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martedì 5 dicembre 2017

Contratto di apprendistato: licenziamento e preavviso come funziona




Il contratto di apprendistato presenta tra le proprie peculiarità, rispetto al rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la possibilità per il datore di lavoro di recedere una sola volta, alla conclusione del periodo formativo. Il recesso è quindi esercitabile soltanto al termine del periodo formativo, esattamente nel giorno coincidente con il termine del periodo di apprendistato, con preavviso ma senza obbligo di motivazione. Le parti possono dunque recedere liberamente dal contratto, ma nel rispetto del preavviso e solo se a decorrere dal termine del periodo di formazione (art 2118 c.c.). Se questo non avviene, il rapporto prosegue come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

L'apprendistato è lo strumento più diffuso per l'inserimento nel mercato del lavoro. Si tratta di un particolare rapporto all'interno del quale il lavoratore acquisisce delle competenze professionali attraverso l'inserimento all'interno dell'organizzazione produttiva del datore di lavoro presso il quale svolge le proprie mansioni. Si dice, infatti, che si tratta di un contratto di lavoro a causa mista: da un lato, infatti, il lavoratore svolge una vera e propria prestazione lavorativa ricevendo in cambio, oltre alla retribuzione, una formazione specifica.

Se il licenziamento al termine dell’apprendistato non è legittimo si trasforma automaticamente in tempo indeterminato. Questo perchè, anche alla luce della disciplina sui contratti di lavoro in apprendistato, quando il licenziamento dell’apprendista risulta nullo (ad esempio per procedura irregolare) ed il rapporto si considera non interrotto – in manca di un regolare preavviso di licenziamento – ciò dà origine a un rapporto subordinato a tempo indeterminato.

Di norma, al termine del contratto, le parti possono recedere. Diversamente il rapporto di lavoro prosegue trasformandosi in tempo indeterminato. La risoluzione unilaterale da parte del datore di lavoro al termine dell’apprendistato richiede dunque formale disdetta, con l’osservanza del periodo di preavviso.

In tal senso, la previsione della disdetta ai sensi dell’art. 2118 c.c., cioè con preavviso, è propria di un rapporto indeterminato. Il mancato esercizio del diritto di recesso da parte del datore di lavoro e la nullità del licenziamento comportano dunque la trasformazione automatica del contratto di apprendistato a contratto di assunzione a tempo indeterminato. In sintesi, al contratto di apprendistato si applicano le norme sul licenziamento previste per gli altri contratti di lavoro dipendente.
Tuttavia, diversamente dagli altri, il mancato raggiungimento degli obiettivi formativi può ad esempio giustificare il licenziamento.

Diversamente, nel periodo di preavviso continua a trovare applicazione la disciplina del contratto di apprendistato (art. 2, co. 1, D. Lgs. n. 167/2011 come modificato dall’art. 1, co. 16, lett. b), L. 28 giugno 2012, n. 92). In questo contesto nulla è cambiato con il decreto legislativo di riordino dei contratti di lavoro attuativo del Jobs Act (art 42 del D.lgs 81/2015).

Per determinare i giorni di preavviso, nel rispetto del giusto livello di inquadramento, bisogna fare riferimento al periodo di preavviso previsto per il livello con cui si era inquadrati da apprendista e non a quello che si raggiunge al termine del periodo formativo. Il preavviso decorre dal momento in cui è conosciuta dall’altra parte e la decorrenza è interrotta nel caso in cui sopraggiungano le ferie.

Il licenziamento dell’apprendista è ammissibile ed è considerato giustificato (motivo oggettivo) se non implica una semplice sostituzione con addetti alle medesime mansioni. È però a carico del datore di lavoro l’onere di dimostrare il motivo. Quindi, se la causa è un riassetto aziendale, vanno comprovate le ragioni che la motivano oltre a quelle del licenziamento in questione.
Per quanto riguarda invece il licenziamento nel periodo di formazione, si applica la disciplina comune del recesso giustificato dai contratti di lavoro a tempo.

Per determinare i giorni di preavviso, nel rispetto del giusto livello di inquadramento, bisogna fare riferimento al periodo di preavviso previsto per il livello con cui si era inquadrati da apprendista e non a quello che si raggiunge al termine del periodo formativo. Il preavviso decorre dal momento in cui è conosciuta dall’altra parte e la decorrenza è interrotta nel caso in cui sopraggiungano le ferie.

Il datore di lavoro può risolvere il contratto di apprendistato alla fine del periodo di formazione. E’, infatti, prevista espressamente la possibilità per le parti di recedere dal contratto con preavviso decorrente dal termine del periodo di formazione.

Al termine del periodo formativo la decisione di risolvere il contratto, quindi, lasciata alle parti che potranno decidere di farlo senza giustificazioni. In questo caso, tuttavia, pur non essendo richieste motivazioni, sarà necessario comunicare in forma scritta la volontà di recedere all’altra parte e calcolando il preavviso, tenendo conto della data di conclusione del contratto. Se, invece, nessuna delle parti esercita la facoltà di recesso al termine del periodo di formazione, il rapporto prosegue come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.


mercoledì 19 aprile 2017

Lavoro: licenziarsi da un contratto a tempo indeterminato


Per contratto di lavoro a tempo indeterminato si deve intendere un accordo fra le parti nel quale un soggetto, il lavoratore, si impegna dietro versamento di una retribuzione e senza vincolo di durata alcuno, a prestare la propria attività lavorativa accettando il potere direttivo, organizzativo e disciplinare di un altro soggetto, il datore di lavoro.

Con il D. lgs 151/2015, entrato in vigore in attuazione del Jobs Act, è stata rivista la disciplina delle dimissioni volontarie e della risoluzione consensuale. Il Jobs Act, a rafforzamento del contrasto alle dimissioni in bianco, ha introdotto una ulteriore novità, ovvero la compilazione in via telematica delle dimissioni.

Le dimissioni volontarie sono le classiche  date dal lavoratore per ragioni personali (famiglia, cambio lavoro, salute ecc.), in questo caso il lavoratore di sua spontanea volontà rassegna le dimissioni dal proprio lavoro a tempo indeterminato in quanto per ragioni personali non può più proseguire con il lavoro.

Il lavoratore può rassegnare le proprie dimissioni volontarie dando un margine di preavviso al datore di lavoro per consentirgli di trovare un altro lavoratore per sostituirlo nelle sue mansioni ordinarie. Il preavviso è stabilito dai CCNL i quali distinguono il periodo di preavviso in base alle mansioni del lavoratore (es. impiegato o operaio) e l’anzianità di servizio (un operaio con più anni di esperienza sarà più difficile da sostituire).

Proprio per la sua peculiarità il preavviso è sempre obbligatorio, nel caso in cui lavoratore dia le proprie dimissioni in tronco, quindi smettendo di lavorare da un giorno all’altro o comunque prima della scadenza del preavviso il datore di lavoro può richiedere un risarcimento al lavoratore, pari di solito alle giornate di mancato preavviso.

Caso diverso sono le dimissioni per giusta causa. In questo caso infatti le dimissioni vengono presentate dal lavoratore non per ragioni personali, ma perché per qualche ragione il rapporto di lavoro si è incrinato irrimediabilmente e il lavoratore non ritiene più di poter proseguire il lavoro neanche temporaneamente

In questo modo potreste avere diritto ad un risarcimento per un danno da voi subito a torto, stimato in una condizione di parità relativa all'ammontare delle retribuzioni che avreste percepito per la durata intera del contratto.  Ovviamente, prima di effettuare tutti gli incartamenti valutate sempre bene la situazione, senza fare cose affrettate.  Analizzando il motivo del recesso del contratto.  Per poi, informarvi con delle persone esperte nel campo.

Il contratto a tempo indeterminato è un accordo redatto per iscritto tra il datore di lavoro ed un dipendente, regolato dal Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro (CCNL). Esso non riporta la scadenza del rapporto lavorativo e deve contenere: i dati del principale e del lavoratore; la mansione data a quest'ultimo; l'importo dello stipendio mensile; l'orario di attività; i giorni di ferie; le eventuali ore di permesso; le informazioni riguardanti il licenziamento e le dimissioni.

L'articolo 2118 c. C. Prevede che tale obbligazione può essere sospesa soltanto dando un opportuno preavviso, per consentire all'imprenditore di trovare un subentrante, senza creare disguidi alla società. In questi casi, non occorre che il dirigente esprima la sua accettazione, perché la scelta di licenziarsi è una dichiarazione volontaria unilaterale ed inoppugnabile. Tuttavia, prima che il datore di lavoro ne venga a conoscenza, è possibile decidere per la sua revoca.

Il periodo di preannuncio è differente secondo la tipologia dell'accordo stipulato, il tipo di assunzione, l'anzianità raggiunta, ecc. Comunque, se non vengono indicate specifiche disposizioni, si applicano le regole basilari oppure quelle di equità. Le dimissioni assumono validità quando il datore di lavoro la riceve e, dunque, ne viene a conoscenza.

Se vi dimettete senza dare il preannuncio, dovrete sborsare un'indennità di mancato preavvertimento al datore di lavoro.  L'importo da rimunerare corrisponderà all'ammontare della retribuzione che avreste dovuto incassare durante i giorni di preavviso non rispettato.

Comunque, il responsabile può anche rifiutare quest'ultimo.  In questo caso, purché voi siate d'accordo, vi dovrà erogare l'indennità sostitutiva, corrispondente sempre allo stipendio relativo al suddetto intervallo.

Il licenziamento dovrà essere presentata al sovraintendente, attraverso una raccomandata con ricevuta di ritorno, per poter documentare la data di spedizione. Se lo desiderate, potrete anche presentarla mediante posta elettronica certificata e, comunque, entro un lasso massimo di un mese, a partire dalla data del vostro licenziamento volontario. Il datore di lavoro vi dovrà inviare una comunicazione, per richiedervi di firmare la vostra rescissione dal contratto.

Nella lettera delle dimissioni da trasmettere direttamente all'Ufficio del personale della vostra azienda, dovrete: specificare che si tratta di una comunicazione di licenziamento; indicare i vostri dati anagrafici, la data dell'assunzione, la tipologia della funzione, il livello, il giorno a partire dal quale sarà effettivo l'esonero dal lavoro; puntualizzare, nella parte conclusiva della missiva, la scadenza del periodo di preavviso; firmarla e datarla; farne una copia e conservarla insieme alla ricevuta dell'invio.

Il datore di lavoro deve provvedere al pagamento del T.F.R. attraverso la busta paga con la quale eroga l’ultima retribuzione, che, ovviamente, deve essere corrisposto al termine effettivo del rapporto di lavoro e, quindi, con le stesse modalità seguite fino ad oggi, a meno che le parti non si mettano d’accordo diversamente, ma sempre consegnando la busta paga al lavoratore.

Solitamente, nel giro di due o tre mesi, il datore di lavoro provvede a regolarizzare la posizione del dipendente dimesso, quindi, trascorso tale periodo, le consiglio di metterlo ufficialmente in mora a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno.






domenica 17 aprile 2016

Costo del Lavoro e Jobs Act un fallimento annunciato?


Gli incentivi monetari forniti alle imprese non si sono concretizzati in nuova occupazione a tempo indeterminato, ma hanno piuttosto favorito la trasformazione di contratti temporanei in contratti ‘permanenti’.

Se le misure del Jobs Act saranno realmente efficaci a lungo termine dal punto di vista della creazione di nuovo posti di lavoro è la domanda che in molti si stanno ponendo, soprattutto osservando i dati forniti dall’INPS relativi ai contratti di lavoro, hanno evidenziato che in particolare il contratto a tutele crescenti e decontribuzione, hanno alimentato una crescita dei posti di lavoro, soprattutto delle assunzioni a tempo indeterminato e dei voucher per il lavoro accessorio.

Questi risentono della riduzione degli sgravi contributivi previsti per chi assume nuovi lavoratori con contratto a tempo indeterminato, anche trasformando contratti a tempo determinato già in essere.
Tale riduzione è entrata in vigore nel 2016 e, di conseguenza, si è assistito ad un boom di assunzioni a tempo determinato a dicembre 2015, quando era ben noto il fatto che da gennaio i benefici sarebbero stati rimodulati, permettendo ai datori di lavoro di usufruire della “vecchia” decontribuzione. Sul totale delle nuove assunzioni a tempo indeterminato del 2015, quelle di dicembre rappresentano ben il 25%.

E’ legittimo chiedersi se questo boom di assunzioni e trasformazioni sia destinato a rimanere limitato e porsi domande sulla qualità della nuova occupazione e sulle prospettive di lunga durata dei contratti, una volta che si saranno esauriti gli sgravi. Vanno poi considerati i costi a carico dello Stato per questa misura, che sembra aver dato un impulso solo estemporaneo all’occupazione.
Ipotizzando che i datori di lavoro mantengano in essere tutti i contratti stipulati usufruendo degli sgravi per l’intero periodo di fruizione (36 mesi), il costo complessivo della misura risulterebbe pari a 22,6 miliardi di euro. O meglio 17 miliardi circa (5,7 miliardi di euro l’anno) considerando le maggiori entrate IRES dovute al fatto che i contributi fiscalizzati non sono più deducibili dal costo del lavoro.

Comunque in passato si è visto che non tutti i contratti a tempo indeterminato derivanti da trasformazioni di contratti a termine rimangono in essere per l’intero periodo di fruizione degli sgravi contributivi: tra il 2012 ed il 2014 il 40% dei contratti trasformati da tempo determinato a tempo indeterminato sono cessati entro i tre anni (Rapporto annuale sulle Comunicazioni Obbligatorie del Ministero del Lavoro). Ipotizzando quindi che 4 trasformazioni su 10 cessino prima dei 36 mesi e tutte le nuove attivazioni di contratti a tempo indeterminato durino invece l’intero periodo di fruizione, il costo complessivo per l’intero periodo di vigore della decontribuzione ammonterebbe a poco più di 18 miliardi, al lordo delle maggiori entrate IRES (quasi 14 miliardi al netto IRES).

Diversamente, ipotizzando uno scenario più realistico in cui oltre al 40% delle trasformazioni a cessare entro i 18 mesi sia anche il 20% delle nuove attivazioni a tempo indeterminato, il costo della misura per le Casse dello Stato sarebbe pari a circa 14,6 miliardi al lordo dell’IRES, quasi 11 miliardi al netto.

Un’indagine sulla forza lavoro ha confermato come l’incremento dell’occupazione, dopo l’introduzione del binomio Jobs Act-decontribuzione, è sostanzialmente debole e, in gran parte, dovuto a nuovi contratti a tempo determinato. Inoltre, l’aumento più sensibile dei contratti a tempo indeterminato sembrerebbe aver interessato le fasce più anziane (oltre 55 anni) di lavoratori e non le più giovani. L’occupazione giovanile e la variazione del tasso di inattività di questi ultimi sembrerebbe essere principalmente spiegato dalla recente introduzione del programma ‘Garanzia Giovani’ e dall’esplosione dei cosiddetti vouchers (come emerge con chiarezza dall’analisi delle fonti di natura amministrativa).

Quest’indagine mette ulteriormente in luce l’incapacità del Jobs Act di rispondere ai compiti che era stato chiamato ad assolvere, infatti mostra come tra il primo ed il secondo trimestre del 2015, in Italia, il 35% dei disoccupati ha smesso di cercare lavoro, transitando dalla disoccupazione all’inattività.

E’ vero che sono aumentati i contratti a tempo indeterminato ma è anche vero che l’incremento dei posti di lavoro è limitato e «solo alcuni dei disoccupati della crisi sono tornati a lavorare, mentre gli altri si sono ritirati dalla forza lavoro»: è un’analisi originale e argomentata dell’impatto del Jobs Act quella proposta da Tortuga.

In conclusione, il combinato disposto ‘Jobs Act’-decontribuzione si è rivelato, sin ora, inefficace in termini di quantità, qualità e durata dell’occupazione generata. Il potenziale effetto deflattivo di tali politiche, inoltre, rischia di contribuire ulteriormente all’indebolimento della struttura occupazionale ed industriale italiana, già gracile all’inizio della crisi del 2008 e pesantemente colpita da
quest’ultima.




domenica 6 marzo 2016

Assunzioni nella pubblica amministrazione


In Gazzetta il decreto che autorizza assunzioni in vari ministeri e agenzie nazionali. Il Consiglio dei Ministri ha pubblicato, sulla Gazzetta Ufficiale n. 50 del 1° febbraio 2016, il D.P.C.M. 31 dicembre 2015 con il quale autorizza, in favore di varie Amministrazioni, a bandire procedure di reclutamento ai sensi dell’art. 35, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché autorizza ad assumere a tempo indeterminato ai sensi dell’articolo 3, comma 102, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 e successive modificazioni ed integrazioni, nonché’ dell’articolo 3, commi 1 e 3, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge  11 agosto 2014 n. 114.

Si autorizza in favore di varie amministrazioni, a bandire procedure di reclutamento di personale a tempo indeterminato. In particolare, autorizza poco più di un centinaio di assunzioni nei ministeri ed enti sottoelencati:
Ministero della salute;
Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali;
Ente nazionale per l'aviazione civile;
Agenzia nazionale per la sicurezza del volo;
INAIL - Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro;
Ministero della difesa;
Ministero dell'ambiente;
Ministero dell' interno;
Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.

Inoltre, le Amministrazioni che intendano  procedere  ad  assunzioni  per unità di  personale  appartenenti  a categorie  e  professionalità diverse rispetto a quelle autorizzate,  o intendano procedere all’indizione  di  concorsi  diversi  rispetto  a quelli  autorizzati,  possono  avanzare  richiesta  di  rimodulazione indirizzata alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per la funzione pubblica, Ufficio per il  personale  delle  pubbliche amministrazioni e al Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento  della  ragioneria generale dello Stato, IGOP, che valuteranno la richiesta nel rispetto della normativa vigente e delle risorse finanziarie autorizzate con il presente provvedimento.

Secondo quando previsto dall’art. 97, 3° comma, della Costituzione, “Agli impieghi nellepubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”. Il principio è stato più volte ribadito dalla Corte Costituzionale secondo cui “Il concorso pubblico–quale meccanismo imparziale di selezione tecnica e neutrale dei più capaci sulla base del criterio del merito – costituisce la forma generale e ordinaria di reclutamento per le pubbliche amministrazioni.

Esso è posto a presidio delle esigenze di imparzialità e di efficienza dell'azione amministrativa. Le eccezioni a tale regola consentite dall'art. 97 Cost., purché disposte con legge, debbono rispondere a «peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico» (sentenza n. 81 del 2006). Altrimenti la deroga si risolverebbe in un privilegio a favore di categorie più o meno ampie di persone (sentenza n. 205 del 2006). Perché sia assicurata la generalità della regola del concorso pubblico disposta dall'art. 97 Cost., l'area delle eccezioni va, pertanto, delimitata in modo rigoroso”.

Appare quindi necessario ricordare cosa s’intende per pubblica amministrazione. Un’elencazione esaustiva delle pubbliche amministrazioni nel nostro ordinamento è contenuta nell’art. 1, comma 2, del D.Lgs 30/03/2001 n. 165 recante “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”. Oltre a quelle tipizzate, la norma fa un generico riferimento a “tutti gli enti pubblici non economici”. L’individuazione di questi è riservata all’ordinamento positivo.

Quindi, per amministrazioni pubbliche si deve intendere tutte le amministrazioni dello Stato, compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN).

lunedì 12 ottobre 2015

Incentivi assunzioni anche nel 2016


Esteso al 2016 lo sgravio contributivo per le imprese per le assunzioni a tempo indeterminato, ma con soglia annua dimezzata. L’attuale misura è uno sgravio del 100% per 36 mesi (tre anni) fino a un massimo di 8.060 euro. Significa che la decontribuzione è totale con uno stipendio fino a 26mila euro.

La decontribuzione introdotta assieme al contratto a tutele crescenti con il Jobs Act, nel 2015 sta funzionando bene: quasi 787mila assunzioni nei primi sette mesi, oltre le stime dello stesso Governo. La misura potrebbe essere dunque rifinanziata per far fronte a tutte le richieste in corso.

In vista, come detto potrebbe esserci un’analoga misura anche per il 2016, ma con un tetto annuo più basso, intorno ai 4mila euro, In pratica, lo sgravio sarebbe totale per stipendio molto più bassi, mentre e scenderebbe poi con l’alzarsi del salario. Non si escludono altre tipologie di rimodulazione, che tengano comunque conto delle risorse finanziarie, come detto più basse dell’anno scorso. In compenso ritorneranno con novità gli incentivi per la contrattazione di secondo livello legata agli incrementi di produttività. Quindi, mentre chi assume entro il 2015 beneficia di una riduzione dei contributi fino a 8.060 euro per tre anni, dall'anno prossimo il taglio sarà al massimo di 4000 euro e durare 2 anni invece di 3 e si esaurirà nel 2017.

Nel medio termine, invece, il contratto a tempo indeterminato dovrebbe essere strutturalmente meno oneroso per le aziende, con una riduzione di 4-5 punti percentuali del cuneo contributivo.
Significherebbe portare il peso dei contributi dall'attuale 33% al 27-28 per cento.

Novità per la parte di retribuzione legata alla produttività. Nel recente passato è stata prevista una decontribuzione (modificata nel tempo) per le somme erogate a fronte di prestazioni che aumentavano la produttività in azienda (straordinari, nuova turnazione ecc.) nell'ambito di un contratto aziendale di secondo livello. Finora l'incentivo era costituito da una riduzione dei contributi, ma questa soluzione comportava tempi lunghi per l'incasso, che nei migliori dei casi erano di un anno e mezzo.

Per il 2016 l'incentivo dovrebbe essere fiscale, cioè una defiscalizzazione immediata in busta paga per il dipendente un po’ come successo per il bonus mensile da 80 euro per i redditi più bassi introdotto quest'anno. In compenso, però, arriveranno requisiti più stringenti per accedere all'agevolazione rispetto al passato, quando in molti casi la normativa era stata applicata a maglie larghe ed era sufficiente avere un contratto di secondo livello, magari non troppo collegato alla produttività, per ottenere la decontribuzione.

Attualmente lo sgravio prevede un esonero contributivo per il datore di lavoro del 100% per 36 mesi, con un tetto massimo di 8060 euro annui per ogni lavoratore. Questo significa che per stipendi fino a 26 mila euro lordi l’anno lo sgravio è sul totale dei contributi. Verrebbe esteso al prossimo anno, ma con un tetto massimo per ogni lavoratore pari a 4mila euro annui, la metà rispetto ad ora.

Lo sgravio totale dei contributi, in questo modo, ci sarebbe soltanto su stipendi molto bassi, e la percentuale di decontribuzione scenderebbe con l’aumentare del salario corrisposto.

L’agevolazione va richiesta dal datore di lavoro tramite il cassetto previdenziale Inps; una volta concessa, l’azienda conguaglierà l’incentivo in sede di versamento dei contributi, compensandolo con la contribuzione dovuta.


mercoledì 23 settembre 2015

Contratto di apprendistato regole per il licenziamento e preavviso


L'apprendistato è lo strumento più diffuso per l'inserimento nel mercato del lavoro. Si tratta di un particolare rapporto all'interno del quale il lavoratore acquisisce delle competenze professionali attraverso l'inserimento all'interno dell'organizzazione produttiva del datore di lavoro presso il quale svolge le proprie mansioni. Si dice, infatti, che si tratta di un contratto di lavoro a causa mista: da un lato, infatti, il lavoratore svolge una vera e propria prestazione lavorativa ricevendo in cambio, oltre alla retribuzione, una formazione specifica.

L’apprendistato è un particolare rapporto che prevede l’acquisizione di specifiche competenze professionali, da parte del lavoratore che viene inserito nell’organizzazione produttiva dell’impresa presso la quale svolge le proprie mansioni. Un periodo dalla profonda natura formativa.

Il contratto di apprendistato ha una durata minima di sei mesi e prevede una fase di formazione, al termine della quale la qualifica professionale acquisita può essere inserita nel cosiddetto libretto formativo del cittadino. Un riconoscimento del percorso professionale compiuto.

Durante il periodo di formazione il datore di lavoro non può recedere dal contratto se non in presenza di una giusta causa o di giustificato motivo. La giusta causa si configura in comportamenti di una gravità tale da giustificare l’interruzione immediata del rapporto di lavoro, quali ad esempio il furto o il danneggiamento volontario di materiali aziendali. Il giustificato motivo si divide in soggettivo e oggettivo.

Il primo consiste in un inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore, mentre alla base del licenziamenti per giustificato, motivo oggettivo vi sono da ragioni relative alla riorganizzazione dell’impresa. In caso di licenziamento illegittimo durante il periodo di apprendistato, sono applicate le norme previste per il licenziamento disciplinare.

Al termine del periodo di formazione il datore di lavoro può licenziare il dipendente, dando il necessario preavviso, in caso contrario il contratto prosegue automaticamente come un ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Il contratto di apprendistato presenta tra le proprie peculiarità, rispetto al rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la possibilità per il datore di lavoro di recedere una sola volta il contratto, alla conclusione del periodo formativo.

Il recesso è quindi esercitabile soltanto al termine del periodo formativo, esattamente nel giorno coincidente con il termine del periodo di apprendistato, con preavviso ma senza obbligo di motivazione. Le parti possono recedere liberamente dal contratto, nel rispetto del preavviso, decorrente dal termine del periodo di formazione.

Se questo non avviene il rapporto prosegue come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Diversamente nel periodo di preavviso continua a trovare applicazione la disciplina del contratto di apprendistato. Per determinare i giorni di preavviso, nel rispetto del giusto livello di inquadramento, bisogna fare riferimento al periodo di preavviso previsto per il livello con cui si era inquadrati da apprendista e non a quello che si raggiunge al termine del periodo formativo. Il preavviso decorre dal momento in cui è conosciuta dall’altra parte e la decorrenza è interrotta nel caso in cui sopraggiungano le ferie.

Il datore di lavoro può risolvere il contratto di apprendistato alla fine del periodo di formazione. E’, infatti, prevista espressamente la possibilità per le parti di recedere dal contratto con preavviso decorrente dal termine del periodo di formazione.

Al termine del periodo formativo la decisione di risolvere il contratto, quindi, lasciata alle parti che potranno decidere di farlo senza giustificazioni. In questo caso, tuttavia, pur non essendo richieste motivazioni, sarà necessario comunicare in forma scritta la volontà di recedere all’altra parte e calcolando il preavviso, tenendo conto della data di conclusione del contratto. Se, invece, nessuna delle parti esercita la facoltà di recesso al termine del periodo di formazione, il rapporto prosegue come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.


lunedì 15 giugno 2015

Contratti di lavoro con il Jobs Act: le novità



Una delle misure portanti della riforma dei contratti di lavoro riguarda il nuovo tempo indeterminato a tutele crescenti, che viene applicato a tutte le nuove assunzioni. In pratica, chi è già assunto a tempo indeterminato resta con il vecchio contratto, ma a chi trova lavoro o lo cambia viene invece applicato il nuovo contratto.

Per i contratti a tempo determinato il superamento del limite del 20% di utilizzo comporterà una sanzione amministrativa e non più una multa (come previsto nel testo originario); in sostanza invece di finire nelle tasche del dipendente, la somma andrà all'Erario per potenziare i servizi per l'occupazione. Il limite del 20% sarà derogabile con i «contratti collettivi». Escluse dal tetto e start up innovative e le assunzioni dei lavoratori over 50.

Il Decreto legislativo sul riordino dei contratti approvato dal Cdm conferma la fine delle collaborazioni a progetto (si salvano quelle in corso, fino a esaurimento). Dal 1° gennaio 2016 si applicherà la disciplina del lavoro subordinato ai rapporti di collaborazione che si concretizzano in prestazioni «esclusivamente personali», «continuative» e «organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro». Si conferma il limite del 20% di utilizzo del contratto a termine, ma se l'azienda “sfora” questo tetto non scatterà mai la conversione del rapporto a tempo indeterminato (l'impresa dovrà però pagare una maxi-multa pari al 50% della retribuzione mensile, e l'importo della sanzione finirà in tasca al lavoratore).

Nasce il contratto di apprendistato scolastico, sul modello duale tedesco. Ampliando la sperimentazione Carrozza, l'apprendistato duale interessa gli studenti delle superiori (licei inclusi) a partire da 15 anni (finora 17 anni), dura fino a 4 anni (oggi 3 anni). Stretta sulle false collaborazioni trasformate a gennaio in lavoro subordinato.

Il contratto a tempo determinato è consentito per tre anni senza causale (36 mesi), non può riguardare più del 20% dell’organico aziendale a tempo indeterminato, tranne che nelle micro-imprese fino a cinque dipendenti, che non hanno nessun paletto all’applicazione. Sono esenti dal limite del 20% anche le start-up innovative, le assunzioni di lavoratori con almeno 55 anni, le sostituzioni di dipendenti assenti, le attività stagionali, i contratti per specifici spettacoli o programmi radiofonici e televisivi.

Restano quindi tutti i contratti di apprendistato già previsti (per la qualifica, il diploma e la specializzazione professionale; professionalizzante; di alta formazione e ricerca). La durata minima è di sei mesi, alla scadenza le parti possono recedere (previo preavviso), oppure il contratto diventa a tempo indeterminato. Ci sono regole precise per la formazione durante l’apprendistato.

Vengono introdotte modifiche all'apprendistato per qualifica e diploma e all'apprendistato di alta formazione e ricerca (invariato invece l'apprendistato professionalizzante e di mestiere). Si pongono così le basi di un «sistema duale» in cui il conseguimento dei titoli, rispettivamente al livello secondario di istruzione e formazione e al livello terziario, potrà avvenire anche attraverso l'apprendistato effettuato nell'impresa.

La principale novità consiste nella eliminazione delle «causali» che consentono la stipula del contratto di somministrazione lavoro a tempo indeterminato (staff leasing). Al loro posto viene introdotto un limite di utilizzo del 20 per cento «salvo diversa previsione dei contratti collettivi». I lavoratori somministrati dovranno essere a loro volta assunti a tempo indeterminato dall'agenzia.

Si prevede che anche in assenza di una disciplina collettiva che lo autorizzi, il datore di lavoro può chiedere ai dipendenti in part time orizzontale una prestazione supplementare sia pure in misura non superiore al 15% delle ore concordate settimanali e retribuendo queste ore con una maggiorazione omnicomprensiva del 15%. Azienda e lavoratori possono concordare ulteriori clausole di flessibilità.

Si consente al datore di lavoro di variare unilateralmente le mansioni in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali, fino al livello di inquadramento inferiore rientrante nella stessa categoria. Lo stipendio base non cambia. La contrattazione collettiva, anche di secondo livello, potrà prevedere ulteriori ipotesi di demansionamento. Inoltre, in sede protetta, si potranno siglare accordi individuali finalizzati al rimansionamento per conservare il posto.

Si amplia l'utilizzo dei voucher per le prestazioni occasionali, portando il tetto massimo annuo da 5mila a 7mila euro. Uno strumento nato per regolamentare il lavoro accessorio, non riconducibile a contratti di lavoro in quanto svolte in modo saltuario, e tutelare situazioni non regolamentate. Il valore netto di un voucher da 10 euro nominali, in favore del lavoratore, è di 7,50 euro e corrisponde al compenso minimo di un'ora di prestazione, salvo che per il settore agricolo.



sabato 14 marzo 2015

Contratto di lavoro a tutele crescenti: mutui a rischio



Il contratto a tutele crescenti è legge dello stato: dal 1° marzo regolerà le nuove assunzioni a tempo indeterminato. Porterà davvero a un miglioramento del mercato del lavoro? Dipende dalla sua capacità di ridurre la precarietà.

Pensiamo a cosa succederà quando il beneficio fiscale verrà meno. Non si tratta di un’ipotesi ca perché il rischio che il bonus fiscale non sia sostenibile per le finanze pubbliche è molto concreto. In Italia è ora possibile assumere a termine senza causa scritta e rinnovare per cinque volte il contratto nell’arco di tre anni. Nulla vieterà a un’impresa di offrire il nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti soltanto dopo tre anni di contratto a termine. Tenendo conto che nei primi due anni l’indennizzo è decisamente modesto, in queste condizioni si rischia di rendere precario un nuovo assunto per almeno cinque anni. Ciò significa che una volta esaurito il beneficio fiscale, la precarietà potrebbe anche aumentare. Una situazione paradossale.

L'ABI rassicura, più mutui grazie al Jobs Act, ma da un'inchiesta su dieci banche solo una concede il prestito a fronte di contratto indeterminato a tutele crescenti: dati e riflessioni.

Il problema si è posto da subito: il nuovo contratto indeterminato a tutele crescenti previsto dal Jobs Act, che prevede meno garanzie contro il licenziamento rispetto al vecchio tempo indeterminato, avrà conseguenze sensibili sulla possibilità di ottenere mutui per acquistare la casa? Una risposta certa al momento non si può dare, visto che il nuovo indeterminato a tutele crescenti è in vigore dal 7 marzo  2015 e non ci sono dati su come si comporteranno le banche.

Ci sono, in compenso, due elementi contrastanti su cui riflettere: da una parte una dichiarazione del presidente dell’ABI, Giorgio Patuelli, del tutto confortante sul fatto che le banche vedranno di buon occhio il nuovo contratto indeterminato a tutele crescenti per la concessione dei mutui. Anzi, per Patuelli, i mutui sono destinati ad aumentare nel caso in cui lo strumento alimenti nuove assunzioni, spingendo quindi un maggior numero di lavoratori ad acquistare la casa e a chiedere mutui. Dall’altra, ci sono dubbi sollevati da più parti sul fatto che il nuovo contratto presenta meno garanzie rispetto al vecchio e anche una specifica inchiesta di Repubblica che mette in luce una serie di criticità.

Partiamo dalle dichiarazioni di Patuelli:

«Guardiamo con una disposizione favorevole al nuovo contratto, ci attendiamo un aumento di assunzioni a tempo indeterminato, destinato ad assorbire alcune forme contrattuali precarie. Sono convinto che i neoassunti con il contratto a tutele crescenti saranno bene visti dalle banche, che sono pronte ad accogliere positivamente la richiesta di prestiti e mutui avanzata da lavoratori stabilizzati».

«Per le banche la questione sostanziale è rappresentata dalla tipologia di contratto che è a tempo indeterminato – aggiunge Patuelli -. Il fatto che le tutele dal licenziamento si esplichino in modo differente rispetto al passato è ininfluente, perché al posto della reintegrazione è previsto per il lavoratore licenziato il pagamento di un indennizzo crescente fino a 24 mensilità che rappresenta una garanzia. Ovviamente il merito di credito sarà visto da ciascuna banca con una predisposizione positiva, ma guardando alla situazione specifica, ovvero all’importo richiesto, al reddito mensile, al valore dell’immobile, come si è sempre fatto per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato».

Come si vede, toni rassicuranti da parte del presidente dell’ABI, che però non sembrano confortati, almeno per il momento, dai fatti.

Due giornalisti di Repubblica, Matteo Pucciarelli e Silvia Valenti, hanno svolto una specifica inchiesta, presentandosi in una decina di banche fingendosi una coppia che chiedeva un mutuo per una casa a Milano da 200 milioni di euro, 70mila come anticipo. Il mutuo serviva a coprire il 65% dell’acquisto, dunque, (in genere, il massimo è l’80%). La somma richiesta: 130mila euro. Si presentavano come una giovane coppia di trentenni con due contratti di assunzione a tempo indeterminato, uno a tutele crescenti, per un importo di 1600 euro al mese, l’altro con il vecchio tempo indeterminato, con stipendio di 1200 euro al mese. Ebbene, una sola banca ha dichiarato disponibilità a concedere il mutuo, mentre tre hanno dato risposta negativa, quattro hanno preso tempo, due non hanno risposto.

Va fatta una precisazione importante: il problema fondamentale emerso dall’inchiesta non è l’indisponibilità a concedere un mutuo, ma la scarsa conoscenza da parte delle banche del nuovo contratto a tutele crescenti. Si tratta di un nuovo strumento sul quale ancora non c’è una preparazione adeguata da parte degli operatori e dei consulenti a cui ci si rivolge per ottenere i mutui.

Nella maggior parte dei casi le banche hanno chiesto tempo, per acquisire ad esempio documentazione storica sulle busta paga dell’assunto a tutele crescenti (che, nella coppia in questione, rappresentava lo stipendio più alto), nel senso che si rimandava la decisione di qualche mese, alcuni hanno chiesto almeno sei buste paga pregresse. Non sono mancati casi in cui di fatto l’orientamento iniziale è stato quello di considerare il contratto a tutele crescenti in modo simile a un contratto parasubordinato (caso in cui, spesso, si chiedono ulteriori garanzie).

L’unica banca che ha detto sì senza fare una piega è Deutsche Bank (fra le poche banche straniere interpellate nell’inchiesta, la maggioranza nel panel è stato rappresentato da istituti di credito italiani). L’impiegato a cui la giovane coppia si è rivolta ha risposto, semplicemente: «se non lo diamo a voi, il mutuo, a chi dobbiamo darlo?».

E’ difficile non pensare che se non si fanno mutui a giovani coppie con due contratti a tempo indeterminato, quale che sia la protezione prevista in materia di articolo 18 e reintegro, sembra difficile che il mercato dei mutui possa riprendersi come tutti auspicano.

Che effetti dovremmo quindi aspettarci dal nuovo contratto? Rendendo più facili le interruzioni di lavoro, implicherà ovviamente un aumento dei licenziamenti. Al tempo stesso, renderà anche più facile assumere nuovi lavoratori. Il saldo netto è però ambiguo, come da sempre evidenziato dagli studi empirici in materia.

Il vero obiettivo del contratto a tutele crescenti non va ricercato tanto nella riduzione della disoccupazione, quanto piuttosto nella riduzione della precarietà. Questo significa che la riforma avrà avuto successo se la quota di assunzioni a termine si ridurrà. Come dovrebbe ridursi anche la quota di assunzioni sotto altre forme instabili (in particolare contratti a progetto e false partite Iva).



mercoledì 11 marzo 2015

Jobs act: il contratto a tempo indeterminato



Per contratto di lavoro a tempo indeterminato si deve intendere un accordo fra le parti nel quale un soggetto, il lavoratore, si impegna dietro versamento di una retribuzione e senza vincolo di durata alcuno, a prestare la propria attività lavorativa accettando il potere direttivo, organizzativo e disciplinare di un altro soggetto, il datore di lavoro. Il contratto di lavoro subordinato va inteso quindi a tempo indeterminato, concetto questo già chiaramente espresso dal legislatore già nel 1962 e più recentemente ribadito nel 2007 dopo che la riforma del lavoro con la quale poteva sembrare che il contratto di lavoro subordinato andasse inteso a tempo determinato. In questa sezione del sito trovi tutte le novità in materia, gli approfondimenti e gli incentivi alle imprese che assumono.

Pubblicato in Gazzetta Ufficiale (GU Serie Generale n.54 del 6-3-2015) il Decreto Legislativo attuativo del Jobs Act che dà il via al nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, entrato ufficialmente in vigore dal 7 marzo 2015. Questo significa che la nuova normativa si applica a tutti i contratti stipulati dal 7 marzo 2015 in poi.

Per gli assunti a tempo indeterminato con qualifica di operaio, impiegato e quadro, la disciplina delle tutele crescenti sostituirà il vecchio articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Le nuove regole sanzionatorie in caso di licenziamento nullo, illegittimo o inefficace contenute nel decreto legislativo 23/2015 si applicano in primis agli assunti dalle aziende grandi, cioè quelle con più di 15 dipendenti nelle unità produttiva site nello stesso comune, o più di 60 a livello complessivo.

Il nuovo regime si applica altresì ai nuovi assunti dalle cosiddette organizzazioni di tendenza, cioè da quei datori di lavoro che svolgono attività senza fine di lucro, nonché, limitatamente all'ipotesi dell'ingiustificato licenziamento per motivo oggettivo, e in forma dimezzata, ai nuovi lavoratori delle piccole aziende.

Con le assunzioni effettuate da oggi i datori di lavoro potranno cumulare le due agevolazioni previste dalla legge delega 183/2014, e cioè l'applicazione del regime delle tutele crescenti, nonché l'esonero contributivo introdotto dalla legge di Stabilità 2015 (massimo 8.060 euro all'anno per tre anni). I due interventi dovrebbero infatti rimuovere i limiti legati al contratto a tempo indeterminato, quale contratto economicamente oneroso e dal quale il datore è impossibilitato a recedere, limiti che avevano di fatto costretto le aziende a scegliere forme contrattuali alternative.

Grazie all'importante sconto contributivo, non riconosciuto soltanto per i dipendenti già titolari di un contratto a tempo indeterminato nei 6 mesi antecedenti, il contratto a tempo indeterminato è diventato quello meno oneroso, sia se confrontato ai contratti a termine (soggetti altresì al contributo addizionale dell'1,4%, salvo specifiche deroghe), sia se paragonato alle co.co.co che sopravviveranno dopo l'abrogazione delle collaborazioni a progetto.

Con l'introduzione delle tutele crescenti, il contratto a tempo indeterminato non sarà più vissuto dall'imprenditore come una mancanza di libertà economica, in quanto il nuovo apparato sanzionatorio limita le ipotesi di reintegra a casi gravemente illegittimi (licenziamento nullo o licenziamento disciplinare in presenza di fatto materiale insussistente), e individua gli specifici rischi economici a cui il datore di lavoro si espone in caso di licenziamento ingiustificato (massimo 24 mensilità ridotte a 18, se il lavoratore accetta la nuova proposta di conciliazione).

Senza contare il fatto che rimane l'unico contratto che non origina contenziosi connessi al suo inquadramento, a differenza di quanto succede per i contratti di lavoro autonomo.

Secondo uno studio della UIL il rischio sarebbe legato alla combinazione tra lo sconto sui contributi a carico delle imprese per i primi tre anni di assunzione e l’abolizione dell’articolo 18. Gli indennizzi previsti dal contratto a tutele crescenti sarebbero infatti di molto inferiori agli sgravi fiscali previsti dalla Legge di Stabilità per chi assume. Se questo da una parte incentiverà l’occupazione dall’altra lascerà le aziende libere di licenziare, anche senza giusta causa, dopo tre anni. Nel caso in cui il datore di lavoro assumesse un lavoratore nel 2015 e lo licenziasse a fine anno il saldo risulterebbe positivo di circa 4.390 euro medi. Licenziandolo invece dopo 3 anni il saldo positivo salirebbe a 13.190 euro. Questo considerando uno stipendio medio di 22 mila euro lordi/anno (1.692 euro lordi/mese), con uno sgravio contributivo a favore dell’azienda di circa 6.390 euro. In generale gli ipotetici benefici per i datori di lavoro potrebbero variare dai 763 euro ai 5 mila euro se si licenzia entro il primo anno, mentre se si licenzia alla fine dei 3 anni i benefici variano dai 12 ai 15 mila euro.




mercoledì 18 febbraio 2015

Esenzione contributiva con le assunzioni a tempo indeterminato



Allo scopo di promuovere forme di occupazione stabile, l’art. 1, commi da 118 a 124, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 ha introdotto l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro in relazione alle nuove assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato con decorrenza nel corso del 2015. Si tratta di un esonero contributivo per tutti i datori di lavoro privati (non solo le imprese), sulle assunzioni a tempo indeterminato del 2015, fino a un massimo di 8.060 euro su base annua, che vale per tre anni. Sono esclusi i contratti di apprendistato e il lavoro domestico. L’INPS con la circolare 17/2015 aveva fornito le prime indicazioni per gestire l’agevolazione, e ora con il messaggio 1144 aggiunge tutti i dettagli operativi tecnici.

L’esonero è applicabile esclusivamente ai datori di lavoro privati;

Riguarda le nuove assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato decorrenti dal 1° gennaio al 31 dicembre 2015;

L’esonero spetta anche ai datori di lavoro agricoli (comma 119), con esclusione dei lavoratori che nell’anno 2014 siano risultati occupati a tempo indeterminato e relativamente ai lavoratori occupati a tempo determinato che risultino iscritti negli elenchi nominativi per un numero di giornate di lavoro non inferiore a 250 con riferimento all’anno solare 2014. L’incentivo è riconosciuto dall’Inps in base all’ordine cronologico di presentazione delle domande e, nel caso di insufficienza delle risorse, valutata anche su base pluriennale con riferimento alla durata dell’incentivo, l’Istituto previdenziale non prende in considerazione ulteriori domande, fornendo immediata comunicazione anche attraverso il proprio sito internet. Per il settore agricolo sono stati stanziati 2 milioni di euro per il 2015.

Sono esclusi i contratti di apprendistato ed i contratti di lavoro domestico;

L’esonero riguarda un periodo massimo di 36 mesi e un importo massimo pari a 8.060 euro su base annua;

L’esonero contributivo spetta a condizione che, nei sei mesi precedenti l’assunzione, il lavoratore non sia stato occupato, presso qualsiasi datore di lavoro, con contratto a tempo indeterminato. Il Legislatore ha escluso l’applicazione dell’esonero medesimo laddove, nell’arco dei tre mesi antecedenti la data di entrata in vigore della Legge di stabilità 2015, il lavoratore assunto abbia avuto rapporti di lavoro a tempo indeterminato con il datore di lavoro richiedente l’incentivo ovvero con società da questi controllate o a questi collegate

L’esonero contributivo in oggetto non si applica nei confronti della pubblica amministrazione, individuabile assumendo a riferimento la nozione e l’elencazione recati dall’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001.


Pertanto, il beneficio in oggetto si applica ai seguenti datori di lavoro:
a) datori di lavoro imprenditori.

L’esonero contributivo riguarda tutti i rapporti di lavoro a tempo indeterminato, ancorché in regime di part-time, con l’eccezione dei contratti di:
a) apprendistato;
b) lavoro domestico.

Nel novero delle tipologie contrattuali incentivate rientra anche il lavoro ripartito o job sharing a tempo indeterminato, purché le condizioni per l’applicazione dell’esonero siano possedute da ambedue i lavoratori coobbligati.

Lo scopo è quello di incentivare l’adozione, nella regolazione dei rapporti di lavoro, della tipologia contrattuale per sua natura caratterizzata da requisiti fondanti di stabilità - il contratto a tempo indeterminato - si ritiene che non possa rientrare fra le tipologie incentivate l’assunzione con contratto di lavoro intermittente o a chiamata ancorché stipulato a tempo indeterminato. Al riguardo, si osserva come il lavoro intermittente, anche laddove preveda la corresponsione di un compenso continuativo in termini di indennità di disponibilità, costituisca pur sempre una forma contrattuale strutturalmente concepita allo scopo di far fronte ad attività lavorative di natura discontinua.

I datori di lavoro, prima della trasmissione della denuncia contributiva del primo mese in cui utilizzano il beneficio, devono chiedere all’INPS, attraverso la funzione “contatti” del cassetto previdenziale, l’attribuzione del codice di autorizzazione “6Y”, che significa “Esonero contributivo articolo unico, commi 118 e seguenti, legge n. 190/2014“. Per effettuare la richiesta, all’interno del cassetto previdenziale bisogna selezionare nel campo oggetto la denominazione “esonero contributivo triennale legge n. 190/2014“, utilizzando la seguente locuzione: “Richiedo l’attribuzione del codice di autorizzazione 6Y ai fini della fruizione dell’esonero contributivo introdotto dalla legge n. 190/2014, art. 1, commi 118 e seguenti, come da circolare n. 17/2015“.

La sede INPS territorialmente competente assegnerà il codice di autorizzazione alla posizione contributiva interessata, con validità dal primo gennaio 2015 al 31 dicembre 2018, dandone comunicazione al datore di lavoro sempre attraverso il cassetto previdenziale.

Ottenuto il codice, parte l’operatività, I datori di lavoro espongono nel flusso Uniemens i lavoratori per i quali spetta l’esonero, selezionando l’elemento <Imponibile> e l’elemento <Contributo> della sezione <DenunciaIndividuale>. In particolare, nell’elemento <Contributo> deve essere indicata la contribuzione piena calcolata sull’imponibile previdenziale del mese. Poi, per esporre il beneficio spettante, dovranno essere valorizzati all’interno di <DenunciaIndividuale>, <DatiRetributivi>, elemento <Incentivo> i seguenti elementi:

<TipoIncentivo>: inserire il valore “TRIE” avente il significato di “Esonero contributivo articolo unico, commi 118 e seguenti, della Legge 23 dicembre 2014, n. 190″;

<CodEnteFinanziatore>: inserire il valore “H00″ (Stato);

<ImportoCorrIncentivo>: indicare l’importo posto a conguaglio relativo al mese corrente, calcolato in base ai criteri illustrati nella circolare n. 17/2015. Si ricorda che l’esonero riguarda la contribuzione previdenziale e assistenziale a carico del datore di lavoro, fatta eccezione per la contribuzione al “fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto di cui all’art. 2120 del codice civile” e ai fondi di cui all’articolo 3, commi 2, 14 e 19 delle legge 92/2012, fino al limite della soglia massima mensile pari a 671,66 (che significa 8.060 euro all’anno). Per i rapporti di lavoro instaurati ovvero risolti nel corso del mese, il massimale mensile va ridotto proporzionalmente al numero dei giorni di lavoro, assumendo a riferimento la misura giornaliera di esonero contributivo pari a 22,08 euro;

<ImportoArrIncentivo>: indicare l’importo dell’esonero contributivo dei mesi di competenza di gennaio e/o febbraio 2015. Si sottolinea che la valorizzazione del predetto elemento può essere effettuata esclusivamente nei flussi UniEmens di competenza di febbraio 2015, relativamente all’arretrato del precedente mese di gennaio, o di marzo 2015, relativamente all’arretrato dei precedenti mesi di gennaio e/o febbraio.

Si ricorda che per il lavoro a tempo parziale, o ripartito, la misura dell’incentivo va sempre rapportata al relativo orario di lavoro.

L’INPS nella precedente circolare ha spiegato chiaramente che l’importate è non superare il tetto annuale di 8060 euro: se ci sono mensilità in cui si supera la soglia di 671,66, l’eccedenza può essere esposta nel mese corrente e nei mesi successivi e comunque rispettivamente entro il primo, il secondo e il terzo anno di durata del rapporto di lavoro.

Un rapporto di lavoro agevolato a tempo pieno instaurato il primo maggio 2015. Nei mesi di maggio e giugno l’importo dei contributi non dovuti è pari a 600 euro. A luglio, a seguito di un aumento dell’imponibile per corresponsione di premi o altri emolumenti, l’importo dell’esonero spettante sale a 750 euro. Nella denuncia relativa al mese di luglio, il datore di lavoro non può esporre la somma di 750 euro, in quanto superiore alla soglia massima mensile, per cui indicherà nell’elemento <ImportoCorrIncentivo> la somma di 671,66 euro.

La differenza, pari a 78,34 euro (750,00-671,66) può essere fruita nello stesso mese, in quanto inferiore alla quota residuale di esonero non fruita nei due mesi precedenti, pari a 143,32 euro (71,66 euro dato dalla differenza 671,66-600 per maggio e e giugno). Questa somma può essere conguagliata in corrispondenza dell’elemento <ImportoACredito> di <AltreACredito > di <DenunciaIndividuale> e andrà valorizzata nell’elemento <CausaleACredito> la causale “L700″ avente il significato di “Recupero residuo esonero contributivo articolo unico, commi 118 e seguenti, legge n. 190/2014″.

I datori di lavoro che invece hanno fruito del beneficio e hanno poi sospeso o cessato l’attività, dovranno avvalersi della procedura delle regolarizzazioni contributive.

E’ un settore che segue regole specifiche: i datori di lavoro devono presentare all’INPS specifica istanza, in via telematica, usando il modello di comunicazione “ASSUNZIONE OTI 2015” disponibile all'interno del “Cassetto previdenziale aziende agricole” sezione “Comunicazioni bidirezionale – Invio Comunicazione“. Il modulo si compone di due diverse sezioni: la prima, dedicata alla richiesta di esonero contributivo, alla quale l’INPS risponde entro tre giorni, la seconda, che è la domanda definitiva di accesso al beneficio, che va compilato entro 14 giorni.

Conclusa positivamente questa fase, viene attribuito apposito codice di autorizzazione,denominato E5, e il datore di lavoro dovrà, per il lavoratore agevolato, indicare, nel flusso DMAG, oltre ai consueti dati retributivi per lo stesso mese:



giovedì 25 dicembre 2014

Articolo 18 cosa cambia per il 2015



"Altro che rivoluzione copernicana", il governo Renzi "ha cancellato il lavoro a tempo indeterminato, generalizzando la precarizzazione". Così la leader della Cgil, Susanna Camusso, dopo l'ok del Cdm ai decreti attuativi del Jobs Act: norme "ingiuste, sbagliate e punitive". "Il governo ha accolto la nostra reiterata richiesta di un intervento pubblico per l'Ilva: è un fatto decisamente positivo", sostiene invece il segretario generale della Uil, Carmelo Barbagallo. Ma, aggiunge, "diverso è il nostro giudizio sul Jobs Act. Consideriamo infatti - spiega - negativamente la monetizzazione dei licenziamenti collettivi, fatto che non aiuterà il mondo del lavoro".

Contratto a tutele crescenti e indennizzi “da un minimo di 4 ad un massimo di 24 mesi”. E poi niente ‘opting out’, cioè niente super-indennizzo per aggirare il reintegro dei lavoratori licenziati illegittimamente, e delega fiscale. E ancora le misure per Taranto e sull’Ilva, la legge Europea 2014 e la proroga dei contratti dei precari delle province. Sono tante e diverse le novità varate dal Consiglio dei Ministri della Vigilia. Nelle immagini una scheda riassuntiva dei principali provvedimenti.

Addio al reintegro nei licenziamenti economici e in una buona parte dei licenziamenti disciplinari. Per i neo assunti, dal 2015, scatterà il contratto a tutele crescenti, e le nuove norme, è una novità dell'ultim'ora, si estenderanno anche ai licenziamenti collettivi (che sono economici per definizione). È quanto prevede il Dlgs con la nuova normativa sul contratto a tutele crescenti appena varato dal Governo, assieme a una prima lettura del Dlgs sull'Aspi.

Nel testo che cambia l'articolo 18, è previsto che le tutele crescenti per i licenziamenti economici illegittimi partiranno da 2 mensilità per anno di servizio con un tetto di 24 mensilità. È prevista l'introduzione di un indennizzo minimo di 4 mensilità, da far scattare subito dopo il periodo di prova, con l'obiettivo di scoraggiare licenziamenti facili. Visto che i contratti a tutele crescenti godranno dei benefici fiscali e contributivi contenuti nella legge di stabilità. E' confermata la conciliazione veloce: qui il datore di lavoro può offrire una mensilità per anno di anzianità fino a un massimo di 18 mensilità, con un minimo di due.

Sul fronte disciplinari c'è un mini-restyling alla legge Fornero. La reintegra resterà per i soli casi di insussistenza materiale del fatto contestato. Non è più prevista la clausola dell'opting out, che avrebbe consentito al datore di lavoro di poter convertire la tutela reale in un indennizzo monetario. Oggi la tutela reale scatta in due casi: se il fatto non sussiste o se è punito con una sanzione conservativa nei CCNL. La differenza con la nuova normativa è questa: viene meno il riferimento ai CCNL e si delimita il fatto al solo fatto materiale. Non si eliminerà la discrezionalità dei giudici.

Solo un primo esame con approvazione “salvo intese” per il secondo decreto legislativo, quello che darà vita alla nuova Aspi. Evidentemente i problemi di copertura che fino a ieri avevano trattenuto i tecnici del ministero del Lavoro e di palazzo Chigi alla Ragioneria (mancherebbero circa 300 milioni) devono ancora essere superati. Il nuovo ammortizzatore universale per chi perde il lavoro dovrebbe entrare in funzione verso giugno prossimo e sarebbe accessibili con sole 13 settimane di contributi. Il sussidio dovrebbe crescere con la durata del contratto (detto appunto a tutele crescenti) fino a 24 mesi, ovvero 6 in più rispetto ai 18 previsti a regime dall'Aspi Fornero.


Non trapelano indicazioni sull'ammontare che non dovrebbe però superare il tetto del 1090 euro mensili. L'estensione della platea dovrebbe comprendere la transizione fino a esaurimento dei Cocopro. e i contratti in somministrazione, oltre a tutti i nuovi contratti a tutele crescenti, naturalmente, a prescindere dal settore di appartenenza. Resta l'idea di base di legare la durata del sussidio alla contribuzione pregressa (con scalettatura ancora da definire. come detto) e resta l'assegno di disoccupazione che scatta dopo l'esaurimento della nuova Aspi ma non è chiaro se sarà già contenuta in questo dlgs. Vi si accederebbe con un Isee basso, un ammortizzatore di ultima istanza che sarà legato a una condizionalità: la partecipazione del beneficiario a programmi di reinserimento lavorativo. Con la nuova Aspi, che armonizza l'attuale Aspi e l mini-Aspi non cambierà lo schema della contribuzione dovuta da datori e dipendenti (con un carico per due terzi sui primi e un terzo sui secondi): l'1,30% dovuto per la disoccupazione e l'1,4% per l'Aspi sui contratti a termine. Con l'evidente obiettivo di incentivare anche sotto questo profilo la migrazione dai contratti a termine verso i nuovi contratti a tutele crescenti.



domenica 9 novembre 2014

Contratto a tempo determinato si cambia entro dicembre 2014



Il contratto a tempo determinato è un contratto di lavoro subordinato, nel quale esiste un tempo ben preciso di durata del contratto con una data che indica la fine del rapporto.

L’apposizione del termine, a pena di nullità, deve risultare dall’atto scritto, direttamente (data, evento) o indirettamente dal contesto complessivo dell’atto medesimo.

Nel nostro ordinamento, il rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di un datore di lavoro, trova la sua forma comune nel contratto a tempo indeterminato, cioè in un contratto che non prevede l’indicazione di una data di conclusione del rapporto, determinando un miglioramento della qualità della vita, anche psicologica, e di stabilità economica dei lavoratori.

Quale è il vantaggio che offre, invece, un contratto di lavoro a tempo determinato? Sicuramente, tale tipologia contrattuale risponde, in determinate circostanze, sia alle esigenze dei datori di lavoro sia a quelle dei lavoratori in maniera più efficace rispetto ad un contratto a tempo indeterminato.

Il contratto di lavoro a tempo determinato, inserito in un contesto in cui è possibile una partecipazione continua al mercato del lavoro con la percezione di un reddito adeguato per la pianificazione della propria vita, può costituire espressione della c.d.“flessibilità buona” per il lavoratore e per il datore di lavoro.

I chiarimenti in merito alle trasformazioni di contratti di lavoro a tempo determinato e alle sanzioni che verranno applicate in caso di superamento dei limiti.

Il Dl n.34/14 ha imposto nuove regole in termini di limite massimo di contratti a termine che può stipulare un’azienda ma, in caso di rapporti di lavoro già in essere prima dell’entrata in vigore del Decreto, alle aziende che sforano il tetto del 20% di contratti a tempo determinato non verranno applicate sanzioni amministrative.

I datori di lavoro che al 21 marzo 2014 avevano già in essere un numero di contratti a termine oltre il tetto limite del 20% consentito dall’attuale legge dovranno mettersi in regola entro il 31 dicembre 2014. Dopo tale scadenza ai datori di lavoro fuori norma verrà impedita la possibilità di avviare ulteriori rapporti a termine fino a quando non rientrerà nel limite percentuale, ma non verrà applicata la sanzione amministrativa a carico del datore di lavoro (art. 5, co. 4-septies, D.Lgs. n. 368/2001).

Ricordiamo che ai fini del calcolo del tetto limite di contratti a termine stipulati è necessario fare riferimento ai contratti di lavoro in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione escluse tutte le forme di lavoro non subordinato, mentre non rilevano tutte le successive variazioni in aumento o in diminuzione della forza lavoro che intervengono in corso di anno, e che per i datori che occupano fino a 5 dipendenti è sempre possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato.

Cosa succede se, invece, il rapporto di lavoro oltrepassa questo breve periodo “cuscinetto” di 30 o 50 giorni?

Il contratto si considera trasformato da tempo determinato a tempo indeterminato a far data da tale sconfinamento. Per non cadere nel regime sanzionatorio del contratto a termine, è necessario, inoltre, che trascorra un lasso di tempo tra il primo e il secondo contratto a termine, stipulato tra le stesse parti contrattuali:

intervallo di 10 giorni se la durata del primo contratto è inferiore ai 6 mesi

intervallo di 20 giorni se la durata del primo contratto è superiore ai 6 mesi.

Anche il mancato rispetto di queste interruzioni temporali determina la conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato.

Raggiunti i 36 mesi cumulativi di tutti i periodi di lavoro a termine, compresi eventuali periodi di lavoro svolti in somministrazione, aventi ad oggetto mansioni equivalenti, il datore di lavoro ed il lavoratore possono decidere di stipulare un ulteriore rapporto di lavoro a termine.

Tale nuovo contratto di lavoro dovrà però essere sottoscritto in regime di “deroga assistita” presso la Direzione territoriale competente, con la presenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.

A ciascun datore di lavoro è consentito stipulare un numero complessivo di contratti a tempo determinato che non può eccedere il 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1°gennaio dell’anno di assunzione; per i datori di lavoro che occupano fino a 5 dipendenti è in ogni caso possibile stipulare almeno un contratto di lavoro a tempo determinato. I contratti collettivi nazionali hanno, comunque, la facoltà di individuare limiti quantitativi diversi per il ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato.

Per le ipotesi di violazione del limite percentuale, si stabilisce soltanto una sanzione amministrativa – i cui introiti confluiscono nel Fondo sociale per occupazione e formazione - a carico del datore di lavoro pari:

al  20% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a 15 giorni di durata del rapporto di lavoro, qualora la violazione si riferisca ad un solo lavoratore assunto in eccedenza al predetto limite;

al 50% della retribuzione, qualora la violazione si riferisca a due o più lavoratori assunti in eccedenza.

In ogni caso non sono soggetti a limitazioni quantitative i contratti a termine conclusi nella fase di avvio di nuove attività per i periodi individuati dalla contrattazione collettiva, per sostituzione di personale assente, per attività stagionali, per spettacoli o programmi radiofonici o televisivi, nonché quelli conclusi con lavoratori di età superiore a 55 anni.

Tali limitazioni non si applicano nemmeno ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati tra enti di ricerca e lavoratori chiamati a svolgere in via esclusiva attività di ricerca scientifica o tecnologica, di assistenza tecnica o di coordinamento e direzione della stessa.

Una novità di primo piano è quella dell’eliminazione dell’obbligo di specificare la causale, vale a dire la motivazione che giustifica l’apposizione del termine: il datore di lavoro, in virtù della nuova disciplina legislativa, non deve più indicare le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che lo hanno indotto ad utilizzare la forma contrattuale a tempo determinato.

Si parla, quindi, di contratto a termine a-causale, che può essere concluso tra un datore di lavoro e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, sia nella forma del contratto a termine sia nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato.

Il contratto a termine a-causale non può avere una durata superiore a trentasei mesi ed è prorogabile, con il consenso del lavoratore e nei limiti della durata massima prevista (36 mesi), fino a un massimo di cinque volte, indipendentemente dal numero dei rinnovi.

La proroga, per la quale è necessaria la forma scritta, è ammessa a condizione che si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto a tempo determinato è stato stipulato, senza l’onere, a carico del datore di lavoro, di fornire la prova della causale che giustifica la prosecuzione del rapporto.

L’apposizione del termine, a pena di nullità, deve risultare dall’atto scritto, direttamente (data, evento) o indirettamente dal contesto complessivo dell’atto medesimo.

La contrattazione collettiva può tuttavia stabilire:

un termine di rientro più favorevole per il datore di lavoro, rispetto a quello del 31 dicembre;

un limite quantitativo meno restrittivo del 20%;

una durata complessiva del rapporto a termine (comprensiva di proroghe e rinnovi) superiore al tetto legale dei 36 mesi, stabilito con la stessa norma di revisione del tempo determinato, prevedendo la possibilità di stipulare contratti a termine privi di causale nel limite di 36 mesi, proroghe incluse.

mercoledì 17 settembre 2014

Contratto di lavoro a tutele crescenti per i nuovi assunti



"Per le nuove assunzioni" viene previsto "il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all'anzianità di servizio". E' il senso dell'emendamento presentato dal governo al Jobs act ed in particolare all'articolo 4 sul riordino delle forme contrattuali.

Il contratto di lavoro a tutele crescenti è una proposta di riforma della disciplina delle assunzioni e dei licenziamenti che è ciclicamente emersa nel recente passato. Nella mente del governo, si tratta di un tipo di contratto a tempo indeterminato che congela le tutele legate all'articolo 18 nella fase iniziale del rapporto di lavoro (che però dovrebbe esser lunga tre anni), per poi introdurre "a crescere" le garanzie per il lavoratore.

Dal contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti per i nuovi-assunti al riordino delle forme contrattuali oggi esistenti e dei rapporti di lavoro ma anche delle ispezioni; fino ad un uso più flessibile delle mansioni, per la tutela del posto di lavoro, ed al salario minimo, esteso ai co.co.co. Sono le principali novità del disegno di legge delega sul lavoro, il Jobs act.

Riordino forme contrattuali e rapporti lavoro. Viene indicato l'obiettivo di arrivare ad un "Testo organico semplificato delle discipline delle tipologie contrattuali e - aggiunge l'emendamento - dei rapporti di lavoro". Obiettivo è sfoltire le decine di forme contrattuali e le norme.

Modifiche su controlli a distanza. Si introduce "una revisione" della disciplina dei controlli a distanza (vietati dall'articolo 4 dello Statuto dei lavoratori con impianti audiovisivi o altre apparecchiature), aprendo all'utilizzo delle nuove tecnologie per la 'sorveglianza' ed il 'tele-lavoro', tutelando comunque "dignità e riservatezza" del lavoratore.

Demansionamenti. Revisione anche della disciplina delle mansioni (l'articolo 13 dello Statuto dei lavoratori prevede che il lavoratore "deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto"). In questo modo si va verso un utilizzo più 'flessibile' delle mansioni, "in caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale con l'interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della professionalità e delle condizioni di vita, prevedendo limiti alla modifica dell'inquadramento".

Salario minimo anche a Co.co.co. L'introduzione, "eventualmente anche in via sperimentale, del compenso orario minimo" che il Jobs act già inizialmente prevedeva tra le deleghe al governo, applicabile ai lavoratori subordinati viene estesa ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. A dettagliarlo sarà il decreto delegato successivo. Co.co.co: salario orario minimo in settori senza contratto nazionale. Infatti è prevista l'introduzione del compenso orario minimo, , nonché nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, nei settori non regolati da contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale, previa consultazione - conclude l'emendamento - delle parti sociali comparativamente più rappresentative sul piano sociale».

Riordino anche dell'attività ispettiva, in arrivo anche la razionalizzazione dell'attività ispettiva nelle aziende con l'introduzione di una Agenzia unica per le ispezioni di lavoro. La semplificazione dei controlli sarà possibile «attraverso misure di coordinamento ovvero attraverso l'istituzione di una Agenzia unica per le ispezioni del lavoro, tramite l'integrazione in un'unica struttura dei servizi ispettivi del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell'Inps e dell'Inail, prevedendo strumenti e forme di coordinamento con i servizi ispettivi delle Asl e delle Arpa».

Sarà il governo, nell'ambito dell'esercizio della delega, ha spiegato il sottosegretario al Lavoro, Teresa Bellanova, a varare i decreti delegati «entro il termine di sei mesi dalla data di entrata della presente legge» prevedendo in essi la gradualità delle tutele e il periodo di contratto. Con l'emendamento il Governo viene delegato ad emanare, entro sei mesi, un «testo organico semplificato delle discipline delle tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro» per «rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione».

A differenza delle prima versione del testo, il contratto a tutele crescenti non sarà più opzionale e non riguarderà più solo l’inserimento nel mondo del lavoro ma anche il reinserimento. Oltre alla individuazione del contratto a tutele crescenti come il canale normale per il tempo indeterminato, il Governo è delegato a compiere una analisi di «tutte le forme contrattuali esistenti» per valutarne la «effettiva coerenza con il tessuto occupazionale e con il contesto produttivo» anche in vista di una «semplificazione delle medesime tipologie contrattuali».

mercoledì 19 marzo 2014

Nuovo contratto unico: indeterminato ma in prova per tre anni



La riforma del lavoro che il nuovo governo si appresterebbe a varare ha al centro un nuovo contratto unico di inserimento. Ancora da precisare in molti dettagli decisivi, ma con alcuni caratteri già definiti. Il primo: essere limitato a una certa fascia di età, probabilmente al di sotto dei 34 anni, per favorire l’impiego dei giovani. Il secondo: la tipologia a tempo indeterminato, con la possibilità però per le aziende di interrompere il rapporto nei primi tre anni a fronte di un indennizzo economico proporzionato al lavoro svolto. In pratica, verrebbe temporaneamente sospesa l’applicazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che prevede la reintegra nel posto di lavoro per i licenziamenti privi di giustificazione.

L’ipotesi è quella prevista dal Jobs Act: contratto a tempo indeterminato a tutele progressive, ossia senza la protezione dell’articolo 18 (reintegro) per il primo periodo di assunzione. In pratica, è come se l’attuale periodo di prova, in genere di pochi mesi, fosse esteso a qualche anno, per dare al datore di lavoro il tempo di valutare il rapporto costi/benefici dell’assunzione garantendo però alla fine un contratto stabile al dipendente. Al momento si parla di tre anni.

E le altre forme contrattuali oggi utilizzate? Si parla di contratto unico a tempo indeterminato ma a conti fatti sembra più una riforma di quello attuale, visto che non soltanto rimarrà anche il contratto a tempo determinato – si ipotizza per i contratti a termine una estensione a 36 mesi del periodo di assunzione senza causale (attualmente un anno) – ma rimarrà anche quello da co.co.pro. A confermarlo è la riforma degli ammortizzatori sociali allo studio, che per l’appunto medita di estendere il sussidio di disoccupazione anche a queste figure.

Si pensa di garantire un trattamento massimo di due anni anche ai collaboratori a progetto. Per questo scopo servono 9,5 miliardi che teoricamente ci sarebbero: l’ipotesi è di sommare ai 7,1 mld già erogati per ASPI e Mini ASPI i 2,4 mld per gli ammortizzatori in deroga visto che, nonostante la Legge Fornero li preveda fino al 2018, sarebbero sostituiti dal nuovo sussidio. In pratica resterebbe la cassa integrazione ordinaria (destinata a sostenere le aziende in difficoltà con un piano per uscire dalla crisi), mentre verrebbe ridotta la cig in deroga (magari attraverso un meccanismo graduale). Su questo punto si servirà un confronto con le parti sociali, sindacati in primis. Ricordiamo che all‘attuale ASPI hanno diritto i dipendenti anche a tempo determinato per 12-18 mensilità a seconda dell’anzianità lavorativa. I co.co.pro non vi accedono ma percepiscono indennità in base a contributi versati e ai minimali annui (massimo 6mila euro per sei mesi di lavoro).

La scelta di orientarsi verso un contratto unico – nelle diverse declinazioni messe a punto da Pietro Ichino e da Tito Boeri e Pietro Garibaldi  intende rispondere da un lato al dramma di una disoccupazione giovanile oltre il 40% e dall’altro al fenomeno del precariato, cercando di indirizzare le assunzioni verso un unico canale a tempo indeterminato. Secondo l’ultimo monitoraggio dei flussi occupazionali, infatti, i contratti “standard” sono calati ad appena il 15,4% delle assunzioni, il 5,9% sono le collaborazioni a progetto, mentre la gran parte delle assunzioni, il 69,3%, avviene con contratti a termine (in realtà, in un anno si ripetono molte più assunzioni a tempo anche sulla stessa persona e dunque il loro peso nei flussi è percentualmente assai più rilevante di quanto non siano in realtà i lavoratori temporanei sul totale degli occupati, circa il 15%).



sabato 9 novembre 2013

Giovani e lavoro e l’ormai famoso flop del bonus assunzioni



Vediamo cosa era il bonus assunzioni a giugno del 2013. Erano previste assunzioni di giovani a tempo indeterminato con la defiscalizzazione per le imprese, anche contributiva in forma di crediti di imposta e di sgravi contributivi. Il Piano Lavoro era così articolato incentivi all'assunzione stabile di giovani tra i 18 ed i 29 anni. E' confermato il tetto di 650 euro al mese: gli sgravi saranno di 18 mesi per le nuove assunzioni e di 12 per le trasformazioni con contratto a tempo indeterminato.

Il bonus viene creato, si legge, "al fine di promuovere forme di occupazione stabile di giovani" e "in attesa dell'adozione di ulteriori misure da realizzare anche attraverso il ricorso alle risorse della nuova programmazione comunitaria 2014-2020".

“Contiamo di attivare potenzialmente 200 mila soggetti, 100 mila con la decontribuzione e 100 mila con tutte le altre misure». Con questa previsione il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, presentò alla stampa il 26 giugno il decreto legge sul bonus assunzione giovani.

Il bonus assunzione giovani doveva creare 100mila posti di lavoro in tre anni ma al 31 ottobre le richieste delle aziende erano ferme e 13.770. Dopo l’entusiasmo dei primissimi giorni, il ritmo si è rallentato drasticamente, quelle confermate sono ancora meno: 9.284.

Fulcro del provvedimento era lo stanziamento di 794 milioni di euro nel quadriennio 2013-2016 per incentivare l’assunzione di giovani tra i 18 e i 29 anni “svantaggiati”, cioè con almeno una di queste condizioni: privi di impiego da almeno sei mesi; senza un diploma di scuola media superiore o professionale; single con una o più persone a carico.

In fin dei conti l’intervento era indirizzato a chi ha più bisogno di lavorare e anche le risorse erano territorialmente ripartire a favore del Mezzogiorno (500 dei 794 milioni) dove maggiore è l’emergenza occupazionale. L’incentivo per l’azienda che avesse assunto non era trascurabile: un bonus contributivo fino a 650 euro per 18 mesi (11.700 euro in tutto) per ogni giovane preso con contratto a tempo indeterminato, oppure fino a 12 mesi (7.800) in caso di stabilizzazione di un contratto a termine.

Non basta un bonus a convincere un imprenditore ad assumere, tanto più a tempo indeterminato, infatti, è normale che un imprenditore assume un giovane se gli serve, cioè se ha lavoro, ma se per fare questo supera la soglia dei 15 dipendenti e finisce sotto i vincoli dello Statuto dei lavoratori in materia di rapporti sindacali e licenziamenti ci pensa su due volte.

La delusione è palpabile anche al ministero del Lavoro, dove il sottosegretario Carlo Dell’Aringa, con un’intervista al quotidiano «Avvenire» ha ammesso: «I primi incentivi stanziati a giugno sono stati poco utilizzati e sulle assunzioni dei giovani le imprese vanno con i piedi di piombo. Senza una ripresa dei consumi, le aziende non investono. Per questo dobbiamo cercare di dare alle famiglie qualche soldo di più da spendere». Insomma: creare domanda, consumi, cioè lavoro per le imprese che, a quel punto, assumeranno anche senza incentivi.

La crisi è talmente nera che Dell’Aringa ha rivelato: «Abbiamo segnali sul fatto che, nel Mezzogiorno, è in crisi anche il sommerso. E se il “nero” manda a casa i lavoratori non c’è deregolamentazione o incentivo che tenga. Come dire: il rubinetto è aperto, ma il cavallo non beve». Più chiaro di così... Lo ha riscontrato anche la Fondazione studi dei consulenti del lavoro che, dopo un’indagine sul campo, ha concluso: «In assenza di nuovo lavoro risulta assolutamente privo di efficacia qualsiasi provvedimento che incentiva nuove assunzioni».

Più promettente sembra la strada delle cosiddette politiche attive del lavoro. Significa: formazione e apprendistato; una via che si trova tra scuola e lavoro anche attraverso tirocini e stage; collocamento e ricollocamento al lavoro con percorsi individuali di assistenza e con il potenziamento e l’interconnessione delle banche dati di domanda e offerta di lavoro. In questo campo la maggiore opportunità è offerta dal programma europeo Youth Guarantee, «Garanzia Giovani», che metterà a disposizione dell’Italia 1,5 miliardi da spendere tra il 2014 e il 2015 per assicurare ai giovani fra 15 e 24 anni un’offerta di lavoro, apprendistato o tirocinio entro 4 mesi dalla fine del percorso scolastico o dalla perdita di una precedente occupazione.

Il rischio è che le risorse vengano disperse in una filiera di iniziative più simboliche che reali, tanto per dire: il colloquio personale è stato fatto, l’opportunità di formazione è stata offerta, e così via. Con un beneficio più per le strutture di gestione del programma che per i destinatari, i giovani. Un po’ come accade per la formazione, fatta più per i formatori che per chi cerca lavoro.

Il 2014 andrà poco meglio del 2013: diminuirà infatti la percentuale delle piccole e medie imprese  che programmeranno licenziamenti, ma la ripresa dell’occupazione resta lontana. E’ il dato che emerge da un’indagine AdnKronos sul lavoro nelle piccole e medie imprese, che conferma quanto la crisi stia avendo il peggiore impatto sui giovani.

Secondo i consulenti del lavoro, l’inefficacia del provvedimento si riferisce alla sua formulazione (limite di età di 29 anni troppo basso, scarsa risonanza per le imprese del Mezzogiorno che hanno a disposizione altre agevolazioni) ma è anche strutturale: «le imprese gradirebbero una riduzione del cuneo fiscale e contributivo anziché incentivi a termine» (e qui almeno in parte risponde la Legge di Stabilità, che però prevede un taglio di entità largamente inferiore alle richieste delle imprese). Inoltre, «il problema attuale non è come assumere con incentivi, ma tornare a produrre e a creare sviluppo. In assenza di nuovo lavoro risulta infatti assolutamente privo di efficacia qualsiasi provvedimento che incentiva nuove assunzioni».

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domenica 29 settembre 2013

Inps: clic day bonus assunzioni il 1 ottobre 2013



Conto alla rovescia per il bonus assunzioni degli under 30. L’Inps ha infatti appena reso noto che dalle ore 15.00 del 1° ottobre 2013 sarà accessibile sul sito istituzionale dell’Istituto (www.inps.it) il modulo telematico per inoltrare le domande preliminari di ammissione al beneficio dell’incentivo sperimentale per promuovere l’assunzione a tempo indeterminato di giovani fino a 29 anni d’età.

Quindi martedì primo ottobre 2013 alle 15.00 sarà il ''clic day'' per chiedere le agevolazioni per l'assunzione dei giovani under 30.

Per queste assunzioni sono previsti fino al 2016 794 milioni di euro. Per il 2013 sono a disposizione 148 milioni. E quanto si legge in una circolare dell'Inps si legge in una nota diffusa dall'istituto - sarà accessibile sul sito istituzionale dell'Inps (www.inps.it) il modulo telematico per inoltrare le domande preliminari di ammissione al beneficio dell'incentivo sperimentale per promuovere l'assunzione a tempo indeterminato di giovani fino a 29 anni d'età''.

L'obiettivo è l'assunzione di 100.000 giovani.

L’incentivo si applica a fronte dell’assunzione a tempo indeterminato di un giovane di età compresa tra 18 e 29 anni o della trasformazione a tempo indeterminato di un contratto già esistente. Nel primo caso il beneficio ha una durata di 18 mesi, nel secondo di 12. Il datore di lavoro può contare su un contributo pari a un terzo della retribuzione mensile lorda, con un tetto massimo di 650 euro al mese. Qualora si tratti di un’assunzione con contratto di apprendistato o altra forma incentivata, il beneficio non può superare i contributi effettivamente versati.

L’appuntamento del 1 ottobre è da non mancare per le imprese che hanno già assunto giovani dal 7 agosto scorso e per quelle che ne intendono effettuare ancora. Le domande ricevute verranno infatti “processate” per ordine cronologico dall’Istituto e tutti saranno trattati allo stesso modo senza precedenze. Il Ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, ha affermato nei giorni scorsi che verrà osservato con particolare attenzione l’andamento di questo click day, perché anche dal numero di domande inviate si potrà comprendere come i primi segnali di fiducia delle imprese si starebbero traducendo in fatti concreti. Da qui a fine anno, secondo le prime stime, le assunzioni pronte a beneficiare dell’agevolazione sarebbero 15-20mila.

La procedura è regolata sulla base di una circolare Inps (n. 131) pubblicata il 17 settembre con le indicazioni operative per l'accesso all'incentivo previsto dal decreto lavoro (76/2013) del 28 giugno. Si conferma in quel testo che verrà riconosciuto l'incentivo «in base all'ordine cronologico di presentazione delle domande cui abbia fatto seguito l'effettiva stipula del contratto».


domenica 10 febbraio 2013

Il lavoro interinale dopo la riforma Fornero


Ormai il mondo del lavoro richiede il concetto di flessibilità: un concetto che si traduce in un radicale cambiamento del modo di pensare del passato, rivolto al posto fisso, a favore di altre tipologie di contratti di lavoro (atipici). Ed in questo contesto sono nate le agenzie per il lavoro interinale. Che sono agenzie private e, a differenza dei centri per l’impiego, un lavoratore può iscriversi a tutte le agenzie per il lavoro che ritenga opportune

Il contratto di somministrazione di lavoro è disciplinato dagli artt. 20 - 28 del D.Lgs. n. 276 del 2003 ed ha sostituito, senza peraltro alterarne la struttura essenziale, il lavoro interinale.
Ricordiamo che la somministrazione di lavoro si caratterizza per un duplice rapporto contrattuale nell'ambito del quale:

il somministratore, un'Agenzia per il lavoro autorizzata dal Ministero del Lavoro, stipula un contratto di lavoro con un lavoratore, a tempo indeterminato o a tempo determinato, l'utilizzatore, che è un'azienda pubblica o privata, utilizza il lavoratore contrattualizzato dall'Agenzia per esigenze proprie e, a tal fine, stipula un contratto di somministrazione con la medesima agenzia.

I due rapporti contrattuali coinvolgono tre soggetti distinti ed è l'Agenzia per il lavoro che rappresenta il datore di lavoro onerato degli obblighi retributivi e contributivi in favore del lavoratore. Questi, poi, saranno misurati alle mansioni effettivamente svolte dal lavoratore nell'azienda cui il lavoratore viene somministrato.

La riforma Fornero ha parzialmente inciso sul regime della somministrazione di lavoro. In particolare, le innovazioni concernenti la causalità del contratto a tempo determinato hanno riguardato anche il lavoro interinale. Viene così previsto che, per quel che concerne la prima assunzione, il rapporto di lavoro conseguente ad un contratto di somministrazione a tempo determinato possa essere slegato dall'obbligo di indicazione della causale.

Infatti il nuovo comma 1 bis dell’art. 1 del D.Lgs. n 368 del 2001, introdotto dalla Legge n 92 del 2012, ha infatti stabilito la possibilità di assumere a tempo determinato o a mezzo di contratto di somministrazione di lavoro, senza causa, nell’ipotesi in cui la durata del rapporto non sia superiore ai 12 mesi.

Ulteriore previsione normativa dedicata alla disciplina giuridica del contratto di somministrazione del lavoro è quella ricavabile dal neo introdotto art. 5, comma 4 bis del d.lgs. n. 368/2001 (cfr. art. 1, comma 9, lett. j) della legge n 92 del 2006. Nella previgente disciplina del contratto a tempo determinato già si prevedeva che il termine complessivo massimo dei contratti a tempo determinato stipulabili con riferimento ad analoghe mansioni da parte di un unico datore di lavoro fosse quello di 36 mesi.

In forza dell'indicata novità normativa, ai fini del computo del suddetto termine massimo, debbono essere presi in considerazione anche i periodi di lavoro svolti in forza di contratti di somministrazione. La norma prevede infatti che: "ai fini del computo del periodo massimo di trentasei mesi di durata del contratto a tempo determinato si tiene altresì conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni equivalenti, svolti dai medesimi soggetti".

Le agenzie interinali si propongono di offrire alle aziende un insieme di strumenti innovativi per trovare le proprie risorse che garantiscano la trasparenza del mercato del lavoro, in modo da offrire nuovi canali di inserimento soprattutto ai disoccupati, a chi è in cerca della prima occupazione, a chi è in cerca di uno sviluppo di carriera.

L’azienda stipula con l’agenzia interinale un contratto di lavoro ad interim (prestazioni professionali), per un periodo di tempo determinato. Con questo contratto, il lavoratore non dipende dall’impresa ma dall’agenzia e sarà quest’ultima a corrispondergli la retribuzione che dovrà in ogni caso corrispondere a quella degli impiegati presenti all’interno dell’impresa, poiché il legislatore allo scopo di evitare norme discriminatorie ha equiparato il livello retributivo del lavoratore temporaneo a quello dei lavoratori dipendenti.
 

sabato 18 agosto 2012

Cassa integrazione per i lavoratori Wind Jet

«Tutti i dipendenti della Windjet stanno firmando la cassa integrazione a tempo indeterminato, perché la compagnia potrebbe anche bluffare e magari sta prendendo tempo perché spera ci sia qualche acquirente», ha detto Alessandro Grasso, responsabile Trasporto aereo della Filt Cgil, mentre nell'aeroporto di Catania continua il presidio dei dipendenti della compagnia, dopo lo stop ai voli deciso dalla compagnia low cost.

Nei prossimi giorni, anche i piloti, i tecnici e gli assistenti di volo di Wind Jet entreranno nella richiesta di cassa integrazione straordinaria. La procedura e' stata già avviata solo per gli impiegati amministrativi della compagnia. I dipendenti della low cost catanese sono in tutto 504. Cgil, Cisl, Uil, Ugl e le loro federazioni di categoria "terranno altissima l'attenzione nelle prossime ore e nei prossimi giorni affinché tutti i lavoratori dipendenti vengano tutelati soprattutto se il prossimo passaggio sarà la newco e tutti i lavoratori dovranno esserne coinvolti", si legge in una nota. Venerdì 24 agosto, intanto, dovrebbe esserci un ulteriore incontro al ministero con le segreterie nazionali di Filt Cgil, Fit Cisl, Uil Trasporti e Ugl, che per quella data si attendono dal governo comunicazioni circa lo stato di avanzamento delle iniziative per la continuità aziendale annunciate da Wind Jet. I sindacati chiedono alla compagnia "chiarimenti rispetto a come intende procedere, con quali partner e con quali garanzie per i 504 lavoratori dipendenti". Sabato 25 agosto nell'aeroporto di Catania si svolgerà un'assemblea dei lavoratori di Wind Jet per valutare le risposte di azienda e governo. I lavoratori, che intanto mantengono il loro presidio nello scalo di Fontanarossa, decideranno poi sulle iniziative da intraprendere.
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