Visualizzazione post con etichetta tasse. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta tasse. Mostra tutti i post

venerdì 9 dicembre 2016

Conguaglio IRPEF di fine anno: criteri e modalità



Il conguaglio tra le ritenute fiscali IRPEF già trattenute ogni mese e l'imposta IRPEF dovuta e ricalcolata su base annua viene operato dai datori di lavoro con la busta paga del mese di dicembre oppure al momento della cessazione del rapporto.

A dicembre di ogni anno le retribuzioni nette dei lavoratori dipendenti e collaboratori risultano quasi sempre ridotte rispetto le mensilità dei mesi precedenti. Questa riduzione è causata dal prelievo fiscale che scaturisce dalle cosiddette “operazioni di conguaglio fiscale di fine anno”.

Emolumenti da includere nel conguaglio

Il datore di lavoro deve riconsiderare tutti gli emolumenti percepiti dal lavoratore dipendente durante l'anno in dipendenza del rapporto di lavoro subordinato.

In presenza di successivi rapporti con lo stesso dipendente, in sede di effettuazione delle operazioni di conguaglio (di fine anno o in corso di anno) il datore di lavoro deve tener conto delle somme e dei valori complessivamente corrisposti nel corso dei diversi periodi lavorativi dell'anno.

Emolumenti esclusi

Sono quei compensi che per la loro natura sono già stati o saranno assoggettati a tassazione separata e quindi sono di conseguenza esclusi dal conguaglio di fine anno:

gli emolumenti arretrati relativi ad anni precedenti;

le indennità di fine rapporto.

I datori di lavoro sono chiamati, in occasione della elaborazione del libro unico del lavoro - LUL di dicembre, ad effettuare il conguaglio fiscale sulle retribuzioni erogate ai lavoratori dipendenti nel corso del anno 2016. Per il corretto svolgimento delle operazioni di conguaglio, il sostituto d’imposta deve tenere conto delle detrazioni spettanti al lavoratore e degli altri redditi da questi comunicati. Inoltre, deve verificare l’effettiva spettanza del bonus IRPEF e l’eventuale applicazione del contributo di solidarietà.

Le imposte sul reddito da lavoro dipendente si calcolano mensilmente con la stessa tabella fiscale annuale, ma i valori sono divisi per 12 perché dodici sono i mesi di calendario; il Testo Unico delle Imposte sui Redditi stabilisce infatti che per il calcolo dell’Irpef mensile si applicano le aliquote di legge sugli scaglioni di reddito fiscale mensili che sono quelli annuali diviso dodici (a volte per diminuire l’impatto del conguaglio di fine anno le fasce annuali sono divise per 13 o 14, fermo restando che a conguaglio bisogna usare le fasce annue).

Per definire correttamente il periodo d’imposta, ai fini del conguaglio, nel totale delle retribuzioni da sottoporre a tassazione definitiva vanno ricomprese anche le somme e i valori corrisposti entro il 12 gennaio 2017, se riferiti a spettanze del 2016. Le operazioni di trattenuta e versamento, o di rimborso e compensazione derivanti dalle risultanze del conguaglio devono essere effettuate entro il 28 febbraio 2017. Infatti, una volta determinata l’imposta lorda è necessario procedere al calcolo delle detrazioni spettanti e porle a confronto con quelle già fruite dal lavoratore per determinare l’imposta netta complessivamente dovuta dal lavoratore.

Più rapporti di lavoro con lo stesso dipendente

Nel caso in cui, nel corso del 2016, siano intercorsi tra l’azienda e lo stesso dipendente più rapporti di lavoro, in sede di effettuazione delle operazioni di conguaglio di fine anno, il sostituto d’imposta deve tener conto delle somme e dei valori complessivamente corrisposti al lavoratore nei diversi periodi lavorativi dell’anno, indipendentemente dalla circostanza che lo stesso ne abbia fatto richiesta.

Il lavoratore dipendente può chiedere al sostituto di tenere conto anche dei redditi di lavoro dipendente o assimilati percepiti nel corso di precedenti rapporti, consegnando al datore di lavoro, entro il 12 gennaio del periodo d'imposta successivo a quello in cui sono stati percepiti, la certificazione unica concernente i redditi di lavoro dipendente o assimilati erogati da altri soggetti.

Addizionali regionale e comunale
Qualora l’IRPEF risulti dovuta, i sostituti d’imposta devono procedere anche al calcolo le addizionali comunali e regionali dovute da dipendenti e percettori di redditi assimilati per l’anno d’imposta 2015.

Detrazioni per lavoro dipendente e familiari a carico
Ai titolari di reddito di lavoro dipendente, anche non residenti, spetta una detrazione d’imposta rapportata al periodo di lavoro nell’anno e proporzionata in relazione all'ammontare del reddito complessivo. I giorni per i quali spetta la detrazione coincidono con quelli che hanno dato diritto alla retribuzione assoggettata a ritenuta, comprese le festività, i riposi settimanali e gli altri giorni non lavorativi.

Bonus IRPEF lavoratori dipendenti
E’ stata confermata a regime l’erogazione del c.d. “Bonus Renzi” in favore dei lavoratori percettori di redditi di lavoro dipendente o di alcune tipologie di redditi assimilati. Il bonus spetta a condizione che il reddito lordo annuo complessivo, con esclusione di quelli soggetti a tassazione separata, conseguito dal lavoratore nel periodo d’imposta 2015 non superi i 26.000 euro. Ne deriva che il sostituto d’imposta a fine anno deve verificare l’effettivo rispetto dei requisiti e dunque la legittima spettanza del bonus, tenendo in considerazione anche gli eventuali ulteriori dati reddituali forniti dal lavoratore.

L’ammontare del credito è stabilito:
- in misura fissa pari a 640 euro per coloro che conseguono un reddito annuo complessivo che non supera € 24.000;
- in misura decrescente per i redditi eccedenti fino al limite di 26.000 euro, calcolata secondo la seguente proporzione: (26.000-reddito complessivo )/2.000.

I contribuenti che non avevano i presupposti per il riconoscimento del beneficio erano tenuti a darne comunicazione al sostituto d’imposta il quale deve recuperare il credito eventualmente erogato dagli emolumenti corrisposti nei periodi di paga successivi a quello nel quale è stata resa la comunicazione e, comunque, entro i termini di effettuazione delle operazioni di conguaglio di fine anno o di fine rapporto.

Sì può verificarsi che un dipendente, in corso d’anno, abbia pagato più imposte del dovuto rispetto il reddito complessivo annuo, in tal caso dalle operazioni di conguaglio può scaturire un credito d’imposta che dà diritto ad un rimborso dell’IRPEF. E’ il caso, ad esempio, del dipendente che da tempo pieno passa a tempo parziale, o quando per varie ragioni, quali la cassa integrazione guadagni, il reddito mensile e conseguentemente l’IRPEF degli ultimi mesi dell’anno è inferiore rispetto i mesi precedenti. Se dal conguaglio fiscale deriva un importo di IRPEF a credito il datore di lavoro lo rimborsa con il cedolino paga di dicembre.


domenica 3 gennaio 2016

Operazioni di conguaglio anno 2015: arrivano le istruzioni dall’INPS


A dicembre di ogni anno le retribuzioni nette dei lavoratori dipendenti e collaboratori risultano quasi sempre ridotte rispetto le mensilità dei mesi precedenti. Questa riduzione è causata dal prelievo fiscale che scaturisce dalle cosiddette “operazioni di conguaglio fiscale di fine anno”.

Ogni datore di lavoro, in qualità di sostituto d’imposta, ovvero di soggetto che si sostituisce all’Ufficio Imposte per operare le ritenute fiscali attraverso il cedolino paga, ha l’obbligo, in applicazione alla normativa fiscale, di effettuare il conguaglio fiscale ovvero il ricalcolo, su base annuale, delle imposte dovute dai propri lavoratori e pagate mensilmente in forma di ritenuta d’acconto.

Conguaglio di fine anno 2015 dei contributi previdenziali e assistenziali. I datori di lavoro potranno effettuare le operazioni di conguaglio, oltre che con la denuncia di competenza del mese di “dicembre 2015” (scadenza di pagamento 16/1/2016), anche con quella di competenza di “gennaio 2016” (scadenza di pagamento 16/2/2016, attenendosi alle modalità indicate con riferimento alle singole fattispecie.

Con la circolare n. 209 del 30 dicembre 2015, l’INPS ha fornito le istruzioni sulle modalità da seguire per lo svolgimento delle operazioni di conguaglio dei contributi previdenziali e assistenziali, relative all’anno 2015, finalizzate alla corretta quantificazione dell’imponibile contributivo, anche con riguardo alla misura degli elementi variabili della retribuzione.

La circolare si sofferma in particolare sulle modalità di rendicontazione delle seguenti fattispecie:

- elementi variabili della retribuzione;

- massimale contributivo e pensionabile;

- contributo aggiuntivo IVS 1%;

- conguagli sui contributi versati sui compensi ferie a seguito fruizione delle stesse;

- “fringe benefits” esenti non superiori al limite di € 258,23 nel periodo d'imposta;

- auto aziendali ad uso promiscuo;

- prestiti ai dipendenti;

- conguagli per versamenti di quote di TFR al Fondo di Tesoreria;

- rivalutazione annuale del TFR conferito al Fondo di Tesoreria;

- gestione delle operazioni societarie.

L’INPS comunque sottolinea la possibilità di effettuare le operazioni di conguaglio inserendole anche nella denuncia di “febbraio 2016” (scadenza di pagamento 16 marzo 2016),senza aggravio di oneri accessori tenuto conto che dal 2007, i conguagli possono riguardare anche il TFR al Fondo di Tesoreria e le misure compensative. Resta fermo l'obbligo del versamento o del recupero dei contributi dovuti sulle componenti variabili della retribuzione nel mese di gennaio 2016.

Per i lavoratori nei confronti dei quali nell’anno 2015 sono state versate quote di TFR al Fondo di Tesoreria, i datori di lavoro dovranno determinare la rivalutazione ex art. 2120 c.c. (separatamente da quella spettante sul TFR accantonato in azienda) e calcolare sulla stessa l'imposta sostitutiva del 17 per cento che sarà recuperato in sede di conguaglio con i contributi dovuti all’INPS.

Qualora nel corso del mese intervengano elementi o eventi che comportino variazioni nella retribuzione imponibile, il datore di lavoro può tener conto delle variazioni in occasione degli adempimenti e del connesso versamento dei contributi relativi al mese successivo a quello interessato dall'intervento di tali fattori.

Gli eventi o elementi considerati sono: compensi per lavoro straordinario; indennità di trasferta o missione; indennità economica di malattia o maternità anticipate dal datore di lavoro per conto dell'INPS; indennità riposi per allattamento; giornate retribuite per donatori sangue; riduzioni delle retribuzioni per infortuni sul lavoro indennizzabili dall'INAIL; permessi non retribuiti; astensioni dal lavoro; indennità per ferie non godute; congedi matrimoniali; integrazioni salariali (non a zero ore).

Gli eventi o elementi che hanno determinato l'aumento o la diminuzione delle retribuzioni imponibili, di competenza del mese di dicembre 2015, i cui adempimenti contributivi sono assolti nel mese di gennaio 2016, vanno evidenziati nel flusso UniEmens valorizzando l’elemento “VarRetributive” di “DenunciaIndividuale”, per gestire le variabili retributive e contributive in aumento e in diminuzione e anche gli “imponibili negativi” con il conseguente recupero delle contribuzioni non dovute.

Sul punto, è bene ricordare che ai fini dell’imputazione nella posizione assicurativa e contributiva del lavoratore, gli elementi variabili della retribuzione sopra indicati si considerano secondo il principio della competenza (dicembre 2015), mentre, ai fini dell'assoggettamento al regime contributivo (aliquote, massimali, agevolazioni, ecc.), si considerano retribuzione del mese di gennaio 2016, salvo il caso di imponibile negativo in relazione al quale la contribuzione non dovuta va recuperata nel suo effettivo ammontare.

Il massimale retributivo. I datori di lavoro che hanno alle proprie dipendenze lavoratori soggetti alle disposizioni di cui all’art. 2, c. 18, della L. n. 335/1995 che superano nel mese di verifica il massimale retributivo, pari a € 100.324 per l’anno 2015, devono: valorizzare nel limite massimo stesso l’elemento “Imponibile” di “Denuncia Individuale”, “Dati Retributivi”; indicare la parte eccedente nell’elemento “EccedenzaMassimale” di “DatiParticolari” con la relativa contribuzione minore.

Contributo aggiuntivo dell’1% - Quanto alle modalità operative per la gestione del contributo aggiuntivo dell’1%, l’INPS precisa che, ove gli adempimenti contributivi vengano assolti con la denuncia del mese di gennaio 2016, gli elementi variabili della retribuzione non incidono sulla determinazione del tetto massimo di € 46.123 per l’anno 2015. Il contributo aggiuntivo, inoltre, va inserito nell’elemento “ContribuzioneAggiuntiva” di “DatiRetributivi”.

Fringe benefits. Con riferimento ai fringe benefits (benefici accessori), che sono tecnicamente quegli emolumenti retributivi esposti in busta paga allo scopo di quantificare i beni e i servizi di cui il lavoratore può usufruire gratuitamente ovvero a condizioni più vantaggiose rispetto a chi si rivolge al mercato per acquistarli, non concorrono a formare reddito di lavoro dipendente se il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati è di importo non superiore, nel periodo di imposta, a € 258,23. In caso contrario, ossia se si oltrepassa tale soglia, il valore dei fringe benefits concorre interamente a formare il reddito.

Ai fini del compimento delle operazioni di conguaglio di fine anno il dipendente può chiedere al sostituto d’imposta di tener conto anche di altri redditi di lavoro dipendente, o assimilati a quelli di lavoro dipendente, percepiti nell’ambito di precedenti rapporti intrattenuti nel corso dell’anno e anche se erogati da soggetti che non rivestono la qualifica di sostituto d’imposta.

Le imposte sul reddito da lavoro dipendente si calcolano mensilmente con la stessa tabella fiscale annuale, ma i valori sono divisi per 12 perché dodici sono i mesi di calendario; il Testo Unico delle Imposte sui Redditi stabilisce infatti che per il calcolo dell’Irpef mensile si applicano le aliquote di legge sugli scaglioni di reddito fiscale mensili che sono quelli annuali diviso dodici (a volte per diminuire l’impatto del conguaglio di fine anno le fasce annuali sono divise per 13 o 14, fermo restando che a conguaglio bisogna usare le fasce annue).

Dalle operazioni di conguaglio di fine anno deriva, generalmente, un debito d’imposta e quindi un maggior prelievo fiscale per il lavoratore perché l’IRPEF si calcola mensilmente sulle tredici o quattordici mensilità corrisposte per contratto collettivo, mente la progressione delle imposte è riferita ai dodici mesi di calendario.

Sostanzialmente la maggiore IRPEF che si paga a dicembre deriva dal ricalcolo della tredicesima e quattordicesima che fanno alzare il reddito ad uno scaglione d’imposta superiore, inoltre le detrazioni d’imposta competono solo per dodici mesi, non sono dovute su tredicesima e quattordicesima mensilità, pertanto quanto si paga di più a dicembre è riferito alle operazioni di ricalcolo di tutto il reddito annuo comprese le mensilità aggiuntive.

In fase di conguaglio fiscale a dicembre vengono calcolate, sull’imponibile fiscale annuo, le addizionali regionale e comunale che saranno trattenute in undici rate nel 2015, con decorrenza dal mese di gennaio.

Sì, può verificarsi che un dipendente, in corso d’anno, abbia pagato più imposte del dovuto rispetto il reddito complessivo annuo, in tal caso dalle operazioni di conguaglio può scaturire un credito d’imposta che dà diritto ad un rimborso dell’IRPEF. E’ il caso, ad esempio, del dipendente che da tempo pieno passa a tempo parziale, o quando per varie ragioni, quali la cassa integrazione guadagni, il reddito mensile e conseguentemente l’IRPEF degli ultimi mesi dell’anno è inferiore rispetto i mesi precedenti. Se dal conguaglio fiscale deriva un importo di IRPEF a credito il datore di lavoro lo rimborsa con il cedolino paga di dicembre.


martedì 14 aprile 2015

Le tasse prosciugano gli stipendi: un terzo finisce in imposizioni fiscali



Tassazione sempre più pesante sui salari in Italia. Secondo il rapporto Taxing Wages dell'Ocse, il cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti è ormai alle soglie del 50%. Nel 2014 la differenza tra il costo totale del lavoro e il salario netto in busta paga per un single con una retribuzione media ha infatti raggiunto il 48,2%, in incremento di 0,4 punti rispetto al 2013. Il dato supera di oltre 12 punti la media Ocse che è del 36% (+0,1 punti sull'anno precedente) e l'aumento deriva dalle imposte sul reddito, mentre non emergono variazioni nell'incidenza dei contributi sociali.

Secondo i dati del rapporto ‘Taxing wages’ dell’Ocse, nel 2014 il peso della tassazione su una famiglia monoreddito con due figli è stato del 39%, 0,5 punti percentuali in più del 2013, e il quarto più elevato tra i Paesi dell’organizzazione. Per i single, il cuneo è aumentato di 0,37 punti al 48,2%, collocando l’Italia al sesto posto per pressione fiscale tra i Paesi Ocse. Nel 2013, il cuneo fiscale per le famiglie monoreddito era invece calato, sempre di 0,5 punti, e l’Italia era così scesa al 5/o posto della graduatoria tra i Paesi Ocse, superata dall’Austria, che nel 2014 scende invece al 6/o posto.

Il debito delle Amministrazioni pubbliche è aumentato a febbraio di 3,3 miliardi rispetto a gennaio, salendo a 2.169,2 miliardi e raggiungendo il massimo storico, sopra il precedente picco di 2.167,7 miliardi del luglio 2014.  Con riferimento alla ripartizione per sotto settori il debito delle Amministrazioni centrali è aumentato di 3,7 miliardi, quello delle Amministrazioni locali è diminuito di 0,4 miliardi e quello degli Enti di previdenza è rimasto sostanzialmente invariato. Lo comunica Bankitalia nel supplemento al Bollettino statistico: ‘Finanza pubblica, fabbisogno e debito’.

L'imposta sui redditi rappresenta invece il 16,7% mentre i contributi a carico del lavoratore sono pari al restante 7,2%. Il costo totale del lavoro ammonta a 53.395 dollari a parità di potere d'acquisto e vede l'Italia al sedicesimo posto nell'Ocse. Al primo c'è il Belgio con quasi 72mila dollari, davanti alla Svizzera (70.700 dollari) e alla Germania (68.700 dollari). La Francia è a 61mila dollari, l'Austria a 65.300, il Regno Unito a 56.300 e gli Usa a 55mila.

Se si esamina invece il salario lordo (ovvero quello che si vede in busta paga), il prelievo complessivo in Italia è del 31,6%, quale somma tra il 22,1% dell'imposta personale sui redditi e il 9,5% del prelievo contributivo a carico del dipendente. Il salario lordo in Italia è in media di 40.426 dollari, al 19esimo posto nella classifica capeggiata in questo caso dalla Svizzera con 66.500 dollari e chiusa dal Messico con 12.400. Traducendo il dato nella valuta nazionale, secondo i calcoli dell'Ocse la retribuzione lorda per un lavoratore medio in Italia è di 30.463 euro, con un aumento dell'1,4%, che deve poi fare i conti con lo 0,1% di inflazione e con un aumento del tasso medio di imposta personale dello 0,5%, il quarto piu' alto dell'area Ocse. La Francia è a 37.400 euro (+1,7%), la Germania 46mila (+2,8%). Anche in Irlanda i salari lordi sono superiori a quelli italiani (34.500, +4%). Dietro all'Italia invece Spagna (26.200, +0,5%), Portogallo (17.400 euro, -1,2%) e Grecia (20.200, -2,9%).

Sono state soprattutto le addizionali locali ad appesantire nel 2014 il peso della tassazione sui salari in Italia. A spiegarlo è Maurice Nettley, economista dell'Ocse responsabile del rapporto 'Taxing Wages” che per un lavoratore 'single' con una retribuzione media registra un aumento del cuneo fiscale nella Penisola al 48,2%, 0,4 punti in più del 2013. È uno dei livelli più alti tra i Paesi industrializzati. “Per due terzi l'incremento deriva dalla tassazione da parte degli enti locali, che è salita nel corso dell'anno”, spiega Nettley in un colloquio con Radiocor.

I dati Ocse non registrano invece l'impatto del bonus degli 80 euro introdotto lo scorso anni dal Governo Renzi, perché è andato a beneficio dei salari sotto la media, mentre i capitoli del rapporto diffusi oggi si concentra sulla retribuzione media. Per vederne gli effetti bisognerà quindi aspettare il resto dello studio che prenderà in considerazione anche le fasce di retribuzione sopra e sotto la media e che sarà pubblicato nelle prossime settimane. In Italia l'aumento della tassazione è ancora più visibile sulle famiglie monoreddito con due figli, con un incremento del cuneo fiscale al 39% dal 38,5%, dato quest'ultimo rivisto al rialzo dal 38,2% annunciato lo scorso anno.

Oltre che alle varie addizionali locali, l'incremento del cuneo è legato al fatto che la crescita dei salari è stata più rapida rispetto alle agevolazioni e agli sgravi fiscali, spiega Nettley. Un fattore quest'ultimo comune all'intera area Ocse, dove il cuneo fiscale medio e' salito di 0,1 punti al 36% “sebbene nessun Governo abbia aumentato l'aliquota di imposta personale sul lavoratore medio”. Nel 2014 solo 7 Paesi hanno aliquote maggiori rispetto al 2010 e sei Paesi le hanno ridotte, sottolinea Nettley.

L'aumento avvenuto nel 2014, del resto segue quelli di 0,2, 0,1 e 0,5 punti percentuali avvenuti nei tre anni dal 2010. Tra il 2007 e il 2010 invece il peso di tasse e contributi previdenziali era calato dal 36,1% al 35,1% medio nell'Ocse. «In generale le tasse sui salari stanno aumentando da quattro anni. C’è stato un calo del cuneo fiscale immediatamente dopo la crisi finanziaria, perché i Governi hanno ridotto le aliquote fiscali per stimolare l'economia, ma da allora il cuneo è risalito e ora siamo ai livelli del 2008, prima della crisi», conclude Nettley.

In effetti, nel 2008 la media Ocse era del 36,1%, esattamente come nel 2014. In Italia, invece, dall'inizio della crisi la tassazione non ha fatto che aumentare e il cuneo fiscale è passato dal 46,6% del 2008 all'attuale 48,2%.




lunedì 19 gennaio 2015

Fondi pensione: la super tassa dal 2015. Come funziona?



La tassazione della previdenza complementare è disciplinata dal Decreto legislativo n.252/2005 e riguarda i lavoratori dipendenti del settore privato ed i lavoratori autonomi ed i soci di cooperative. Per i dipendenti pubblici valgono le norme previste dal decreto legislativo n. 124/1993, in genere meno favorevole. Ma la legge di stabilità 2015 ha stravolto la tassazione.

Infatti l'aumento dall'11% al 20% della tassazione sui rendimenti annui dei fondi pensione previsto dalle legge di cui sopra ridurrà le prestazioni finali nette dei fondi stessi. Rendendo ancora più evidente il divario tra le condizioni previste in Italia e quelle dei Paesi europei che non prevedono tassazione dei rendimenti. Solo in Italia, Danimarca e Svezia, infatti, i rendimenti sono soggetti a prelievo fiscale. Negli altri Paesi Ocse, la tassazione avviene una volta sola, cioè quando si va in pensione.

All'inasprimento della tassazione, si aggiunge poi l'altra previsione del Ddl stabilità, ovvero la possibilità per i lavoratori di richiedere in busta paga l'accantonamento mensile del trattamento di fine rapporto (Tfr). Anche questa misura, sottraendo risorse agli accantonamenti, avrà un impatto negativo sulle prestazioni finali dei fondi.

La nuova tassazione ipotizzata per i rendimenti al 20% determina una riduzione delle prestazioni che aumenta al crescere del periodo di iscrizione al fondo pensione e del risultato annuo ottenuto. Se ipotizziamo infatti che un lavoratore con una retribuzione annua lorda di 50mila euro destini a un fondo pensione dal 1° gennaio 2015 l'accantonamento annuo del Tfr e consideriamo tre diversi periodi di iscrizione (15, 25 e 35 anni) e tre possibili diversi tassi annui di rendimento reale (2%, 4% e 6% al netto dell'equivalente incremento del costo della vita), la riduzione della prestazione può arrivare fino all'11% della posizione netta maturata. In valore assoluto, la differenza può superare i 37mila euro nello scenario con le performance migliori dei fondi. Le stesse variazioni percentuali possono ritenersi valide per tutti i livelli retributivi. La richiesta in busta paga del Tfr per il periodo consentito, in base al Ddl stabilità (dal 1° marzo 2015 al 30 giugno 2018) può comportare un'ulteriore riduzione della prestazione finale. Una riduzione che può risultare sensibile, sino al 30% della posizione netta maturata per i periodi più contenuti di iscrizione ai fondi pensione.

Per un lavoratore italiano, nell'ipotesi dell'aumento effettivo al 20% del prelievo sui rendimenti dei fondi pensione, sarebbe assolutamente più vantaggioso trasferire la prestazione accumulata presso un fondo pensione paneuropeo costituito (sulla base della Direttiva Ue 41/2003) in uno dei paesi dell'Unione che non preveda alcuna tassazione dei rendimenti ottenuti. L'assenza di tassazione infatti, a parità di ulteriori situazioni, determina prestazioni nette in alcuni casi decisamente più elevate, sino al 22% della posizione maturata.

Dopo più di venti anni di riforme, dunque, l'impressione è che la struttura del nostro sistema pensionistico non possa ancora essere considerata quella definitiva. In seguito alla riforma «Fornero» del 2011, infatti (e dopo tutte le riforme che l'hanno preceduta) la previdenza complementare non potrà che svolgere un ruolo fondamentale. In futuro, infatti, solo alcuni lavoratori che avranno la possibilità di andare in pensione intorno ai 70 anni, dopo una carriera completa, saranno in grado di ricevere dall'Inps una pensione calcolata con il metodo contributivo che sia adeguata. Per tutti gli altri, in particolare i lavoratori che per le ragioni più varie (ristrutturazioni aziendali, esigenze familiari, fisiche, e così via) saranno portati ad anticipare il pensionamento, l'esigenza di una copertura aggiuntiva risulterà determinante.

L'attuale contesto economico, e il notevole squilibrio dell'Inps, lasciano presupporre che queste necessità difficilmente potranno essere garantite attraverso un ulteriore intervento del sistema pubblico. E anche se l'economia ripartisse, i vantaggi di affiancare a un sistema finanziato a ripartizione un altro gestito in base al metodo della capitalizzazione dovrebbero risultare ormai evidenti sul mercato. Le disposizioni che il Governo ha introdotto nel disegno di legge di stabilità per il 2015 vanno esattamente nella direzione opposta. Colpiscono le prestazioni garantite dai fondi pensione, aumentando la tassazione e riducendo quindi le prestazioni nette finali e sottraggono il Tfr, una determinante fonte di finanziamento, forse l'unica.

I contributi versati alle forme di previdenza complementare dal lavoratore e dal datore di lavoro (o committente) sono deducibili dal reddito complessivo dichiarato ai fini Irpef per un importo non superiore a 5.164,57 euro. L’agevolazione determina un risparmio in termini di minori imposte pagate pari all’aliquota fiscale più elevata applicata al reddito complessivo del lavoratore.

Ad esempio, per un lavoratore che versa alla previdenza complementare contributi pari a 1.000 euro ed è tassato con aliquota marginale Irpef del 23 per cento, il costo effettivamente sostenuto dal lavoratore sarà pari a 770 euro, con un risparmio fiscale pari a 230 euro.

Ai fini del computo del limite di 5.164,57 euro si deve tener conto di tutti i versamenti che affluiscono alle forme pensionistiche, collettive e individuali. Occorre considerare, pertanto: _ le quote accantonate dal datore di lavoro ai fondi per TFR e ai fondi di previdenza del personale dipendente istituiti ai sensi dell’articolo 2117 del codice civile; _ i contributi versati a favore dei familiari fiscalmente a carico. La parte dei contributi versati (anche per le persone a carico) al fondo di previdenza complementare per i quali il contribuente non ha potuto fruire della deduzione, non sono tassati al momento della liquidazione della prestazione. Il contribuente ha però l’obbligo di comunicare alla forma pensionistica complementare l’importo non dedotto (o che non sarà dedotto) nella dichiarazione dei redditi. Detta comunicazione va fatta entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui è stato effettuato il versamento, ovvero, se il diritto alla prestazione matura prima di tale data, entro il giorno di maturazione.



martedì 6 gennaio 2015

Professionisti, partite Iva, free-lance le tasse per il 2015



Anno nuovo, regole nuove. La legge di stabilità ha cambiato il regime agevolato per le «piccole» partite Iva, dal 2015 mini-imprese e professionisti dovranno fare i conti con un nuovo regime che vedrà un'imposta sostitutiva più alta (15% contro il 5% del precedente regime dei minimi) e con soglie di ricavi variabili a seconda dell'attività.

Il governo sostiene di aver ridotto, tramite la legge di Stabilità, di 800 milioni il monte-tassazione delle partite Iva. Ma è davvero così e il taglio interessa entrambi i segmenti del lavoro autonomo, quello tradizionale e quello di nuova generazione? Esaminando le tabelle allegate al provvedimento si viene a scoprire abbastanza agevolmente che 520 milioni (degli 800) serviranno a intervenire sui minimi contributivi di artigiani e commercianti, misura più che legittima ma che non ha niente a che vedere con il portafoglio di professionisti, chi lavora con partita IVA e freelance. Il resto delle risorse serve a coprire il cambio del regime dei minimi (per Irpef e Iva) con una platea allargata e che vede predominare in benefici dei commercianti.

Che cosa si può fare in concreto per venire incontro alle legittime esigenze delle partite Iva? A detta del sottosegretario all’Economia Enrico Zanetti si tratta di decidere se si vuole operare a “invarianza di risorse” oppure se siamo in grado di investire risorse aggiuntive.

Nel primo caso Zanetti propone di rinunciare agli interventi sui contributi previdenziali di artigiani e commercianti – che assorbono buona parte degli 800 milioni stanziati per gli autonomi – , di confermare le nuove soglie Irpef previste dalla legge di Stabilità per le varie tipologie di partite Iva e alzare però il forfait per professionisti e freelance da 15 mila a 30 mila, “applicando un’aliquota fiscale tra il 10 e il 12%”. Per operare queste correzioni si potrebbero usare i decreti attuativi della delega fiscale che potrebbero essere approvati entro marzo.

“Tra l’altro la delega fiscale è la sede più appropriata per modificare norme di questo tipo e caso mai si è sbagliato a usare la Stabilità”. E’ chiaro che in questo modo artigiani e commercianti farebbero un passo indietro e i freelance avrebbero un regime fiscale dei minimi più severo di quello di oggi (10-12% contro 5%) ma valido per sempre – e non solo per 5 anni – e senza tetti anagrafici.

Se invece il governo fosse in grado di reperire nuove risorse il passo indietro per la previdenza di artigiani e commercianti non sarebbe più necessario e si potrebbe finanziare con alcune centinaia di milioni di euro il rialzo dei minimi per professionisti e freelance tra i 25 e i 30 mila euro.

Quindi dal 2015 i freelance andranno incontro a un salasso. La legge di Stabilità rivoluziona il regime dei minimi, uno status agevolato destinato agli under 35. Con le vecchie regole, le giovani partite Iva pagavano il 5% di Irpef, a patto di guadagnare meno di 30 mila euro l'anno. Dal primo gennaio l'aliquota triplica: passa al 15%. Ma è solo l'inizio, perché 30 mila euro, a quanto pare, sono troppi. Il governo ha introdotto delle soglie differenti a seconda dell'attività svolta. Per pagare il 15%, i commercianti devono incassare meno di 40 mila euro. I giovani professionisti meno di 15 mila.

In altre parole: chi ha guadagni mensili anche meno che decorosi, sforerà. Per la Confederazione Italiana Libere Professioni del Lazio il nuovo regime dei minimi contenuto nella legge di Stabilità, se non avverranno modifiche comporterà un incre­mento della tassazione dei giovani professionisti del 500% circa. Su un reddito medio ipotizzato di 19 mila euro, se nel 2014 si paga­vano 900 euro di Irpef-sostituto d’impresa, con la riforma in arrivo nel 2015 si sbor­seranno oltre 4 mila euro. Su base men­sile que­sto signi­fica un taglio di 200 euro almeno su un red­dito men­sile da 1400 euro. Questo rove­scio riguarda i professioni­sti under 40, i coe­ta­nei del pre­si­dente del Consiglio. Il vecchio regime dei minimi aveva una tassazione unica al 5%, nella quale si ricomprendevano Irpef, addizionali e Irap. Il limite massimo di reddito era di 30mila euro, e le agevolazioni valevano per cinque anni o fino al compimento del 35esimo anno di età del professionista. La tassazione sale dal 5 al 15%, l’asticella dei 30mila non vale più se non per alcune professioni.

Ad essi poi si applicheranno i cosiddetti coefficienti di redditività, che andranno a definire il reddito su cui applicare l’aliquota del 15%. In pratica un professionista tipo avvocato o commercialista che dovesse ottenere introiti per 20mila euro, ossia il massimo consentito dalle tabelle, si vedrebbe applicare un coefficiente del 78%, con un reddito definitivo di 15.600 euro e una esborso fiscale di 2.340 euro. Stando così le cose, bisognerà valutare bene se converrà aderire al regime dei minimi, tenendo presenti i livelli massimi di reddito e il coefficiente di redditività della propria professione, oppure optare per il regime ordinario dove si pagheranno più tasse ma si potranno però dedurre le spese sostenute.

Cancellato invece il limite dei cinque anni, e questa sembra essere l’unica novità positiva. Chi già paga le tasse con il regime dei minimi avrà una fase transitoria che permetterà di mantenere l’attuale regime agevolato.

Inoltre il governo ha dato il via libera agli aumenti contributivi Inps per gli iscritti alla gestione separata. Una misura, prevista dalla Riforma Fornero e bloccata dai precedenti governi, che porterà l'aliquota dal 27 al 33% entro il 2018. Con un primo scatto oltre il 29% già dal primo gennaio del 2015.

I freelance iscritti ad alcune casse professionali, con aliquote che vanno dal 12 al 22%, sono un po' più fortunati. Gli iscritti all'Inps che rientreranno nel regime dei minimi, vedranno evaporare in tasse il 44% dei loro (bene che vada) 15 mila euro. Chi invece ha la colpa di avere una partita Iva e uno stipendio decente dovrà sopportare una pressione fiscale del 52% nel 2015 e del 56% nel 2018.

Secondo una elaborazione della Fondazione Hume ha calcolato gli effetti del nuovo sistema su un giovane professionista del terziario, ad esempio un consulente informatico, che abbia deciso di mettersi in proprio. Quindicimila euro di compensi l’anno, capitale iniziale di circa duemila (il minimo per un computer e uno smartphone). Se avesse aperto la partita Iva la settimana scorsa, l’imposta sostitutiva si sarebbe attestata a 450 euro. Così, decolla a 811. Un aumento superiore all’80 per cento.

L’altro profilo è quello di un giovane che avvia un’attività di vendita al dettaglio e viaggia sui venticinquemila euro di ricavi l’anno. Bisogna calcolare un 10mila euro di costi, inevitabili per chi inizia. Se con il «vecchio» regime dei minimi, attivato entro il 2014, l’imposta sostitutiva si fermava a 520 euro, con il nuovo forfait - stima la Fondazione Hume - l’importo sfiora i 700.



martedì 18 novembre 2014

Lavoro e tasse di fine anno le novità e i balzelli alle porte



A dicembre di ogni anno le retribuzioni nette dei lavoratori dipendenti e collaboratori risultano quasi sempre ridotte rispetto le mensilità dei mesi precedenti. Questa riduzione è causata dal prelievo fiscale che scaturisce dalle cosiddette “operazioni di conguaglio fiscale di fine anno”.

Ogni datore di lavoro, in qualità di sostituto d’imposta, ovvero di soggetto che si sostituisce all’Ufficio Imposte per operare le ritenute fiscali attraverso il cedolino paga, ha l’obbligo, in applicazione alla normativa fiscale, di effettuare il conguaglio fiscale ovvero il ricalcolo, su base annuale, delle imposte dovute dai propri lavoratori e pagate mensilmente in forma di ritenuta d’acconto.

Per i contribuenti minimi scade il 1° dicembre il termine per il versamento del secondo acconto dell'imposta sostitutiva del 5%. Coloro che nel 2014 hanno cambiato regime, passando dai minimi a quello ordinario o viceversa, non sono tenuti al versamento del secondo acconto in scadenza.

Il datore di lavoro deve effettuare il conguaglio tra l’ammontare delle ritenute operate sulle somme e i valori corrisposti in ciascun periodo di paga, compreso quello eventualmente terminato il 12 gennaio dell’anno successivo e l’imposta dovuta, ottenuta applicando le aliquote progressive Irpef/Ire sull’ammontare complessivo delle somme e i valori corrisposti nel corso dell’anno, tenendo conto delle detrazioni fiscali spettanti.

In sede di conguaglio il sostituto d’imposta dovrà riconoscere anche le detrazioni per oneri compresi nell’articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 917/86 e, se richieste dal lavoratore, le detrazioni per canoni di locazione.

Ai fini del compimento delle operazioni di conguaglio di fine anno il dipendente può chiedere al sostituto d’imposta di tener conto anche di altri redditi di lavoro dipendente, o assimilati a quelli di lavoro dipendente, percepiti nell’ambito di precedenti rapporti intrattenuti nel corso dell’anno e anche se erogati da soggetti che non rivestono la qualifica di sostituto d’imposta.

In 61 giorni lo Stato si farà un’abbuffata di tasse e balzelli da 91 miliardi di euro a spese di famiglie e imprese. È quanto ha rilevato la Cgia di Mestre. A novembre e dicembre i contribuenti saranno impegnati in un vero e proprio tour de force per assolvere a una serie di obblighi fiscali che prosciugheranno le casse del sistema-Italia. Giusto per fare qualche esempio, si tratta del versamento delle ritenute Irpef dei dipendenti, delle ritenute per i lavoratori autonomi e dell’Iva. A queste si aggiungeranno gli acconti Irpef, Ires e Irap, il versamento dell’ultima rata dell’Imu e della Tasi per un totale di 25 scadenze fiscali che, escludendo sabati e domeniche, significano una tassa da pagare ogni due giorni.

Ricordiamo che il bonus Renzi di 80 euro potrebbe comunque presentare delle spiacevoli sorprese, infatti per effetto del calcolo del Bonus, che tiene conto del periodo di paga, si potrà ricevere un bonus diminuito.

Il datore di lavoro a dicembre 2014 avendo a disposizione tutti i dati per il calcolo dell'imponibile fiscale complessivo, potrà eseguire un controllo finale. Nei casi in cui i lavoratori si siano avvalsi della facoltà di chiedere il conguaglio riassuntivo all'ultimo datore di lavoro, questi avrà a disposizione anche il modello Cud rilasciato dal precedente datore di lavoro da cui potrà ricavare il reddito e l'ammontare del bonus che i lavoratori hanno percepito nel corso dell'altro rapporto di lavoro. Il venir meno delle condizioni di spettanza del credito obbligherà il sostituto di imposta che esegue il conguaglio al recupero immediato di quanto erogato in precedenza perché non più spettante.

Le imposte sul reddito da lavoro dipendente si calcolano mensilmente con la stessa tabella fiscale annuale, ma i valori sono divisi per 12 perché dodici sono i mesi di calendario; il Testo Unico delle Imposte sui Redditi stabilisce infatti che per il calcolo dell’Irpef mensile si applicano le aliquote di legge sugli scaglioni di reddito fiscale mensili che sono quelli annuali diviso dodici (a volte per diminuire l’impatto del conguaglio di fine anno le fasce annuali sono divise per 13 o 14, fermo restando che a conguaglio bisogna usare le fasce annue).

Dalle operazioni di conguaglio di fine anno deriva, generalmente, un debito d’imposta e quindi un maggior prelievo fiscale per il lavoratore perché l’IRPEF si calcola mensilmente sulle tredici o quattordici mensilità corrisposte per contratto collettivo, mente la progressione delle imposte è riferita ai dodici mesi di calendario.

Sostanzialmente la maggiore IRPEF che si paga a dicembre deriva dal ricalcolo della tredicesima e quattordicesima che fanno alzare il reddito ad uno scaglione d’imposta superiore, inoltre le detrazioni d’imposta competono solo per dodici mesi, non sono dovute su tredicesima e quattordicesima mensilità, pertanto quanto si paga di più a dicembre è riferito alle operazioni di ricalcolo di tutto il reddito annuo comprese le mensilità aggiuntive.

In fase di conguaglio fiscale a dicembre vengono calcolate, sull’imponibile fiscale annuo, le addizionali regionale e comunale che saranno trattenute in undici rate nel 2015, con decorrenza dal mese di gennaio.

Sì, può verificarsi che un dipendente, in corso d’anno, abbia pagato più imposte del dovuto rispetto il reddito complessivo annuo, in tal caso dalle operazioni di conguaglio può scaturire un credito d’imposta che dà diritto ad un rimborso dell’IRPEF pagata in più. E’ il caso, ad esempio, del dipendente che da tempo pieno passa a tempo parziale, o quando per varie ragioni, quali la cassa integrazione guadagni, il reddito mensile e conseguentemente l’IRPEF degli ultimi mesi dell’anno è inferiore rispetto i mesi precedenti. Se dal conguaglio fiscale deriva un importo di IRPEF a credito il datore di lavoro lo rimborsa con il cedolino paga di dicembre.




domenica 2 novembre 2014

Partite Iva e cocopro, come sono gli stipendi?


Iniziamo a vedere cosa bisogna sapere delle partita IVA.

Se il datore di lavoro vuole farti passare da un contratto di collaborazione alla partita Iva si sa che si perderà ogni tutela e buona parte dello stipendio.

Fino ai 35 anni si può usufruire del regime fiscale dei minimi, che consiste in una tassazione totale di circa il 33% di quello che guadagni, così divisi: 5% di Irpef e 28% di Inps. Questo discorso vale per chi ha la “gestione separata”, cioè tutti quei lavoratori generici che non usufruiscono di casse previdenziali di settore (come giornalisti, avvocati, commercianti) e con la clausola che i ricavi siano entro i 30.000 euro l’anno (per l’anno in corso il limite potrebbe aumentare a 65.000). Superati i 35 anni e i 30.000 euro di reddito l’Irpef sale dal 5% al 23% creando una pressione contributiva totale del 51%.

Alla pressione contributiva devi aggiungere gli acconti sulle tasse dell’anno successivo. Funziona così: tra giugno e agosto di ogni anno si  inizieranno a pagare le rate delle tasse relative alla dichiarazione dei redditi dell’anno precedente. Ma assieme a queste si dovrà pagare anche l’acconto sulle tasse dell’anno successivo. Questo acconto consiste nel 50% di quanto si ha appena pagato per le tasse.

In breve: se si ha dichiarato 21.000 euro di ricavi per il 2013 e pagato 7.000 euro (33%) di tasse? Bene, si dovrà pagare subito altri 3.500 euro, come acconto dell’anno successivo. Questa cifra verrà poi scalata dalle tasse che si ritroverà a pagare l’anno successivo. Ma non uno non se ne accorgerà neanche, perché l’anno successivo ci si ritroverà a pagare comunque l’acconto dell’anno dopo ancora.

La partita Iva per essere sostenibile prevede che svolgendo il proprio lavoro si abbia dei costi. La benzina per l’auto, metà di quanto spendi per l’affitto se lavori in casa, i biglietti del treno o di aereo, il ristorante: tutte queste cose si possono detrarre, ma non tutte al 100%. Hai ricavi per 21.000 euro l’anno? Bene, se hai avuto 6.000 euro di costi, il tuo reddito è di 15.000 euro, e su quelli pagherai un terzo di tasse (al regime dei minimi). Se nel tuo lavoro non hai costi aprire una partita Iva è difficilmente sostenibile. Facciamo un esempio: su un reddito lordo di 12.000 euro – i miseri mille euro al mese – ci si trova a dover pagare 4.000 euro di tasse più 2.000 di acconto e 1.000 (circa) di commercialista. Un totale di 7.000 euro di tasse, e in tasca ne rimangono meno della metà, 5.000. Oltre i 35 anni, poi, si paga molto di più.

Se si usufruisce del regime fiscale dei minimi si può detrarre un elenco molto ristretto di costi, diversamente da chi ha più di 35 anni, che paga un 51% di tasse (28% Inps + 23% Irpef) ma può detrarre molte più cose.

La cosa migliore che puoi fare è capire in anticipo, mese per mese, quanti costi si dovrà avere entro la fine dell’anno per abbassare il reddito, e pagare una cifra sostenibile di tasse.

Metti da parte un terzo (o più) dei tuoi guadagni dal primo momento: così facendo eviti il rischio, molto comune, di non rientrare più con le cifre una volta che inizierai a pagare le tasse.

Se per un anno un con partita IVA non lavora ed il fatturato è pari a 0 euro, oltre a non dover pagare il 5% di Irpef visto che sono un “minimo”, cosa dove versare? Se il contribuente è iscritto alla cassa artigiani o commercianti dell’Inps deve pagare il contributo annuale anche se il suo reddito è pari a zero. L’importo è di poco inferiore a 3.000 euro annui.

Se il contribuente è un libero professionista in caso di reddito negativo non deve pagare l’Inps. Se invece è iscritto alla cassa artigiani e/o commercianti deve comunque pagare il contributo sul reddito minimale (in 4 rate per un importo di poco inferiore a 3.000 euro annui). Se i contributi non vengono versati l’Inps applica una sanzione pari a circa il 10% della somma non pagata.


Adesso evidenziamo i dati dell'Inps illustrati a un convegno organizzato dall'Associazione 20 Maggio a raccontarci i veri disperati dalla busta paga pressoché inesistente, che siano collaboratori a progetto o partite Iva.

La media dei compensi di tutti i parasubordinati 2013 (dati Inps) è di 19mila euro lordi annui. E a parità di attività svolta, le donne guadagnano 11mila euro in meno rispetto agli uomini. Gli uomini, infatti, hanno redditi di 23.874 euro mentre le donne hanno una media di reddito di 12.185. Più colpite da questa discriminazione sono le fasce d'età dai 40 a i 49 anni, quindi, proprio le lavoratrici all'apice della carriera.

Con un compenso lordo medio di 18.640 il reddito netto di un lavoratore con partita Iva iscritto alla Gestione separata è di 8.679 euro annui e di soli 723 euro mensili. Va poi sfatato lo stereotipo per cui il lavoro parasubordinato sia un fenomeno solo giovanile e quindi transitorio. Se si osserva la composizione per fascia d'età, emerge che su 1.259mila lavoratori 607.198 hanno tra i 30 e i 49 anni (pari al 48% del totale) e il 33% ha superati i 50 anni. Il lavoro parasubordinato riguarda in prevalenza lavoratrici e lavoratori adulti e con famiglia.

Lo studio analizzato dal direttore dell'Associazione, Patrizio Di Nicola (Università La Sapienza di Roma), mostra anche il crollo degli occupati tra i parasubordinati. Il sito di Adepp, l’associazione degli enti previdenziali privati, riporta nel dettaglio la ricerca. «I collaboratori a progetto diminuiscono di 322mila unità dal 2007 al 2013, e nel solo 2012 passano da 647mila a 502mila, con una flessione di ben 145mila unità. Si tratterebbe di un fenomeno a cui, oltre la crisi, ha contribuito anche la riforma Fornero la quale imponeva, nel tentativo di aumentare il costo di questi contratti e favorire lo spostamento verso il lavoro dipendente, l'introduzione per i collaboratori dei minimi tabellari dei dipendenti».

Le collaborazioni coordinate continuative anche a progetto sono disciplinate dagli articoli da 61 a 69 del decreto legislativo n. 276/2003, che ne disciplinano, tra gli altri, diversi aspetti, quali:

la definizione ed il campo di applicazione;

la forma;

gli obblighi e diritti del lavoratore;

il regime di estinzione del contratto di collaborazione;

previsioni di conversione dei contratti di collaborazione.

All’indomani delle modifiche introdotte dalla L. n. 92/2012, l’art. 63 del D.Lgs. n. 276/2003 dispone:
che il compenso debba essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro eseguito in relazione a ciò e  alla particolare natura della prestazione e del contratto non può essere inferiore ai minimi stabiliti in modo specifico per ciascun settore di attività, eventualmente articolati per i relativi profili professionali tipici e in ogni caso sulla base dei minimi salariali applicati nel settore medesimo alle mansioni equiparabili svolte dai lavoratori subordinati, dai contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale a livello interconfederale o di categoria ovvero, su loro delega, ai livelli decentrati.

Se da più parti tali previsioni hanno destato qualche perplessità, in merito a come identificare i parametri di riferimento per la determinazione del corrispettivo (posto che le collaborazioni coordinate e continuative anche a progetto non costituiscono lavoro subordinato e che, salvo le poche e recentissime eccezioni, non hanno un CCNL) al comma successivo la norma è giunta “in soccorso” prevedendo che:

“in assenza di contrattazione collettiva specifica, il compenso non può essere inferiore, a parità di estensione temporale dell’attività oggetto della prestazione, alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi nazionali di categoria applicati nel settore di riferimento alle figure professionali il cui profilo di competenza e di esperienza sia analogo a quello del collaboratore a progetto”…

Se indubbio è l’interesse che queste previsioni hanno suscitato negli addetti ai lavori, altrettanto interessante è stata la specificazione del Ministero del lavoro (Circ. 22 aprile 2013 n. 7258) che relativamente ai criteri da seguire per la definizione del corrispettivo del collaboratore ha chiarito che il compenso non deve essere parametrato al tempo impiegato per realizzare il progetto, ma che tuttavia “l’elemento temporale rileva ai fini della valutazione circa la congruità dell’importo attribuito al collaboratore sulla base del contratto collettivo di riferimento.”

Ora, nella stessa nota il Ministero ha anche sottolineato il riferimento del nuovo art. 63 “ai minimi salariali applicati nello specifico settore alle mansioni equiparabili svolte dai lavoratori subordinati, in forza dei contratti collettivi sottoscritti dalle Organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, a livello interconfederale o di categoria ovvero, su loro delega, ai livelli decentrati”. Premesso che, a parere di chi scrive, la previsione di un corrispettivo parametrato ai minimi “salariali” parrebbe quanto meno inconsueta per le collaborazioni a progetto, che, di norma, attengono a prestazioni dal contenuto professionale elevato, a chiarimento del punto, la citata nota ricorda che laddove non si rinvenga una contrattazione per lo specifico settore, a parità di estensione temporale (che cos’è l’estensione temporale se non una sorta di orario di lavoro?) dell’attività oggetto della prestazione, si fa riferimento “alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi di categoria applicati nel settore di riferimento alle figure professionali il cui profilo di competenza e di esperienza sia analogo a quello del collaboratore a progetto”.

Se di indubbio interesse risultano le espressioni del legislatore e le precisazioni ministeriali su questi argomenti, non meno meritevoli di attenzione saranno le traduzioni operative da parte degli addetti ai lavori nella redazione pratica dei contratti a progetto, come anche il mantenimento delle collaborazioni a progetto nell’ambito delle prestazioni di carattere autonomo (seppur in coordinamento con il committente), vista la progressiva assimilazione sotto più profili alle forme del lavoro subordinato.



domenica 19 ottobre 2014

Rischio del Tfr in busta paga: tasse troppo alte


La possibilità di farsi accreditare in busta paga il Tfr (Trattamento di fine rapporto) rischia di rivelarsi un boomerang per i contribuenti.

Secondo la Fondazione studi dei consulenti del lavoro, l'anticipo sarà conveniente per i lavoratori con un reddito fino a quella soglia. Quando l'aliquota arriva al 38%, il conto inizia ad essere svantaggioso. Per 90mila euro di stipendio l'aggravio arriva a 569 euro l'anno. Fino a 15 mila euro lordi di reddito l’aliquota con il quale verrebbe tassato il Tfr in busta paga rispetto a quello che si ottiene alla fine del rapporto di lavoro sarebbe la stessa: 23%. Per i redditi superiori, la tassazione separata è vantaggiosa per il lavoratore rispetto a quella ordinaria. Se per i redditi dai 15 mila euro lordi ai 28.650 il divario di imposizione è ancora sostenibile (50 euro in più di imposta l’anno se si chiede l’anticipo in busta paga) oltre questa soglia la richiesta di anticipo non è più conveniente perché sarebbe tassata al 38% con oltre 300 euro di tasse in più l’anno. L’imposizione aumenta con la crescita del reddito e per chi guadagna 90 mila euro l’anno arriva a 568,50 euro in più di tasse. In pratica si ricevono in busta paga di Tfr netto 3.544 euro a fronte dei 4.112 accantonati a tassazione separata.

Il lavoratore che chiede l'anticipo di TFR in busta paga perde la tassazione sostitutiva e la quota di TFR ricevuta è soggetta a tassazione ordinaria

L'operazione Tfr in busta paga prevista dal testo della Legge di Stabilità 2015 varato dal Consiglio dei Ministri il 15 ottobre scorso ha suscitato alcune reazioni in merito al profilo fiscale. Infatti, sulla retribuzione integrativa di chi opta per avere la liquidazione del TFR nella busta paga mensile scatterà la tassazione Irpef ordinaria, e non la tassazione sostitutiva come avviene in genere per il TFR. Ciò, se confermato nel testo ufficiale che verrà trasmesso al Parlamento, farebbe crollare l'appeal della misura per i lavoratori con un reddito superiore ai 15mila euro. Per tali lavoratori, infatti, l'Irpef sul reddito che supera i 15mila euro parte dal 27%, mentre l'aliquota media attualmente applicata al Tfr è compresa tra il 23 e il 26%. Pertanto, più elevato è il reddito da lavoro meno è conveniente (fiscalmente) l'opzione del Tfr in busta paga. In senso opposto, invece, l'imposta sostitutiva sui redditi derivanti dalle rivalutazioni dei fondi per il trattamento di fine rapporto (ovvero sul maturato) passerà dall'11 al 17%.

Al salire del reddito aumenta il conto del Fisco: per 90 mila euro 568 euro di imposte La misura è volontaria e vale per i dipendenti privati assunti da almeno sei mesi

La platea cui questo l’anticipo del TFR conviene corrisponde a quella dei percettori del bonus, cioè titolari di redditi che non superino i 24-26 mila euro annui.

La richiesta di avere la quota maturanda del Tfr in busta paga è volontaria e può essere fatta dal dipendente privato che sia stato assunto da almeno sei mesi. Sono esclusi i collaboratori domestici, i lavoratori agricoli e i dipendenti di aziende in crisi.

La misura è sperimentale: vale dal marzo prossimo, con effetto retroattivo a gennaio, e termina nel giugno 2018. Effettuata la scelta, questa non può essere revocata per tre anni.

La quota del Tfr che può essere anticipata in busta paga è quella maturanda, anche se normalmente destinata alla previdenza complementare: nel fondo di appartenenza verranno versati solo i contributi del dipendente e del datore di lavoro. L’anticipazione sarà mensile e non in un’unica soluzione.

Il governo ha deciso di tassare la quota di Tfr in busta paga come se questa andasse a integrare lo stipendio e dunque applicando le aliquote Irpef ordinarie. Di conseguenza l’anticipo del Tfr in busta paga sarà conveniente per i lavoratori con un reddito fino a 15 mila euro mentre subiranno un aggravio fiscale quelli al di sopra di questa soglia.

Dunque è chiaro che la fascia cui la misura si rivolge sta sotto i 24 mila euro. In particolare per chi può contare su un reddito di 20 mila lordi l’anno, il Tfr netto annuale sarebbe di 1.008 euro (84 euro al mese) a fronte dei 1.058 di Tfr netto annuale accantonato.



mercoledì 11 dicembre 2013

Tasse un vero incubo, addizionali per 503 euro



Conto salato per gli italiani sul fronte delle addizionali comunali e regionali Irpef. In cinque anni, dal 2009 al 2013, il gettito è aumentato del 36%, passando in media da 391 a 503 euro a testa.

In cinque anni, dal 2009 al 2013, il gettito delle addizionali comunali e regionali è aumentato del 36%, passando in media da 391 a 503 euro, appunto. Nello stesso quinquennio i prezzi sono aumentati di circa l’11%. Una bella stangata, dunque. Che l’anno prossimo potrebbe ripetersi. Nello stesso quinquennio i prezzi sono aumentati di circa l’11%. Una bella stangata, dunque. Che l’anno prossimo potrebbe ripetersi.

Per il 2014, infatti, le Regioni potranno decidere ulteriori incrementi del balzello Irpef di loro competenza fino a 0,6 punti, portando l’aliquota al 2,33%, che significherebbe altri 141 euro in più a testa, che diventerebbero 153 calcolando anche 12 euro aggiuntivi di addizionale comunale se i municipi che ancora non l’hanno fatto decidessero di deliberare l’aliquota massima dello 0,8%.

I calcoli li ha fatti il dipartimento Politiche territoriali della Uil, che ha preso in esame le aliquote deliberate dalle Regioni e dai Comuni e le ha rapportate all’imponibile medio ai fini delle addizionali, che risulta, secondo i dati del ministero dell’Economia, di 23mila euro lordi pro capite. I risultati sono allarmanti, dice il segretario confederale Guglielmo Loy, che osserva: «I comuni si stanno affrettando a disporre aumenti generalizzati delle aliquote. Ciò accade anche per effetto dell’incertezza che domina sulle risorse, sopratutto per quanto riguarda l’Imu». I sindaci, insomma, non sapendo bene come andrà a finire la partita sulla seconda rata dell’Imu, sfruttano i margini di aumento delle addizionali 2013, benché l’anno sia quasi finito. Hanno ancora tre settimane di tempo per farlo e chiudere i bilanci. Ma il sistema è talmente assurdo che quello che i comuni devono approvare entro il 30 novembre è il bilancio preventivo (sic!) 2013. Comunque sia, il gettito delle addizionali vale ormai quasi 15 miliardi e mezzo (11,5 quello delle regionali e 4 quello delle comunali), con un aumento di oltre 4 miliardi sul 2009.

A livello regionale quest’anno l’aliquota Irpef aumenta in Toscana (1,43% fino a 15mila euro, 1,73% oltre) e Abruzzo (1,73%). Ma le aliquote massime restano nelle tre Regioni con i peggiori bilanci sanitari: Campania, Calabria e Molise, dove siamo al 2,03%. Sono invece solo 5 le aree che applicano l’aliquota di base dell’1,23%: Val d’Aosta, Bolzano, Trento, Veneto e Sardegna. Sommando addizionali regionali e comunali, la classifica dei più tartassati vede in testa Campobasso, Napoli e Salerno con 651 euro, seguite da Roma con 605 euro e da Chieti, Genova, Imperia, Messina, Palermo e Teramo con 582.

Le addizionali comunali Irpef furono istituite dal governo Prodi nel 1997 e si pagano dal 1999. L’idea era che a fronte del gettito dovesse esservi un corrispettivo in termini di servizi, secondo un principio di responsabilità e verifica, per evitare quanto aveva denunciato la Corte dei Conti, cioè che dal 1991 al 1996 le imposte comunali fossero aumentate del 124% senza che si capisse il perché. Una corsa che non si è fermata. Nel 2003 il gettito delle addizionali Irpef regionale e comunale fu di 6,8 miliardi. Dieci anni dopo siamo a 15 milardi e mezzo. E non è finita. L’anno prossimo dovrebbe arrivare la Tasi, la nuova tassa sui servizi indivisibili: illuminazione pubblica, polizia locale, strade, ecc. Come se finora i contribuenti non fossero stati spremuti anche per finanziare questi servizi. Della serie «non basta mai».

Per l’addizionale Irpef comunale gli italiani pagheranno quest’anno in media 140 euro a testa contro i 129 del 2012, l’8,5% in più, mentre per l’addizionale Irpef regionale, il conto sale dell’1,1%, e pesa in media per 363 euro. Insomma un bel salasso.

sabato 12 ottobre 2013

Tredicesime più pesanti con il bonus di 300 euro



Allo studio del Governo per il taglio al cuneo fiscale un bonus di 250,300 euro sulla busta paga di dipendenti e pensionati, da erogare con la tredicesima, che però non prendono tutti . ed in effetti, visto l’attuale momento sembra una possibile mancia sulla busta paga dei lavoratori dipendenti pensionati. Sono queste le ultime indiscrezioni trapelate al riguardo del taglio al cuneo fiscale promosso dal Governo Letta.

Una manovra quella che parte dal 2014 che nelle intenzioni del Governo dovrebbe servire a spingere sull’acceleratore della ripresa mettendo “un po’ di soldi in tasca” – come dice il premier Enrico Letta – ai cittadini. In particolare ai dipendenti che, da primi calcoli, si troverebbero in tasca fino a 300 euro in più e in un’unica “tranche”.

Siamo naturalmente alle supposizioni, infatti si ipotizza un intervento governativo del valore di 4-5 miliardi di euro, che verrebbe equamente ripartito tra le aziende (con una riduzione dei contributi) e i lavoratori (attraverso un alleggerimento delle tasse sugli stipendi). Secondo alcune stime, concentrando i tagli al cuneo fiscale sui redditi più bassi, l'incremento salariale potrebbe raggiungere i 250-300 euro all'anno, da pagare in un'unica soluzione nella mensilità di giugno o sulla tredicesima.

E’ bene ricordare che il cuneo fiscale è un indicatore della somma di tutte le imposte che gravano lavoro e quindi sulle tasse che il datore di lavoro e il lavoratore pagano allo Stato. In sostanza è una percentuale  che rappresenta l’incidenza di tutte le imposte dirette, imposte indirette e contributi previdenziali sul costo complessivo del lavoro.

Taglio cuneo fiscale: quanto costa? . E’Un’operazione che costa a conti fatti circa 5 miliardi di euro e per recuperarli al Tesoro si pensa all’aumento delle aliquota Iva agevolate, quella al 4 e al 10%, rispettivamente fino al 6/8%  e all’11%, producendo così un aumento dei prezzi dei prodotti di largo consumo della spesa delle famiglie italiane, come pane, pasta, latte verdure, quotidiani, ecc Sul taglio al cuneo fiscale dovrà decidere il Consiglio dei ministri, dopo trattative e incontri con le parti sociali a Palazzo Chigi e forse tutto sarà inserito nella prossima legge di stabilità.

Il bonus potrebbe essere erogato in un’unica tranche, forse una tredicesima più “pesante” nel 2014.




martedì 24 settembre 2013

Politiche del lavoro per il 2014. Ipotesi taglio del cuneo fiscale per un rilancio dell’occupazione



Il cuneo fiscale, ricordiamo, è la differenza tra il costo del lavoro (retribuzione lorda+oneri sociali) a carico dell’azienda e la retribuzione netta percepita dal lavoratore. Ed a tormentare è soprattutto la situazione  attuale del mercato di lavoro che si espone  in modo considerevole ai più giovani: nella fascia under 25, nonostante il calo di oltre un punto in un mese, si contano quasi due disoccupati su cinque (38,5%), anche se nei prossimi mesi l'Italia potrà contare su 1,5 miliardi di fondi Ue da destinare al piano garanzia giovani (youth guarantee)  per agevolare il loro ingresso nel mercato del lavoro.

Il problema principale sono le risorse necessarie per dare il via libera al taglio del costo del lavoro che riguarda tutte le fasce di età e che potrebbe spingere le imprese ad assumere a tempo indeterminato. A riguardo tra gli esperti in materia domina un forte scetticismo.  l governo del premier Letta sta cercando di mettere sul piatto 8 miliardi, anche se la cifra potrebbe essere inferiore e non è detto che alla fine sia sufficiente: il ministro dell’Economia del Lavoro Enrico Giovannini ha ricordato che per tagliare il costo del lavoro il governo Prodi mobilitò 5 miliardi di euro, ma "senza sortire gli effetti sperati".

La legge di Stabilità deve portare un taglio della tassazione su stipendi e pensioni, oppure "saremo costretti a riaprire una nuovo periodo di mobilitazione unitaria" è quanto ha sostenuto il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, : “questo sarà il punto dirimente, la misura di giudizio del provvedimento", ha affermato. "Il dibattito attuale - ha spiegato - non ci convince. Stiamo galleggiando, non ci si sta confrontando con il profilo del Paese e con le reali necessità dei cittadini. Non aggredisce il nodo fondamentale che è l’ingiusta distribuzione del reddito". Se il provvedimento "non cambierà il passo, saremo costretti a declinare", ha puntualizzato chiedendo l’apertura di un confronto tra Governo e parti sociali. "Se non si scioglie questo nodo non si potrebbe che procedere con una mobilitazione con Cisl e Uil. Non vogliamo seguire uno schema di galleggiamento c’è bisogno di risposte differenti".

Il sostegno all’occupazione deve avere come punti partenza. abbassare la pretesa contributiva e sul reddito di chi emergeva dal nero, incentivare i lavori autonomi invece di alzare i loro contributi come è stato fatto fino ad ora. Quello che continua a mancare è la capacità di abbassare le imposte sui lavoro e reddito: abbiamo un cuneo fiscale troppo alto, se ai contributi obbligatori per impresa e dipendente sommiamo Irap, Tfr e Inail, arriviamo al 53,5% della busta paga lorda, solo il Belgio ci supera col 55%.

Il costo del lavoro è una delle voci che più incide in modo significativo sulla competitività di un’azienda. Il direttore generale di Confindustria Marcella Panucci, ha sottolineato che «l’elevato livello del cuneo fiscale e contributivo sul lavoro e del carico fiscale sulle imprese ancora differenzia e penalizza il nostro Paese rispetto ai partner europei». Secondo i dati Ocse 2011, il cuneo fiscale in Italia è pari al 47,6%, un valore che è cresciuto negli anni e che ha subito un’impennata tra il 2010 e l’anno successivo pari al 4,2%. Se ci confrontiamo con gli altri Paesi europei, risultiamo al sesto posto dopo Belgio, Germania, Francia, Ungheria e Austria.

Scomponendo la parte a carico del lavoratore e quella a carico dell’impresa, si osserva che siamo tra quei Paesi in cui gli oneri a carico delle aziende sono maggiori rispetto alle trattenute dei lavoratori. Peggio di noi fa la Francia, ma in un contesto industriale differente, dove ad esempio il costo dell’energia è il 40% in meno rispetto al resto dell’Europa, tale da consentire alle aziende d’Oltralpe di reggere la concorrenza. Se si guarda il paese che sta guidando l’economia in d’Europa, si osserva che il cuneo fiscale è tra i più alti, ma a carico del dipendente. A fronte di 100 euro di retribuzione netta, un’azienda tedesca ne versa 32,9 di tasse mentre le trattenute del lavoratore sono 66,3. Se poi si prende in considerazione l’incidenza del cuneo fiscale sul costo del lavoro negli ultimi undici anni, si constata che in Germania è sceso del 6%, dal 52,9% al 49,8%, consentendo a Berlino di restare competitiva sui mercati mondiali.

Il taglio del cuneo fiscale potrebbe avere un duplice effetto: rilanciare la competitività delle nostre imprese e liberare risorse a vantaggio del lavoratore.

mercoledì 12 giugno 2013

Lavoro: tasse, liberalizzazioni e salari. Che accadrà ancora nel 2013?

I giovani disoccupati italiani sono "650 mila: un numero aggredibile": lo afferma il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, ribadendo la differenza per cui "non è vero che il 40% dei giovani italiani è senza lavoro, perché è l'l'11% dei giovani italiani che è senza lavoro, il 40% dei giovani attivi". Il reddito minimo a tempo? ''Non so di cosa si tratta. Abbiamo tante ipotesi allo studio'': così risponde il ministro alla domanda sulla proposta lanciata dai giovani di Confindustria, arrivando al convegno.

''Il reddito minimo di inserimento è una cosa, il reddito di cittadinanza un'altra. Abbiamo ammortizzatori sociali che funzionano per un periodo di tempo, quindi è difficile capire da uno slogan'', ha aggiunto.''Stiamo valutando'': Giovannini risponde così a chi gli chiede una stima sulle risorse da destinare al piano per l'occupazione. ''Le risorse disponibili a metà anno non sono molte. Questo governo ha deciso, contrariamente a quelli precedenti, di non fare manovre a metà anno ed è per questo che stiamo valutando i fondi disponibili, sia quelli europei sia altri fondi'', afferma il ministro: ''E' proprio quello su cui stiamo lavorando''. Il ministro ribadisce comunque che ''stiamo lavorando seriamente per modificare quello che serve sulla legge che regola il mercato del lavoro per trovare incentivi per stimolare l'occupazione, in particolare quella giovanile, rivedere gli ammortizzatori, anche quelli in deroga, dare una forza maggiore ai sistemi per l'impiego perché - sottolinea - se non riusciamo a migliorare la nostra formazione e soprattutto l'orientamento dei giovani verso l'impiego, non possiamo avere ammortizzatori sociali che durano in eterno''.
Su questo si sta lavorando ''oltre ad una serie di semplificazioni''.

Alla domanda se incontrerà le parti sociali prima del vertice del 14 giugno a Roma dei ministri dell'Economia e del Lavoro di Italia, Francia, Germania e Spagna sull'occupazione, Giovannini sottolinea che ''quello è un vertice di lavoro europeo. Le parti sociali le incontreremo prima naturalmente della preparazione finale dei piani e dell'intervento che facciamo per fine giugno''.''Il piano per l'occupazione lo sto facendo copiando i giornali, che raccontano anche oggi di un fantomatico documento già pronto con fantomatiche percentuali di sgravi fiscali. Non esiste, però rende più facile il mio lavoro, basta copiare'', ha concluso Giovannini.

"Le diseguaglianze hanno ripreso ad allargarsi. Siamo diventati uno dei Paesi più diseguali del mondo, ma anche fra quelli con una mobilità sociale pressoché bloccata: una combinazione davvero esplosiva per la tenuta civile del Paese". Così la presidente della Camera Laura Boldrini al convegno di Confindustria.
"Hanno svuotato il domani di speranza e colmato il presente di angoscia", sottolineano le tesi dei Giovani imprenditori di Confindustria. Il leader Jacopo Morelli avverte: "Senza prospettive per il futuro l'unica prospettiva diventa la rivolta". Ora "perseguire insieme sviluppo, libertà economica, coesione sociale".
I giovani di Confindustria chiedono "uno strumento universale e flessibile" per il mercato del lavoro. Le tesi dei giovani, illustrate dal presidente Jacopo Morelli, sottolineano che non serve "il sussidio a pioggia del reddito di cittadinanza" ma, questa la proposta dei giovani industriali lanciata dal convegno di Santa Margherita Ligure, "una sorta di reddito minimo a tempo condizionato all'attiva ricerca di lavoro e alla formazione professionale".

Chi ha la responsabilità di Governo "non è chiamato a ripetere quello che già si fa o a farlo un po' meglio ma a compiere quanto al momento nessuno fa". Così i giovani di Confindustria invitano il nuovo governo a"a dare un progetto concreto di futuro. A disegnare l'Italia che sarà tra 10 anni". "La capacità di visione per un leader è essenziale" dice Jacopo Morelli: "Non un governo che faccia miracoli ma che agisca sulla competitività del Paese. Miracoli no, statisti sì".

La priorità dovrebbe essere "il livello di tassazione su lavoro e imprese", chiedono i giovani di Confindustria: 'Se sull'Imu in governo è "intervenuto in 10 giorni", sul cuneo fiscale "non si intravedono riforme all'orizzonte". "120 miliardi di evasione fiscale sono una ferita, 60 miliardi di corruzione sulle spalle del nostro Paese sono un macigno", sottolinea il presidente dei giovani, Jacopo Morelli, nelle tesi presentate al convegno di Santa Margherita Ligure.

"Scateniamoci. Liberiamo l'Italia da vincoli e catene": con questo slogan i giovani imprenditori di Confindustria presentano le proprie tesi al 43/mo convegno di Santa Margherita Ligure. "Qualcuno accusa gli imprenditori e Confindustria di ripetere le stesse cose. Ribattiamo che non siamo ripetitivi per mancanza di argomenti, ma purtroppo perché, da troppo tempo, continuiamo ad essere bloccati sui soliti problemi", dice il presidente Jacopo Morelli, sottolineando che l'Italia "per troppi anni non si è mossa". E' "arrivato il tempo di guardare avanti: con orgoglio, con fiducia, con dignità. Tocca a noi. Scateniamoci!".

"3,8 milioni di posti di lavoro persi. -12% di produzione industriale. Un bollettino di guerra per 5 anni di crisi" in Europa, sottolinea il presidente dei giovani di Confindustria, Jacopo Morelli, nelle tesi al convegno di Santa Margherita Ligure. "L'occupazione non nasce da sola per decreto, nasce perché qualcuno, l'imprenditore, riesce a combinare i fattori della produzione. Non serve che ci siano lavoratori, terreni, impianti, macchinari, se tutto è inutilizzato. Nessun imprenditore può lavorare se non ha sicurezza e mancano le prospettive". Qualunque società, dice Morelli, "esige fiducia". I giovani industriali ricordano anche i dati italiani sulla 'disoccupazione giovanile al 40,5, che sale di dieci punti al Sud'', la "contrazione della produzione del 25%", il "Pil atteso ancora in calo a fine anno".

"Nell'estate del 1513 Machiavelli inizia a scrivere Il Principe, in una Italia tormentata da incertezze e lotte. Oggi, dopo 500 anni, le similitudini non mancano". Il presidente dei giovani di Confindustria, Jacopo Morelli, ha esordito così nelle "tesi dei giovani imprenditori" presentate al tradizionale convegno di Santa Margherita Ligure. "Quando il futuro fa paure, quando la diseguaglianza minaccia la nostra società, non serve fingere. Arriva un momento, e quel momento è adesso, in cui chiederci quante occasioni possiamo ancora sprecare", ha aggiunto.

"Oggi l'imprenditore é solo quando deve chiudere la propria azienda. Solo quando deve comunicare ai propri dipendenti il licenziamento. Solo quando si trova davanti alle ipoteche sulla casa. Troppi imprenditori sono stati soli quando hanno deciso di finirla con tutto". Lo ha sottolineato al convegno di Santa Margherita Ligure il leader dei giovani imprenditori di Confindustria. Che rilancia anche l'allarme fisco con le stesse parole che aveva usato all'ultimo convegno di Capri innescando un dibattito: Il fisco ha raggiunto i livelli di una confisca".

Si fa più forte la caduta dei prestiti bancari ad aprile. Secondo i dati della Banca d'Italia i prestiti al settore privato hanno registrato un calo su base annua del 2,3% (1,7% a marzo). I prestiti alle famiglie sono scesi dello 0,8% sui 12 mesi, come nel mese precedente. Per le società non finanziarie sono scesi del 3,7% (2,8% a marzo). Il calo più consistente riguarda le retribuzioni della Pubblica amministrazione (da 31.964 a 30.765 con quasi 1.200 euro persi con il blocco dei contratti) e il credito con oltre 1.200 euro persi in media.

Aumenta il tasso di crescita sui dodici mesi delle sofferenze bancarie. Secondo la Banca d'Italia é risultato pari al 22,3% (21,7% a marzo). Nello stesso mese resta sostenuto il tasso di crescita su base annua dei depositi del settore privato, attestandosi al 7,1 per cento (7,0% a marzo). Il tasso di crescita sui dodici mesi della raccolta obbligazionaria, includendo le obbligazioni detenute dal sistema bancario, è stato pari al -3,0% (-3,3% nel mese precedente).

Lieve rialzo ad aprile per i tassi d'interesse erogati dalle banche alle famiglie per l'acquisto di abitazioni. Secondo la Banca d'Italia in media sono al 3,95% (3,90% a marzo); quelli sulle nuove erogazioni al consumo sono calati al 9,48% (9,64% a marzo). I tassi sui nuovi prestiti alle società non finanziarie sotto il 1 milione sono stati pari al 4,39% (4,36% a marzo); quelli sui nuovi prestiti di importo superiore sono saliti al 3,12% (2,93% a marzo). I tassi passivi sul complesso dei depositi sono stabili all'1,14% (1,16%).

Dal prossimo 12 giugno gli italiani non lavoreranno più per il fisco. Lo dice la Cgia di Mestre che da anni calcola la data in cui i contribuenti italiani cominciano a lavorare per se stessi. Quest'anno sono serviti 162 giorni per assolvere agli obblighi fiscali e contributivi: una punta massima mai toccata nella storia recente del nostro Paese. Per Cgia ciò è dovuto soprattutto al forte aumento registrato negli ultimi anni dalla pressione fiscale: nel 2013, infatti, toccherà il record storico del 44,4% del Pil.

"Dobbiamo lavorare anche sulle liberalizzazioni. Il governo presenterà a breve misure in questo campo". Lo annuncia il ministro dell'Economia, Saccomanni, parlando al Consiglio delle relazioni Italia-Usa a Venezia. Poi sottolinea: "Dobbiamo ridurre le tasse sulle aziende e sul lavoro" e le risorse vanno trovate "tagliando le spese, i sussidi e gli incentivi, in passato dati troppo generosamente". Plauso alla Bce: "E' stata in grado di adottare politiche monetarie che ridurranno i rischi di grandi disastri".

sabato 12 gennaio 2013

Economia la crisi del lavoro continuerà nel 2013

Gli italiani sono sempre più scettici sull'uscita rapida dalla crisi del mercato lavoro. Per i prossimi dodici mesi, solo il 16%  vede in arrivo un miglioramento per l'economia del Paese, mentre il restante 84% pensa che il 2013 non porterà alcun progresso, ma addirittura un ulteriore peggioramento. E' il quadro che emerge da un sondaggio Confesercenti-Swg sulle prospettive economiche dell'Italia per il 2013.

La salute dell'economia in Italia è giudicata negativamente dall'87% degli intervistati. Il 36% la ritiene inadeguata, mentre il 51%, la maggioranza, addirittura pessima. A promuoverla solo il 13%, che la segnala come discreta (11%, in aumento del 3% sullo scorso anno) o buona (2%, in calo dell'1%). Anche sulle prospettive si registra una grave sfiducia. Solo il 16% degli intervistati vede una svolta (lo scorso anno erano esattamente il doppio (32%). Ad avere una visione più positiva sono i giovani sotto i 24 anni (22,9% di ottimisti) e chi vive nelle Isole (22,2%). Il 40% degli italiani ritiene invece che la situazione resterà la stessa del 2012: anche in questo caso, i valori massimi si registrano nella fascia d'età tra 18 e 24 anni, dove si registra un picco del 42,9%. Se per l'Italia ci si aspetta un ulteriore peggioramento, le prospettive per la propria famiglia e la situazione personale sono solo un po' meno negative. L'84% degli intervistati non crede in un miglioramento. Il 52% ritiene che la situazione rimarrà la stessa, in aumento del 5% sullo scorso anno.

Calano gli ottimisti, che passano dal 17 al 14 per cento, così come i pessimisti, che scendono al 34% dal 36% dello scorso anno. Per il 2013, la maggioranza degli italiani (il 59%) vuole far leva sul nuovo esecutivo per porre alla sua attenzione l'emergenza lavoro, scelta dal 31% degli intervistati a causa del forte sentimento d'insicurezza sul futuro. Gli italiani chiedano di abbassare le tasse e di ridurre i costi della politica (il 23% del campione in entrambi i casi). Ovvero meno spese e meno sprechi per liberare risorse utili a tagliare l'insostenibile pressione fiscale.

L'accento posto sulla questione lavoro nasce dalla crescente difficoltà degli italiani ad arrivare alla fine del mese con i loro guadagni. Nel 2012 il 41% degli interpellati ha dichiarato di non riuscirci, né con il proprio reddito né con quello familiare. E se nel 2010 circa il 72% del campione riusciva a far fronte alle spese della famiglia per tutto il mese, quest'anno la percentuale cala bruscamente al 59%.

sabato 1 dicembre 2012

Lavoro, tasse e IMU. Addio tredicesima di dicembre 2012


A dicembre il saldo dell'Imu rischia di mangiarsi tutta la tredicesima. E' quanto ha reso noto l'Osservatorio periodico sulla fiscalità locale della Uil, secondo cui, il 17 dicembre, il saldo medio dell'Imposta municipale sugli immobili per la prima casa sarà di 136 euro, con punte di 470 euro, mentre per le seconde case sarà di 372 euro, con punte addirittura di 1.209 euro.

In arrivo la stangata del saldo Imu che per molte famiglie assorbirà l'intera tredicesima del 2012. La seconda tranche dell'imposta sarà particolarmente pesante sulle seconde case (soprattutto nelle grandi città, prima tra tutte la Capitale), dal momento che potrà arrivare fino a 1.209 euro. Tariffe più contenute per la prima casa, con punte fino a 470 euro. Sono questi i dati che emergono da uno studio dell'Osservatorio periodico sulla fiscalità locale della Uil Servizio Politiche Territoriali, che ha esaminato le delibere dei 6.169 Comuni pubblicate sul sito del ministero dell'Economia. I calcoli sono sul 76,2% dei Comuni e dunque molto vicini a quello definitivo reale, tanto che la Uil calcola anche il gettito complessivo finale: 23,2 miliardi di euro, un paio in più rispetto a quelli che erano stati preventivati con il Salva-Italia (21 miliardi). Ma di questi 23,2 miliardi di euro di gettito (3,8 per la prima casa), 14,8 miliardi di euro saranno incassati dai Comuni, mentre lo Stato incasserà 8,4 miliardi di euro.

''Sarà, dunque, un Natale amaro – ha commentato Guglielmo Loy - per lavoratori dipendenti e pensionati, in quanto dovranno far fronte alla rata di saldo dell'Imu con le tredicesime.

Infatti, con il saldo a dicembre, le famiglie italiane dovranno versare ai Comuni e allo Stato, ancora 13,6 miliardi di euro, che si aggiungono ai 9,6 miliardi di euro già pagati con l'acconto di giugno. E purtroppo l'Imu è solo la punta dell'iceberg tra le voci di erosione nelle buste paga, già alleggerite da tutti gli aumenti delle Addizionali Regionali e Comunali IRPEF e dalla Tassa/Tariffa sui rifiuti''.

Quindi questo difficile anno di crisi economica finirà con una forte stangata e le tredicesime tanto sognate ed aspettate verranno in gran parte utilizzate per pagare la tassa sulla casa.

sabato 6 ottobre 2012

Lavoro, imprese e fisco: la Cgia con il governo dei tecnici +5,5 miliardi di tasse



Le imprese italiane si troveranno a pagare nel triennio 2012-2014 5,5 miliardi di euro in più. Lo ha  affermato la Cgia di Mestre che ha messo a confronto gli effetti economici che andranno ad aggravare il carico fiscale e contributivo delle imprese con quelli che invece ne alleggeriranno il peso. A ciò, spiega l'associazione degli artigiani, si arriva sottraendo dai 19mld di tasse e contributi introdotti dal governo Monti, i circa 13,6mld di euro di alleggerimento fiscale che l'esecutivo praticherà nel prossimo triennio.

Il segretario della CGIA Giuseppe Bortolussi dice che "le più penalizzate dal pacchetto di misure introdotte dal Governo Monti saranno le micro imprese: in particolar modo quelle senza dipendenti che non potranno avvalersi degli sgravi Irap previsti per i dipendenti e dell'Ace (aiuto alla crescita economica), visto che per le aziende in contabilità semplificata non potranno applicare quest'ultima misura. Se si considera che il 75% degli imprenditori individuali lavora da solo, si può affermare che gli artigiani e i commercianti che non hanno dipendenti subiranno dei forti aumenti di tassazione non ammortizzati dagli sgravi previsti dal Salva Italia".

Con l'Imu, rispetto all'Ici, il prelievo medio per i negozi e i laboratori risulta mediamente raddoppiato, sottolinea la Cgia. Mentre per i capannoni si registrano incrementi di imposta che superano il 60%. Oltre all'Imu, nel 2012 sono aumentate del 1,3% anche le aliquote contributive Inps a carico degli artigiani e dei commercianti.

Nel 2013, entrambi i prelievi subiranno ulteriori aumenti. Rispetto all'Ici, con l'Imu il prelievo sui capannoni aumenterà di circa l'80%. Le aliquote previdenziali, invece, subiranno un ulteriore aumento dello 0,45% sino a portare nel giro di qualche anno l'aliquota di questi lavoratori autonomi al 24%. Le cattive notizie, purtroppo, non finiscono qui. Sempre nel 2013 le imprese faranno i conti con la riduzione della deducibilità dei costi per le auto aziendali che il fisco non riconoscerà più nella misura del 40%, ma solo del 27,5%. Sono circa 7 milioni gli automezzi interessati da questa misura.

Messe tutte in fila le tasse alle imprese, la Cgia stima che queste misure valgano circa 5 miliardi di euro nel 2012, che diventano quasi 6,7 mld nel 2013 e salgono a 7,3 mld nel 2014. Pertanto, nel triennio 2012-2014 le maggiori tasse e contributi a carico delle imprese saranno pari a poco più di 19 miliardi di euro.

"Pur riconoscendo che questo Governo ha dimostrato in più di una occasione di avere una certa sensibilità nei confronti delle piccole imprese - conclude la Cgia - la situazione generale è tale che difficilmente le imprese, soprattutto quelle di piccola dimensione, potranno superare questo triennio con un carico fiscale aggiuntivo di questa portata. Non possiamo sperare di rilanciare l'occupazione e in generale l'economia se penalizziamo soprattutto le piccole imprese che costituiscono il tessuto connettivo della nostra economia".

venerdì 24 agosto 2012

Busta paga 2012 meno tasse, è una nuova promessa?


Che il carico fiscale in Italia è insostenibile e la sua riduzione è uno dei nodi che bloccano le possibilità di rilancio economico è un fatto a cui tutti è chiaro.
Il ministro del Lavoro Elsa Fornero ha sottolineato l'anomalia e il record negativo del cuneo fiscale italiano: vale a dire la differenza fra il costo del lavoro (alto) pagato dalle imprese e la retribuzione netta (bassa) ricevuta dai lavoratori. Una differenza, in quest'ultimo caso, che è conseguenza delle troppe tasse presenti sul cedolino, sulla busta paga del lavoratore dipendente.
Promettere la riduzione delle tasse in busta paga è quanto di più facile. Ma i vincoli di gettito sono tali da far suonare ipotesi e proposte quasi una beffa, una presa in giro per chi è in regola mensilmente con il Fisco. Tanto che il governo ha dovuto con decisione togliere dal tavolo dei piani estivi possibili interventi sull'Irpef: insostenibili se non addirittura controproducenti. Annunciare e promettere tagli in una situazione nella quale tutti finirebbero per aspettarsi nuovi aumenti da subito, spingerebbe a risparmiare e non ad agevolare i consumi.

Il peso del cuneo fiscale è in buon parte dovuto ai contributi sociali che servono per finanziare, ad esempio, le pensioni. E se fosse realmente impensabile una riduzione generalizzata di quelle tasse sul lavoro che gravano sui dipendenti per il 47,6% (la media Ue è del 41,7%). Si dovrebbe agevolare le imprese che assumono, chi fa vera ricerca, si dovrebbe incentivare l'occupazione giovanile e la nascita di nuove imprese. Le promesse e gli annunci trovano un tempo effimero e di pseudo speranza se non sono unite ad una vera politica del lavoro e di azione.

La proposta del ministro del Lavoro è una sperimentazione che serva a ridurre il costo del lavoro. «Non possiamo semplicemente abbattere il cuneo fiscale per tutti i lavoratori - ha affermato Elsa Fornero nel suo intervento al Meeting di Rimini -. Si può pensare a una sperimentazione: le imprese che valorizzano il capitale umano potrebbero avere una sorta di riconoscimento». Il riconoscimento di cui parla il ministro potrebbe avere la forma di uno sconto sui contributi. Fornero ha anticipato che la norma su una possibile sperimentazione della decontribuzione.

Ricordiamo che gli effetti delle manovre del governo Monti, hanno portato fino ad ora ad un aumento delle tasse in busta paga, infatti, si è verificato un sostanziale aumento dell’addizionale regionale Irpef del 0,33 per cento dell’aliquota base (che non è nella discrezionalità delle Regioni); poi c’è già stato un altro prelievo aggiuntivo: il previsto acconto del 30 per cento dell’addizionale del 2012.
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...
BlogItalia - La directory italiana dei blog