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domenica 24 aprile 2016

Lavoro: cosa sono i comportamenti antisindacali


Se il datore di lavoro adotta comportamenti che impediscono o limitano l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale o del diritto di sciopero, gli organismi locali delle organizzazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse, possono presentare ricorso davanti al tribunale monocratico.

Nei due giorni successivi, il giudice del lavoro, convocate le parti e acquisite le informazioni necessarie, se dovesse accertare tale violazione, ordina al datore di lavoro, con decreto motivato e immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti.
Contro il decreto, il datore di lavoro può, entro 15 giorni dalla comunicazione, proporre opposizione davanti al tribunale monocratico che decide con sentenza immediatamente esecutiva.

Il datore di lavoro che non osserva il decreto o la sentenza pronunciata nel giudizio di opposizione, è punito dall’art. 650 c.p. (“Inosservanza di un provvedimento emesso da una pubblica autorità”) secondo il quale “chiunque non osserva un provvedimento emesso da una pubblica autorità è punito con l’arresto fino a tre mesi o con un’ammenda fino ad euro 206. E’ quanto riporta l’articolo 28 dello Statuto dei lavoratori.

Si intende per a condotta antisindacale è quella tenuta dal datore di lavoro o dai soggetti che in suo nome hanno agito per l’esercizio dell’impresa; il comportamento è illegittimo in quanto idoneo a ledere beni protetti ed è pluri offensivo in quanto gli interessi lesi possono essere anche individuali e non solo del sindacato. Al fine di riconoscere la sussistenza del requisito della nazionalità, è necessario che il sindacato abbia una significativa e omogenea presenza nelle varie parti del territorio nazionale.

In particolare, è stato ritenuto antisindacale il comportamento che incida, in modo diretto, su diritti sindacali espressamente riconosciuti dai contratti collettivi di lavoro, dalla legge o, addirittura, dalla costituzione. La giurisprudenza ha però avuto modo di precisare come la violazione dei diritti chiaramente stabiliti da norme legali o contrattuali non esaurisca l'ambito dei comportanti antisindacali; infatti, si ritiene che il procedimento citato sia destinato a tutelare il sindacato da tutti quei comportamenti del datore di lavoro tali da ledere, ingiustificatamente, le prerogative del sindacato stesso, danneggiandone l'immagine. Più precisamente, è stato sostenuto che, una volta aperta una trattativa tra il sindacato e il datore di lavoro, entrambe le parti sono tenute a condurre tale trattative con correttezza e buona fede.

Vi sono però dei casi in cui è specificamente previsto l’obbligo del datore di lavoro di rendere certe informazioni al sindacato o alla sua rappresentanza aziendale. Questi casi sono innanzi tutto contemplati dalla legge, che – per esempio – prevede il diritto di informazione a fronte della decisione del datore di lavoro di adottare provvedimenti a forte impatto sui lavoratori: ciò accade, tra l’altro, nel caso in cui il datore di lavoro intenda mettere i lavoratori in mobilità, o sospenderli in cassa integrazione o, ancora, trasferire la propria azienda o un ramo autonomo di essa.

Altri diritti di informazione sono invece previsti dalla contrattazione collettiva, in particolare di categoria. I diritti di informazione di origine contrattuale sono dunque inevitabilmente piuttosto numerosi e, naturalmente, si applicano solo al sindacato di riferimento del contratto che ne costituisce la fonte. Per esempio, i contratti di categoria possono prevedere diritti di informazione in tema di fruizione dei permessi per riduzione dell’orario di lavoro, o di individuazione del periodo feriale, o di superamento di certi limiti di lavoro straordinario, eccetera.

In tutti i casi in cui il sindacato, o la sua rappresentanza aziendale, sia titolare di un diritto di informazione, a prescindere dal fatto che esso derivi dalla legge o dal contratto, il datore di lavoro è obbligato a renderla. La sanzione prevista dall’ordinamento nei confronti del datore di lavoro inadempiente è la condanna per condotta antisindacale, prevista dall’art. 28 S.L.. Infatti, si ritiene che la violazione di un diritto del sindacato possegga di per sé quella caratteristica, tanto più se si considera che, a seguito della violazione dell’obbligo in questione, il sindacato perde in credibilità agli occhi dei propri rappresentati e, comunque, gli si preclude in radice di svolgere il ruolo di interlocutore del datore di lavoro in un caso in cui la stessa legge, o il contratto collettivo, lo impone come tale.

L’interesse ad agire ex art. 28 SL spetta non alla struttura sindacale, ma alla Rsu, qualora la controversia riguardi la lesione di un diritto di quest’ultima e la legittimazione ad agire ex art. 28 SL sussiste in capo all’organismo locale dell’organizzazione sindacale confederale che, priva di articolazioni categoriali, possegga carattere nazionale.


venerdì 31 ottobre 2014

Comportamento antisindacale:occorre lesione di interessi collettivi del sindacato



Per integrare gli estremi della condotta antisindacale di cui all'art. 28 Statuto dei lavoratori (legge 20 maggio 1970, n. 300) occorre che gli atti e i comportamenti del datore di lavoro impediscano o limitino l'esercizio delle libertà e attività garantite al sindacato, assumendo rilevanza esclusivamente la lesione oggettiva degli interessi collettivi di cui il sindacato è portatore, e restando privo di rilievo, ai fini della concessione della tutela inibitoria, l'intento del datore di lavoro, sia nel senso che la tutela non può essere negata in presenza di situazioni di buona fede dell'autore del comportamento, sia nel senso che l'intento di nuocere al sindacato non è idoneo ad integrare condotta antisindacale ove manchi la lesione degli interessi collettivi considerati dalla norma.

La definizione del concetto di libertà e attività sindacale si ottiene, in positivo, riconducendo a tale ambito tutte le attribuzioni di cui il sindacato è titolare ai fini della tutela di interessi collettivi; in negativo, collocando fuori del suo ambito, la sfera degli interessi morali e patrimoniali dei singoli lavoratori.

La condotta del datore di lavoro violatrice di diritti individuali, derivanti dalla legge (anche dalla Costituzione, come il diritto alla retribuzione o alle ferie) o dai contratti collettivi, non può mai concretare condotta antisindacale, fermo restando che al pregiudizio del diritto individuale potrebbe accompagnarsi anche il pregiudizio di interessi collettivi, come, ad esempio, nel caso di inadempimenti retributivi connessi a scioperi, di reazioni disciplinari all'esercizio di attività sindacali.

L'attualità del comportamento antisindacale, quale condizione della domanda di cui ex art. 28 legge n. 300 del 1970, non è esclusa dall'esaurirsi del singolo comportamento, atteso che la lesione dell'attività sindacale, che segna l'interesse del sindacato, permane qualora il comportamento denunciato sia suscettibile di produrre effetti durevoli nel tempo, sia per la sua portata intimidatoria, sia per la situazione di incertezza che ne consegue, tale da determinare una restrizione o un ostacolo al libero svolgimento dell'attività sindacale.

L'attualità della condotta antisindacale non è esclusa dall'inerzia nella presentazione del ricorso ex art. 28, ove il comportamento illegittimo sia idoneo a produrre effetti durevoli nel tempo per la sua portata intimidatoria e per la conseguente situazione di incertezza tale da determinare una restrizione o un ostacolo al libero svolgimento dell'attività sindacale.

Ha natura antisindacale la condotta del datore di lavoro pubblico, che abbia violato il diritto di informazione e consultazione del sindacato, così incidendo sulla sfera patrimoniale del medesimo, intesa quale comprensiva del suo diritto all'immagine e al rispetto della sua funzione. Quando sussiste  un diritto delle organizzazioni sindacali di essere informate o interpellate, la violazione di tale obbligo lede un diritto del sindacato e integra un comportamento antisindacale. E l'inadempimento perdura fino a quando non sia eseguita la prestazione dovuta. Inoltre nel caso in esame la perdurante vigenza dei provvedimenti adottati in violazione degli obblighi di informazione perpetua fino alla completa rimozione degli effetti pregiudizievoli lamentati, consistenti nella permanente vigenza dei provvedimenti adottati in violazione degli obblighi di informazione, cioè la sottrazione al sindacato della facoltà di controllo dell'esercizio del potere.

L'attualità della condotta antisindacale e dei suoi effetti, che costituisce condizione per la pronuncia del provvedimento di cui all'art. 28 della legge n. 300 del 1970, deve essere verificata e valutata nella concretezza del suo modo di essere e della sua attitudine a impedire o limitare l'esercizio della libertà e dell'attività sindacale o del diritto di sciopero, anche facendo uso di presunzioni, ma sicuramente non mediante mere illazioni o asserzioni.

L'attualità del comportamento antisindacale non è esclusa dall'esaurirsi del singolo comportamento, atteso che la lesione dell'attività sindacale permane anche successivamente quando il comportamento denunciato sia suscettibile di produrre effetti durevoli nel tempo.

È infondata l'eccezione relativa all'attualità della condotta antisindacale, quando la semplice dichiarazione di antisindacalità del comportamento denunciato può rivestire una qualche utilità sul piano della rimozione degli effetti.

L'esaurirsi della singola azione antisindacale del datore di lavoro non può costituire preclusione alla pronuncia di un ordine del giudice di cessazione del comportamento illegittimo, nel caso in cui questo risulti ancora persistente e idoneo a produrre effetti durevoli nel tempo, sia per la sua portata intimidatoria, sia per la situazione di incertezza che ne deriva, tale da determinare una restrizione o un ostacolo al libero svolgimento dell'attività sindacale.

È ammissibile il ricorso ex art. 28 quando il comportamento denunciato come antisindacale sia permanente e idoneo a produrre effetti durevoli nel tempo. L'attualità del comportamento denunciato come antisindacale deve essere ritenuta sussistente qualora ne persistano gli effetti al momento della presentazione della domanda . E' ammissibile il ricorso alla procedura dell’art. 28 non solo quando al momento della proposizione della domanda sia attuale la condotta antisindacale o i relativi effetti, ma anche quando il dedotto comportamento antisindacale sia espressione di un persistente atteggiamento del datore di lavoro, tale da comportare ripercussioni negative durevoli sull'attività e libertà sindacale.

La concreta possibilità che i reiterati rifiuti di concessione dell’assemblea sindacale tornino a ripetersi giustifica l’interesse del sindacato all’ottenimento di un provvedimento che imponga una regola di comportamento per il futuro. Qualora la condotta antisindacale non sia meramente episodica, ma destinata a persistere nel tempo, deve essere ordinato il divieto di reiterare in futuro i medesimi comportamenti.

In tema di repressione della condotta antisindacale, di cui all’art. 28 dei lavoratori, la legittimazione ad agire è riconosciuta dalla citata norma alle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse, richiedendo pertanto il solo requisito della diffusione del sindacato sul territorio nazionale, con ciò dovendosi intendere che sia sufficiente – e al tempo stesso necessario – lo svolgimento di un’effettiva azione sindacale non su tutto ma su gran parte del territorio nazionale, senza esigere che l’associazione faccia parte di una confederazione né che sia maggiormente rappresentativa. In particolare, qualora dispongano dei requisiti sopra indicati, sono legittimate anche le associazioni sindacali intercategoriali, in riferimento alle quali però i limiti minimi di presenza sul territorio nazionale ai fini della rappresentatività devono ritenersi, in termini assoluti, più elevati di quelli richiesti da un’associazione di categoria. L’individuazione degli organismi locali delle associazioni sindacali legittimati ad agire deve desumersi dagli statuti interni delle associazioni stesse, dovendosi fare riferimento alle strutture che tali istituti ritengono maggiormente idonee alla tutela degli interessi locali.

In tema di repressione della condotta antisindacale del datore di lavoro la legittimazione ad agire deve essere riconosciuta anche a quelle associazioni sindacali di categoria che, seppur singolarmente siano prive del requisito di rappresentatività. si siano associate in modo da garantire la sussistenza dei requisiti di diffusione sul territorio nazionale e del concreto esercizio dell'attività sindacale a livello nazionale.

Anche un sindacato che non ha proclamato lo sciopero per la partecipazione al quale sono stati sanzionati disciplinarmente dei lavoratori ha interesse ad agire per l'accertamento della natura antisindacale delle sanzioni, in quanto l'accertamento dell'illiceità della condotta del datore di lavoro soddisfa un interesse concreto di tutti i sindacati operanti nel contesto in cui la condotta stessa è posta in essere, a prescindere dal coinvolgimento dei propri aderenti o iscritti.


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