deve consentire alla lavoratrice madre, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo è uno solo quando l’orario giornaliero è inferiore a sei ore ( art.39 del D.lgs.151/2001).

Tali periodi di riposo hanno la durata di un’ora ciascuno.

I periodi di riposo sono di mezz’ora ciascuno quando la lavoratrice fruisca dell’asilo nido o di altra struttura idonea, istituiti dal datore di lavoro nell’unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa.

Gli stessi periodi previsti per la madre sono riconosciuti al padre (art.40 del D.lgs.151/2001):
a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre;
b) in alternativa alla madre dipendente che non se ne avvalga;
c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente;
d) in caso di morte o di grave infermità della madre.

In caso di parto plurimo, i periodi di riposo sono raddoppiati e le ore aggiuntive possono essere utilizzate anche dal padre.

Le disposizioni soprariportate si applicano anche in caso di adozione e di affidamento entro il primo anno dall’ingresso del minore nella famiglia. 

Il Ministero del lavoro nell'interpello 23 del 24 settembre 2015, risponde ai Consulenti del lavoro sui riposi giornalieri per allattamento

Il Consiglio nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro ha presentato un quesito al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in merito alla disciplina dei riposi giornalieri per la lavoratrice madre  - chiamati un tempo permessi per  allattamento  - durante il primo anno di vita del bambino ( D.Lgs. 26/03/2001, n. 151).

In particolare ha chiesto se, nelle ipotesi in cui la lavoratrice madre non intenda usufruire di tali riposi, spontaneamente e per proprie esigenze, al datore di lavoro si applichi la sanzione contemplata dall’art. 46 del d.lgs. 151/2001.

La Direzione Generale per l’Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e con interpello n. 23 del 24 settembre 2015 ha precisato che a differenza di quanto avviene nell’ipotesi di astensione obbligatoria per maternità, la lavoratrice madre può scegliere se esercitare o meno il proprio diritto, fruendo dei riposi; nell’ipotesi in cui decida di esercitarlo e il datore di lavoro non le consenta il godimento dei periodi di riposo troverà applicazione la sanzione amministrativa pecuniaria stabilita dall’art. 46 citato. Diversamente, qualora la lavoratrice madre presenti una preventiva richiesta al datore di lavoro per il godimento dei permessi giornalieri e successivamente, in modo spontaneo e per proprie esigenze non usufruisca degli stessi per alcune giornate, non sembra ravvisabile la violazione dell’art. 39 e di conseguenza non potrà trovare applicazione la misura sanzionatoria ad essa collegata.

Resta ferma la possibilità, da parte degli organi di vigilanza, di effettuare eventuali verifiche in ordine alla spontaneità della rinuncia della lavoratrice circa il godimento dei permessi in questione. Al riguardo appare pertanto opportuno che la suddetta rinuncia sia giustificata da ragioni che rispondano in modo inequivocabile ad un interesse della lavoratrice (ad es. frequenza di un corso di formazione, impossibilità di rientrare in casa in ragione di uno sciopero dei mezzi pubblici ecc.).

martedì 9 settembre 2014

Il congedo non retribuito per malattia del bambino




Il padre o la madre, in alternativa, hanno diritto art. 47 Dlgs 151/2001:

nei primi 3 anni di vita del bambino, a congedi per malattia dello stesso, senza limiti di tempo , anche se la malattia non è in fase acuta;

dai 4 agli 8 anni di età del bambino, a 5 giorni lavorativi all'anno , per ciascun genitore, per un totale massimo di 10 giorni non fruibili contemporaneamente.

Lo stato della malattia deve essere documentato, con certificato medico specialista del SSN o convenzionato.

In entrambi i casi:

non sono previste visite di controllo;

i congedi non sono retribuiti;

è possibile chiedere l'anticipo del trattamento di fine rapporto (TFR);

I periodi di assenza per malattia del bambino di età compresa tra il terzo e l'ottavo anno saranno coperti da contribuzione figurativa ( punto 8 , circ. n. 15/2001 )

I criteri di determinazione del valore figurativo si applicano ai periodi di astensione per malattia del bambino successivamente al terzo anno di età e fino al compimento dell'ottavo anno (art. 15, comma 2, della legge 1204/1971, come sostituito dall' art. 3 della legge n. 53/2000 ).

Quando si verifica l’evento della malattia del figlio, i genitori lavoratori possono usufruire di giornate di congedo, alternativamente. Si tratta di permessi non retribuiti, ma di assenze giustificate e senza limiti fino ai 3 anni di età del bambino. Il diritto spetta anche in caso di adozione o affidamento. Necessaria la presentazione del certificato medico e di un’autocertificazione. Vediamo tutti gli aspetti, anche relativi alla scelta rispetto al congedo parentale. Tra le cause di sospensione del rapporto di lavoro consentite dalla legge c’è l’assenza dal lavoro per la malattia del proprio figlio. Si tratta di permessi non retribuiti che consentono ad entrambi i genitori, anche adottivi o affidatari, di poter svolgere la propria essenziale funzione familiare nei confronti del proprio bambino, nel momento del bisogno come uno stato di malattia, senza che l’assenza possa essere ritenuta ingiustificata.

Il congedo per malattia del bambino è previsto dall’art. 47 del Decreto Legislativo n. 151 del 2001, ossia il Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e di sostegno della maternità e della paternità. Il testo prevede che “in caso di malattia del bambino i genitori naturali hanno diritto ad astenersi dal lavoro alternativamente”:

Per tutta la durata della malattia del bambino, senza limiti per i figli fino a 3 anni di età;
Per 5 giorni lavorativi all’anno per ciascun genitore, per i figli dai 3 agli 8 anni di età.
Permessi non retribuiti, nel settore pubblico sì. Come accennato già, i permessi per malattia del figlio sono concessi fino all’ottavo anno di età del bambino, rappresentano assenze giustificate, ma non sono retribuiti, salvo migliori condizioni previste dai contratti collettivi. Nel settore pubblico i congedi per la malattia del figlio sono retribuiti.

Sono considerate utili ai fini dell’anzianità di servizio (gli scatti di anzianità ad esempio). Sono esclusi invece ai fini della maturazione della tredicesima mensilità ed ai fini della maturazione delle ferie retribuite, lo stabilisce l’art. 48 del Decreto.

Relativamente alla copertura previdenziale, i permessi per la malattia del bambino fino a 3 anni di età sono accreditati come contributi figurativi per intero, mentre quelli fruiti successivamente, cioè dai 4 agli 8 anni di età del figlio danno diritto ad una copertura contributiva ridotta.

Diritto di assenza autonomo per ogni genitore. Il diritto spetta ad entrambi i genitori, che siano lavoratori con un rapporto di lavoro dipendente. Anzi, ciascun lavoratore detiene un proprio diritto, che autonomo rispetto a quello dell’altro. Il congedo per malattia del bambino, anche adottato o affidato, infatti spetta al genitore richiedente anche qualora l’altro genitore non ne abbia diritto e non trovano applicazione, nel caso della malattia del figlio, le disposizioni sul controllo della malattia del lavoratore (attestazione medica, eventuale visita di controllo, ecc).

I lavoratori dipendenti non hanno solo questa tipologia di assenza giustificata, e non retribuita, come fruibile nel caso di malattia del proprio figlio. Esiste un altro tipo di permessi e cioè l’ex astensione facoltativa, o congedo parentale. Viene riconosciuta, anche in questo caso, fino agli 8 anni del bambino.

Il vantaggio del congedo parentale  è che in caso di astensione facoltativa viene riconosciuto, per le assenze richieste per i bambini fino ai 3 anni di età, il diritto alla retribuzione nella misura del 30% attraverso l’indennità per congedo parentale erogata dall’Inps per il tramite del datore di lavoro. E alcuni CCNL possono prevedere anche l’integrazione a carico del datore di lavoro (nel settore pubblico ricordiamo che il congedo per malattia del bambino è retribuito).

In realtà il diritto alla percezione dell’indennità nel congedo parentale può essere riconosciuta anche dai 4 agli 8 anni, a condizione che il reddito individuale del lavoratore richiedente non superi le 2,5 volte la misura del trattamento minimo di pensione (attualmente nel 2012 il reddito da non superare è pari a 15.612,22 euro). Per maggiori informazioni vediamo il trattamento minimo e il congedo parentale.

Le possibilità di scelta tra congedo parentale e permessi per malattia del bambino. Quindi il lavoratore ha una doppia possibilità di scelta per assentarsi dal lavoro in caso di malattia del bambino: richiedere un congedo parentale o un permesso per malattia del bambino, uno retribuito (fino ai tre anni, o anche dopo se in possesso di un reddito idoneo al requisito) e l’altro no.

Nel caso di congedo per malattia del bambino dopo i tre anni di età, l’opzione per il congedo parentale diventa utile se si ha ancora diritto all’indennità da parte dell’Inps, sempre per reddito individuale inferiore a 2,5 volte il trattamento minimo di pensione dell’anno. I genitori quindi dovranno fare una scelta, anche economica, su quale congedo richiedere, tenendo conto anche delle giornate e dei mesi consentiti dalla legge per entrambi i permessi fruibili.

Infatti, per quanto riguarda le assenze giustificate fruibili, ricordiamo solo ed esclusivamente durante il verificarsi dell’evento della malattia del bambino, la madre ha la possibilità di astensione facoltativa per congedo parentale fino a 6 mesi nei primi 8 anni del bambino, il padre invece fino a 7 mesi sempre negli 8 anni di età. Cumulativamente il congedo parentale può essere richiesto da entrambi i genitori per 10 mesi complessivi negli 8 anni. Di questi mesi, fino ai tre anni del bambino, l’Inps eroga l’indennità per un massimo di 6 mesi per entrambi i genitori. Questo per tutti i  lavoratori. Se si ha il reddito idoneo, si ha diritto all’indennità fino ai 10 mesi totali negli 8 anni.

Oltre a queste assenze giustificate, e volendo retribuite, i genitori hanno anche la libertà di assenza, giustificata ma non retribuita, tramite il congedo per malattia del bambino fino ai tre anni di età di cui stiamo parlando in questo approfondimento, e poi dai 4 anni agli 8 anni, 5 giorni lavorativi all’anno per ciascun genitore, quindi utilizzando i permessi per malattia del bambino oltre i tre anni.

Quindi nei primi tre anni del bambino, i genitori possono utilizzare i 6 mesi retribuiti per entrambi i genitori anche nel caso di malattia del bambino e poi c’è la libertà, ma non retribuita, di assentarsi per la malattia del figlio. Dai 4 anni di età e fino agli 8 anni, si possono utilizzare il residuo individuale (6 o 7 mesi) e cumulato (10 mesi per entrambi) del congedo parentale, soprattutto se si ha diritto all’indennità dell’Inps, e poi utilizzare i 5 giorni lavorativi all’anno, per ciascun genitore, del congedo per malattia del bambino.

Ovviamente è  il Ministero del lavoro (in una nota del 2006) che consente la facoltà di scelta per i genitori tra il congedo parentale e il congedo per malattia del bambino, stabilendo che il titolo di assenza dal lavoro può essere modificato su domanda del genitore interessato, ma nel caso di assenza per malattia del bambino caso bisogna rispettare le condizioni per la fruizione che a questo punto dettagliamo.

Prima di tutto bisogna chiarire il concetto di malattia, evento che dà diritto al congedo per malattia del bambino. Il Ministero del lavoro fornisce indicazioni in tal senso: per malattia del bambino deve intendersi la modificazione peggiorativa dello stato di salute e più precisamente una qualsivoglia alterazione anatomica e funzionale dell’organismo, anche localizzata, perciò non impegnativa delle condizioni organiche generali. A tale valutazione provvederà il medico specialista del Servizio sanitario nazionale.

Il lavoratore per poter fruire del congedo per malattia del figlio deve presentare al datore di lavoro il certificato di malattia rilasciato appunto dal medico specialista del Servizio sanitario nazionale o medico con esso convenzionato.

Il genitore che si assenta non è tenuto a rispettare le fasce di reperibilità, destinate al controllo dello stato di salute del genitore e non della malattia del figlio che pure ha dato motivo all’astensione da lavoro, la legge non pone alcuna condizione relativa alla gravità o la acutezza della malattia del figlio del lavoratore.

Il lavoratore e la lavoratrice, entrambi dipendenti, hanno diritto ai permessi per malattia del bambino ma non contemporaneamente. Cioè uno dei due genitori può chiedere il congedo ma non entrambi per gli stessi giorni. Questo non limita però il diritto al padre di assentarsi dal lavoro usufruendo del congedo per la cura della malattia dei figli durante lo stesso periodo in cui la madre sta fruendo di un periodo di congedo parentale. La condizione d’alternatività dei genitori nella fruizione dei congedi di cura dei figli, se entrambi lavoratori dipendenti, vale anche nel caso in cui si ammalano due figli contemporaneamente.


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