sabato 1 giugno 2013

Studio Cgil: 13 anni per ritorno a Pil 2007 63 per l'occupazione


E' quanto rileva uno studio dell'Ufficio economico della Cgil in cui si simulano alcune ipotesi di ripresa, nell'ambito delle attuali tendenze e senza che si prevedano modifiche significative di politica economica. L'analisi e l'allarme del sindacato: ci vorrebbero tredici anni per ritornare al livello del Pil del 2007, e 63 anni per recuperare l'occupazione bruciata. Con un "Piano del Lavoro" occupazione recuperata in tre anni e il Pil in quattro.

Nello studio della Cgil. Serve un Piano del Lavoro per la crescita e l'occupazione", si simulano però alcune ipotesi di ripresa, nell'ambito delle attuali tendenze e senza che si prevedano modifiche significative di politica economica, sia nazionale che europea, per dimostrare la necessità di "un cambio di paradigma: partire dal lavoro per produrre crescita". Se quello delineato inizialmente è quindi lo scenario peggiore, lo studio Cgil prende in considerazione "ipotesi più ottimistiche" legate alla proiezione di un livello di crescita pari a quello medio registrato nel periodo 2000-2007, ovvero del +1,6%. In questo caso il risultato prevede che il livello del Pil, dell'occupazione e dei salari verrebbe ripristinato nel 2020 (7 anni dopo il 2013) mentre quello della produttività nel 2017 e il livello degli investimenti nel 2024 (12 anni dopo il 2013). Lo studio della Cgil calcola inoltre anche la perdita cumulata generata dalla crisi, cioè il livello potenziale di crescita che si sarebbe registrato nel caso in cui la crisi non ci fosse mai stata, e che è pari a 276 miliardi di euro di Pil (in termini nominali oltre 385 miliardi, circa il 20% del Pil).

Uno studio, quindi, funzionale alla Cgil per rivendicare la centralità del lavoro. "Per uscire dalla crisi e recuperare la crescita potenziale occorre un cambio di paradigma", osserva il segretario confederale della Cgil, Danilo Barbi, secondo il quale "per non attendere che sia un'altra generazione ad assistere all'eventuale uscita da questa crisi, e ritrovare nel breve periodo la via della ripresa e della crescita occupazionale, occorre proprio partire dalla creazione di lavoro".
Con la ripresa annunciata per il 2014 l'Italia impiegherà tredici anni per ritornare al livello del Pil del 2007, rivela lo studio dal titolo 'La ripresa dell'anno dopo - Serve un Piano del Lavoro per la crescita e l'occupazione'.

Se il Paese intercettasse la ripresa, quella stessa accreditata per il 2014 dai maggiori istituti statistici, ci vorrebbero esattamente tredici anni per ritornare al livello del Pil del 2007". E' quanto rivela uno studio della Cgil. "Anche se l'Italia intercettasse la ripresa - continua la sigla sindacale ci vorrebbero 63 anni per recuperare i livelli occupazionali del 2007. Solo nel 2076, quindi, si tornerebbe alle 25.026.400 unità di lavoro standard che c'erano sei anni fa".

Un Piano Nazionale. Lavoro, giovani ed Euro

La chiusura della procedura per deficit eccessivo"ci consente di avere più margine in parte nel 2013 ma soprattutto nel 2014" per combattere la disoccupazione giovanile, cui saranno destinate "tutte le disponibilità che ci saranno". Così il ministro del lavoro, Enrico Giovannini, dopo gli incontri di Bruxelles. Abbiamo indicato la disoccupazione giovanile come prioritaria e"siamo riusciti a far inserire il tema nel vertice di fine giugno", ha detto. Bisogna "aggiornare le regole sul mercato del lavoro e lo faremo spero entro l'estate". Il governo, dice, ha un "piano in tre mosse" per il lavoro giovanile,tagliando fisco e contributi.

Un Piano Nazionale contro la disoccupazione giovanile, prima del Consiglio europeo. Ad annunciarlo lo stesso Presidente del Consiglio Enrico Letta, incontrando Hermann Van Rompuy.  Questo, spiega il premier, anche per "dare più forza al Vertice" che sarà dedicato proprio al tema della lotta alla disoccupazione.

Il Piano nazionale, ha aggiunto,  per l'occupazione giovanile "sarà composto da molti interventi che toccano i problemi", tra i quali "l'istruzione e il Sud". Il Piano sarà varato  prima del Consiglio europeo di fine giugno, così che sia approvato dal Parlamento prima dell'estate e sia operativo nel secondo semestre dell'anno.
Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni è pari al 41,9% nel primo trimestre del 2012 (dati non destagionalizzati) raggiungendo, in base a confronti tendenziali, il massimo storico assoluto, ovvero il livello più alto dal primo trimestre del 1977. Lo rende noto l'Istat.

La disoccupazione nell'Eurozona ha toccato ad aprile il livello più alto mai raggiunto dal 1995: il 12,2% contro l'11,2 dell'aprile 2012. Stessa cosa per quella giovanile, arrivata a quota 24,4%. L'Italia, con il suo 40,5% di giovani disoccupati, è al quarto posto dopo Grecia, Spagna e Portogallo. Lo ha reso noto Eurostat. Nell'Ue a 27 il tasso di disoccupazione si è attestato ad aprile all'11% (lo stesso livello di marzo) contro il 10,3% di aprile 2012. Nell'Eurozona invece il nuovo record è stato determinato dall'incremento segnato rispetto al dato di marzo 2013, quando i senza lavoro sono risultati pari al 12,1%. In termini assoluti, l"esercitò dei disoccupati dell'Eurozona è arrivato a contare lo scorso mese 19,3 milioni di persone (26,5 nell'insieme del'Ue), 95mila in più rispetto a marzo e 1,6 milioni in più rispetto a dodici mesi or sono. I Paesi con i tassi più bassi sono Austria (4,9%), Germania (5,4) e Lussemburgo (5,6). Quelli in cima alla classifica dei disoccupati sono Grecia (27%), Spagna (26,8) e Portogallo (17,8). Nel complesso dell'Ue e rispetto a un anno fa, sono 18 i Paesi che hanno registrato una crescita dei senza lavoro, mentre in 9 c'é stata una flessione. Eurostat segnala poi che anche sul fronte della disoccupazione giovanile, ovvero degli under 25, ad aprile nell'Eurozona (ma anche nell'Ue, dove il tasso è arrivato al 23,5%) sono stati registrati nuovi record. Livelli così alti non erano mai stati toccati dal 1995, cioé da quando è stato avviato il monitoraggio Eurostat comparabile. Nel complesso, i giovani disoccupati nei 17 Paesi euro sono arrivati ad essere 3,6 milioni (5,6 nell'Ue), 188 mila in più rispetto a un anno prima quando il tasso di disoccupazione giovanile era del 22,6%. Germania, Austria e Olanda sono i Paesi con meno ragazzi senza lavoro, con percentuali comprese tra il 7,5 e il 10,6%. Prima dell'Italia, tra i Paesi con i tassi più alti, si collocano invece Grecia (62,5), Spagna (56,4) e Portogallo (42,5).

Ricette dei consulenti del lavoro per rilanciare l'economia el'occupazione

“Riduzione della pressione fiscale e contributiva allo scopo di liberare risorse economiche per lavoratori ed imprese, da impiegare in consumi ed investimenti; possibilità di far ricorso al sistema creditizio, pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione e possibilità di conguaglio immediato; rifinanziamento della CIG in deroga e assunzioni agevolate.

Sono queste le ricette che i consulenti del lavoro napoletani propongono per riavviare la macchina dell’economia e dell’occupazione”, ha spiegato il presidente dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Napoli Edmondo Duraccio.

“In questi anni, ha poi concluso, stiamo assistendo allo scempio del lavoro e della dignità dell’uomo. Il lavoro non deve essere più considerato una variabile indipendente del sistema economico: esso non ha colorazioni politiche e costituisce il fondamento della nostra Repubblica. E’ fondamentale ritrovare il dialogo tra le istituzioni, interrogandosi sulle cause della crisi economica ed occupazionale del paese”.

Estratto dal ilsole24ore.com.
Cancellazione dei requisiti che individuano le "vere" partite Iva introdotte dalla legge 92/2012; incremento a 8mila euro del limite economico annuo per il lavoro accessorio; abolizione dell'obbligo della causale per i contratti a termine sottoscritti fino al 31 dicembre 2016. Sono alcune delle proposte di modifica della normativa in vigore messe a punto dal Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro. Il documento parte dalla constatazione che la legge 92/2012 di riforma del mercato del lavoro (la legge Fornero"), «non ha centrato gli obiettivi occupazionali che si prefiggeva, forse perché pensata per un modello di mercato del lavoro già in espansione».

Al contrario si è verificato in particolare, un irrigidimento della flessibilità in entrata. A fronte di tale situazione i consulenti hanno individuato alcuni interventi che agiscono anche sulla riduzione del costo del lavoro. Per quanto riguarda i vincoli alla flessibilità in entrata introdotti dalla legge 92, le proposte sono rilevanti. Per le partite Iva si auspica la cancellazione dell'articolo 69 bis del Dlgs 276/2003, introdotto dalla riforma Fornero. Significa eliminare la possibilità di trasformare le prestazioni a partita Iva in collaborazione coordinata e continuativa se si verificano due di questi tre presupposti: rapporto superiore a otto mesi annui in due anni consecutivi; corrispettivo da partita Iva superiore all'80% dei corrispettivi annui complessivi del collaboratore sempre in due anni consecutivi; postazione fissa presso una sede del committente a disposizione del collaboratore.

Ritorno alla situazione prima della riforma anche per il contratto di associazione in partecipazione, che ha introdotto vincoli al numero di associati e al tipo di mansioni che si possono svolgere con questo tipo di rapporto. Per il tempo determinato, invece, si chiede la sospensione, fino alla fine del 2016, dell'obbligo di indicare la causale nonché dei periodi di sospensione obbligatoria tra due contratti (60-90 giorni in base alla legge 92, riducibili a 20-30 dai contratti collettivi rispetto ai 10-20 giorni prima della riforma). Meno vincoli anche all'apprendistato, per il quale devono essere eliminati i nuovi obblighi di stabilizzazione da parte delle aziende (50% degli apprendisti quando la legge sarà a regime), lasciando solo quelli previsti dai contratti nazionali. Per quanto riguarda la formazione, invece, si auspica la possibilità di standardizzare il percorso a livello nazionale, in modo da ridurre il puzzle oggi esistente in quanto ogni Regione può agire in modo autonomo. Sempre sul fronte della flessibilità, si propone l'innalzamento del tetto economico per lavoratore e per anno a 8mila euro per le imprese e gli studi professionali (oggi il tetto è di 5mila euro complessivi per il lavoratore che un tetto a 2mila se il committente è impresa o professionista). Inoltre si ritiene opportuno l'accorpamento giuridico di questo contratto con quello dell'impiego intermittente.

La realizzazione di tali interventi determinerebbe una sorta di balzo all'indietro, prima del 18 luglio 2012, data di entrata in vigore della legge 92. Oltre ad altri interventi relativi alla responsabilità solidale, al documento unico di regolarità contributiva e al contributo di fine rapporto che finanzia l'Aspi, i consulenti del lavoro ritengono opportuno introdurre uno sgravio fiscale di cinque anni (totale per retribuzioni fino a 40mila euro e al 50% fino a 80mila euro) per i lavoratori under 30 o over 50, nonché contributi ridotti per 3 anni se si stabilizza un dipendente a termine. Infine una riduzione di cinque punti percentuali del costo del lavoro a tempo indeterminato ottenibile tramite 12,2 miliardi di euro recuperati con una revisione delle tariffe Inail, la razionalizzazione del Fondo di tesoreria, utilizzo del 50% delle risorse recuperate dalla lotta all'evasione fiscale, la riduzione della spesa pubblica.
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