Il tasso di disoccupazione a febbraio 2012 si è attestato al 9,3%, in rialzo di 0,2 punti percentuali su gennaio e di 1,2 punti su base annua. È il tasso più alto da gennaio 2004 (inizio serie storiche mensili). E’ quanto ha rilevato l'Istat in base a dati destagionalizzati e a stime provvisorie.
Il numero dei disoccupati a febbraio é di 2,354 milioni. Si tratta del numero più alto dall'inizio delle serie storiche mensili, da gennaio del 2004. Se si fa riferimento alle serie trimestrali diventa il più alto dal terzo trimestre del 2000.
Il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) a febbraio è al 31,9%, in aumento di 0,9 punti percentuali rispetto a gennaio e di 4,1 punti su base annua. Lo rileva l'Istat in base a dati destagionalizzati e a stime provvisorie, aggiungendo che è il tasso più alto da gennaio 2004 (inizio serie storiche mensili). Nel quarto trimestre del 2011 il tasso di disoccupazione dei 15-24enni tocca un picco del 49,2% per le giovani donne del Mezzogiorno. Lo rileva l'Istat in base a dati non destagionalizzati.
A febbraio tra le donne il numero di occupate scende di 44 mila unità rispetto a gennaio, quindi in un solo mese. Lo rileva l'Istat in base a dati provvisori e destagionalizzati, aggiungendo che nel complesso si contano a febbraio, su base mensile, 29 mila occupati in meno. Infatti, il calo riguarda solo la componente femminile.
L'occupazione preoccupa tutti: il 99% della popolazione italiana, con scale diverse, per la "tenuta" del proprio posto di lavoro. Un vero e proprio incubo, secondo un sondaggio Confesercenti-Ispo, secondo cui i più preoccupati si contano tra i residenti in piccoli centri con meno di 5.000 abitanti (72%), i lavoratori con qualifiche meno elevate (72%), gli studenti (73%) e, ovviamente, i disoccupati (82 per cento).
Ma anche in Europa il numero totale di disoccupati ha raggiunto livelli mai censiti prima, sia nell'area euro che
nell'intera Unione europea a 27. Lo precisano da Eurostat, in merito ai dati sulla disoccupazione di febbraio.
Nell'area euro l'ente di statistica comunitario ha contato 17 milioni 134 mila disoccupati a febbraio, nell'l'Unione europea a 27 invece 24 milioni 550 mila: in entrambi i casi si tratta di nuovi record, ha spiegato un tecnico di Eurostat. Quanto al tasso di disoccupazione, il 10,8 per cento registrato sull'area euro rappresenta un massimo dal giugno del 1997, e quindi anche un massimo dal lancio effettivo della valuta unica. Per l'Unione europea a 27 il 10,2 per cento raggiunto dalla disoccupazione è invece un nuovo record assoluto: non si era mai registrato un valore così elevato nelle tabelle di Eurostat.
lunedì 2 aprile 2012
domenica 1 aprile 2012
La riforma del mercato del lavoro 2012. Cambia lo Statuto dei lavoratori
Non è ancora iniziato l'iter in Parlamento, ma la riforma del mercato del lavoro è sempre in primo piano. Il ministro del welfare assicura: ''Nessuno vuole dare alle imprese la licenza di licenziare''. Ma la Cgil resta ferma sulla richiesta del reintegro. Gli industriali si schierano con il governo.
Il disegno di legge di riforma del mercato del lavoro Monti-Fornero, approvata il 23 marzo, salvo intese, ha segnato una svolta nel metodo e nei contenuti ed è visto “in una prospettiva di crescita”. Lo scopo è di realizzare un mercato del lavoro dinamico, flessibile e inclusivo, capace cioè di contribuire alla crescita e alla creazione di occupazione di qualità, di stimolare lo sviluppo e la competitività delle imprese
Il Ministro del Lavoro ha confermato la determinazione con cui l'esecutivo ha messo in tasca la riforma. Articolo 18 compreso: «Non lo aboliamo. Distinguiamo le fattispecie», aveva evidenziato giorni fa la Fornero, confermando che nei casi di licenziamento per motivi economici, se giudicati illegittimi, ci sarà solo l'indennizzo e, invece, che nei casi di licenziamento disciplinare si affida al giudice il potere di decidere tra reintegro e indennizzo. E così è stato.
Licenziamento individuale. Nello specifico ci saranno tre regimi sanzionatori per il licenziamento individuale illegittimo: la reintegrazione nel posto di lavoro sarà disposta dal giudice solo nel caso di licenziamento discriminatorio e in alcuni casi di infondatezza del licenziamento disciplinare.
Licenziamento per motivi economici. Nel caso di licenziamento per motivi economici ritenuto illegittimo dal giudice, il datore di lavoro potrà essere condannato solo al pagamento di un'indennità. L'indennizzo che dovesse essere deciso a fronte di un licenziamento illegittimo per motivi disciplinari o per motivi economici potrà variare tra le 15 e le 27 mensilità.
Preventiva procedura di conciliazione. Si legge nella bozza che per i licenziamenti economici è previsto «l'esperimento preventivo di una rapida procedura di conciliazione innanzi alle direzioni territoriali del lavoro, non appesantita da particolari formalità, nell'ambito della quale il lavoratore potrà essere assistito anche da rappresentanti sindacali, e potrà essere favorita la conciliazione tra le parti».
Obbligatorio indicare i motivi del licenziamento. Sarà sempre obbligatorio indicare i motivi del licenziamento.
Se il licenziamento economico è strumentale e il lavoratore riesce a provare che è invece di natura disciplinare o discriminatoria il giudice applica le relative tutele. È prevista l'introduzione di un rito procedurale veloce per le controversie in materia di licenziamento.
Articolo 18 dello statuto dei lavoratori, abbattuto un capo saldo. Si è abbattuto, dunque, il totem dell’articolo 18, la norma dello Statuto dei lavoratori del 1970 che garantiva il diritto al reintegro nel posto di lavoro a chi veniva licenziato senza giusta causa o giustificato motivo nelle aziende con più di 15 dipendenti. Il nuovo articolo 18, esclude il reintegro e offre solo la possibilità dell'indennizzo nel caso in cui il lavoratore abbia ragione davanti al giudice.
Una tutela assoluta sancita nella legge al termine del 1969, una stagione di lotte sindacali per l’affermazione dei diritti e il miglioramento delle condizioni dei lavoratori nell'Italia delle rivoluzioni sociali.
La riforma, però, come ha sottolinea lo stesso ministro Fornero non è solo l'articolo 18, è «tutto» l'intervento: dal congedo di paternità obbligatoria agli ammortizzatori alle politiche attive per il lavoro. Dall'apprendistato come trampolino di lancio nel mercato del lavoro all'ingresso dell'Aspi, la nuova indennità di disoccupazione, fino alla stretta su tutte le forme di contratti subordinati per combattere la precarietà.
Il disegno di legge di riforma del mercato del lavoro Monti-Fornero, approvata il 23 marzo, salvo intese, ha segnato una svolta nel metodo e nei contenuti ed è visto “in una prospettiva di crescita”. Lo scopo è di realizzare un mercato del lavoro dinamico, flessibile e inclusivo, capace cioè di contribuire alla crescita e alla creazione di occupazione di qualità, di stimolare lo sviluppo e la competitività delle imprese
Il Ministro del Lavoro ha confermato la determinazione con cui l'esecutivo ha messo in tasca la riforma. Articolo 18 compreso: «Non lo aboliamo. Distinguiamo le fattispecie», aveva evidenziato giorni fa la Fornero, confermando che nei casi di licenziamento per motivi economici, se giudicati illegittimi, ci sarà solo l'indennizzo e, invece, che nei casi di licenziamento disciplinare si affida al giudice il potere di decidere tra reintegro e indennizzo. E così è stato.
Licenziamento individuale. Nello specifico ci saranno tre regimi sanzionatori per il licenziamento individuale illegittimo: la reintegrazione nel posto di lavoro sarà disposta dal giudice solo nel caso di licenziamento discriminatorio e in alcuni casi di infondatezza del licenziamento disciplinare.
Licenziamento per motivi economici. Nel caso di licenziamento per motivi economici ritenuto illegittimo dal giudice, il datore di lavoro potrà essere condannato solo al pagamento di un'indennità. L'indennizzo che dovesse essere deciso a fronte di un licenziamento illegittimo per motivi disciplinari o per motivi economici potrà variare tra le 15 e le 27 mensilità.
Preventiva procedura di conciliazione. Si legge nella bozza che per i licenziamenti economici è previsto «l'esperimento preventivo di una rapida procedura di conciliazione innanzi alle direzioni territoriali del lavoro, non appesantita da particolari formalità, nell'ambito della quale il lavoratore potrà essere assistito anche da rappresentanti sindacali, e potrà essere favorita la conciliazione tra le parti».
Obbligatorio indicare i motivi del licenziamento. Sarà sempre obbligatorio indicare i motivi del licenziamento.
Se il licenziamento economico è strumentale e il lavoratore riesce a provare che è invece di natura disciplinare o discriminatoria il giudice applica le relative tutele. È prevista l'introduzione di un rito procedurale veloce per le controversie in materia di licenziamento.
Articolo 18 dello statuto dei lavoratori, abbattuto un capo saldo. Si è abbattuto, dunque, il totem dell’articolo 18, la norma dello Statuto dei lavoratori del 1970 che garantiva il diritto al reintegro nel posto di lavoro a chi veniva licenziato senza giusta causa o giustificato motivo nelle aziende con più di 15 dipendenti. Il nuovo articolo 18, esclude il reintegro e offre solo la possibilità dell'indennizzo nel caso in cui il lavoratore abbia ragione davanti al giudice.
Una tutela assoluta sancita nella legge al termine del 1969, una stagione di lotte sindacali per l’affermazione dei diritti e il miglioramento delle condizioni dei lavoratori nell'Italia delle rivoluzioni sociali.
La riforma, però, come ha sottolinea lo stesso ministro Fornero non è solo l'articolo 18, è «tutto» l'intervento: dal congedo di paternità obbligatoria agli ammortizzatori alle politiche attive per il lavoro. Dall'apprendistato come trampolino di lancio nel mercato del lavoro all'ingresso dell'Aspi, la nuova indennità di disoccupazione, fino alla stretta su tutte le forme di contratti subordinati per combattere la precarietà.
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Mercato del lavoro: i licenziamenti per motivi economici
Le direttive, le linee guida, dovrebbero prevedere l’instaurazione delle cause giudiziarie; risolverle con un rito veloce quando ciò non sia possibile. Quindi la procedura della conciliazione dovrebbe essere un cardine delle linee guida della riforma del mercato del lavoro. Ed è probabile che la procedura della conciliazione diventerà obbligatoria per tutti i licenziamenti per motivi economici.
Sui licenziamenti sembra che si è voltata pagina, con tre diversi regimi che si applicano per tutti i lavoratori, non solo per i neoassunti. Per i licenziamenti economici, se giudicati illegittimi, il giudice ordina il pagamento di un'indennità risarcitoria omnicomprensiva compresa da 15 a 27 mensilità.
Per i licenziamenti disciplinari il giudice deciderà tra reintegrazione – solo nei casi più gravi – e indennizzo, sempre tra 15 e 27 mensilità. Per i licenziamenti discriminatori è invece confermato l'attuale dispositivo sanzionatorio dell'articolo 18, con il reintegro obbligatorio disposto dal giudice a prescindere dalle dimensioni dell'impresa.
Il licenziamento economico oltre 5 dipendenti, invece, è disciplinato dalla legge n. 223 del 1991, e ha una procedura differente: l'accordo con il sindacato fa scattare la mobilità per 2 anni per il lavoratore, altrimenti il datore di lavoro può licenziare secondo criteri che penalizzano i più giovani, privi dei carichi di famiglia.
Senza conciliazione, il lavoratore dovrà dimostrare la sua utilità.
Il licenziamento per motivi economici è quello che prevede il maggior numero di novità: per motivi economici non si intende lo stato di crisi, ma ragioni di gestione aziendale.
Il primo atto è l'invio di una lettera alla DPL (Direzione Territoriale del lavoro). Nella lettera il datore di lavoro (impresa) deve comunicare la volontà di licenziare il dipendente spiegando i motivi di gestione legati alla decisione. Si istituisce una commissione per gestire la conciliazione. La commissione convochi le parti entro sette giorni dal ricevimento della lettera.
Quando la commissione avrà convocato le parti inizierà il confronto in cui l'impresa dovrà dimostrare che non esiste alternativa all'indennizzo e il lavoratore cercherà di sostenere le ragioni per cui il suo licenziamento è infondato, indicando magari opzioni alternative di ricollocamento. Il testo della riforma del mercato del lavoro sottolinea che il comportamento delle parti davanti alla commissione di conciliazione sarà registrato in un verbale e consegnato al giudice nel caso in cui la conciliazione dovesse fallire. Il giudice valuterà e sanzionerà atteggiamenti scorretti. La commissione di conciliazione alla fine dei confronti può comunque formulare la sua proposta. Se le parti la rifiutano, la causa passa al dibattimento in tribunale.
Superata la fase della conciliazione, il datore di lavoro può mandare la sua raccomandata di licenziamento al lavoratore il quale ha 60 giorni per impugnarla (basta una lettera) e 270 giorni (dal ricorso) per depositare l'impugnazione. A questo punto si verifica spesso che il lavoratore, avendo ricevuto la lettera, si metta in malattia. La condizione di malattia infatti sospende l'efficacia del licenziamento. La legge prevede, al minimo, 180 giorni di malattia ma alcuni contratti collettivi ne prevedono da 12 a 18 mesi.
Si prevede che quando l'azienda comunicherà il licenziamento per motivi economici, la maggioranza dei lavoratori reagirà impugnando il licenziamento e cercando di dimostrare che avviene per motivi disciplinari o discriminatori,i quali prevedono il reintegro del posto di lavoro. Sarà compito del giudice accertare se si tratti di motivo economico mascherato o meno, tenendo presente che il giudice, nel caso accertasse che i motivi sono realmente legati alla gestione, non può entrare nel merito della scelta aziendale.
Le cause per i licenziamenti dunque dovranno avere una corsia rapida. Diverse le ipotesi: dall'aumento del personale dedicato a queste cause alla creazione di un tetto ai rinvii (per esempio massimo sette giorni) fino all'adozione della procedura d'urgenza dell'articolo 700 del codice di procedura civile. In questo caso infatti il lavoratore dovrà dimostrare di avere tali problemi economici da non poter sostenere il normale iter della causa, ossia rimanendo senza stipendio.
La causa abbreviata deve permettere al giudice di accertare prima se realmente la ragione del licenziamento è economica. Se questo aspetto non è accertato il licenziamento verrà dichiarato nullo, se è confermato, si passerà alla quantificazione dell'indennizzo che va da 15 a 24 mensilità. In questo frangente il giudice terrà conto anche di un eventuale rifiuto del lavoratore di accettare l'intervento di un'agenzia di ricollocamento. Espletato il primo grado, la causa procede poi verso gli altri gradi di giudizio.
Sui licenziamenti sembra che si è voltata pagina, con tre diversi regimi che si applicano per tutti i lavoratori, non solo per i neoassunti. Per i licenziamenti economici, se giudicati illegittimi, il giudice ordina il pagamento di un'indennità risarcitoria omnicomprensiva compresa da 15 a 27 mensilità.
Per i licenziamenti disciplinari il giudice deciderà tra reintegrazione – solo nei casi più gravi – e indennizzo, sempre tra 15 e 27 mensilità. Per i licenziamenti discriminatori è invece confermato l'attuale dispositivo sanzionatorio dell'articolo 18, con il reintegro obbligatorio disposto dal giudice a prescindere dalle dimensioni dell'impresa.
Il licenziamento economico oltre 5 dipendenti, invece, è disciplinato dalla legge n. 223 del 1991, e ha una procedura differente: l'accordo con il sindacato fa scattare la mobilità per 2 anni per il lavoratore, altrimenti il datore di lavoro può licenziare secondo criteri che penalizzano i più giovani, privi dei carichi di famiglia.
Senza conciliazione, il lavoratore dovrà dimostrare la sua utilità.
Il licenziamento per motivi economici è quello che prevede il maggior numero di novità: per motivi economici non si intende lo stato di crisi, ma ragioni di gestione aziendale.
Il primo atto è l'invio di una lettera alla DPL (Direzione Territoriale del lavoro). Nella lettera il datore di lavoro (impresa) deve comunicare la volontà di licenziare il dipendente spiegando i motivi di gestione legati alla decisione. Si istituisce una commissione per gestire la conciliazione. La commissione convochi le parti entro sette giorni dal ricevimento della lettera.
Quando la commissione avrà convocato le parti inizierà il confronto in cui l'impresa dovrà dimostrare che non esiste alternativa all'indennizzo e il lavoratore cercherà di sostenere le ragioni per cui il suo licenziamento è infondato, indicando magari opzioni alternative di ricollocamento. Il testo della riforma del mercato del lavoro sottolinea che il comportamento delle parti davanti alla commissione di conciliazione sarà registrato in un verbale e consegnato al giudice nel caso in cui la conciliazione dovesse fallire. Il giudice valuterà e sanzionerà atteggiamenti scorretti. La commissione di conciliazione alla fine dei confronti può comunque formulare la sua proposta. Se le parti la rifiutano, la causa passa al dibattimento in tribunale.
Superata la fase della conciliazione, il datore di lavoro può mandare la sua raccomandata di licenziamento al lavoratore il quale ha 60 giorni per impugnarla (basta una lettera) e 270 giorni (dal ricorso) per depositare l'impugnazione. A questo punto si verifica spesso che il lavoratore, avendo ricevuto la lettera, si metta in malattia. La condizione di malattia infatti sospende l'efficacia del licenziamento. La legge prevede, al minimo, 180 giorni di malattia ma alcuni contratti collettivi ne prevedono da 12 a 18 mesi.
Si prevede che quando l'azienda comunicherà il licenziamento per motivi economici, la maggioranza dei lavoratori reagirà impugnando il licenziamento e cercando di dimostrare che avviene per motivi disciplinari o discriminatori,i quali prevedono il reintegro del posto di lavoro. Sarà compito del giudice accertare se si tratti di motivo economico mascherato o meno, tenendo presente che il giudice, nel caso accertasse che i motivi sono realmente legati alla gestione, non può entrare nel merito della scelta aziendale.
Le cause per i licenziamenti dunque dovranno avere una corsia rapida. Diverse le ipotesi: dall'aumento del personale dedicato a queste cause alla creazione di un tetto ai rinvii (per esempio massimo sette giorni) fino all'adozione della procedura d'urgenza dell'articolo 700 del codice di procedura civile. In questo caso infatti il lavoratore dovrà dimostrare di avere tali problemi economici da non poter sostenere il normale iter della causa, ossia rimanendo senza stipendio.
La causa abbreviata deve permettere al giudice di accertare prima se realmente la ragione del licenziamento è economica. Se questo aspetto non è accertato il licenziamento verrà dichiarato nullo, se è confermato, si passerà alla quantificazione dell'indennizzo che va da 15 a 24 mensilità. In questo frangente il giudice terrà conto anche di un eventuale rifiuto del lavoratore di accettare l'intervento di un'agenzia di ricollocamento. Espletato il primo grado, la causa procede poi verso gli altri gradi di giudizio.
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