La tassazione della previdenza complementare è disciplinata dal Decreto legislativo n.252/2005 e riguarda i lavoratori dipendenti del settore privato ed i lavoratori autonomi ed i soci di cooperative. Per i dipendenti pubblici valgono le norme previste dal decreto legislativo n. 124/1993, in genere meno favorevole. Ma la legge di stabilità 2015 ha stravolto la tassazione.
Infatti l'aumento dall'11% al 20% della tassazione sui rendimenti annui dei fondi pensione previsto dalle legge di cui sopra ridurrà le prestazioni finali nette dei fondi stessi. Rendendo ancora più evidente il divario tra le condizioni previste in Italia e quelle dei Paesi europei che non prevedono tassazione dei rendimenti. Solo in Italia, Danimarca e Svezia, infatti, i rendimenti sono soggetti a prelievo fiscale. Negli altri Paesi Ocse, la tassazione avviene una volta sola, cioè quando si va in pensione.
All'inasprimento della tassazione, si aggiunge poi l'altra previsione del Ddl stabilità, ovvero la possibilità per i lavoratori di richiedere in busta paga l'accantonamento mensile del trattamento di fine rapporto (Tfr). Anche questa misura, sottraendo risorse agli accantonamenti, avrà un impatto negativo sulle prestazioni finali dei fondi.
La nuova tassazione ipotizzata per i rendimenti al 20% determina una riduzione delle prestazioni che aumenta al crescere del periodo di iscrizione al fondo pensione e del risultato annuo ottenuto. Se ipotizziamo infatti che un lavoratore con una retribuzione annua lorda di 50mila euro destini a un fondo pensione dal 1° gennaio 2015 l'accantonamento annuo del Tfr e consideriamo tre diversi periodi di iscrizione (15, 25 e 35 anni) e tre possibili diversi tassi annui di rendimento reale (2%, 4% e 6% al netto dell'equivalente incremento del costo della vita), la riduzione della prestazione può arrivare fino all'11% della posizione netta maturata. In valore assoluto, la differenza può superare i 37mila euro nello scenario con le performance migliori dei fondi. Le stesse variazioni percentuali possono ritenersi valide per tutti i livelli retributivi. La richiesta in busta paga del Tfr per il periodo consentito, in base al Ddl stabilità (dal 1° marzo 2015 al 30 giugno 2018) può comportare un'ulteriore riduzione della prestazione finale. Una riduzione che può risultare sensibile, sino al 30% della posizione netta maturata per i periodi più contenuti di iscrizione ai fondi pensione.
Per un lavoratore italiano, nell'ipotesi dell'aumento effettivo al 20% del prelievo sui rendimenti dei fondi pensione, sarebbe assolutamente più vantaggioso trasferire la prestazione accumulata presso un fondo pensione paneuropeo costituito (sulla base della Direttiva Ue 41/2003) in uno dei paesi dell'Unione che non preveda alcuna tassazione dei rendimenti ottenuti. L'assenza di tassazione infatti, a parità di ulteriori situazioni, determina prestazioni nette in alcuni casi decisamente più elevate, sino al 22% della posizione maturata.
Dopo più di venti anni di riforme, dunque, l'impressione è che la struttura del nostro sistema pensionistico non possa ancora essere considerata quella definitiva. In seguito alla riforma «Fornero» del 2011, infatti (e dopo tutte le riforme che l'hanno preceduta) la previdenza complementare non potrà che svolgere un ruolo fondamentale. In futuro, infatti, solo alcuni lavoratori che avranno la possibilità di andare in pensione intorno ai 70 anni, dopo una carriera completa, saranno in grado di ricevere dall'Inps una pensione calcolata con il metodo contributivo che sia adeguata. Per tutti gli altri, in particolare i lavoratori che per le ragioni più varie (ristrutturazioni aziendali, esigenze familiari, fisiche, e così via) saranno portati ad anticipare il pensionamento, l'esigenza di una copertura aggiuntiva risulterà determinante.
L'attuale contesto economico, e il notevole squilibrio dell'Inps, lasciano presupporre che queste necessità difficilmente potranno essere garantite attraverso un ulteriore intervento del sistema pubblico. E anche se l'economia ripartisse, i vantaggi di affiancare a un sistema finanziato a ripartizione un altro gestito in base al metodo della capitalizzazione dovrebbero risultare ormai evidenti sul mercato. Le disposizioni che il Governo ha introdotto nel disegno di legge di stabilità per il 2015 vanno esattamente nella direzione opposta. Colpiscono le prestazioni garantite dai fondi pensione, aumentando la tassazione e riducendo quindi le prestazioni nette finali e sottraggono il Tfr, una determinante fonte di finanziamento, forse l'unica.
I contributi versati alle forme di previdenza complementare dal lavoratore e dal datore di lavoro (o committente) sono deducibili dal reddito complessivo dichiarato ai fini Irpef per un importo non superiore a 5.164,57 euro. L’agevolazione determina un risparmio in termini di minori imposte pagate pari all’aliquota fiscale più elevata applicata al reddito complessivo del lavoratore.
Ad esempio, per un lavoratore che versa alla previdenza complementare contributi pari a 1.000 euro ed è tassato con aliquota marginale Irpef del 23 per cento, il costo effettivamente sostenuto dal lavoratore sarà pari a 770 euro, con un risparmio fiscale pari a 230 euro.
Ai fini del computo del limite di 5.164,57 euro si deve tener conto di tutti i versamenti che affluiscono alle forme pensionistiche, collettive e individuali. Occorre considerare, pertanto: _ le quote accantonate dal datore di lavoro ai fondi per TFR e ai fondi di previdenza del personale dipendente istituiti ai sensi dell’articolo 2117 del codice civile; _ i contributi versati a favore dei familiari fiscalmente a carico. La parte dei contributi versati (anche per le persone a carico) al fondo di previdenza complementare per i quali il contribuente non ha potuto fruire della deduzione, non sono tassati al momento della liquidazione della prestazione. Il contribuente ha però l’obbligo di comunicare alla forma pensionistica complementare l’importo non dedotto (o che non sarà dedotto) nella dichiarazione dei redditi. Detta comunicazione va fatta entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui è stato effettuato il versamento, ovvero, se il diritto alla prestazione matura prima di tale data, entro il giorno di maturazione.