domenica 30 settembre 2012

Riforma del lavoro 2012: le prestazioni accessorie e i buoni lavoro


Il lavoro occasionale di carattere accessorio è stato concepito dal legislatore con la finalità di favorire l'inserimento nel mondo del lavoro di fasce deboli del mercato aumentando le opportunità presso le famiglie o enti senza scopo di lucro.

Sono prestazioni lavorative di natura autonoma, realizzate a favore di un soggetto senza il vincolo della subordinazione e con il carattere dell’occasionalità. Non è richiesta l’iscrizione in un Albo professionale né l’apertura di una partita Iva, in quanto il corrispettivo versato dal datore di lavoro è soggetto ad una ritenuta d’acconto pari al 20% dell’importo.

Vediamo le novità portate dalla riforma Fornero, ha innovato l'articolo 70 del Dlgs 276 del 2003, dispone che il ricorso ai buoni da parte di un committente pubblico possa avvenire solo nel rispetto dei vincoli previsti dalla vigente disciplina in materia di contenimento delle spese del personale e, ove previsto, dal patto di stabilità interno.

Altra novità, a favore dei prestatori, è la disposizione che considera i compensi percepiti attraverso i voucher utili alla determinazione del reddito necessario per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno.

Per il capitolo oner i, indipendentemente dalla modalità con la quale i voucher sono acquistati (telematica, presso le sedi Inps, presso gli uffici postali, presso i tabaccai, e così via) è sempre necessario effettuare la comunicazione preventiva di inizio della prestazione. Infatti, nell'ipotesi in cui questo obbligo sia violato, scatta la maxi-sanzione prevista per il lavoro nero, nella misura da 1.500 euro a 12mila euro, maggiorata di 150 euro per ciascuna giornata di lavoro effettivo (così come indicato nella circolare del ministero del Lavoro 38/2010).

Ciò significa che bisogna  adempiere nella comunicazione al l'Inps o all'Inail di attivazione delle prestazioni accessorie. Sono diversi i canali attraverso cui questa comunicazione può essere inoltrata: telefonando al contact center Inps-Inail (al numero 803164), collegandosi al sito www.inps.it, alla pagina «Lavoro occasionale» (questa è l'unica modalità nel caso dei voucher acquistati presso i tabaccai), oppure recandosi presso una sede Inps. Se si opta invece per la richiesta dei voucher attraverso la procedura telematica presso il sito Inps (previo acquisto tramite modello F24) sarà necessaria anche la registrazione da parte del prestatore, così da consentire al committente di "inserire" la prestazione.

Ricordiamo inoltre che la legge 92 del 2012 (articolo 1, commi 32 e seguenti) ha rivisitato in primo luogo il ricorso al lavoro accessorio – retribuito tramite i voucher o buoni lavoro – previsto dal Dlgs 276 del 2003.

Il lavoro accessorio è rapporto flessibile, destinato ad «attività lavorative di natura meramente occasionale»: qualunque committente privato o pubblico può oggi rivolgersi a qualunque prestatore di lavoro, anche minore (nel rispetto delle norme in materia di salute sui luoghi di lavoro) – per ottenere una collaborazione e per compensi limitati: il tetto è fissato a 5mila euro per anno solare, con riferimento alla totalità dei committenti, che diventano 2mila euro se il committente è un imprenditore commerciale o professionista. Escluso il settore agricolo, in cui il lavoro accessorio è destinato a pensionati e studenti sotto i 25 anni, per attività stagionali, non ci sono limiti soggettivi alle attività "accessorie".

Anche per il 2013, le prestazioni retribuite attraverso i buoni lavoro sono aperte, in tutti i settori produttivi, compresi gli enti locali, nel limite massimo di 3mila euro di corrispettivo per anno solare, anche per i titolari di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito.

Il pagamento delle prestazioni di lavoro occasionale accessorio avviene attraverso il meccanismo dei buoni.

La riforma del Fornero  ha chiarito il valore "orario" del voucher (articolo 72, comma 1, Dlgs 276 del 2003): salvo migliori intese tra le parti, a ogni ora di lavoro deve corrispondere un buono. Precisata la corrispondenza voucher-ora, si può determinare in modo preciso il tempo che ogni lavoratore può dedicare ogni anno al lavoro accessorio: di norma, non oltre 500 ore. Imprenditori e professionisti, però, non possono dare incarico ai collaboratori per più di 200 ore all'anno.

Occupazione 2012 indagine sul mercato del lavoro per i giovani


In Italia  il capitale umano non è né elevato né ben impiegato. Oggi siamo in una situazione dove la perdita di competitività del 20% negli ultimi dieci anni rispetto alle altre economie dell'area euro. E' quanto ha sottolineato il Rapporto sul mercato del lavoro che ha presentato il Cnel, Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, presieduto da Antonio Marzano. Nel testo, messo a punto dal centro studi Ref diretto da Carlo Dell'Aringa, una lunga parte è dedicata a spiegare il problema, con particolare riferimento ai giovani. Il rapporto offre una fotografia della situazione occupazionale dell'Italia.

Dove solo il 10% dei giovani tra i 20 e 24 anni associa allo studio una qualche esperienza lavorativa, contro livelli superiori al 60% in Danimarca e vicini al 50% in Germania e Regno Unito e al 25% in Francia. Perfino in Spagna sono oltre il 20%. Secondo: a segnalare il drammatico scollamento tra mercato del lavoro e sistema scolastico ci sono 5,2 milioni di lavoratori nella fascia tra 15 e 64 anni, cioè uno su quattro, «che risultano sottoinquadrati» nel lavoro rispetto al loro livello d'istruzione. Tra i giovani, sono uno su tre. Insomma: il capitale umano è sia sottoutilizzato, basti pensare alla disoccupazione giovanile (il 20,2% nella fascia 18-29 anni nel 2011), sia male utilizzato, tanto che da un lato molti posti di lavoro vengono coperti dagli stranieri e dall'altro «centinaia di nostri giovani affollano le università del mondo anglosassone».

«La questione giovani è un tema estremamente delicato», ha messo in evidenza il rapporto del Cnel, perché qui la crisi economica ha colpito duramente, causando un forte aumento del tasso di disoccupazione in tutti i Paesi europei. In Italia però, «persiste una cultura - unica in Europa - che ancora separa nettamente il momento formativo da quello lavorativo. Solamente il 10% dei ragazzi coniuga il percorso di studi ad una qualche esperienza lavorativa» e ciò, ovviamente, «contribuisce a rendere la transizione scuola lavoro più lunga e difficile».

Nei Paesi che invece hanno «da sempre sostenuto un mix di istruzione e lavoro si sono registrati livelli di disoccupazione giovanile più bassi e la transizione scuola-lavoro tende ad avere tempi più brevi». Mediamente in Italia per trovare il primo impiego ci si mette più di due anni, 25,5 mesi per la precisione. In Germania ne bastano 18. In Danimarca 14,6, nel Regno Unito 19,4. Solo in Spagna stanno peggio di noi, con un'attesa media di quasi tre anni (34,6 mesi). Stesso trend anche se si calcola il tempo medio prima di trovare un lavoro a tempo indeterminato. In Italia ci vogliono quasi quattro anni (44,8 mesi). In Danimarca solo 21,3 mesi, ma lì non c'è l'articolo 18 (ora attenuato dopo la riforma Fornero) e le aziende possono licenziare facilmente. In Germania per un lavoro stabile si attendono in media 33,8 mesi, nel Regno Unito tre anni.«I giovani che  hanno appena completato gli studi - osservano i ricercatori - se restano per un periodo lungo in condizione di inattività, tendono a registrare un deterioramento del loro capitale umano». Inoltre, «la ricerca di un posto può portare alcuni ad accettare lavori per i quali sono richiesti requisiti inferiori rispetto al percorso scolastico seguito: è il fenomeno dell'over education ».

Il Presidente della Commissione speciale per l'informazione (III) del Cnel che ha curato il Rapporto, Edoardo Patriarca, ha evidenziato alcuni aspetti nodali della situazione del mercato del lavoro in Italia:

La perdita di posizioni rispetto alle altre economie europee, soprattutto quelle dell'area tedesca, apre seri quesiti sulla capacità del nostro sistema produttivo di superare l'urto della recessione e di riprendere, in tempi brevi, un periodo di crescita.

Un serio e forte rilancio del manifatturiero nel nostro Paese passa necessariamente attraverso una serie di snodi strutturali.

Le difficoltà dell'economia italiana non potranno che ripercuotersi sull'andamento della domanda di lavoro.

Il graduale processo di femminilizzazione del mercato del lavoro necessita di un rafforzamento delle politiche a sostegno delle famiglie e del lavoro delle donne.

Va segnalata la crescita della quota di lavoratori stranieri nonostante la crisi, specie in quei settori nei quali la domanda di lavoro non viene soddisfatta completamente dai lavoratori italiani.

Lo scollamento tra i risultati del sistema formativo e la domanda di lavoro va ad incrementare il fenomeno noto come over-education, evidente per le classi di età giovanile, e assume una maggiore intensità tra le giovani laureate, le quali, nel 50% dei casi, risultano sotto-inquadrate.

Chi trova lavoro, qualunque titolo di studio abbia in tasca, lo trova di norma a tempo determinato. È normale all'inizio. Quello che non è normale è non riuscire a passare a un lavoro stabile. L'analisi, dice il rapporto, «evidenzia come l'occupazione a termine abbia ridimensionato il suo ruolo di trampolino o comunque passaggio per entrare nell'occupazione permanente e abbia invece creato un segmento a sé stante di occupati». Se prima della crisi quasi il 29% degli occupati a termine diventava permanente l'anno successivo, «ora questo vale per il 23% dei temporanei» mentre coloro che finiscono disoccupati sono saliti dal 16 al 19%.

I Neet ( Not in employment, education or training ), «i ragazzi che non hanno un'occupazione e al tempo stesso non sono a scuola o in formazione». Nella fascia di età fra 15 e 29 anni in Italia sono il 24% rispetto a una media europea del 15,6%. In Germania l'11%, in Francia e Regno Unito il 14,6%. Nel nostro Paese parliamo di oltre 2 milioni di giovani. Di questi il 36,4% hanno perso un lavoro o non lo trovano, ma il resto sono «inattivi» o «scoraggiati». Il fenomeno dei Neet è particolarmente preoccupante, conclude il Cnel, nella fascia tra i 25 e i 30 anni, cioè tra i «giovani-adulti». Qui quelli che non studiano e non lavorano sono in Italia il 28,8%. Giovannini ha quindi evidenziato "anche un'ulteriore crescita dei giovani Neet (Not in education, employment or training) 18-29enni, la cui incidenza passa dal 25,3% del 2011 al 26,9% del 2012. I giovani che non lavorano e non frequentano alcun corso di istruzione o formazione sono 2.071.000 unità, 103.000 in più rispetto al primo semestre del 2011. Va tuttavia precisato - ha concluso Giovannini - che mentre un quarto (24,5%) dei Neet si colloca completamente al di fuori del mercato del lavoro, più di un terzo (880.000 unità, pari al 42,5% del totale) è alla ricerca attiva di un lavoro e il restante 33% rientra nella 'zona grigia' dell'inattività, composta da individui che mostrano un qualche livello di attaccamento e interesse nei confronti del lavoro".

Su 7,7 milioni di giovani tra i 18 e i 29 anni, "solamente il 40,3% è occupato, il 13% è alla ricerca di un'occupazione mentre il 46,7% è inattivo", cioè non lavora ma studia in 6 casi su 10. Lo ha detto il presidente dell'Istat Enrico Giovannini in un'audizione sulla nota di variazione al Def alle commissioni Bilancio di Camera e Senato.

"Nella prima parte del 2012 - ha detto Giovannini - la dinamica del mercato del lavoro ha continuato a presentare elementi di criticità per i soggetti tradizionalmente più deboli quali i giovani e le donne. La caduta dell'occupazione dei 18-29enni non mostra battute d'arresto (-2,8%, pari a 91.000 unità in meno, a fronte di un calo demografico di 58.000 unità), coinvolgendo entrambi i sessi sull'intero territorio nazionale. Per questa fascia di età, a fronte di una riduzione del 7,3% dei dipendenti permanenti (-129.000 unità), quelli a termine sono cresciuti del 4,6% (+42.000 unità) e i collaboratori del 4,7% (+4.000 unità). Ne consegue che circa un giovane su tre svolge un lavoro atipico (dipendente a termine o collaboratore): il 34,8% contro il 12,2% del totale occupati". "Per i 18-29enni - ha poi sottolineato il presidente dell'Istat - il tasso di disoccupazione ha raggiunto, nel primo semestre di quest'anno, il 24,4%, con una punta del 39,7% per le giovani donne residenti nel Mezzogiorno. Su un totale di 7,7 milioni di persone di questa fascia di età, solamente il 40,3% é occupato, il 13% è alla ricerca di un'occupazione, mentre il 46,7% è inattivo; in sei casi su dieci questo ultimo gruppo è composto da studenti, e circa un quinto appartiene all'area dell'inattività più contigua alla disoccupazione".

sabato 29 settembre 2012

Squinzi: stiamo morendo di fisco, rinunciamo a incentivi


Il presidente di Confindustria interviene al Lingotto, agli Stati generali del Nord, organizzati dalla Lega.

Le imprese stanno morendo di fisco. A lanciare l'allarme è il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi che da Torino, dove partecipa agli Stati generali del Nord, organizzati dalla Lega. Il numero uno degli industriali lancia una proposta: sì a uno stop agli incentivi per le imprese senza futuro, ma il denaro risparmiato va utilizzato per ridurre il carico fiscale sulle spalle delle aziende. Secondo il rapporto Giavazzi - ricorda Squinzi - su 30 miliardi di incentivi, alle imprese private ne arrivano solo tre: «Sono il primo a dire toglietele in cambio di una sensibile riduzione del carico fiscale».

E' la richiesta del presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, che concorda con la proposta della Lega di eliminare i sussidi alle imprese decotte. Squinzi ha ricordato il recente rapporto di Confindustria, secondo il quale "l'incidenza della pressione fiscale sulle imprese è del 57% mentre in Germania è venti punti a meno". Il leader degli industriali critica in modo particolare l'Irap, "imposta maledetta che colpisce chi mette più cervello nel suo lavoro" facendo riferimento all'imposizione su ricerca e innovazione. Non sono d'accordo sui contratti territoriali proposti dalla Lega, il contratto nazionale è ancora importante perché recepisce specificità e autonomia di categorie diverse".

Ancora una flessione della produzione industriale a settembre, con un -5,6% rispetto allo stesso mese del 2011 ed un -0,3% rispetto ad agosto. Nel terzo trimestre, si legge nell'indagine rapida del Centro Studi di Confindustria, il calo è stato dello 0,9% rispetto al secondo. "Il livello dell'attività industriale è molto basso e lontano da quello precrisi", spiega il Csc, sottolineando come comunque "i cali su base trimestrale si sono andati attenuando dall'inizio del 2012". "Il Csc - si legge - rileva un calo della produzione industriale dello 0,3% in settembre su agosto, quando è stata stimata una variazione nulla sul mese precedente. In base a tali stime nel terzo trimestre l'attività é diminuita dello 0,9% sul secondo. Il trascinamento al quarto é di -0,2%". Un quadro non positivo, ma, sottolinea il centro studi degli industriali, "i cali su base trimestrale si sono andati attenuando dall'inizio del 2012 e, se le stime del CSC verranno confermate dai dati ufficiali, la variazione durante l'estate sarà la meno negativa da un anno". Il calo su base mensile "é calcolato sui dati corretti per i giorni lavorativi che quest'anno sono risultati due in meno non solo rispetto all'anno precedente ma anche rispetto al normale calendario. Ciò può avere artificiosamente alzato la statistica dell'attività in settembre e, conseguentemente, potrebbe influenzare in negativo quella di ottobre". Anche gli ordini in volume "sono stimati in decremento: -0,6% su agosto e -1,3% sui dodici mesi. Il mese scorso erano diminuiti dello 0,9% su luglio e dell'1,0% annuo". Infine, anche se "i recenti indicatori anticipatori hanno smesso di peggiorare", restano comunque "sui minimi dall'inizio del 2009".


Quasi un milione di nuovi poveri; 1.247.000 disoccupati in più; 421.000 nuovi cassa integrati: sono i numeri che hanno allargato l'area del disagio sociale ed economico presente in Italia. La causa, segnala la Cgia di Mestre che ha curato l'analisi, è la crisi economica che, a partire dal 2007, ha aumentato a dismisura la povertà assoluta, i senza lavoro e i cassa integrati a zero ore, con un effetto fortemente negativo sui consumi delle famiglie, in calo del 4.4%. Oltre a peggiorare le condizioni di vita delle fasce sociali più deboli del Paese, questa situazione di difficoltà ha fatto aumentare la spesa pubblica a sostegno di queste persone e diminuire i consumi. Tra il 2007 e l'anno in corso, i consumi reali delle famiglie italiane, al netto dell'inflazione, hanno registrato una flessione del 4,4%. Una contrazione che, chiaramente, ha avuto delle ripercussioni negative sui bilanci economici dei piccoli commercianti e degli artigiani. "Visto che nel 2012 è prevista una contrazione del Pil attorno al 2,5%, mentre nel 2013 la caduta dovrebbe attestarsi attorno allo 0,2% - osserva il segretario degli Artigiani di Mestre Giuseppe Bortolussi - è evidente che l'area del disagio socio-economico è destinata ad allargarsi, soprattutto nel Mezzogiorno che, sino adesso, è stata la ripartizione geografica che ha subito maggiormente gli effetti negativi della crisi". "Cosi come ci segnala sovente l'Istat - conclude Bortolussi - la povertà assoluta tende ad aumentare nelle famiglie monoreddito con un alto numero di figli o in quelle dove la persona di riferimento non risulta occupata. Visto che ci troviamo di fronte ad una crisi che è legata in particolar modo al calo dei consumi, se non verranno prese delle misure che consentiranno di lasciare più soldi in tasca alle famiglie italiane, difficilmente potranno ripartire gli acquisti, la produzione industriale e di riflesso l'occupazione". Dalla Cgia fanno notare che i dati relativi alla povertà assoluta si riferiscono al periodo che va dal 2007 al 2011.

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