«La crisi sta lasciando profonde ferite». «È emergenza economica e sociale», avverte Confindustria in un documento di proposte presentato alla politica in vista del voto. «Servono scelte immediate, forti e coraggiose. Senza queste scelte nei prossimi anni non cresceremo più dello 0,5% l'anno», «l'alternativa è il declino». Lo ha detto il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, presentando "Il Progetto Confindustria per l'Italia: crescere si può, si deve".
Confindustria, ha spiegato Squinzi, in vista delle elezioni ha individuato «tre obiettivi fondamentali per ritrovare la crescita. Il primo è di una crescita superiore al 2% annuo, il secondo è di rimettere il manifatturiero al centro dell'attenzione del Paese, riportandone l'incidenza sul Pil oltre il 20% (oggi siamo al 16,7%), e il terzo è un rapporto tra debito pubblico e il Pil nell'ordine del 100%».
Le proposte di Confindustria «innalzeranno il tasso di crescita al 3%, portando a un aumento del Pil di 156 miliardi di euro in cinque anni», ha sottolineato Squinzi. Il numero uno di Confindustria ha poi spiegato che l'occupazione si espanderebbe di 1,8 milioni di unità e il tasso di disoccupazione scenderebbe, sempre in cinque anni, all'8,4% dal 12,3% atteso per il 2014.
Occorre dare ossigeno alle imprese pagando immediatamente i 48 miliardi di debiti commerciali accumulati dallo Stato e dagli enti locali, che rappresentano un debito pubblico occulto. Poi è necessario cancellare l'Irap in tutti i settori e tagliare dell'8 il costo del lavoro nel manifatturiero. Indispensabile poi raddoppiare gli investimenti in infrastrutture, ridurre l'Irpef sui redditi di lavoro bassi, sostenere gli investimenti in ricerca e nuove tecnologie, abbassare il costo dell'energia.
Le proposte del documento programmatico di Confindustria, «una vera e propria tabella di marcia fino al 2018», si articolano in una «terapia d'urto» ed un «processo di riforme da avviare contestualmente e senza ritardo». «In vista dell'imminente tornata elettorale - spiega il documento - proponiamo un progetto di ampio respiro, insieme ambizioso e realizzabile, fatto di azioni di rilancio economico e sociale del Paese. Un progetto complesso con proposte serie e obiettivi chiari e quantificati, perché non bastano poche singole misure per risollevare l'Italia e sottrarla alla stagnazione». Un progetto «che non guarda al consenso ma alla crescita, che dice la verità su quello che serve per il bene del Paese».
«Riteniamo che la riforma del lavoro non sia stata sufficiente ad una vera liberalizzazione del mercato del lavoro e ad una sua vera flessibilizzazione» ha aggiunto Squinzi. «Riteniamo che il prossimo governo dovrà portarci più in linea con quanto fatto negli altri Paesi europei» chiede il leader degli industriali."Dobbiamo riconquistare la crescita, creare lavoro, rimettere al centro le imprese" e ridare fiducia agli italiani, per restituire i nostri giovani un futuro di progresso e di crescita". L'articolo 18, ha spiegato «tocca in modo particolare la sensibilità di alcuni settori produttivi, complessivamente credo che dobbiamo avvicinarci agli standard europei». Parametri Ue anche per l'armonizzazione delle aliquote più basse dell'Iva, «recependo le indicazioni europee» per recuperare fondi da destinare alla riduzione dell'Irpef.
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venerdì 25 gennaio 2013
Allarme di Confindustria sulla riforma del lavoro Monti-Fornero
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venerdì 28 dicembre 2012
INPS e pensioni dal 2013 in aumento le minime
Nel 2012 continua a calare il numero delle pensioni Inps liquidate nello stesso anno: gli ultimi dati, riferiti al mese di novembre, confermano l'andamento fotografato dalle precedenti rilevazioni. Nei primi 11 mesi dell'anno, infatti, sono state liquidate complessivamente 186.800 pensioni, mentre nello stesso periodo del 2011 le nuove pensioni erano 230.500, con una diminuzione pari al -18,5% .Sono i dati resi noti dall'Inps. I dati confermano anche la crescita dell'età media di pensionamento, che si attesta su 61 anni e 3 mesi.
Il calo delle pensioni liquidate dall'Inps,con un rallentamento deciso per i trattamenti di anzianità, è "una buona notizia per i pensionati italiani, anche quelli futuri". E' il commento del presidente dell'Inps Mastrapasqua secondo cui i nuovi dati testimoniano come i conti dell'istituto siano così "messi in sicurezza".
Dal 2013, poi,"ci saranno "ulteriori aggiustamenti" grazie agli effetti della riforma Monti-Fornero, e quindi ci si attende un nuovo calo nei primi 3 mesi"
Ricordiamo che dal 1° gennaio scattano gli aumenti del 3% per adeguare le pensioni al costo della vita, ma anche il prossimo anno la rivalutazione non sarà valida per le pensioni superiori tre volte la minima. Lo ricorda lo Spi-Cgil, precisando che il blocco, per effetto della riforma Fornero,riguarderà 6 milioni di pensionati, che nel biennio 2012-2013 si ritroveranno con un 1.135 euro in meno. Con la rivalutazione prevista, una pensione minima passerà da 481 euro a 495,43.mentre una da 1.000 euro arriverà a quota 1.025 euro. Il blocco – ha segnalato il sindacato pensionati della Cgil - riguarderà soprattutto pensionati che hanno un reddito mensile di 1.217 euro netti (1.486 euro lordi). Un pensionato che si trova in questa fascia ha già perso 363 euro nel 2012 e ne perderà 776 nel 2013. Un pensionato con un reddito mensile di 1.576 euro netti (2.000 lordi) nel 2012 ha perso invece 478 euro e nel 2013 ne perderà 1.020.
''In questo anno - ha detto il segretario generale dello Spi-Cgil, Carla Cantone - abbiamo assistito a un accanimento senza precedenti sui pensionati, che più di tutti hanno dovuto pagare sulla propria pelle il conto della crisi. L'aumento annuale delle pensioni che scatterà nei prossimi giorni - ha continuato Cantone - è risibile e non garantisce il pieno recupero del loro potere d'acquisto. Oltretutto da questo meccanismo automatico sono stati estromessi per decreto sei milioni di pensionati, la maggior parte dei quali non possono di certo essere considerati ricchi o privilegiati. Il governo - conclude - ha scelto deliberatamente di colpire la categoria dei pensionati lasciandone in pace tante altre che potevano e dovevano contribuire al risanamento dei conti, ed e' per questo che per noi la cosiddetta Agenda Monti non può di certo essere la ricetta giusta per la crescita e lo sviluppo del Paese''.
Il calo delle pensioni liquidate dall'Inps,con un rallentamento deciso per i trattamenti di anzianità, è "una buona notizia per i pensionati italiani, anche quelli futuri". E' il commento del presidente dell'Inps Mastrapasqua secondo cui i nuovi dati testimoniano come i conti dell'istituto siano così "messi in sicurezza".
Dal 2013, poi,"ci saranno "ulteriori aggiustamenti" grazie agli effetti della riforma Monti-Fornero, e quindi ci si attende un nuovo calo nei primi 3 mesi"
Ricordiamo che dal 1° gennaio scattano gli aumenti del 3% per adeguare le pensioni al costo della vita, ma anche il prossimo anno la rivalutazione non sarà valida per le pensioni superiori tre volte la minima. Lo ricorda lo Spi-Cgil, precisando che il blocco, per effetto della riforma Fornero,riguarderà 6 milioni di pensionati, che nel biennio 2012-2013 si ritroveranno con un 1.135 euro in meno. Con la rivalutazione prevista, una pensione minima passerà da 481 euro a 495,43.mentre una da 1.000 euro arriverà a quota 1.025 euro. Il blocco – ha segnalato il sindacato pensionati della Cgil - riguarderà soprattutto pensionati che hanno un reddito mensile di 1.217 euro netti (1.486 euro lordi). Un pensionato che si trova in questa fascia ha già perso 363 euro nel 2012 e ne perderà 776 nel 2013. Un pensionato con un reddito mensile di 1.576 euro netti (2.000 lordi) nel 2012 ha perso invece 478 euro e nel 2013 ne perderà 1.020.
''In questo anno - ha detto il segretario generale dello Spi-Cgil, Carla Cantone - abbiamo assistito a un accanimento senza precedenti sui pensionati, che più di tutti hanno dovuto pagare sulla propria pelle il conto della crisi. L'aumento annuale delle pensioni che scatterà nei prossimi giorni - ha continuato Cantone - è risibile e non garantisce il pieno recupero del loro potere d'acquisto. Oltretutto da questo meccanismo automatico sono stati estromessi per decreto sei milioni di pensionati, la maggior parte dei quali non possono di certo essere considerati ricchi o privilegiati. Il governo - conclude - ha scelto deliberatamente di colpire la categoria dei pensionati lasciandone in pace tante altre che potevano e dovevano contribuire al risanamento dei conti, ed e' per questo che per noi la cosiddetta Agenda Monti non può di certo essere la ricetta giusta per la crescita e lo sviluppo del Paese''.
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sabato 22 dicembre 2012
Pensioni 2013 i piani previdenziali per i lavoratori
In questo periodo di preoccupazioni per le pensioni gli italiani si dimostrano sempre più propensi a sottoscrivere dei fondi pensione, che attualmente sembra essere una forma di previdenza complementare davvero vantaggiosa per i lavoratori.
Si tratta di una pensione integrativa, composta da contributi versati volontariamente dai lavoratori che andranno ad aggiungersi a quelli versati e poi, una volta maturati i requisiti richiesti, erogati dagli Enti pensionistici obbligatori.
Dal primo gennaio 2013 scende la rivalutazione pensionistica del 3% e sarà necessario mettere mano ad un piano pensionistico. Di quanto? Per chi si avvia ad andare in pensione a 65anni il nuovo balzello impone un incremento del risparmio previdenziale di circa 320 euro, in modo da colmare la differenza che scatta a gennaio del 2013. Ma se giustamente ci si pone l'obiettivo di costruire una pensione dignitosa – ottenendo una rendita pari a quella che percepiva chi smetteva di lavorare nel 1995 – bisognerà innalzare la contribuzione previdenziale a 1.588 euro l'anno.
Diverse sono le possibilità di pensioni integrative, che sono: i fondi, negoziali o aperti; i Piani Previdenziali Individuali.
I fondi negoziali, vengono definiti anche chiusi perché riservati a specifiche categorie di lavoratori sulla base di accordi tra le organizzazioni sindacali e quelle imprenditoriali dei settori di riferimento.
I fondi aperti vengono invece creati e gestiti da banche, assicurazioni, per poi essere collocati presso il pubblico.
Dal 2013 l'età per raggiungere la pensione sarà calcolata in base alle aspettative di vita, secondo quanto previsto dalla riforma Monti-Fornero. Non solo: anche l'ammontare viene adeguato alla speranza di vita attesa. Ciò comporta una periodica revisione dei coefficienti di trasformazione. Quest’ultimi sono i valori con cui si convertono in rendita i contributi accumulati e rivalutati nel tempo. Se si riducono, calano le stime delle rendite future. Esempi per incidere in misura differente a seconda dell'età del pensionamento: per chi andrà in pensione a 65 anni il coefficiente passa dal 5,62% al 5,44%, il che si traduce in una prestazione ridotta del 3,2%; ma che sale per chi lascerà il lavoro a 70 anni del 4,41%.
Vediamo il caso di un impiegato che accumuli una quota di 250mila euro, frutto di 40 anni di contributi (33% di prelievo su un reddito medio di 20mila euro). Per chi andrà in pensione a 65 anni l'assegno cala di 450 ero da 14.050 a 13.600; per chi si ritira a 70 anni cala di 750 da 17mila a 16.250 euro. Ma la differenza è decisamente maggiore se si considera la differenza con le prestazioni calcolate in occasione della riforma Dini, nel 1995: il taglio è di 1.740 euro l'anno, pari all'11,34% per chi va in pensione a 65 anni.
Comunque i Piani Previdenziali Individuali rappresentano una vera e propria polizza assicurativa che porta all’erogazione di prestazioni pensionistiche integrative. La peculiarità è di essere a carattere individuale, offrendo al lavoratore maggiore flessibilità di versamenti. Questi possono infatti essere interrotti e poi ripresi senza interruzioni del contratto e senza penalizzazioni. E sembra che investire nella previdenza complementare sia davvero conveniente: i fondi chiusi nei primi 9 mesi del 2012 hanno offerto rendimenti pari al 6,1%. Cometa, il fondo dei metalmeccanici, ha avuto un rendimento del 12,2%, la bilanciata-azionaria di Alifond (industria alimentare) del 10,8%, e la bilanciata di Cooperlavoro (coop produzione e lavoro) del 10,3%.
Si tratta di una pensione integrativa, composta da contributi versati volontariamente dai lavoratori che andranno ad aggiungersi a quelli versati e poi, una volta maturati i requisiti richiesti, erogati dagli Enti pensionistici obbligatori.
Dal primo gennaio 2013 scende la rivalutazione pensionistica del 3% e sarà necessario mettere mano ad un piano pensionistico. Di quanto? Per chi si avvia ad andare in pensione a 65anni il nuovo balzello impone un incremento del risparmio previdenziale di circa 320 euro, in modo da colmare la differenza che scatta a gennaio del 2013. Ma se giustamente ci si pone l'obiettivo di costruire una pensione dignitosa – ottenendo una rendita pari a quella che percepiva chi smetteva di lavorare nel 1995 – bisognerà innalzare la contribuzione previdenziale a 1.588 euro l'anno.
Diverse sono le possibilità di pensioni integrative, che sono: i fondi, negoziali o aperti; i Piani Previdenziali Individuali.
I fondi negoziali, vengono definiti anche chiusi perché riservati a specifiche categorie di lavoratori sulla base di accordi tra le organizzazioni sindacali e quelle imprenditoriali dei settori di riferimento.
I fondi aperti vengono invece creati e gestiti da banche, assicurazioni, per poi essere collocati presso il pubblico.
Dal 2013 l'età per raggiungere la pensione sarà calcolata in base alle aspettative di vita, secondo quanto previsto dalla riforma Monti-Fornero. Non solo: anche l'ammontare viene adeguato alla speranza di vita attesa. Ciò comporta una periodica revisione dei coefficienti di trasformazione. Quest’ultimi sono i valori con cui si convertono in rendita i contributi accumulati e rivalutati nel tempo. Se si riducono, calano le stime delle rendite future. Esempi per incidere in misura differente a seconda dell'età del pensionamento: per chi andrà in pensione a 65 anni il coefficiente passa dal 5,62% al 5,44%, il che si traduce in una prestazione ridotta del 3,2%; ma che sale per chi lascerà il lavoro a 70 anni del 4,41%.
Vediamo il caso di un impiegato che accumuli una quota di 250mila euro, frutto di 40 anni di contributi (33% di prelievo su un reddito medio di 20mila euro). Per chi andrà in pensione a 65 anni l'assegno cala di 450 ero da 14.050 a 13.600; per chi si ritira a 70 anni cala di 750 da 17mila a 16.250 euro. Ma la differenza è decisamente maggiore se si considera la differenza con le prestazioni calcolate in occasione della riforma Dini, nel 1995: il taglio è di 1.740 euro l'anno, pari all'11,34% per chi va in pensione a 65 anni.
Comunque i Piani Previdenziali Individuali rappresentano una vera e propria polizza assicurativa che porta all’erogazione di prestazioni pensionistiche integrative. La peculiarità è di essere a carattere individuale, offrendo al lavoratore maggiore flessibilità di versamenti. Questi possono infatti essere interrotti e poi ripresi senza interruzioni del contratto e senza penalizzazioni. E sembra che investire nella previdenza complementare sia davvero conveniente: i fondi chiusi nei primi 9 mesi del 2012 hanno offerto rendimenti pari al 6,1%. Cometa, il fondo dei metalmeccanici, ha avuto un rendimento del 12,2%, la bilanciata-azionaria di Alifond (industria alimentare) del 10,8%, e la bilanciata di Cooperlavoro (coop produzione e lavoro) del 10,3%.
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mercoledì 31 ottobre 2012
Tribunale di Bologna: reintegro del posto di lavoro, no licenziamento
Prima battuta d’arresto per la riforma dei licenziamenti appartenente alla Fornero. Bastano le scuse del lavoratore a rendere «insussistente il fatto contestato» alla base del licenziamento disciplinare, insussistenza che consente al giudice di applicare la sanzione della reintegrazione nel posto di lavoro, in luogo di un indennizzo economico. Bastano le scuse del lavoratore a rendere «insussistente il fatto contestato» alla base del licenziamento disciplinare, insussistenza che consente al giudice di applicare la sanzione della reintegrazione nel posto di lavoro, in luogo di un indennizzo economico. Lo ha stabilito il Tribunale di Bologna nella sentenza del 15 ottobre 2012.
Il fatto in breve è questo: l’impiegato si era permesso di criticare via email l’organizzazione del lavoro. L’episodio che probabilmente farà storia è questo: un impiegato della Alta srl si lamenta, riferendosi ai tempi di consegna di un lavoro: «Parlare di pianificazione nel gruppo Atti è come parlare di psicologia con un maiale». L’email viene intercettata dai dirigenti e il 30 luglio scorso, appena entrata in vigore la riforma del lavoro del ministro Elsa Fornero, l’azienda parte lancia in resta e licenza per giusta causa. Il lavoratore, assunto nel 2007, fa ricorso d’urgenza ex articolo 700.
Quindi per la riforma dell’articolo 18, molto rumore per che cosa? Gli effetti della prima causa intentata a Bologna, in esecuzione delle nuove norme in materia di licenziamenti, così come previste dalla nuova, contestatissima stesura dell’articolo più discusso nello Statuto dei lavoratori. A tenere banco, per alcuni, mesi era infatti stata la questione dei licenziamenti con o senza “giusta causa”: in base alle interpretazioni più critiche, infatti, la nuova disposizione avrebbe generato una miriade di interruzioni di lavoro a discrezione delle imprese, che, non a caso, avevano spinto con forza la riforma. Ora nasce il dubbio che tanto le valutazioni più catastrofiste, sul nuovo articolo 18 fossero non rispondenti alla realtà dei fatti. A dimostrazione di ciò è la sentenza Tribunale di Bologna che ha prodotto il reintegro per un lavoratore licenziato pochi giorni dopo l’entrata in vigore della legge.
Ma come? La riforma del lavoro Monti-Fornero non doveva servire a risolvere l’eventuale contenzioso con un pagamento economico? In teoria sì, in pratica è rimasto tutto come prima. Vale a dire lascia ampia discrezionalità al magistrato di decidere se e quali comportamenti del lavoratore (o dell’azienda) sono sanzionabili e in che modo. Il legislatore, dimenticandosi di inserire nella norma i casi specifici in cui scatta il licenziamento e quindi l’eventuale pagamento di un’indennità, lascia alle toghe a decidere liberamente.
L’impiegato avrà sicuramente festeggiato, l’azienda masticato amaro per l’obbligo al reintegro (stanno valutando se e come fare ricorso). Resta il piccolo particolare di un precedente che dimostra che poco o nulla è cambiato.
La riforma avrebbe dovuto falciare i casi di reintegro, sterzando, una volta dimostrata l’assenza della giusta causa, per l’indennizzo economico. Ma la sentenza del giudice Maurizio Marchesini ora potrebbe fare giurisprudenza (sicuramente nelle tribune mediatiche), e colpisce alle basi uno dei paletti fondamentali della riforma voluta dal governo Monti.
Il fatto in breve è questo: l’impiegato si era permesso di criticare via email l’organizzazione del lavoro. L’episodio che probabilmente farà storia è questo: un impiegato della Alta srl si lamenta, riferendosi ai tempi di consegna di un lavoro: «Parlare di pianificazione nel gruppo Atti è come parlare di psicologia con un maiale». L’email viene intercettata dai dirigenti e il 30 luglio scorso, appena entrata in vigore la riforma del lavoro del ministro Elsa Fornero, l’azienda parte lancia in resta e licenza per giusta causa. Il lavoratore, assunto nel 2007, fa ricorso d’urgenza ex articolo 700.
Quindi per la riforma dell’articolo 18, molto rumore per che cosa? Gli effetti della prima causa intentata a Bologna, in esecuzione delle nuove norme in materia di licenziamenti, così come previste dalla nuova, contestatissima stesura dell’articolo più discusso nello Statuto dei lavoratori. A tenere banco, per alcuni, mesi era infatti stata la questione dei licenziamenti con o senza “giusta causa”: in base alle interpretazioni più critiche, infatti, la nuova disposizione avrebbe generato una miriade di interruzioni di lavoro a discrezione delle imprese, che, non a caso, avevano spinto con forza la riforma. Ora nasce il dubbio che tanto le valutazioni più catastrofiste, sul nuovo articolo 18 fossero non rispondenti alla realtà dei fatti. A dimostrazione di ciò è la sentenza Tribunale di Bologna che ha prodotto il reintegro per un lavoratore licenziato pochi giorni dopo l’entrata in vigore della legge.
Ma come? La riforma del lavoro Monti-Fornero non doveva servire a risolvere l’eventuale contenzioso con un pagamento economico? In teoria sì, in pratica è rimasto tutto come prima. Vale a dire lascia ampia discrezionalità al magistrato di decidere se e quali comportamenti del lavoratore (o dell’azienda) sono sanzionabili e in che modo. Il legislatore, dimenticandosi di inserire nella norma i casi specifici in cui scatta il licenziamento e quindi l’eventuale pagamento di un’indennità, lascia alle toghe a decidere liberamente.
L’impiegato avrà sicuramente festeggiato, l’azienda masticato amaro per l’obbligo al reintegro (stanno valutando se e come fare ricorso). Resta il piccolo particolare di un precedente che dimostra che poco o nulla è cambiato.
La riforma avrebbe dovuto falciare i casi di reintegro, sterzando, una volta dimostrata l’assenza della giusta causa, per l’indennizzo economico. Ma la sentenza del giudice Maurizio Marchesini ora potrebbe fare giurisprudenza (sicuramente nelle tribune mediatiche), e colpisce alle basi uno dei paletti fondamentali della riforma voluta dal governo Monti.
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domenica 1 aprile 2012
La riforma del mercato del lavoro 2012. Cambia lo Statuto dei lavoratori
Non è ancora iniziato l'iter in Parlamento, ma la riforma del mercato del lavoro è sempre in primo piano. Il ministro del welfare assicura: ''Nessuno vuole dare alle imprese la licenza di licenziare''. Ma la Cgil resta ferma sulla richiesta del reintegro. Gli industriali si schierano con il governo.
Il disegno di legge di riforma del mercato del lavoro Monti-Fornero, approvata il 23 marzo, salvo intese, ha segnato una svolta nel metodo e nei contenuti ed è visto “in una prospettiva di crescita”. Lo scopo è di realizzare un mercato del lavoro dinamico, flessibile e inclusivo, capace cioè di contribuire alla crescita e alla creazione di occupazione di qualità, di stimolare lo sviluppo e la competitività delle imprese
Il Ministro del Lavoro ha confermato la determinazione con cui l'esecutivo ha messo in tasca la riforma. Articolo 18 compreso: «Non lo aboliamo. Distinguiamo le fattispecie», aveva evidenziato giorni fa la Fornero, confermando che nei casi di licenziamento per motivi economici, se giudicati illegittimi, ci sarà solo l'indennizzo e, invece, che nei casi di licenziamento disciplinare si affida al giudice il potere di decidere tra reintegro e indennizzo. E così è stato.
Licenziamento individuale. Nello specifico ci saranno tre regimi sanzionatori per il licenziamento individuale illegittimo: la reintegrazione nel posto di lavoro sarà disposta dal giudice solo nel caso di licenziamento discriminatorio e in alcuni casi di infondatezza del licenziamento disciplinare.
Licenziamento per motivi economici. Nel caso di licenziamento per motivi economici ritenuto illegittimo dal giudice, il datore di lavoro potrà essere condannato solo al pagamento di un'indennità. L'indennizzo che dovesse essere deciso a fronte di un licenziamento illegittimo per motivi disciplinari o per motivi economici potrà variare tra le 15 e le 27 mensilità.
Preventiva procedura di conciliazione. Si legge nella bozza che per i licenziamenti economici è previsto «l'esperimento preventivo di una rapida procedura di conciliazione innanzi alle direzioni territoriali del lavoro, non appesantita da particolari formalità, nell'ambito della quale il lavoratore potrà essere assistito anche da rappresentanti sindacali, e potrà essere favorita la conciliazione tra le parti».
Obbligatorio indicare i motivi del licenziamento. Sarà sempre obbligatorio indicare i motivi del licenziamento.
Se il licenziamento economico è strumentale e il lavoratore riesce a provare che è invece di natura disciplinare o discriminatoria il giudice applica le relative tutele. È prevista l'introduzione di un rito procedurale veloce per le controversie in materia di licenziamento.
Articolo 18 dello statuto dei lavoratori, abbattuto un capo saldo. Si è abbattuto, dunque, il totem dell’articolo 18, la norma dello Statuto dei lavoratori del 1970 che garantiva il diritto al reintegro nel posto di lavoro a chi veniva licenziato senza giusta causa o giustificato motivo nelle aziende con più di 15 dipendenti. Il nuovo articolo 18, esclude il reintegro e offre solo la possibilità dell'indennizzo nel caso in cui il lavoratore abbia ragione davanti al giudice.
Una tutela assoluta sancita nella legge al termine del 1969, una stagione di lotte sindacali per l’affermazione dei diritti e il miglioramento delle condizioni dei lavoratori nell'Italia delle rivoluzioni sociali.
La riforma, però, come ha sottolinea lo stesso ministro Fornero non è solo l'articolo 18, è «tutto» l'intervento: dal congedo di paternità obbligatoria agli ammortizzatori alle politiche attive per il lavoro. Dall'apprendistato come trampolino di lancio nel mercato del lavoro all'ingresso dell'Aspi, la nuova indennità di disoccupazione, fino alla stretta su tutte le forme di contratti subordinati per combattere la precarietà.
Il disegno di legge di riforma del mercato del lavoro Monti-Fornero, approvata il 23 marzo, salvo intese, ha segnato una svolta nel metodo e nei contenuti ed è visto “in una prospettiva di crescita”. Lo scopo è di realizzare un mercato del lavoro dinamico, flessibile e inclusivo, capace cioè di contribuire alla crescita e alla creazione di occupazione di qualità, di stimolare lo sviluppo e la competitività delle imprese
Il Ministro del Lavoro ha confermato la determinazione con cui l'esecutivo ha messo in tasca la riforma. Articolo 18 compreso: «Non lo aboliamo. Distinguiamo le fattispecie», aveva evidenziato giorni fa la Fornero, confermando che nei casi di licenziamento per motivi economici, se giudicati illegittimi, ci sarà solo l'indennizzo e, invece, che nei casi di licenziamento disciplinare si affida al giudice il potere di decidere tra reintegro e indennizzo. E così è stato.
Licenziamento individuale. Nello specifico ci saranno tre regimi sanzionatori per il licenziamento individuale illegittimo: la reintegrazione nel posto di lavoro sarà disposta dal giudice solo nel caso di licenziamento discriminatorio e in alcuni casi di infondatezza del licenziamento disciplinare.
Licenziamento per motivi economici. Nel caso di licenziamento per motivi economici ritenuto illegittimo dal giudice, il datore di lavoro potrà essere condannato solo al pagamento di un'indennità. L'indennizzo che dovesse essere deciso a fronte di un licenziamento illegittimo per motivi disciplinari o per motivi economici potrà variare tra le 15 e le 27 mensilità.
Preventiva procedura di conciliazione. Si legge nella bozza che per i licenziamenti economici è previsto «l'esperimento preventivo di una rapida procedura di conciliazione innanzi alle direzioni territoriali del lavoro, non appesantita da particolari formalità, nell'ambito della quale il lavoratore potrà essere assistito anche da rappresentanti sindacali, e potrà essere favorita la conciliazione tra le parti».
Obbligatorio indicare i motivi del licenziamento. Sarà sempre obbligatorio indicare i motivi del licenziamento.
Se il licenziamento economico è strumentale e il lavoratore riesce a provare che è invece di natura disciplinare o discriminatoria il giudice applica le relative tutele. È prevista l'introduzione di un rito procedurale veloce per le controversie in materia di licenziamento.
Articolo 18 dello statuto dei lavoratori, abbattuto un capo saldo. Si è abbattuto, dunque, il totem dell’articolo 18, la norma dello Statuto dei lavoratori del 1970 che garantiva il diritto al reintegro nel posto di lavoro a chi veniva licenziato senza giusta causa o giustificato motivo nelle aziende con più di 15 dipendenti. Il nuovo articolo 18, esclude il reintegro e offre solo la possibilità dell'indennizzo nel caso in cui il lavoratore abbia ragione davanti al giudice.
Una tutela assoluta sancita nella legge al termine del 1969, una stagione di lotte sindacali per l’affermazione dei diritti e il miglioramento delle condizioni dei lavoratori nell'Italia delle rivoluzioni sociali.
La riforma, però, come ha sottolinea lo stesso ministro Fornero non è solo l'articolo 18, è «tutto» l'intervento: dal congedo di paternità obbligatoria agli ammortizzatori alle politiche attive per il lavoro. Dall'apprendistato come trampolino di lancio nel mercato del lavoro all'ingresso dell'Aspi, la nuova indennità di disoccupazione, fino alla stretta su tutte le forme di contratti subordinati per combattere la precarietà.
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