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martedì 18 ottobre 2016

Lavoro: i voucher, cosa sono e cosa succede in Europa



Con lavoro accessorio si è intende quelle prestazioni lavorative non riconducibili alle tipologie contrattuali tipiche del lavoro subordinato o del lavoro autonomo, ma caratterizzate da un limite prettamente economico e dal pagamento attraverso dei voucher.

Le prestazioni di lavoro accessorio sono le attività lavorative di natura occasionale che possono essere retribuite con i cosiddetti voucher lavoro per un totale massimo di 7.000 euro (netti per il lavoratore) nel corso di un anno solare (annualmente rivalutati), con riferimento a tutti i datori di lavoro.

I buoni lavoro o voucher sono un sistema di pagamento che si può utilizzare per il lavoro occasionale di tipo accessorio. Nati nel 2003 con l'intento di far emergere il lavoro nero, sono entrati in vigore nel 2008 e la riforma Fornero nel 2012 ne ha esteso l'uso a tutti i settori. Il Jobs Act e il successivo decreto correttivo ne hanno reso più trasparente l'utilizzo e meno facile l'abuso, con il via libero definitivo alla loro tranciabilità: per attivarli i committenti devono inviare un email o un sms 60 minuti prima dell'uso con tutti i dati anagrafici e il codice fiscale del lavoratore. La mancata comunicazione prevede sanzioni da 400 a 2.400 euro. Il valore di un voucher è di 10 euro (7,50 al netto) ma esistono anche buoni da 20 e da 50 euro. I buoni lavoro in Italia sono impiegati per lo più nel settore agricolo, ma sono diffusi anche nel commercio e nei servizi. Questo tipo di meccanismo è già usato dal 2004 da altri paesi come Belgio, Francia e Regno Unito soprattutto nel campo dei servizi di assistenza alla persona e familiari.

Un voucher vale 10 euro. E' inoltre disponibile un buono 'multiplo', del valore di 50 euro equivalente a cinque buoni non separabili e un buono da 20 euro equivalente a due non separabili. Il periodo di validità di quelli cartacei è fissato in 24 mesi. Il valore nominale è comprensivo della contribuzione (pari al 13%) a favore della gestione separata Inps che viene accreditata sulla posizione individuale contributiva del prestatore, di quella in favore dell'Inail per l'assicurazione anti-infortuni (7%) e di un compenso al concessionario (Inps) per la gestione del servizio pari al 5%. Il valore netto del voucher da 10 euro è dunque pari a 7,50 euro e corrisponde al compenso minimo di un'ora di prestazione, salvo che per il settore agricolo dove si considera il contratto di riferimento. Il valore netto del buono 'multiplo' da 50 euro, cioè il corrispettivo netto della prestazione, in favore del lavoratore, è pari a 37,50 euro; quello del buono da 20 euro è pari a 15 euro.

Il Jobs act aveva riservato l'acquisto in posta solo ai privati. In pratica, i datori di lavoro privati possono tornare ad acquistare i voucher negli uffici postali, per importi da 10 a 200 euro. L’ufficio può stampare il voucher telematico richiesto, oppure emettere un voucher cartaceo postale. Con un’unica transazione è possibile acquistare un numero massimo di cinque voucher pagando una commissione di acquisto pari a 1,50 euro più IVA. Per poter effettuare l’acquisto alle Poste, il datore di lavoro deve essere registrato sul sito dell’INPS.

E' bene ricordarlo che ai voucher acquistati alle Poste si applicano le stesse regole degli altri buoni lavoro relative alla preventiva attivazione con l’indicazione dei dati anagrafici del prestatore e del luogo di esecuzione della prestazione. Ricordiamo molto brevemente che il voucher contiene tutti gli elementi della retribuzione, compreso il 13% a favore della gestione separata INPS e il 7% all’INAIL. Il valore netto di un voucher normale da 10 euro, è pari a 7,50 euro, quello di un voucher da 20 euro è di 15 euro, il netto di un buono da 50 euro è pari a 37,50 euro.

I committenti imprenditori non agricoli o professionisti, che ricorrono a prestazioni di lavoro accessorio sono tenuti, almeno 60 minuti prima dell'inizio della prestazione di lavoro accessorio, a comunicare alla sede territoriale dell'Ispettorato nazionale del lavoro - mediante sms o posta elettronica - i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, il luogo, il giorno e l'ora di inizio e di fine della prestazione. Allo stesso obbligo, e con le stesse modalità, ma con riferimento ad un arco temporale non superiore a tre giorni, sono tenuti anche i committenti agricoli. Per chi non rispetta questo obbligo, si applica una sanzione amministrativa da 400 a 2.400 euro, moltiplicata per ciascun lavoratore per cui è stata omessa la comunicazione. Con la circolare n. 1/2016 del 17 ottobre, l'Ispettorato Nazionale del Lavoro fornisce le indicazioni operative per adempiere ai nuovi obblighi, allegando una lista di indirizzi di posta elettronica dove far pervenire le comunicazioni. Verrà successivamente emanato un apposito decreto con cui il ministero del Lavoro potrà definire l'uso del sistema di comunicazione tramite sms.

Per prestazioni di lavoro accessorio si intendono, con riferimento alla totalità dei committenti, attività lavorative che non danno luogo a compensi superiori a 7mila euro netti (9.333 euro lordi), da rivalutare annualmente. Fermo restando il limite complessivo di 7mila euro, queste attività non possono eccedere compensi annui di 2mila euro netti (rivalutati per il 2015 a 2.020 euro netti, 2.693 euro lordi) per ciascun singolo committente se imprenditore o professionista. I soggetti che percepiscono prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito (ammortizzatori sociali) possono svolgere lavoro accessorio in tutti i settori produttivi nel limite complessivo di 3mila euro netti (4mila euro lordi) di compenso per anno civile, da rivalutare annualmente.

Per il settore agricolo esistono particolari limiti. I voucher possono essere utilizzati con riferimento: a) alle attività lavorative di natura occasionale rese nell'ambito delle attività agricole di carattere stagionale effettuate da pensionati e da giovani con meno di 25 anni di età se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado, compatibilmente con gli impegni scolastici, ovvero in qualunque periodo dell'anno se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso l'università; b) alle attività agricole svolte a favore di piccoli imprenditori agricoli (reddito non superiore a 7.000 euro) che non possono, tuttavia, essere svolte da soggetti iscritti l'anno precedente negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli.

Da tempo il meccanismo dei voucher è stato sperimentato con successo in Belgio, Francia e Regno Unito soprattutto nel campo dei servizi di assistenza alla persona e familiari. Belgio: introdotti nel 2004 i titres-services permettono all'individuo di comprare servizi forniti da una società  Regno Unito: dal 2005 esistono i childcare vouchers, buoni per i servizi all'infanzia. Francia: introdotti nel 2006, combinando due sistemi di voucher preesistenti, i Cheque emploi service universel (Cesu), sono una forma di pagamento per lavori domestici e servizi di assistenza ai bambini. Nel 2009 sono stati introdotti i Titre emploi service entreprise (Tese): utilizzabile da piccole imprese per assumere e retribuire lavoratori occasionali. Austria in vigore dal 2006 i Dienstleistungscheck, una forma di pagamento per lavori.

Si precisa che lo svolgimento di prestazioni di lavoro accessorio non dà diritto alle prestazioni a sostegno del reddito dell'INPS (disoccupazione, maternità, malattia, assegni familiari ecc.), ma è riconosciuto ai fini del diritto alla pensione.

E' vietato ricorrere al lavoro accessorio per l’esecuzione di appalti di opere o servizi. In un prossimo decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali da emanarsi entro il 25 dicembre 2015, saranno individuate specifiche deroghe.

Per i buoni già richiesti alla data del 25 giugno 2015 si applicheranno fino al 31 dicembre 2015 le previgenti disposizioni che prevedevano un ricorso al lavoro accessorio nel limite dei € 5000 (5060 netti) per la totalità dei committenti e di € 2.000 per ciascun singolo committente.


martedì 16 giugno 2015

Reddito minimo over 55: cosa avviene in Europa


Uno dei maggiori argomenti di discussione nello scenario politico italiano è il reddito minimo, soprattutto con riferimento alla proposta di legge avanzata dal M5S. Tuttavia sono diverse le forze politiche che hanno avanzato proposte per realizzare l’introduzione di un’indennità a tempo indeterminato a favore delle fasce più povere.

L’Italia deve affrontare per uscire dalla crisi ma anche sostegno ai lavoratori che hanno perso il lavoro, faticando a trovarne un altro e senza i requisiti pensionistici: per gli over 55 (lavoratori compresi nella fascia di età tra 55 e 65 anni) prende forma il Piano INPS sul reddito minimo garantito, come anticipato dal presidente dell’istituto previdenziale, Tito Boeri.

Il ragionamento di Boeri parte dalla considerazione che, negli ultimi sei anni, le famiglie italiane che vivono sotto la soglia di povertà sono aumentate di un terzo, passando da 11 a 15 milioni. Sono dati che, secondo Boeri, fanno dell'introduzione di misure di lotta alla povertà la vera priorità del paese. In quest'ottica si inserisce il progetto, più volte sostenuto dal presidente dell'Inps, dell'introduzione di un reddito minimo garantito un incremento che si spiega col fatto che, chi perde il lavoro dopo i 55 anni, difficilmente riesce a ricollocarsi. Un reddito minimo che possa accompagnare queste persone alla pensione potrebbe svolgere una fondamentale funzione di assistenza.

In Francia, Germania, Regno Unito o Svezia sono previsti sussidi per supportare la ricerca di lavoro di una persona ed evitare di far precipitare nella povertà il disoccupato, con la possibilità di avere un reddito anche in caso di occupazioni saltuarie. Ecco come funziona il sostegno del reddito fornito ai senza lavoro o gli assegni di disoccupazione nei principali Paesi europei. L’Italia continua ad avere un sistema di tutela dalla disoccupazione più simile a quello della Grecia.

In Germania esiste ormai da dieci anni il reddito minimo garantito, che si chiama Arbeitlosgeld II, ovvero secondo assegno di disoccupazione. Quando una persona perde il lavoro riceve per un anno un assegno di disoccupazione, che poi si trasforma, riducendosi nell’importo, nell’indennità Hartz IV.

Chi invece non ha diritto all’assegno di disoccupazione può fare domanda per ottenere il sostegno al reddito garantito da Hartz IV. L’importo di riferimento erogato a un single è di 399 euro mensili, che devono coprire tutte le spese mensili di una persona con l’eccezione di affitto e riscaldamento, che vengono pagati dai comuni di residenza. Un beneficiario di Hartz IV con figli riceve un importo aggiuntivo compreso tra i 234 e i 320 euro. Questo sistema di tutela del reddito è stato criticato in Germania perché avrebbe introdotto la povertà per legge, visto il basso importo del sussidio. Hartz IV è un assegno che viene vincolato alla ricerca di lavoro, e i beneficiari sono sottoposti a controlli costanti che possono portare a corpose riduzioni dell’erogazione nel caso in cui si accerti la volontà di non trovare una nuova occupazione.

La Svezia ha un articolato sistema di tutela del reddito per chi non ha più un’occupazione, piuttosto simile alla Germania anche se ancora più orientato verso le politiche attive del lavoro. L’assegno di disoccupazione è suddiviso in tre programmi, Fas 1, Fas 2 e Fas 3, che coprono la persona alla ricerca di nuova occupazione. Nei primi 200 giorni il senza lavoro riceve un normale assegno di disoccupazione, con un importo pari al massimo all’80% del reddito medio dell’ultimo anno di lavoro. Questa prima fase scade dopo poco più di 6 mesi e scatta Fas 2. In questo periodo il disoccupato riceve ancora l’indennità normale di disoccupazione, che scende però ad un massimo del 70% del reddito medio dell’ultimo anno di lavoro, ma deve frequentare corsi di formazione, stage e seminari per l’avvio di una propria piccola impresa.

L’assegno di disoccupazione viene pagato su base giornaliera, per un massimo di cinque giorni a settimana ed è composto da un’indennità calcolata sul reddito da lavoro e da un ulteriore sussidio sociale. Se dopo 450 giorni dalla perdita del lavoro il disoccupato non ha trovato una nuova collocazione, scatta il controverso programma Fas 3, che il nuovo governo socialdemocratico di Stefan Löfven vorrebbe modificare. Fas 3 è un programma statale che paga le aziende per assumere disoccupati di lungo periodo, che però in numerosi casi ottengono retribuzioni con cui è difficile sopravvivere. In Svezia l’assicurazione contro la disoccupazione si finanzia in modo volontario, e i beneficiari di Fas che non hanno versato contributi a questo fondo possono ricevere solo i ben più bassi sussidi sociali.

In Francia esiste un sistema simile a quello della Germania e complessivamente più generoso. Chi perde il lavoro ha diritto all’assegno di disoccupazione, che si chiama Allocation d’aide au retour à l’emploi. Per accedere a questo beneficio bisogna aver perso il lavoro in modo involontario, esser iscritti alle liste di collocamento e rispettare il piano d’azione individuale per il ritorno al lavoro. Chi guadagna meno di 2042 euro lordi mensili ottiene il 40,4% del suo SJR, a cui si aggiungono 11,64 euro al giorno. Chi invece ha una retribuzione superiore ottiene il 57% del SJR. Il sussidio di disoccupazione  non può mai essere inferiore ai 28,38 euro al giorno, e non può essere mai superiore al 75% della retribuzione giornaliera. Chi invece ha esaurito il diritto alla disoccupazione, non vi può accedere vista la mancanza di versamenti contributivi oppure ha un reddito troppo basso può beneficiare del Revenu de solidarité active (RSA), il reddito di solidarietà attiva. RSA è un sussidio simile al tedesco Hartz IV, anche se meno severo nelle condizioni per ottenerlo – non ci sono riduzioni per chi non cerca lavoro in modo costante – e più generoso a livello economico. L’importo di riferimento per un persona single senza bambini è 510 euro al mese, che salgono a 916 euro al mese per chi ha 2 bambini.

Nel Regno Unito esiste un reddito minimo garantito e un assegno di disoccupazione che corrispondono ai due tipi di Jobseeker’s Allowance(JSA), l’indennità per chi è in cerca di lavoro, letteralmente. JSA (C) è un assegno di disoccupazione classico, finanziato dai contributi sociali. Vi può accedere chi ha versato per almeno due anni i contributi alla National Insurance, l’assicurazione nazionale del ministero del Lavoro britannico. L’importo di JSA (C) è determinato dai contributi versati, oltre alla situazione patrimoniale del beneficiario e da altri sussidi sociali ricevuti. Questo sussidio di disoccupazione ha un margine temporale limitato, solo 182 giorni, ovvero 6 mesi. Se invece una persona non ha versato contributi ed è in cerca di lavoro può beneficiare di JSA (IB), un reddito minimo garantito a cui si può accedere normalmente solo se si hanno risparmi inferiori alle 16 mila sterline. Sotto questo limite, per ogni 250 sterline di risparmi superiori alle 6 mila sterline il sussidio sociale viene ridotto di una sterlina a settimana. L’ammontare dell’assegno è di 87 euro a settimana per chi ha un’età compresa tra i 16 e i 24 anni o 69 euro per chi invece ha più di 25 anni. Come per JSA (C) l’erogazione di reddito dura 182 giorni per ogni periodo di disoccupazione e non può essere prolungata in modo automatico.

Difesa a spada tratta quindi del reddito minimo, seppur riservato ad alcune fasce: "La recessione è stata lo stress test per i nostri sistemi di protezione sociale. Non è affatto vero che quando ci sono degli shock così pesanti la povertà inevitabilmente debba aumentare", spiega Boeri, evidenziando che "dalla povertà ci si può tutelare con strumenti di protezione sociale, come il reddito minimo". La proposta fatta dagli uomini di Grillo è sicuramente la più conosciuta ed è stato il cavallo di battaglia dei pentastellati alle politiche di due anni fa. Originariamente, nella proposta redatta nel 2013, si prevedevano almeno 600 euro netti al mese che potevano crescere progressivamente in presenza di familiari a carico. La proposta presentata ora alza l’importo a 780 euro al mese, corrispondenti alla soglia di povertà certificata dall’Istat. Se il cittadino percepisce invece un reddito inferiore a tale importo, può richiedere un’integrazione fino al raggiungimento della soglia. A carico dei beneficiari sussiste l’obbligo di seguire percorsi di formazione professionale; l’indennità viene revocata in caso di rifiuto di almeno 3 proposte di lavoro ritenute congrue al profilo e alle competenze dell’interessato.



lunedì 30 marzo 2015

Costo del lavoro in Europa in Italia 28,30 euro



Italia a metà classifica in un’Europa più divisa che mai dal costo del lavoro. È la fotografia scattata da Eurostat, l’Istituto di statistica dell’Unione europea, che ha diffuso i dati del 2014 dei 28 Stati membri Ue. Agli estremi opposti stanno Bulgaria, con meno di 4 euro all'ora, e Danimarca (40,3 euro).

In Italia un’ora di lavoro costa mediamente a un’impresa 28,30 euro, meno della media dell’Eurozona (29 euro) ma più della media Ue (24,6 euro), che comprende Paesi molto meno cari per le imprese e dove quindi si tende a delocalizzare, come Bulgaria (3,8 euro per ora) o Romania (4,6 euro per ora). L’Italia però segna un incremento del costo del lavoro che è inferiore alla media sia dell’Eurozona che della Ue. Tra il 2013 e il 2014, il costo del lavoro in Italia è cresciuto dello 0,7%, a fronte di un incremento dell’1,1% nell’Eurozona e dell’1,4% nell'Ue.

In Italia il 28,2% del costo del lavoro è determinato da fattori non legati allo stipendio dei dipendenti, come i contributi pagati ai lavoratori. In questo l’Italia sconta una differenza competitiva nei confronti della Germania, dove i costi non salariali pesano solo per il 22,3% ma non della Francia (33,1%), che vanta un non invidiabile record europeo. Il nostro Paese è comunque il terzo più “caro” nella Ue per costi non salariali dei salari dietro appunto alla Francia, e alla Svezia (31,6%). Nei 19 Paesi membri dell’Eurozona i costi non salariali sono in media del 26,1%, e nei 28 Paesi dell'UE del 24,4%: i più bassi sono a Malta (6,9%) e in Danimarca (13,1%).

Sono quattro i Paesi in cui lo scorso anno il costo del lavoro è diminuito: Cipro, Portogallo, Croazia e Irlanda. Tre di questi sono Stati salvati dalla Ue e non è un caso, perché hanno subito un processo di “svalutazione interna” legato alle dure politiche di austerità cui sono stati soggetti. La svalutazione interna è un modo di rendere più competitivo il proprio export attraverso un abbassamento dei salari e un aumento della produttività; è quindi un’alternativa alla classica svalutazione della moneta, che non è possibile all’interno di un’Unione monetaria come l’Eurozona. Il caso più emblematico è la Grecia, dove il costo del lavoro orario era nel 2014 di 14,6 euro e sei anni prima di 16,8 euro.

Nella stessa Spagna, altro Paese duramente colpito dalla crisi ma che ora sta rialzando la testa con risultati oltre le aspettative, negli ultimi tre anni il costo del lavoro è rimasto praticamente invariato intorno ai 21 euro all’ora. I maggiori aumenti sono invece stati registrati in Estonia (+6,6%), Lettonia (+6%) e Slovacchia (+5,2%). L’Est Europa resta però molto lontano dalla vecchia Europa.

Europa divisa sul costo del lavoro orario che, nel 2014, oscillava tra i 3,8 euro della Bulgaria e i 40,3 euro della Danimarca. È la fotografia tracciata dall’Eurostat sul costo del lavoro, composto dalla componente salario e dai contributi. L’Italia si colloca intorno a metà classifica con 28,3 euro all'ora contro i 29 della media dell’Eurozona e i 24,6 della media Ue. La crescita annua del costo del lavoro italiano è stata dello 0,7%, inferiore al +1,4% medio Ue e all’1,1% della zona euro; il nostro Paese è però terzo per il peso della componente non legata al salario, come i contributi, che sono pari al 28,2%. Peggio, nel blocco dei 28 paesi, solo la Francia (33,1%) e la Svezia (31,6%). In fondo alla classifica Malta con il 6,9% e la Danimarca (13,1%). In Germania il costo del lavoro per ora è pari a 31,4 euro con un peso dei contributi al 22,3%.

Nel settore industriale l’Italia figura al di sotto della media dell’Eurozona (28 euro contro 31,8 euro) e sopra quella Ue (25,5 euro), nelle costruzioni si attesta sui 24,7 euro (25,6 la media dell’Eurozona e 22 quella Ue) e nei servizi a 27,2 euro (28 l’Eurozona e 24,3 l’Ue). Dove invece il costo del lavoro ha superato sia la media dell’Eurozona (28,9) che quella Ue (24,7) è il settore che raggruppa educazione, sanità, attività ricreative e altro: qui il dato segnalato da Eurostat per l’Italia è stato pari a 32,3 euro all’ora.



sabato 1 giugno 2013

Un Piano Nazionale. Lavoro, giovani ed Euro

La chiusura della procedura per deficit eccessivo"ci consente di avere più margine in parte nel 2013 ma soprattutto nel 2014" per combattere la disoccupazione giovanile, cui saranno destinate "tutte le disponibilità che ci saranno". Così il ministro del lavoro, Enrico Giovannini, dopo gli incontri di Bruxelles. Abbiamo indicato la disoccupazione giovanile come prioritaria e"siamo riusciti a far inserire il tema nel vertice di fine giugno", ha detto. Bisogna "aggiornare le regole sul mercato del lavoro e lo faremo spero entro l'estate". Il governo, dice, ha un "piano in tre mosse" per il lavoro giovanile,tagliando fisco e contributi.

Un Piano Nazionale contro la disoccupazione giovanile, prima del Consiglio europeo. Ad annunciarlo lo stesso Presidente del Consiglio Enrico Letta, incontrando Hermann Van Rompuy.  Questo, spiega il premier, anche per "dare più forza al Vertice" che sarà dedicato proprio al tema della lotta alla disoccupazione.

Il Piano nazionale, ha aggiunto,  per l'occupazione giovanile "sarà composto da molti interventi che toccano i problemi", tra i quali "l'istruzione e il Sud". Il Piano sarà varato  prima del Consiglio europeo di fine giugno, così che sia approvato dal Parlamento prima dell'estate e sia operativo nel secondo semestre dell'anno.
Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni è pari al 41,9% nel primo trimestre del 2012 (dati non destagionalizzati) raggiungendo, in base a confronti tendenziali, il massimo storico assoluto, ovvero il livello più alto dal primo trimestre del 1977. Lo rende noto l'Istat.

La disoccupazione nell'Eurozona ha toccato ad aprile il livello più alto mai raggiunto dal 1995: il 12,2% contro l'11,2 dell'aprile 2012. Stessa cosa per quella giovanile, arrivata a quota 24,4%. L'Italia, con il suo 40,5% di giovani disoccupati, è al quarto posto dopo Grecia, Spagna e Portogallo. Lo ha reso noto Eurostat. Nell'Ue a 27 il tasso di disoccupazione si è attestato ad aprile all'11% (lo stesso livello di marzo) contro il 10,3% di aprile 2012. Nell'Eurozona invece il nuovo record è stato determinato dall'incremento segnato rispetto al dato di marzo 2013, quando i senza lavoro sono risultati pari al 12,1%. In termini assoluti, l"esercitò dei disoccupati dell'Eurozona è arrivato a contare lo scorso mese 19,3 milioni di persone (26,5 nell'insieme del'Ue), 95mila in più rispetto a marzo e 1,6 milioni in più rispetto a dodici mesi or sono. I Paesi con i tassi più bassi sono Austria (4,9%), Germania (5,4) e Lussemburgo (5,6). Quelli in cima alla classifica dei disoccupati sono Grecia (27%), Spagna (26,8) e Portogallo (17,8). Nel complesso dell'Ue e rispetto a un anno fa, sono 18 i Paesi che hanno registrato una crescita dei senza lavoro, mentre in 9 c'é stata una flessione. Eurostat segnala poi che anche sul fronte della disoccupazione giovanile, ovvero degli under 25, ad aprile nell'Eurozona (ma anche nell'Ue, dove il tasso è arrivato al 23,5%) sono stati registrati nuovi record. Livelli così alti non erano mai stati toccati dal 1995, cioé da quando è stato avviato il monitoraggio Eurostat comparabile. Nel complesso, i giovani disoccupati nei 17 Paesi euro sono arrivati ad essere 3,6 milioni (5,6 nell'Ue), 188 mila in più rispetto a un anno prima quando il tasso di disoccupazione giovanile era del 22,6%. Germania, Austria e Olanda sono i Paesi con meno ragazzi senza lavoro, con percentuali comprese tra il 7,5 e il 10,6%. Prima dell'Italia, tra i Paesi con i tassi più alti, si collocano invece Grecia (62,5), Spagna (56,4) e Portogallo (42,5).

sabato 24 novembre 2012

Lavorare in Europa con gli stage: guida al manuale Isfol

Vediamo una guida pratica per chi vuole fare un tirocinio all’estero, il "Manuale dello stage in Europa" dell’ISFOL.

Innanzitutto mettiamo in evidenza un dato: nell'Unione europea ben l'87% degli studenti olandesi vanta da più di un decennio esperienze di stage contro appena il 22% degli studenti italiani. L'Isfol ha presentato il nuovo "Manuale dello stage in Europa", che contiene 31 schede paese, in cui si forniscono dettagliate indicazioni su come muoversi per cercare uno stage, contattare le aziende, preparare la documentazione, trovare un alloggio, conoscere il luogo di destinazione. Insomma un vademecum ideale per trarre il meglio dalle esperienze di tirocinio in Europa.

Per affrontare un tirocinio in Europa è necessario informarsi sulle diverse opportunità e sulle fonti disponibili, dai programmi europei Erasmus Placement e Leonardo da Vinci alle organizzazioni internazionali, dalle associazioni studentesche internazionali ai siti web specializzati.

Nel manuale pubblicato dall’ISFOL si sottolinea l´importanza di preparare "uno stage su misura". Da un lato è necessario informarsi sulle diverse opportunità e sulle fonti disponibili dall'altro è indispensabile preparare in maniera impeccabile i propri "biglietti da visita": la lettera di presentazione nello stile del Paese scelto e/o dell'azienda individuata e l'Europass Curriculum Vitae, corredato di certificati (anche linguistici), diplomi e via dicendo. Il tutto allo scopo di non farsi trovare impreparati per l'eventuale colloquio di selezione, l´intervista telefonica o l´assessment center.

Per quel che riguarda, invece, le schede paese, sono state arricchite di nuove informazioni sia sulle caratteristiche e le tipologie dei diversi tipi di stage offerti, sia sui possibili contatti a cui rivolgersi, in particolare per quanto riguarda le aziende e le associazioni che le rappresentano. Il Manuale, inoltre, offre anche alcuni esempi di grandi aziende internazionali che da anni utilizzano lo stage come principale metodo di selezione, nonché testimonianze di giovani italiani che hanno già fatto un tirocinio in Europa. E’ stata inoltre introdotta una nuova sezione dedicata alle imprese italiane presenti in ciascun paese esaminato, all’interno delle quali potrebbe essere strategico fare uno stage per poi essere presi maggiormente in considerazione una volta rientrati in Italia.

Le potenzialità di questo strumento non sono state ancora del tutto sfruttate in Italia. Infatti, a fronte di un tasso di disoccupazione giovanile al 35%, si riscontra un’insufficiente diffusione del tirocinio come parte integrante delle politiche del lavoro. come abbiamo ricordato sopra l’87% degli studenti olandesi vanta esperienze di stage contro il 22% di quelli italiani. Tuttavia, negli ultimi anni si riscontra anche da in Italia una maggior propensione a fare un’esperienza all’estero per arricchire le proprie opportunità professionali: basti ricordare che nel 2011 oltre 8.000 giovani hanno partecipato ad uno stage con i Programmi europei, oltre 6.000 con Leonardo da Vinci e più di 2.000 con Erasmus Placement.

Lo stage deve rappresentare un vero investimento per il futuro dei giovani, poiché non solo è una straordinaria occasione di crescita personale e professionale, ma è anche e soprattutto il miglior biglietto da visita per entrare nel mondo del lavoro.
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