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domenica 17 aprile 2016

Costo del Lavoro e Jobs Act un fallimento annunciato?


Gli incentivi monetari forniti alle imprese non si sono concretizzati in nuova occupazione a tempo indeterminato, ma hanno piuttosto favorito la trasformazione di contratti temporanei in contratti ‘permanenti’.

Se le misure del Jobs Act saranno realmente efficaci a lungo termine dal punto di vista della creazione di nuovo posti di lavoro è la domanda che in molti si stanno ponendo, soprattutto osservando i dati forniti dall’INPS relativi ai contratti di lavoro, hanno evidenziato che in particolare il contratto a tutele crescenti e decontribuzione, hanno alimentato una crescita dei posti di lavoro, soprattutto delle assunzioni a tempo indeterminato e dei voucher per il lavoro accessorio.

Questi risentono della riduzione degli sgravi contributivi previsti per chi assume nuovi lavoratori con contratto a tempo indeterminato, anche trasformando contratti a tempo determinato già in essere.
Tale riduzione è entrata in vigore nel 2016 e, di conseguenza, si è assistito ad un boom di assunzioni a tempo determinato a dicembre 2015, quando era ben noto il fatto che da gennaio i benefici sarebbero stati rimodulati, permettendo ai datori di lavoro di usufruire della “vecchia” decontribuzione. Sul totale delle nuove assunzioni a tempo indeterminato del 2015, quelle di dicembre rappresentano ben il 25%.

E’ legittimo chiedersi se questo boom di assunzioni e trasformazioni sia destinato a rimanere limitato e porsi domande sulla qualità della nuova occupazione e sulle prospettive di lunga durata dei contratti, una volta che si saranno esauriti gli sgravi. Vanno poi considerati i costi a carico dello Stato per questa misura, che sembra aver dato un impulso solo estemporaneo all’occupazione.
Ipotizzando che i datori di lavoro mantengano in essere tutti i contratti stipulati usufruendo degli sgravi per l’intero periodo di fruizione (36 mesi), il costo complessivo della misura risulterebbe pari a 22,6 miliardi di euro. O meglio 17 miliardi circa (5,7 miliardi di euro l’anno) considerando le maggiori entrate IRES dovute al fatto che i contributi fiscalizzati non sono più deducibili dal costo del lavoro.

Comunque in passato si è visto che non tutti i contratti a tempo indeterminato derivanti da trasformazioni di contratti a termine rimangono in essere per l’intero periodo di fruizione degli sgravi contributivi: tra il 2012 ed il 2014 il 40% dei contratti trasformati da tempo determinato a tempo indeterminato sono cessati entro i tre anni (Rapporto annuale sulle Comunicazioni Obbligatorie del Ministero del Lavoro). Ipotizzando quindi che 4 trasformazioni su 10 cessino prima dei 36 mesi e tutte le nuove attivazioni di contratti a tempo indeterminato durino invece l’intero periodo di fruizione, il costo complessivo per l’intero periodo di vigore della decontribuzione ammonterebbe a poco più di 18 miliardi, al lordo delle maggiori entrate IRES (quasi 14 miliardi al netto IRES).

Diversamente, ipotizzando uno scenario più realistico in cui oltre al 40% delle trasformazioni a cessare entro i 18 mesi sia anche il 20% delle nuove attivazioni a tempo indeterminato, il costo della misura per le Casse dello Stato sarebbe pari a circa 14,6 miliardi al lordo dell’IRES, quasi 11 miliardi al netto.

Un’indagine sulla forza lavoro ha confermato come l’incremento dell’occupazione, dopo l’introduzione del binomio Jobs Act-decontribuzione, è sostanzialmente debole e, in gran parte, dovuto a nuovi contratti a tempo determinato. Inoltre, l’aumento più sensibile dei contratti a tempo indeterminato sembrerebbe aver interessato le fasce più anziane (oltre 55 anni) di lavoratori e non le più giovani. L’occupazione giovanile e la variazione del tasso di inattività di questi ultimi sembrerebbe essere principalmente spiegato dalla recente introduzione del programma ‘Garanzia Giovani’ e dall’esplosione dei cosiddetti vouchers (come emerge con chiarezza dall’analisi delle fonti di natura amministrativa).

Quest’indagine mette ulteriormente in luce l’incapacità del Jobs Act di rispondere ai compiti che era stato chiamato ad assolvere, infatti mostra come tra il primo ed il secondo trimestre del 2015, in Italia, il 35% dei disoccupati ha smesso di cercare lavoro, transitando dalla disoccupazione all’inattività.

E’ vero che sono aumentati i contratti a tempo indeterminato ma è anche vero che l’incremento dei posti di lavoro è limitato e «solo alcuni dei disoccupati della crisi sono tornati a lavorare, mentre gli altri si sono ritirati dalla forza lavoro»: è un’analisi originale e argomentata dell’impatto del Jobs Act quella proposta da Tortuga.

In conclusione, il combinato disposto ‘Jobs Act’-decontribuzione si è rivelato, sin ora, inefficace in termini di quantità, qualità e durata dell’occupazione generata. Il potenziale effetto deflattivo di tali politiche, inoltre, rischia di contribuire ulteriormente all’indebolimento della struttura occupazionale ed industriale italiana, già gracile all’inizio della crisi del 2008 e pesantemente colpita da
quest’ultima.




lunedì 30 marzo 2015

Costo del lavoro in Europa in Italia 28,30 euro



Italia a metà classifica in un’Europa più divisa che mai dal costo del lavoro. È la fotografia scattata da Eurostat, l’Istituto di statistica dell’Unione europea, che ha diffuso i dati del 2014 dei 28 Stati membri Ue. Agli estremi opposti stanno Bulgaria, con meno di 4 euro all'ora, e Danimarca (40,3 euro).

In Italia un’ora di lavoro costa mediamente a un’impresa 28,30 euro, meno della media dell’Eurozona (29 euro) ma più della media Ue (24,6 euro), che comprende Paesi molto meno cari per le imprese e dove quindi si tende a delocalizzare, come Bulgaria (3,8 euro per ora) o Romania (4,6 euro per ora). L’Italia però segna un incremento del costo del lavoro che è inferiore alla media sia dell’Eurozona che della Ue. Tra il 2013 e il 2014, il costo del lavoro in Italia è cresciuto dello 0,7%, a fronte di un incremento dell’1,1% nell’Eurozona e dell’1,4% nell'Ue.

In Italia il 28,2% del costo del lavoro è determinato da fattori non legati allo stipendio dei dipendenti, come i contributi pagati ai lavoratori. In questo l’Italia sconta una differenza competitiva nei confronti della Germania, dove i costi non salariali pesano solo per il 22,3% ma non della Francia (33,1%), che vanta un non invidiabile record europeo. Il nostro Paese è comunque il terzo più “caro” nella Ue per costi non salariali dei salari dietro appunto alla Francia, e alla Svezia (31,6%). Nei 19 Paesi membri dell’Eurozona i costi non salariali sono in media del 26,1%, e nei 28 Paesi dell'UE del 24,4%: i più bassi sono a Malta (6,9%) e in Danimarca (13,1%).

Sono quattro i Paesi in cui lo scorso anno il costo del lavoro è diminuito: Cipro, Portogallo, Croazia e Irlanda. Tre di questi sono Stati salvati dalla Ue e non è un caso, perché hanno subito un processo di “svalutazione interna” legato alle dure politiche di austerità cui sono stati soggetti. La svalutazione interna è un modo di rendere più competitivo il proprio export attraverso un abbassamento dei salari e un aumento della produttività; è quindi un’alternativa alla classica svalutazione della moneta, che non è possibile all’interno di un’Unione monetaria come l’Eurozona. Il caso più emblematico è la Grecia, dove il costo del lavoro orario era nel 2014 di 14,6 euro e sei anni prima di 16,8 euro.

Nella stessa Spagna, altro Paese duramente colpito dalla crisi ma che ora sta rialzando la testa con risultati oltre le aspettative, negli ultimi tre anni il costo del lavoro è rimasto praticamente invariato intorno ai 21 euro all’ora. I maggiori aumenti sono invece stati registrati in Estonia (+6,6%), Lettonia (+6%) e Slovacchia (+5,2%). L’Est Europa resta però molto lontano dalla vecchia Europa.

Europa divisa sul costo del lavoro orario che, nel 2014, oscillava tra i 3,8 euro della Bulgaria e i 40,3 euro della Danimarca. È la fotografia tracciata dall’Eurostat sul costo del lavoro, composto dalla componente salario e dai contributi. L’Italia si colloca intorno a metà classifica con 28,3 euro all'ora contro i 29 della media dell’Eurozona e i 24,6 della media Ue. La crescita annua del costo del lavoro italiano è stata dello 0,7%, inferiore al +1,4% medio Ue e all’1,1% della zona euro; il nostro Paese è però terzo per il peso della componente non legata al salario, come i contributi, che sono pari al 28,2%. Peggio, nel blocco dei 28 paesi, solo la Francia (33,1%) e la Svezia (31,6%). In fondo alla classifica Malta con il 6,9% e la Danimarca (13,1%). In Germania il costo del lavoro per ora è pari a 31,4 euro con un peso dei contributi al 22,3%.

Nel settore industriale l’Italia figura al di sotto della media dell’Eurozona (28 euro contro 31,8 euro) e sopra quella Ue (25,5 euro), nelle costruzioni si attesta sui 24,7 euro (25,6 la media dell’Eurozona e 22 quella Ue) e nei servizi a 27,2 euro (28 l’Eurozona e 24,3 l’Ue). Dove invece il costo del lavoro ha superato sia la media dell’Eurozona (28,9) che quella Ue (24,7) è il settore che raggruppa educazione, sanità, attività ricreative e altro: qui il dato segnalato da Eurostat per l’Italia è stato pari a 32,3 euro all’ora.



martedì 6 gennaio 2015

Legge di Stabilità 2015 le novità per lavoro e pensioni



La Legge di Stabilità 2015, contiene "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato". La legge, che consta di un unico articolo e 735 commi, entra in vigore il 1° gennaio 2015, fatte salve specifiche decorrenze previste dalle singole norme.

A seguire proponiamo una sintesi con le principali novità concernenti i lavoratori per quanto concerne, in particolare, gli aspetti del mercato del lavoro e previdenziali, con qualche accenno ad alcune norme di carattere fiscale.

Bonus 80 euro: norme di stabilizzazione del bonus. Si prevede un 'intervento con l'obiettivo di stabilizzare le norme, aventi carattere di transitorietà, sul "Bonus 80 sia di importo superiore a quello della detrazione spettante, compete un credito rapportato al periodo di lavoro nell’anno che non concorre alla formazione del reddito di importo pari a:

1) 960 euro, se il reddito complessivo non è superiore a 24.000 euro;

2) 960 euro, se il reddito complessivo è superiore a 24.000 euro ma non a 26.000 euro. Il credito spetta per la parte corrispondente al rapporto tra l’importo di 26.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e l’importo di 2.000 euro. Ai fini della determinazione della soglia di reddito rilevante per l’attribuzione del Bonus 80 euro non si computano le riduzioni di base imponibile previste per i ricercatori che rientrano in Italia ; in sostanza, ai fini dell’attribuzione del bonus il reddito sarà considerato per intero. Sarà, infine, il sostituto d'imposta che riconoscerà al lavoratore in via automatica il credito spettante sugli emolumenti corrisposti in ciascun periodo di paga, rapportandolo al periodo stesso. Le somme erogate sono recuperate dal sostituto d’imposta mediante l’istituto della compensazione.

Incentivi per il rientro in Italia di ricercatori residenti all'estero. Il Legislatore interviene con l'allungamento dei periodi d’imposta nei quali si applicano le agevolazione fiscali in favore dei ricercatori che rientrano in Italia. Per la precisione la norma risulta modificata come segue: ai fini delle imposte sui redditi è escluso dalla formazione del reddito di lavoro dipendente o autonomo il 90% degli emolumenti percepiti dai docenti e dai ricercatori che, in possesso di titolo di studio universitario o equiparato e non occasionalmente residenti all'estero, abbiano svolto documentata attività di ricerca o docenza all'estero presso centri di ricerca pubblici o privati o università per almeno due anni continuativi e che dalla data di entrata in vigore del decreto legge n. 78/2010 ed entro i sette (e non più cinque) anni solari successivi vengono a svolgere la loro attività in Italia, acquisendo conseguentemente la residenza fiscale nel territorio dello Stato.

Tassazione buoni pasto. Elevata la quota non sottoposta a tassazione a euro 7 (da euro 5.29), se il buono pasto è reso in formato elettronico.

Deduzione del costo del lavoro dall’IRAP. Viene modificato l'art. 11 del D.lgs. n. 446/97 recante "Disposizioni comuni per la determinazione del valore della produzione netta". In sintesi le modifiche sono le seguenti:

viene ammessa in deduzione ai fini IRAP a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014, la differenza tra il costo complessivo per il personale dipendente a tempo indeterminato e le vigenti deduzioni spettanti a titolo analitico o forfetario riferibili sempre al costo del lavoro;

viene estesa l’integrale deducibilità IRAP del costo del lavoro per i produttori agricoli titolari di reddito agrario e a favore delle società agricole per ogni lavoratore dipendente a tempo determinato che abbia lavorato almeno 150 giornate ed il cui contratto abbia almeno una durata triennale;

viene introdotto un credito d’imposta IRAP nei confronti dei soggetti passivi che non si avvalgono di dipendenti nell’esercizio della propria attività, pari al 10% dell’imposta lorda determinata secondo le regole generali; il credito d’imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione.

TFR in busta paga. In via sperimentale, in relazione ai periodi di paga decorrenti dal 1° marzo 2015 al 30 giugno 2018, i lavoratori dipendenti del settore privato, esclusi i lavoratori domestici e i lavoratori del settore agricolo, che abbiano un rapporto di lavoro in essere da almeno sei mesi presso il medesimo datore di lavoro, possono richiedere al datore di lavoro medesimo di percepire la quota maturata del TFR, compresa quella eventualmente destinata ad una forma pensionistica complementare. Si procederà tramite liquidazione diretta mensile della medesima quota maturata come parte integrativa della retribuzione. Si applicherà alla predetta parte integrativa della retribuzione la tassazione ordinaria; quanto erogato non sarà imponibile ai fini previdenziali. Inoltre, soli fini della verifica dei limiti di reddito complessivo non si tiene conto dell’eventuale erogazione diretta della quota maturanda del TFR consentita dalla legge. La manifestazione di volontà, qualora esercitata, è irrevocabile fino al 30 giugno 2018.

Le presenti norme non si applicano nel caso di aziende sottoposte a procedure concorsuali/dichiarate in crisi

- per i datori di lavoro che abbiano alle proprie dipendenze meno di 50 addetti e non optino per lo schema di accesso al credito si applicano misure compensative di carattere fiscale e contributivo attualmente previste dall’articolo 10 del D.lgs. n. 252 del 2005 per le imprese che versano il TFR a forme di previdenza complementare ovvero al Fondo di Tesoreria istituito presso l’INPS, relativamente alle quote maturande liquidate come parte integrativa della retribuzione sopra descritte

- ai datori di lavoro che abbiano alle proprie dipendenze meno di 50 addetti, i quali optino per lo schema di accesso al credito, si applicano solo le disposizioni di cui al comma 2 dell’articolo 10 del D.lgs. n. 252 del 2005. I medesimi datori di lavoro versano un contributo mensile al Fondo di garanzia per l’accesso ai finanziamenti pari a 0,2 punti percentuali della retribuzione imponibile ai fini previdenziali nella stessa percentuale della quota maturanda liquidate come parte integrativa della retribuzione.

I datori di lavoro che non intendono corrispondere immediatamente con risorse proprie la quota maturanda possono accedere a un finanziamento assistito da garanzia rilasciata dal Fondo di garanzia per l'accesso al credito e da garanzia dello Stato, di ultima istanza. Il finanziamento è altresì assistito dal privilegio speciale in materia bancaria e creditizia.

Al fine di accedere ai finanziamenti: i datori di lavoro devono tempestivamente richiedere all’INPS apposita certificazione del TFR maturato in relazione ai montanti retributivi dichiarati per ciascun lavoratore e presentare richiesta di finanziamento presso una delle banche o degli intermediari finanziari che aderiscono all’apposito accordo-quadro da stipulare tra i Ministri del lavoro, dell’economia e l’ABI. Ai suddetti finanziamenti non possono essere applicati tassi, comprensivi di ogni eventuale onere, superiori al tasso di rivalutazione della quota di trattamento di fine rapporto lavoro.

Si prevede l'istituzione del Fondo di garanzia per l’accesso ai finanziamenti per le imprese con alle dipendenze un numero di addetti inferiore a 50, con dotazione iniziale pari a 100 milioni di euro per l’anno 2015. Gli interventi del Fondo sono assistiti dalla garanzia dello Stato quale garanzia di ultima istanza.

Norme sui requisiti contributivi per l'accesso alla pensione. Si tratta delle cd "penalizzazioni" legate al conseguimento della pensione anticipatamente rispetto alle decorrenze di legge: viene prevista l'eliminazione della relativa norma contenuta nella Riforma Fornero. In pratica, si fa riferimento ai soggetti che maturano il requisito di anzianità contributiva per l’accesso al trattamento pensionistico entro il 31 dicembre 2017 nei confronti dei quali non troveranno applicazione le penalizzazioni (riduzioni della pensione) previste per l’accesso alla pensione anticipata (ossia prima dei 62 anni). Nello specifico: sulla quota di trattamento relativa alle anzianità contributive maturate antecedentemente il 1° gennaio 2012 di tali soggetti non si applicano la riduzione percentuale pari ad 1 punto percentuale per ogni anno di anticipo nell’accesso al pensionamento rispetto all’età di 62 anni e di 2 punti percentuali per ogni anno ulteriore di anticipo rispetto a due anni.



venerdì 25 luglio 2014

Alitalia: referendum senza quorum, è scontro tra i sindacati



Non è stato raggiunto il quorum al referendum sui tagli al costo del lavoro in Alitalia: hanno votato 3.500 su 13.200 lavoratori. La Uilt dice che così l'accordo non è valido e chiede una nuova intesa, mentre Cgil, Cisl e Ugl sostengono che trattandosi di un referendum abrogativo, resta la validità degli accordi.' 'Abbiamo chiesto ai lavoratori e ai sindacati grande responsabilità ma i sindacati discutono su chi ha più iscritti, non sapendo che la prospettiva: futuro o baratro'', afferma il ministro Lupi. Oggi l'assemblea degli azionisti della compagnia è chiamata ad approvare il bilancio 2013 e l'aumento di capitale. Etihad nega di aver posto un ultimatum alla compagnia per chiudere l'accordo entro il 28 luglio.

Intanto l'assemblea degli azionisti di Alitalia ha approvato il bilancio 2013 e l'aumento di capitale. Lo ha riferito un azionista scendo dalla riunione, precisando che di Etihad non si è parlato. L'assemblea si è conclusa da poco dopo oltre cinque ore. L'assemblea degli azionisti di Alitalia ha deliberato un aumento di capitale fino ad un massimo di 250 milioni di euro da offrirsi in opzione ai soci in proporzione alla quota di capitale posseduta. Lo si legge in una nota al termine dell'assemblea.

Via libera dell'assemblea degli azionisti di Alitalia al bilancio d'esercizio 2013. Ma anche questa volta, come già nel cda del 13 giugno, nella nota diffusa al termine della riunione non vengono comunicati i risultati. Secondo le indiscrezioni che circolano, la perdita netta si aggirerebbe intorno ai 569 milioni.

Etihad: "Ribadendo l'efficacia degli accordi del 16-17 luglio", Alitalia evidenzia come "la coesione e la condivisione delle scelte da parte di tutte le sigle sindacali siano essenziali per il completamento con successo delle intese con Etihad". Lo afferma Alitalia in una nota. Alitalia, si legge nella nota, "ha appreso, con comunicazione delle organizzazioni sindacali, i risultati del referendum sugli accordi aziendali del 16-17 luglio scorso promosso dalla Uiltrasporti, che indicano 3.555 votanti su una popolazione aziendale di 13.190 unità, pari al 26,95%". "Va comunque segnalato come l'85% di coloro che hanno votato abbia espresso un consenso esplicito agli accordi. Ciò - prosegue la nota - a dimostrazione di quanto il personale della società, compresi i dirigenti che già dal mese di marzo hanno volontariamente offerto un contributo di solidarietà, stia comprendendo l'importanza cruciale del momento aziendale e dei passi decisivi da adottare per garantire il futuro".

"Non mi sembra che le Poste vogliano uscire dall'azionariato di Alitalia. Mi sembra che il cda abbia deliberato la strategicità dell'investimento". Lo ha detto il ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, commentando le voci su possibili nuovi partner nell'operazione Etihad-Alitalia."Abbiamo sempre detto all'Europa e a chi fa commenti contrari - ha aggiunto Lupi - che l'investimento di Poste era strategico e industriale e non un aiuto di Stato". Lupi ha sottolineato che il parere sull'accordo con Etihad "è assolutamente positivo ed è una grande sinergia. Bisogna che siano i soci a trovare le modalità con cui questa delibera possa diventare una grande opportunità". "Abbiamo sempre detto all'Europa e a chi fa commenti contrari - ha aggiunto Lupi - che l'investimento di Poste era strategico e industriale e non un aiuto di Stato".

"Il mancato raggiungimento del quorum, sulla base del Testo unico sulla rappresentanza e democrazia sindacale, conferma la validità degli accordi sottoposti a referendum". Lo afferma Alitalia in una nota.

Il referendum, secondo quanto riferito dalla Uilt, ha ottenuto 3000 sì e 500 no. In particolare, tra i naviganti (piloti e assistenti di volo), che sono complessivamente 5.400, il 97% ha votato no. "Non è stato raggiunto il quorum perché Cgil, Cisl, Ugl e azienda hanno voluto mortificare piloti e assistenti di volo", ha commentato Veneziani, sottolineando che "questo accordo non c'entra nulla con Etihad". "Adesso bisogna tornare al tavolo per firmare un accordo valido: questo non lo è", ha detto Veneziani, precisando che "la Uil non è contraria a dare 31 milioni". "Alla luce di questo risultato - ha aggiunto - faremo le nostre valutazioni e decideremo il da farsi".

"Trattandosi di referendum abrogativo, sulla base delle regole dell'accordo sulla rappresentanza, resta confermata la validità degli accordi". Lo affermano Filt Cgil, Fit Cisl e Ugl Trasporto Aereo a proposito dell'esito del referendum. L'accordo sui tagli al costo del lavoro Alitalia firmato solo da Cgil, Cisl, Ugl e Usb "non può essere applicato agli iscritti della Uilt, alle sigle non firmatarie e ai non iscritti". Lo afferma Marco Veneziani della Uilt alla luce del mancato quorum nel referendum, aggiungendo che "adesso bisogna tornare al tavolo e fare un nuovo accordo". "Quorum mancato accordo valido". Lo afferma il segretario generale della Fit Cisl Giovanni Luciano su twitter a proposito del referendum sull'accordo sul taglio al costo del lavoro. "Circa 30% votanti in 25 ore di seggio aperto con oltre 80% di sì", prosegue Luciano: "azienda vive - conclude - lavoro salvo". Air France Klm non parteciperà all'aumento di capitale di Alitalia. Lo ha dichiarato l'amministratore delegato del gruppo franco-olandese, Alexadre de Juniac, durante la presentazione dei risultati semestrali.

La Uil resta sulle barricate («Diffidiamo l'azienda dal prelevare soldi dalle retribuzioni dei nostri iscritti» - scrive il segretario generale della Uiltrasporti, Claudio Tarlazzi), mentre il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni parla di «referendum valido». E avverte: «La Uil sta giocando con il fuoco nel momento peggiore di Alitalia perché gli arabi possono anche fuggire».

Di diverso parere la Uil che non ha firmato l'accordo integrativo con i tagli sul costo del lavoro e ha invitato i lavoratori a non partecipare al referendum organizzato da Filt Cgil, Fit Cisl, Ugl e Usb . «Allo stato attuale, diffidiamo l'azienda dal prelevare soldi dalle retribuzioni dei nostri iscritti», ha affermato il segretario generale della Uiltrasporti Claudio Tarlazzi in una nota. Mentre il segretario generale Angeletti aggiunge: «Avevamo visto giusto: la data del 25 luglio, sbandierata da Alitalia come ultimativa, serviva solo contro i sindacati. Non commentiamo le incaute dichiarazioni dell'azienda - anche alla luce del fatto che ci sembra che l'80% dei lavoratori non condivida le sue scelte - perché non vogliamo fornire alibi né pretesti. Le nostre considerazioni le faremo solo dopo l'accordo con Etihad».

Mentre il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni parla di « referendum valido» in base a quanto dice «l'accordo interconfederale firmato dalla Uil». E avverte: «La Uil sta giocando con il fuoco nel momento peggiore di Alitalia perche' gli arabi possono anche fuggire». Etihad, continua Bonannni, «non è abituata ai bizantinismi italiani: qui c'é un nucleo di persone che vuole condizionare la nuova azienda, dobbiamo smettera di avere in Italia dei sindacati che scoraggiano gli investimenti».

Il referendum organizzato da Filt Cgil, Fit Cisl, Ugl e Usb sull'accordo contenente anche i tagli al costo del lavoro dell'Alitalia doveva raggiungere il quorum del 50% più uno dei lavoratori. Gli accordi integrativi prevedono risparmi sul costo del lavoro per 31 milioni di euro. Per la Uilt (che ha invitato gli iscritti a non partecipare al referendum definito «una farsa») gli accordi firmati dalle sole sigle Filt, Fit, Ugl e Usb non sono validi e per questo occorre ritornare al tavolo di trattativa per fare un nuovo accordo.

Spicca, in particolare l'astensione, pressochè totale, del personale navigante. Infatti, ha riferito Veneziani, dei 5.400 aventi diritto (di cui 1.800 piloti e gli altri assistenti di volo) non ha votato il 97%. Dei 3.500 voti, 3.000 sono stati i sì e 500 i no. «L'accordo - ha detto ancora Veneziani - è stato bocciato. Con queste intese si è voluto mortificare professionalità presenti in azienda. Noi avevamo già fatto le nostre proposte all'azienda e riconfermiamo la disponibilità a riaprire la trattativa».

E a chi gli chiedeva se il risultato del referendum possa avere ripercussioni in vista della definizione dell'accordo con la compagnia di Abu Dhabi, Veneziani ha precisato che «Etihad non c'entra nulla». «La questione dell'integrativo e dei risparmi risale a prima che cominciasse la trattativa con il vettore arabo ed è una questione posta soltanto dall'azienda», ha concluso.

Secondo Giovanni Luciano, segretario generale della Fit Cisl, nonostante il quorum sul referendum non abbia raggiunto il quorum, l'accordo è valido. In un tweet, ha spiegato, i votanti sono stati il 30% dei lavoratori dell'Alitalia, e di questi, l'80% si è espresso a favore dell'accordo. «Circa il 30% di votanti in 25 ore di seggi aperti - afferma Luciano - con oltre 80% di sì. Quorum mancato, accordo salvo».

In una nota congiunta i sindacati firmatari dell'accordo ricordano che, essendo una consultazione abrogativa, l'accordo firmato da Filt Cgil, Fit Cisl e Ugl é valido: «Trattandosi di referendum abrogativo, sulla base delle regole dell'accordo sulla rappresentanza, resta confermata la validità degli accordi».

Il ministro per le Infrastrutture e i Trasporti, Maurizio Lupi, in merito alla trattativa tra Alitalia ed Etihad ha inoltre precisato che «non c'é nessun ultimatum, c'é solo bisogno di chiarezza». E ha proseguito ricordando l'intera vicenda: «Non abbiamo lavorato inutilmente per sette mesi - ha detto - sette mesi fa Alitalia era sull'orlo del baratro. Lo Stato pagava il fallimento su un'azienda e si parlava non di 2.950 lavoratori messi in mobilità, ma di 13.000 lavoratori e dell'intero sistema aeroportuale italiano in ginocchio. Si é lavorato seriamente e trovato un grande partner internazionale, c'é una grande opportunità di sviluppo. Etihad non dà ultimatum, ha posto delle condizioni come é giusto che sia. A queste condizioni devono rispondere lavoratori e soci privati».

«Le Poste - ha infine ribadito il ministro Lupi, a margine della visita ai cantieri del Terzo Valico a Genova-Borzoli - non mi sembra che abbiano detto di voler uscire dall'azionariato. Mi sembra che il Cda di Poste abbia deliberato la strategicità dell'investimento e abbia detto che il parere sull'accordo con Etihad é assolutamente positivo ed é una grande sinergia».
Bisogna che siano i soci, ha aggiunto Lupi, «a trovare la modalità con cui questa delibera e questo parere possa diventare una grande opportunità. Abbiamo sempre detto all'Europa e a quelli che fanno commenti contrari che l'investimento di Poste era strategico e industriale e non era aiuti di stato».

«Etihad investe in Alitalia. Consideriamo positivamente questo investimento, anche perchè ci pare che vogliamo rafforzare le partnership di Alitalia». Lo ha detto il presidente di Air France-Klm, Alexandre de Juniac, durante una conferenza stampa. Il vettore, azionista di Alitalia con il 7,01%, non parteciperà comunque all'aumento di capitale da 200-250 milioni approvato ieri dalla compagnia italiana. «No», ha risposto seccamente de Juniac, interpellato a proposito della sottoscrizione dell'aumento. Air France-Klm quindi si diluirà ulteriormente nel capitale di Alitalia, di cui è stata prima azionista con il 25%.

venerdì 2 maggio 2014

Etihad Alitalia ipotesi taglio degli stipendi

Taglio degli stipendi da un minimo del 5% sulle retribuzioni tra 40 e 60 mila euro fino ad un massimo del 20% per chi supera i 200 mila, cancellazione delle indennità, blocco degli scatti di anzianità, rivisitazione delle ore a tempo parziale. Sono queste alcune delle misure con cui Alitalia punta a risparmiare circa 42-43 milioni sul costo del lavoro. I dettagli allo studio sono stati illustrati ieri dall'azienda nell'incontro con i sindacati. Ma secondo stime sindacali, questi tagli varrebbero invece 125 milioni.

Questi circa 40 milioni di ulteriori tagli al costo del lavoro (dopo gli 80 milioni dell'accordo per gli esuberi di metà febbraio) sono parte dei 150 milioni di risparmi che ancora mancano all'appello per raggiungere il nuovo target di 400 milioni l'anno (dai 300 milioni precedenti) del Piano industriale. Al momento, ha spiegato l'azienda, 250 milioni sono già stati implementati.

L'impatto del costo del lavoro, ha spiegato l'azienda ai sindacati, sarà per il 95% sul personale navigante e appena per il 5% sul personale di terra. A partire dal taglio degli stipendi, che scatta oltre i 40 mila euro annui, andando quindi ad interessare quasi esclusivamente il personale di volo: i tagli previsti sono progressivi e sono del 5% per gli stipendi da 40 a 60 mila euro, del 10% per quelli tra 60 e 100 mila euro, del 15% per la fascia 100-200 milioni e 20% per le retribuzioni superiori ai 200 mila euro.

In particolare, le misure allo studio per il personale di terra (area 'gorund' e handling), sono: flessibilità del regime di orario attraverso lo spostamento di due riposi al mese nei periodi di alta stagione con recupero nei periodi di bassa stagione; la possibilità di intercambiabilità di alcune figure; la definizione e riduzione del 'tempo tutà (attualmente di complessivamente 25 minuti); riduzione del 'superminimo ex ristrutturazionè (che oggi costa all'azienda 40 milioni di euro l'anno, è stato spiegato).

La lettera di Etihad è stata al centro dei colloqui tra la politica e le condizioni di Etihad per rilevare la compagnia di bandiera sulla base della lettera arrivata ieri ai vertici di Alitalia. "Qualsiasi alleanza - ha detto il ministro al termine dell'incontro - verrà valutata sulla base del Piano industriale, che non può che essere un piano di rilancio e di sviluppo" per Alitalia, "che deve tornare una grande compagnia internazionale". Lupi ha spiegato che quando sarà presentato il Piano di Etihad "sarà valutato sotto questo aspetto". "E' evidente a tutti - ha detto ancora Lupi - come il rilancio del sistema aeroportuale nel suo complesso è legato alla forza o meno della nostra compagnia di bandiera". Il ministro ha sottolineato come il destino di Alitalia sia associato a quello del sistema aeroportuale italiano.

Se Etihad sarà soddisfatta e investirà, la questione (di un investimento in Alitalia) tornerà a porsi per Air France-Klm ma al momento" è difficile prevederlo. Lo dichiara l'amministratore delegato del gruppo franco-olandese, in un'intervista a Les Echos. "Attendo con interesse di vedere cosa succederà", aggiunge il manager francese, ricordando che Air France-Klm ha "posto condizioni d'investimento simili a quelle di Etihad".

La lettera di Etihad dalla quale dipende il futuro di Alitalia. Sui contenuti resta ancora il massimo riserbo, in attesa che l'amministratore delegato Gabriele Del Torchio la illustri alle parti sociali, agli azionisti ed al Governo, come ha spiegato oggi il ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi, dopo aver annunciato lui stesso l'arrivo della lettera da Abu Dhabi.

Il prossimo appuntamento con i sindacati è per il 2 maggio, mentre non sono in programma riunioni del consiglio di amministrazione nei prossimi giorni. Sicuramente, sottolineano fonti vicine al dossier, la lettera, che conterrebbe le condizioni per chiudere l'accordo, rappresenta un "grandissimo passo avanti" verso l'intesa dopo la frenata della prima missiva arrivata a Fiumicino 10 giorni fa. La nuova lettera, infatti, definisce i contorni della trattativa e pone "le condizioni per portare avanti il negoziato", che è stato illustrato oggi dall'azienda ai sindacati, nel primo incontro dopo due mesi di stallo al tavolo sulla riduzione del costo del lavoro.

Un confronto che però è ripreso in salita, con le sigle dei trasporti che avvertono: no a nuovi sacrifici senza un accordo con Etihad, anche perché avverte Marco Veneziani della Uilt, è "molto difficile che Alitalia possa sopravvivere da sola". La linea aerea, però, ci prova e mette sul piatto, con un segnale che sicuramente non procurerà dispiaceri ad Etihad, tagli ai costi per 400 milioni di euro, un importo superiore ai circa 300 milioni annunciati a luglio 2013. E, stando a quanto riferito dall'azienda ai sindacati, ad oggi sono già stati risparmiati 290 milioni.

Restano invariati i numeri relativi ai tagli del costo del lavoro: 128 milioni, di cui ne mancano ancora all'appello 48 (si punterebbe al blocco di indennità e alla riduzione degli stipendi oltre i 40.000 euro). Nella lettera potrebbe esserci nero su bianco la cifra che Etihad intende versare nelle casse di Alitalia e che potrebbe essere salita fino a 560 milioni di euro, a fronte delle principali richieste della compagnia araba: in primis il nodo del debito, che Etihad vorrebbe rinegoziare per 400 milioni e su cui le trattative con le banche sarebbero ancora in corso.

La preoccupazione maggiore per i lavoratori riguarda le richieste sugli esuberi, di cui non si è parlato nell'incontro con i sindacati, che rimandano la trattativa sul tema ad un momento successivo alla presentazione del piano industriale di Etihad. Le cui richieste, comunque, dovrebbero essere più vicine a 2.000 esuberi che non a 3.000, con un forte coinvolgimento del personale di terra. Sul tema oggi è intervenuto a gamba tesa anche il presidente del Consiglio del piano Fenice, Silvio Berlusconi, ha rivendicato il salvataggio di Alitalia, "facendola restare italiana", ma ha sottolineato che ora Ryanair trasporta il triplo dei passeggeri con meno della metà del personale, indispettendo il ministro Lupi: l'intesa con Etihad è "la migliore risposta a Berlusconi, che non so se si è dimenticato di essere un imprenditore, quando ha proposto di licenziare 9.000 persone. Il che mi sembra una cosa impensabile''.

Tra le richieste di Etihad c'è inoltre la manleva sui contenziosi pregressi, oltre ad alcune misure infrastrutturali come l'alta velocità con Fiumicino e la liberalizzazione di Linate. "L'alta velocità negli aeroporti italiani non va portata perché ce lo chiede Etihad ma perché siamo un grande paese", ha spiegato sempre Lupi, mentre il destino di Linate continua a preoccupare le autorità lombarde.

giovedì 19 dicembre 2013

Lavoro,+2,4% costo in 3° trimestre 2013 posti vacanti è pari allo 0,4%



Il costo del lavoro nel 3° trimestre 2013 sale del 2,4%,spinto dagli oneri sociali,ovvero il complesso dei contributi a carico del datore di lavoro e degli accantonamenti di fine rapporto. Su base annua gli oneri sociali aumentano infatti del 3,5% -ha rilevato l’Istat  piegando come il rialzo delle retribuzioni lorde si fermi invece al 2%. Meno di 30mila i posti vacanti in industria e servizi,pari solo allo 0,4% dei circa 7 mln di dipendenti. Le ore lavorate per dipendente nel 3° trimestre sono diminuite dello 0,1% su base annua.

Tra luglio e settembre di quest'anno l tasso di posti vacanti è pari allo 0,4%, lo stesso livello registrato nello stesso periodo dello scorso anno, che corrisponde al minimo storico.

Sono meno di 30mila nell'industria e nei servizi. Lo ha comunicato l'Istat, rilevando quindi uno stallo, con riferimento ai settori dell'industria e dei servizi, spiegando che si tratta di quei posti di lavoro nuovi o già esistenti, purché liberi o in procinto di diventarlo, per i quali il datore di lavoro cerchi attivamente un candidato al di fuori dell'impresa.

Il costo del lavoro nel terzo trimestre del 2013 è salito del 2,4%, spinto dagli oneri sociali, ovvero il complesso dei contributi a carico del datore di lavoro e degli accantonamenti di fine rapporto. La voce degli oneri, infatti, è aumentata del 3,5%, sempre su base annua. L'Istat spiega come il rialzo delle retribuzioni lorde si fermi invece al 2,0%. Quindi sul costo del lavoro, somma delle retribuzioni lorde e degli oneri sociali, pesano più che i salari il carico dovuto, sottolinea l'Istat, 'alla recente introduzione di contributi aggiuntivi', a spese dei datori di lavoro, 'finalizzati al finanziamento di fondi per il sostegno al reddito dei lavoratori in caso di interruzione dei rapporto di lavoro'.

"Le ore lavorate per dipendente nel terzo trimestre 2013 diminuiscono, in termini destagionalizzati, dello 0,1% rispetto al trimestre precedente". Questo un altro passaggio dell'Istituto. Il tasso di posti vacanti nell'industria e nei servizi di mercato nel terzo trimestre 2013 "è pari allo 0,4%, invariato rispetto al terzo trimestre del 2012. L'incidenza delle ore di cassa integrazione guadagni (Cig) utilizzate è pari a 38,1 ore ogni mille ore lavorate, con una diminuzione di 3,2 ore rispetto allo stesso trimestre del 2012".

Il costo del lavoro nei Paesi Ocse è rimasto stabile nel terzo trimestre del 2013 rispetto al trimestre precedente, con una crescita della produttività del lavoro (0,4%) che ha leggermente superato l'aumento del costo del lavoro (0,3%).


sabato 5 ottobre 2013

Istat: il cuneo fiscale erode il 46% del costo del lavoro



Secondo le stime Istat: tasse e contributi nel Nord-ovest assorbono il 47,1% del costo del lavoro. Al Sud e nelle Isole la fetta scende al 44,4%.

La differenza tra il costo sostenuto dal datore di lavoro e la retribuzione netta del lavoratore, il cosiddetto cuneo fiscale e contributivo, è pari in media al 46,2%, ovvero a 14.350 euro. I contributi sociali dei datori di lavoro ammontano al 25,6% e il restante 20,6% è a carico dei lavoratori. Lo ha rilevato l'Istat con riferimento al 2010.

I dati resi noti dall'Istat mostrano in modo inequivocabile l'enorme peso del fisco sul lavoro. La differenza tra il costo sostenuto dal datore di lavoro e la retribuzione netta del lavoratore, il cosiddetto cuneo fiscale e contributivo, è pari in media al 46,2%, ovvero a 14.350 euro: i contributi sociali dei datori di lavoro ammontano al 25,6% e il restante 20,6% è a carico dei lavoratori.

Guardando alle cifre il cuneo nel Nord-ovest prende il 47,1% del costo del lavoro, invece al Sud e nelle Isole la fetta scende al 44,4%. Nel Nord-ovest, ha spiegato l’Istituto di statistica, "si riscontra il costo del lavoro mediamente più elevato, i contributi sociali dei datori di lavoro e le imposte sul reddito da lavoro dipendente sono più elevati, con una conseguente contrazione della quota di retribuzione netta a disposizione del lavoratore. Analizzando i diversi settori, i valori più bassi si registrano per l’agricoltura, mentre la quota più alta, pari ad oltre la metà del costo del lavoro (50,4%), si rileva per i dipendenti del comparto attività finanziarie e assicurative".


martedì 24 settembre 2013

Politiche del lavoro per il 2014. Ipotesi taglio del cuneo fiscale per un rilancio dell’occupazione



Il cuneo fiscale, ricordiamo, è la differenza tra il costo del lavoro (retribuzione lorda+oneri sociali) a carico dell’azienda e la retribuzione netta percepita dal lavoratore. Ed a tormentare è soprattutto la situazione  attuale del mercato di lavoro che si espone  in modo considerevole ai più giovani: nella fascia under 25, nonostante il calo di oltre un punto in un mese, si contano quasi due disoccupati su cinque (38,5%), anche se nei prossimi mesi l'Italia potrà contare su 1,5 miliardi di fondi Ue da destinare al piano garanzia giovani (youth guarantee)  per agevolare il loro ingresso nel mercato del lavoro.

Il problema principale sono le risorse necessarie per dare il via libera al taglio del costo del lavoro che riguarda tutte le fasce di età e che potrebbe spingere le imprese ad assumere a tempo indeterminato. A riguardo tra gli esperti in materia domina un forte scetticismo.  l governo del premier Letta sta cercando di mettere sul piatto 8 miliardi, anche se la cifra potrebbe essere inferiore e non è detto che alla fine sia sufficiente: il ministro dell’Economia del Lavoro Enrico Giovannini ha ricordato che per tagliare il costo del lavoro il governo Prodi mobilitò 5 miliardi di euro, ma "senza sortire gli effetti sperati".

La legge di Stabilità deve portare un taglio della tassazione su stipendi e pensioni, oppure "saremo costretti a riaprire una nuovo periodo di mobilitazione unitaria" è quanto ha sostenuto il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, : “questo sarà il punto dirimente, la misura di giudizio del provvedimento", ha affermato. "Il dibattito attuale - ha spiegato - non ci convince. Stiamo galleggiando, non ci si sta confrontando con il profilo del Paese e con le reali necessità dei cittadini. Non aggredisce il nodo fondamentale che è l’ingiusta distribuzione del reddito". Se il provvedimento "non cambierà il passo, saremo costretti a declinare", ha puntualizzato chiedendo l’apertura di un confronto tra Governo e parti sociali. "Se non si scioglie questo nodo non si potrebbe che procedere con una mobilitazione con Cisl e Uil. Non vogliamo seguire uno schema di galleggiamento c’è bisogno di risposte differenti".

Il sostegno all’occupazione deve avere come punti partenza. abbassare la pretesa contributiva e sul reddito di chi emergeva dal nero, incentivare i lavori autonomi invece di alzare i loro contributi come è stato fatto fino ad ora. Quello che continua a mancare è la capacità di abbassare le imposte sui lavoro e reddito: abbiamo un cuneo fiscale troppo alto, se ai contributi obbligatori per impresa e dipendente sommiamo Irap, Tfr e Inail, arriviamo al 53,5% della busta paga lorda, solo il Belgio ci supera col 55%.

Il costo del lavoro è una delle voci che più incide in modo significativo sulla competitività di un’azienda. Il direttore generale di Confindustria Marcella Panucci, ha sottolineato che «l’elevato livello del cuneo fiscale e contributivo sul lavoro e del carico fiscale sulle imprese ancora differenzia e penalizza il nostro Paese rispetto ai partner europei». Secondo i dati Ocse 2011, il cuneo fiscale in Italia è pari al 47,6%, un valore che è cresciuto negli anni e che ha subito un’impennata tra il 2010 e l’anno successivo pari al 4,2%. Se ci confrontiamo con gli altri Paesi europei, risultiamo al sesto posto dopo Belgio, Germania, Francia, Ungheria e Austria.

Scomponendo la parte a carico del lavoratore e quella a carico dell’impresa, si osserva che siamo tra quei Paesi in cui gli oneri a carico delle aziende sono maggiori rispetto alle trattenute dei lavoratori. Peggio di noi fa la Francia, ma in un contesto industriale differente, dove ad esempio il costo dell’energia è il 40% in meno rispetto al resto dell’Europa, tale da consentire alle aziende d’Oltralpe di reggere la concorrenza. Se si guarda il paese che sta guidando l’economia in d’Europa, si osserva che il cuneo fiscale è tra i più alti, ma a carico del dipendente. A fronte di 100 euro di retribuzione netta, un’azienda tedesca ne versa 32,9 di tasse mentre le trattenute del lavoratore sono 66,3. Se poi si prende in considerazione l’incidenza del cuneo fiscale sul costo del lavoro negli ultimi undici anni, si constata che in Germania è sceso del 6%, dal 52,9% al 49,8%, consentendo a Berlino di restare competitiva sui mercati mondiali.

Il taglio del cuneo fiscale potrebbe avere un duplice effetto: rilanciare la competitività delle nostre imprese e liberare risorse a vantaggio del lavoratore.

sabato 1 giugno 2013

Ricette dei consulenti del lavoro per rilanciare l'economia el'occupazione

“Riduzione della pressione fiscale e contributiva allo scopo di liberare risorse economiche per lavoratori ed imprese, da impiegare in consumi ed investimenti; possibilità di far ricorso al sistema creditizio, pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione e possibilità di conguaglio immediato; rifinanziamento della CIG in deroga e assunzioni agevolate.

Sono queste le ricette che i consulenti del lavoro napoletani propongono per riavviare la macchina dell’economia e dell’occupazione”, ha spiegato il presidente dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Napoli Edmondo Duraccio.

“In questi anni, ha poi concluso, stiamo assistendo allo scempio del lavoro e della dignità dell’uomo. Il lavoro non deve essere più considerato una variabile indipendente del sistema economico: esso non ha colorazioni politiche e costituisce il fondamento della nostra Repubblica. E’ fondamentale ritrovare il dialogo tra le istituzioni, interrogandosi sulle cause della crisi economica ed occupazionale del paese”.

Estratto dal ilsole24ore.com.
Cancellazione dei requisiti che individuano le "vere" partite Iva introdotte dalla legge 92/2012; incremento a 8mila euro del limite economico annuo per il lavoro accessorio; abolizione dell'obbligo della causale per i contratti a termine sottoscritti fino al 31 dicembre 2016. Sono alcune delle proposte di modifica della normativa in vigore messe a punto dal Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro. Il documento parte dalla constatazione che la legge 92/2012 di riforma del mercato del lavoro (la legge Fornero"), «non ha centrato gli obiettivi occupazionali che si prefiggeva, forse perché pensata per un modello di mercato del lavoro già in espansione».

Al contrario si è verificato in particolare, un irrigidimento della flessibilità in entrata. A fronte di tale situazione i consulenti hanno individuato alcuni interventi che agiscono anche sulla riduzione del costo del lavoro. Per quanto riguarda i vincoli alla flessibilità in entrata introdotti dalla legge 92, le proposte sono rilevanti. Per le partite Iva si auspica la cancellazione dell'articolo 69 bis del Dlgs 276/2003, introdotto dalla riforma Fornero. Significa eliminare la possibilità di trasformare le prestazioni a partita Iva in collaborazione coordinata e continuativa se si verificano due di questi tre presupposti: rapporto superiore a otto mesi annui in due anni consecutivi; corrispettivo da partita Iva superiore all'80% dei corrispettivi annui complessivi del collaboratore sempre in due anni consecutivi; postazione fissa presso una sede del committente a disposizione del collaboratore.

Ritorno alla situazione prima della riforma anche per il contratto di associazione in partecipazione, che ha introdotto vincoli al numero di associati e al tipo di mansioni che si possono svolgere con questo tipo di rapporto. Per il tempo determinato, invece, si chiede la sospensione, fino alla fine del 2016, dell'obbligo di indicare la causale nonché dei periodi di sospensione obbligatoria tra due contratti (60-90 giorni in base alla legge 92, riducibili a 20-30 dai contratti collettivi rispetto ai 10-20 giorni prima della riforma). Meno vincoli anche all'apprendistato, per il quale devono essere eliminati i nuovi obblighi di stabilizzazione da parte delle aziende (50% degli apprendisti quando la legge sarà a regime), lasciando solo quelli previsti dai contratti nazionali. Per quanto riguarda la formazione, invece, si auspica la possibilità di standardizzare il percorso a livello nazionale, in modo da ridurre il puzzle oggi esistente in quanto ogni Regione può agire in modo autonomo. Sempre sul fronte della flessibilità, si propone l'innalzamento del tetto economico per lavoratore e per anno a 8mila euro per le imprese e gli studi professionali (oggi il tetto è di 5mila euro complessivi per il lavoratore che un tetto a 2mila se il committente è impresa o professionista). Inoltre si ritiene opportuno l'accorpamento giuridico di questo contratto con quello dell'impiego intermittente.

La realizzazione di tali interventi determinerebbe una sorta di balzo all'indietro, prima del 18 luglio 2012, data di entrata in vigore della legge 92. Oltre ad altri interventi relativi alla responsabilità solidale, al documento unico di regolarità contributiva e al contributo di fine rapporto che finanzia l'Aspi, i consulenti del lavoro ritengono opportuno introdurre uno sgravio fiscale di cinque anni (totale per retribuzioni fino a 40mila euro e al 50% fino a 80mila euro) per i lavoratori under 30 o over 50, nonché contributi ridotti per 3 anni se si stabilizza un dipendente a termine. Infine una riduzione di cinque punti percentuali del costo del lavoro a tempo indeterminato ottenibile tramite 12,2 miliardi di euro recuperati con una revisione delle tariffe Inail, la razionalizzazione del Fondo di tesoreria, utilizzo del 50% delle risorse recuperate dalla lotta all'evasione fiscale, la riduzione della spesa pubblica.

venerdì 10 maggio 2013

Bce: subito le riforme sul lavoro


Sull’Eurozona pesano ancora rischi sulla crescita e per questo i banchieri centrali di Francoforte giudicano «fondamentale» proseguire nell’attuazione delle riforme strutturali. Nel bollettino di maggio della Bce si punta il faro in particolare sull’Italia, unico paese della periferia nel quale «la competitività non è migliorata dal 2008». Mentre la Bce nota che in alcuni paesi europei, come l’Irlanda, Spagna e Portogallo, dove in precedenza «i costi del lavoro erano andati aumentando a ritmi superiori a quelli medi europei», a partire dal 2008 invece «è in atto un processo di aggiustamento della competitività» del costo del lavoro.

La riforma del mercato del lavoro in atto in Italia - così come i provvedimenti adottati nello stesso campo da Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna - contempla «alcuni importanti provvedimenti volti ad accrescere la flessibilità delle strutture di negoziazione salariale e degli orari di lavoro, e a ridurre un’eccessiva tutela del posto di lavoro». Si tratta di misure che rappresentano «i primi passi verso il miglioramento delle dinamiche del mercato del lavoro e della competitività in questi paesi, e nell’area dell’euro nel suo insieme». In Italia la competitività di costo del lavoro «non è migliorata dal 2008», si legge nel bollettino della Bce, la quale rileva che già in alcuni paesi europei dal 2008 «è in atto un processo di aggiustamento della competitività, dove in precedenza i costi del lavoro erano andati aumentando in modo persistente e significativo e ritmi superiori a quelli medi europei».

I miglioramenti ottenuti con gli interventi dei governi sono «nel complesso incoraggianti», ma sul fronte delle riforme strutturali «sono necessari ulteriori sforzi».

Intanto, notizie cattive sul fronte dei prestiti bancari: si è registrata un’ulteriore stretta in Italia a marzo 2013, quando - si legge nella rilevazione periodica di Bankitalia - i prestiti delle banche al settore privato hanno registrato una contrazione su base annua dell’1,6 per cento (1,4 per cento a febbraio). I prestiti alle famiglie sono scesi dello 0,8 per cento sui dodici mesi (-0,7 per cento a febbraio); quelli alle società non finanziarie sono diminuiti del 2,8 per cento (-2,7 per cento a febbraio).
 

domenica 24 marzo 2013

ASPI tabelle contributive del 2013



Diffuse dall'Inps le tabelle contributive applicabili dal 1° gennaio 2013. Con il messaggio 4623 del 15 marzo 2013, l’Inps ha diffuso le tabelle con le aliquote contributive applicabili dal 1  gennaio 2013. Si tratta delle aliquote previste per i diversi settori nei quali operano le aziende che effettuano le rispettive attività, agricoltura inclusa, con personale dipendente.

Quest’anno le tabelle assumono un rilievo particolare dal momento che dal 1 gennaio 2013 è formalmente entrata in vigore l’Aspi per il cui finanziamento si preannuncia una contribuzione ripartita su tre distinti livelli: il contributo ordinario, quello aggiuntivo ed infine il contributo correlato all’interruzione di alcuni rapporti di lavoro.

Si ricorda che la contribuzione ordinaria è pari all’1,61%, ed è comprensiva della percentuale (0,30%) destinabile ai Fondi interprofessionali. Il costo del lavoro, per gran parte dei datori di lavoro, resta invariato in virtù della conservazione della medesima quota prevista sino al 31 dicembre 2012. Per altri invece può verificarsi una crescita, fissata dalla residua applicazione del cuneo fiscale.

Più salato è il costo del lavoro per chi si avvale di contratti non a tempo indeterminato. L'aumento è pari all'1,40%, decorre dal 1° gennaio e si paga per tutti i contratti, anche per quelli stipulati prima di quella data. Fanno eccezione, per espressa previsione della normativa, i lavoratori assunti in sostituzione, gli apprendisti, i lavoratori stagionali e i dipendenti delle pubbliche amministrazioni.

Nei confronti di quei datori di lavoro per i quali l’incremento previsto risulta pari all’intero 1,61% si annuncia una graduale uniformazione della contribuzione in un periodo quinquennale, ossia dal 2013 al 2017. Cresce ancora il costo del lavoro per quei datori che si avvalgono di forme contrattuali a tempo determinato: l’aumento in tal caso è pari all’1,40%, decorre dal 1 gennaio ed è previsto il pagamento per tutti i contratti, anche per quelli stipulati precedentemente la data fissata.

Si fa eccezione per i lavoratori stagionali, i lavoratori assunti in sostituzione, gli apprendisti e i dipendenti delle pubbliche amministrazioni. Il maggiore onere contributivo, in realtà, può essere in parte vanificato mediante la previsione aggiuntiva della restituzione del contributo versato nell’ultimo semestre in caso di trasformazione a tempo determinato alla scadenza.

Nelle tabelle Inps non sono indicati gli apprendisti. Anche questa particolare categoria di lavoratori è interessata ad aumenti. Prima di tutti va rilevato che l'1,61% si applica a tutti gli apprendisti anche se assunti da aziende che occupano (al momento dell'assunzione) sino a 9 dipendenti e per cui trova applicazione lo sgravio totale triennale. Può essere utile, a riguardo, ricordare che il computo dei lavoratori (per verificare se si può usufruire dello sgravio) va eseguito escludendo gli apprendisti, i lavoratori assunti con contratto di inserimento (Dlgs 276/2003); i lavoratori assunti con contratto di reinserimento (articolo 20 della legge 223/1991), i lavoratori somministrati, con riguardo all'organico dell'utilizzatore. Si deve, inoltre, tenere presente che il requisito occupazionale va determinato tenendo conto della struttura aziendale complessivamente considerata e che, ai fini dello sgravio, rileva il profilo soggettivo relativo alla formazione dell'apprendista.

sabato 2 marzo 2013

Crisi imprese: boom di protesti e sofferenze

Le piccole imprese italiane sono alle prese con un vero e proprio boom di protesti e sofferenze e almeno una su due non riesce più a pagare gli stipendi ai propri dipendenti ed è costretta a rateizzare o dilazionare i pagamenti, a causa della mancanza di liquidità. A lanciare l'allarme è la Cgia di Mestre, secondo cui, dall'inizio della crisi, i titoli di credito che alla scadenza non hanno trovato copertura sono cresciuti del 12,8%, mentre le sofferenze bancarie delle aziende hanno fatto registrare un'impennata spaventosa: +165%.

Alla fine del 2012 l'ammontare complessivo delle insolvenze ha superato i 95 miliardi di euro.
Nel 2012 la retribuzione lorda per dipendente nelle grandi imprese e il costo del lavoro sono aumentati, nel confronto con l'anno precedente, rispettivamente dell'1,2% e dell'1,1%. Lo rileva l'Istat nel confronto con il 2011. Lo scorso anno, quindi, la crescita dei salari è stata inferiore all'inflazione, pari al 3%.

Nel 2012 l'occupazione nelle grandi imprese, le aziende con almeno 500 lavoratori, scende dello 0,9% su base annua al lordo dei dipendenti in cassa integrazione. L'Istat mette in evidenza che al netto della cig il calo diventa pari all'1,6%. Si tratta di una nuova diminuzione, che si aggiunge e acuisce quella del 2011

sabato 29 ottobre 2011

Lavoro: costo del lavoro e analisi sul mercato del lavoro

Parliamo del costo del lavoro è il costo sostenuto dai datori di lavoro per la remunerazione delle attività lavorative. Il costo del lavoro comprende la retribuzione dei lavoratori dipendenti dell'impresa sia per le attività manuali che per le attività cosiddette intellettuali. Nel costo del lavoro sono comprese le retribuzioni lorde dei lavoratori e gli oneri sociali, ossia contributi sociali, previdenza, trattamento di fine rapporto ecc). Sono compresi nel costo del lavoro i ratei del Tfr e i permessi retribuiti maturati dal lavoratore in previsione di una futura monetizzazione. Il costo del lavoro è uno dei principali costi di produzione in una impresa ed è spesso la voce di costo più consistente.
Vediamo alcuni aspetti che gravano sui costi previsionali e non solo secondo i dati pubblicati dalla Confcommercio e Cgia di Mestre. Partiamo dai costi della rappresentanza politica che gravano sui bilanci familiari per una cifra pari a 350 euro l'anno, sicuramente è un costo . E' quanto emerge da un'analisi di Confcommercio che ritiene "indispensabile agire anche su questo fronte per ridurre la pressione fiscale su famiglie e imprese". L'associazione, che calcola il costo della politica in 9 miliardi l'anno, sottolinea che basterebbe il taglio di un terzo di questo "comparto" per abbassare di 0,8 punti percentuali l'aliquota Irpef. E d’altro canto, sostiene la Cgia di Mestre se durante il periodo della crisi, dal 2009 ad oggi, fosse stata applicata una norma sui licenziamenti “facili”, il tasso di disoccupazione in Italia sarebbe salito all'11,1%, anziché essere all'attuale 8,2%, con quasi 738 mila persone senza lavoro in più rispetto a quelle conteggiate oggi dall'Istat. Questo lo scenario delineato dalla Cgia di Mestre, il cui segretario, Bortolussi, ha precisato che si tratta di una stima fatta soltanto su quanti sarebbero stati espulsi dal mercato del lavoro dopo la cassa integrazione.
L’incremento dell’1,7% su base annua dei salari registrato dall’Istat potrebbe indurre in una trappola , infatti, aumentando le retribuzioni potrebbe crescere anche il potere d’acquisto degli italiani. Con più salari e più consumi, in genere riparte il mercato del lavoro e l’economia nel suo complesso . Ma questa volta non è stato così. Il surriscaldamento dei prezzi a settembre, che l’Istat calcola con un incremento dell’inflazione del 3% annuo, ha vanificato il pur consistente aumento delle retribuzioni.
Non accadeva dal 1997 che il divario tra salari e prezzi si attestasse a 1,3 punti percentuali. Un dato che non ha solo una valenza statistica, ma che evidenzia un fattore frenante per qualsiasi economia: la crescita dell’inflazione, senza però una conseguente crescita dei consumi. L’aumento dei prezzi al consumo sono il cruccio di tutte le banche centrali, Bce in testa. Non a caso la ventilata riduzione dei tassi d’interesse nell’Unione europea (che avrebbe dato fiato alle economie) è stata rinviata a data da destinarsi, proprio per il rischio di un trend inflattivo in crescita.
Quindi il costo del lavoro e dei lavoratori è ancora troppo alto è come è stato evidenziato nel rapporto ARAN, ha rallentato la dinamica del costo del lavoro pubblico nel 2009 rispetto al 2008. Sintonia sostanziale tra dati Aran e dati della Corte dei conti che, nel recente rapporto sul costo del lavoro 2011 (, evidenzia il significativo rallentamento della dinamica del costo del lavoro pubblico nel 2009 ed una significativa riduzione, nello stesso anno, del numero delle progressioni economiche e di carriera.
costo del lavoro, mercato del lavoro, Cgia di Mestre, Confcommercio
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