lunedì 2 luglio 2012

Riforma del lavoro 2012. Licenziamento collettivo


Qui il riferimento principale era e resta la legge 223 del 23 luglio 1991, che riguarda le norme su cassa integrazione e mobilità, e che si riferiscono solo alle aziende sopra i 15 dipendenti. Un licenziamento è collettivo se riguarda almeno cinque dipendenti. A questa norma vengono apportare una serie di modifiche.

Le procedure di messa in mobilità (che si chiama ma procedura di licenziamento collettivo) vanno comunicato all’ufficio del lavoro entro sette giorni (e non più contestualmente) dalla comunicazione scritta ai lavoratori che, al termine del relativo accordo sindacale, sono interessati ai relativi provvedimenti. Gli eventuali vizi di forma, che prima rendevano nulle le procedure di messa in mobilità, possono essere sanate con accordi sindacali.
Se però il provvedimento non viene comunicato in forma scritta o comunque i vizi di forma non vengono sanati da accordi, si prevede il reintegro ex articolo 18 dello statuto dei lavoratori.
Stesso discorso nel caso in cui non vengano rispettati i criteri di scelta dei lavoratori da mettere in mobilità (come previsti dall’articolo 5 della legge 223/1991).

Tutto questo non riguarda le aziende sotto i 15 dipendenti, in cui non c’è una disciplina specifica sui licenziamenti collettivi visto che sono comunque possibili i licenziamenti individuali.

In caso di recesso intimato violando i criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità (elencati dall'articolo 5 della legge 223 del 1991), si applica la tutela reale prevista dal nuovo testo dell'articolo 18, comma 4, della legge 300 del 1970 (ossia la reintegrazione nel posto di lavoro e una indennità commisurata all'ultima retribuzione globale maturata dal momento del licenziamento all'effettiva reintegrazione, comunque non superiore a 12 mensilità). Infine, si prevede che in tali ipotesi, ai fini dell'impugnazione dei licenziamenti, trovino applicazione le disposizioni di cui all'articolo 6 della legge 604/1966 (prevede che il licenziamento debba essere impugnato con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, idoneo a manifestare la volontà del lavoratore, entro 60 giorni dalla sua comunicazione per iscritto, e che nei successivi 270 giorni - che scendono a 180 giorni ai sensi del presente provvedimento - debba essere depositato il ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o debba essere comunicata alla controparte la richiesta del tentativo di conciliazione).

Va anche detto che la riforma del lavoro prevede poi una serie di cambiamenti sugli ammortizzatori sociali, compresa la mobilità, che entreranno in vigore fra il 2013 e il 2016.

venerdì 29 giugno 2012

Riforma del lavoro 2012. Licenziamenti nelle aziende sopra i 15 dipendenti






Per i licenziamenti disciplinari (giustificato motivo soggettivo o giusta causa) e per quelli economici (giustificato motivo oggettivo), nel caso in cui li ritenga illegittimi, il giudice può disporre il reintegro o un indennizzo fra le 12 e le 24 mensilità.

La norma specifica con una certa precisione in quali casi il giudice disporrà il reintegro e quando invece sceglierà il risarcimento.

Nei casi di licenziamenti disciplinari è previsto il reintegro quando «il fatto contestato non sussiste o il lavoratore non lo ha commesso ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle tipizzazioni di giustificato motivo soggettivo e di giusta causa previste dai contratti collettivi applicabili».

Mentre, per i licenziamenti economici è previsto il reintegro quando il giudice accerti «la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustifico motivo oggettivo». Negli altri casi, è previsto un risarcimento economico, da 12 a 24 mensilità.

Nel caso del licenziamento disciplinare illegittimo, il giudice stabilirà l'ammontare del risarcimento «in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo».

Nel caso di licenziamento economico, la determinazione della somma tiene conto anche delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell’ambito delle procedure di conciliazione.

Per i casi in cui è previsto il reintegro, il datore di lavoro viene anche condannato a pagare un’indennità collegata alla retribuzione dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, «dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione». In ogni caso l’indennità non potrà essere superiore a dodici mensilità. Per il medesimo periodo vanno versati anche i contributi previdenziali e assistenziali, maggiorati degli interessi ma senza sanzioni.
Se il lavoratore ha svolto altre attività lavorative, l’azienda deve versare la differenza fra i contributi a cui il lavoratore avrebbe avuto diritto nel caso in cui non fosse stato illegittimamente licenziato e quelli versati per l’attività nel frattempo svolta. Se i contributi sono stati versati a un diverso ente previdenziale, l’addebito dei costi di trasferimento è a carico del datore di lavoro.
Anche qui, il lavoratore deve tornare al lavoro a trenta giorni dal reintegro o dall’invito dell’azienda, pena la risoluzione del rapporto di lavoro, a meno che non abbia chiesto l’indennità sostitutiva (15 mensilità).

Fanno eccezione i casi in cui il giudice dispone il reintegro per mancanza di licenziamento in forma scritta, o per mancato rispetto delle varie procedure di comunicazione (in sostanza, quelle previste dall‘articolo 7 dello Statuto dei lavoratori o dall’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604). Qui, il risarcimento che l’azienda deve pagare insieme al reintegro è limitato a sei/dodici mensilità, a meno che non ci sia anche un vizio relativo alla causa del licenziamento, nel qual caso valgono le norme sopra citate.

Se il licenziamento è revocato entro quindici giorni, il lavoratore torna al suo posto e non si applica nessun’altra sanzione. Solo per i casi di licenziamento economico (giustificato motivo oggettivo), che sia obbligatoria una fase di conciliazione preventiva. Si tratta quindi di una norma che riguarda solo le aziende sopra i 15 dipendenti.

Nello specifico, questo tipo di licenziamento «deve essere preceduto da una comunicazione effettuata dal datore di lavoro alla Direzione territoriale del lavoro» in cui l’azienda deve «dichiarare l’intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo e indicare i motivi del licenziamento medesimo nonché le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato».

Entro sette giorni da questa comunicazione la direzione del lavoro convoca le parti davanti alla Commissione provinciale di conciliazione di cui all’articolo 410 del codice di procedura civile.

Si tratta di un tentativo di conciliazione stragiudiziale, durante il quale vengono valutate le soluzioni alternative al recesso, e che si conclude in venti giorni (a meno che le parti non vogliano continuare per raggiungere un accordo).

Se la conciliazione non si conclude positivamente, il datore di lavoro può comunicare il licenziamento e il lavoratore può ricorrere al magistrato che nello stabilire l’indennizzo nel caso in cui ritenga effettivamente illegittimo il licenziamento, terrà conto della condotta delle parti in questa fase di conciliazione. Se il giudice alla fine ritiene il licenziamento legittimo il lavoratore non ha diritto al risarcimento che eventualmente la controparte aveva offerto in fase di conciliazione, e che era stato rifiutato.

Se la conciliazione si conclude positivamente, con la soluzione del rapporto di lavoro e con un accordo economico, il lavoratore mantiene il diritto all’assicurazione per l’impiego (la nuova Aspi) e può anche essere previsto, per favorirne la ricollocazione professionale, l’affidamento «ad un’agenzia di cui all’articolo 4, primo comma, lettere a) e b), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276».

Riforma del lavoro 2012. Licenziamenti aziende con meno di 15 dipendenti


Addio reintegro automatico in caso di licenziamento per motivi economici. Prevista in alcuni casi un'indennità risarcitoria. La procedura di conciliazione, obbligatoria in questo primo caso, non potrà più essere bloccata da una malattia «fittizia» del lavoratore. Uniche eccezioni saranno maternità o infortuni sul lavoro. La riforma del lavoro, così come disegnata dal ddl definitivo, modifica le norme sul licenziamento in Italia previste fino a oggi dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori reintroducendo il possibile reintegro per tutti i tipi di licenziamento illegittimo (a discrezione del giudice e solo in casi estremi). Ad esclusione per i licenziamenti discriminatori, le nuove norme sul reintegro si applicano solo alle aziende con più di 15 dipendenti.
Nelle piccole imprese sotto i 15 dipendenti le regole restano immutate.

Per quanto riguarda i ricorsi le norme restano le stesse:
il licenziamento individuale illegittimo è sanzionato con un’indennità fra 2,5 e 6 mensilità
il licenziamento discriminatorio è sanzionato con il reintegro, senza onere della prova a carico del lavoratore, perché è il giudice stabilire se il licenziamento è discriminatorio.
A stabilire ciò era e resta l’articolo 3 della legge  n° 108 del 1990, in base alla quale il licenziamento discriminatorio «é nullo indipendentemente dalla motivazione addotta e comporta, quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro, le conseguenze previste dall‘articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300». E vale anche per i dirigenti.
La riforma del lavoro introduce come novità l’obbligo da parte di qualunque azienda di comunicare le motivazioni del licenziamento. E dovrà farlo per iscritto, in base all‘articolo 1 della legge 15 luglio 1966, n. 604 sui licenziamenti individuali.

Si tratta di un cambiamento rispetto a quanto previsto dall‘articolo 2 della stessa legge, secondo la quale il datore di lavoro doveva comunicare le motivazione del licenziamento solo se il lavoratore lo richiedeva: la richiesta doveva arrivare entro otto giorni dal provvedimento e l’impresa a quel punto aveva cinque giorni per far pervenire la motivazione scritta.

Adesso, più semplicemente, «la comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato».
Il lavoratore ha ancora 60 giorni per impugnare il licenziamento, ma ha solo altri 180 giorni per depositare il ricorso alla cancelleria del tribunale o per comunicare alla controparte la richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, mentre prima aveva 270 giorni per il deposito in cancelleria (articolo 32, comma 1, della legge 4 novembre 2010, n. 183).
La precisazione sulla formulazione del licenziamento è importante perché la nuova norma prevede una diversificazione di diritti a seconda delle diverse tipologie di licenziamento.
Le leggi proteggono dal licenziamento e prevedono sempre il reintegro, anche sotto i 15 dipendenti, per le donne in gravidanza (decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151), o in concomitanza del matrimonio (decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198). Il periodo di protezione della “concomitanza con il matrimonio” va dal giorno delle pubblicazioni a un anno dalla celebrazione delle nozze.

È previsto il reintegro del posto di lavoro anche nel caso in cui il licenziamento sia ritenuto non valido perché comunicato in forma orale per tutte le aziende, anche sotto i 15 dipendenti.

Oltre al reintegro, il giudice stabilisce un’indennità «commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative». In ogni caso questo risarcimento non può essere inferiore a cinque mensilità. Il datore di lavoro deve pagare anche i contributi previdenziali e assistenziali per il medesimo periodo.

Il lavoratore deve tornare al lavoro entro trenta giorni dall’invito del datore di lavoro in seguito all’ordine di reintegrazione. Se non lo fa, il rapporto di lavoro è risolto.

Il lavoratore, nel caso in cui non voglia tornare in azienda, ha diritto a chiedere in sostituzione del reintegro un risarcimento pari a 15 mensilità (senza contribuzione). La richiesta deve essere fatta entro 30 giorni dall’ordine di reintegro o dall’invito del datore di lavoro a rientrare.
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