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venerdì 18 marzo 2016

Calcolo stipendi per lavoratori dipendenti, collaboratori e Partite IVA


Per avere un'idea più precisa della vostra retribuzione netta dovete sapere che il calcolo esatto è influenzato dai seguenti fattori detrattivi, ovvero i famosi contributi previdenziali quali IRPEF (imposta sul reddito delle persone fisiche), IVS (per l'invalidità, vecchiaia e superstiti, ovvero imposte per la pensione da versare all'INPS) e le imposte dovute per l'addizionale regionale e comunale. Al contrario, vi sono fattori che possono ridurre le detrazioni previste dal sistema contributivo: l'avere a carico una moglie, avere a carico figli, più o meno grandi e/o figli portatori di handicap sono fattori che influenzano positivamente la remunerazione mensile.

Per definire la busta paga mensile si parte dal trattamento economico annuale del personale, che è solitamente composto da 12 mensilità di uguale importo, da corrispondere posticipatamente al mese di riferimento. Per definire la retribuzione base, in base a esperienza, grado di responsabilità e autonomia, i lavoratori vengono associati a un livello (solitamente dal 1° al quadro) cui corrisponde una determinata indennità. I contratti collettivi di lavoro (CCNL) stabiliscono le retribuzioni minime relative ad ogni singolo livello di inquadramento.

In fase di contrattazione, al momento della stipula di un nuovo contratto, datore di lavoro e assunti concordano la retribuzione annua e solitamente si parla di lordo (RAL) ma ad essere concordato può essere anche il netto mensile; altre volte ad essere concordato è un aumento in busta paga, netto o lordo. In tutte queste situazioni, la corrispondenza tra stipendio netto e lordo segue precise regole, che cambiano in base a diversi elementi, ad esempio a seconda del rapporto instaurato: dipendente, di collaborazione o a partita IVA.

Per prima cosa definiamo le voci di salario non fisse, che contribuiscono a far variare il reddito netto:
aliquota IRPEF in base allo scaglione nel quale si ricade rispetto a lordo annuo e detrazioni spettanti;

aliquota contributiva applicata dall’Ente previdenziale di appartenenza;

addizionali  regionali, provinciali e comunali;

eventuale bonus in busta paga, per i dipendenti;

eventuali spese in deduzione per autonomi e professionisti (Partite IVA).

Tra gli altri elementi da considerare:

il regime fiscale nel quale rientra il collaboratore a partita IVA (contabilità ordinaria o Regime dei Minimi);

la quota INPS a carico del lavoratore, che in caso di contratto a progetto è pari ad 1/3 e in caso di  dipendente al 9,19% del lordo.

Dunque, per calcolare in maniera esatta il netto in busta paga è necessario conoscere tutti gli elementi specifici legati ai singoli contratti o inquadramenti particolari per autonomi e professionisti.

Sottolineiamo poi che, per il calcolo effettivo delle tasse che il lavoratore dovrà versare a fine anno, devono essere considerati anche gli altri eventuali altri redditi percepiti.

In ogni caso, per avere un’idea di massima di quello che sarà il netto in busta paga del collaboratore o del dipendente, è possibile calcolare una percentuale di ritenute (IRPEF, previdenza, TFR, etc.) che va dal 25% al 40%, crescente progressivamente con l’aumentare del reddito totale annuo del lavoratore.

Tra gli elementi variabili della busta paga rientrano: straordinari, indennità: per turni, per notturno, di disagiata sede, trasferta, sussidi e assegni per familiari a carico, tredicesima e quattordicesima, lavoro festivo, giorni malattia retribuiti, rimborsi e conguagli, premi.

La quota retribuzione per lavoro notturno, per esempio, nel 2016 è di nuovo tassata con l’imposta sostitutiva del 10% in luogo dell’ordinaria tassazione ad aliquote IRPEF progressive, indipendentemente dalla frequenza con cui il lavoratore viene impiegato nei turni di notte. Per premio di produzione si intende l’incentivo offerto ai dipendenti allo scopo di migliorare servizio e competitività dell’azienda. Vengono definiti obiettivi e programmi a carattere aziendale, di gruppo o individuali. Gli obiettivi, solitamente annuali, devono essere consegnati in tempo utile affinché si possa predisporre un’adeguata programmazione.

domenica 31 gennaio 2016

Liberi professionisti e Partite Iva: più tutele sul lavoro autonomo


Il Jobs Act per gli autonomi permetterà ai professionisti la integrale deducibilità “degli oneri sostenuti per la garanzia contro il mancato pagamento delle prestazioni delle prestazioni di lavoro autonomo fornita da forme assicurative o di solidarietà”. In sostanza, il professionista che paga un premio annuale al fine di ottenere un indennizzo assicurativo a fronte del mancato pagamento di una prestazione professionale resa, potrà dedurre integralmente la somma pagata alla compagnia assicuratrice. E’ prevista, inoltre, la detrazione integrale dai redditi di lavoro autonomo delle spese di formazione.

Ovvero i professionisti potranno considerare integralmente in detrazione dai redditi di lavoro autonomo le spese di formazione, con l’unico limite rappresentato da un plafond annuale di 10.000 euro. La deduzione integrale riguarda le spese per l’iscrizione a master e a corsi di formazione o di aggiornamento professionale, nonché le spese sostenute per l’iscrizione a congressi.

Ad essere rafforzate saranno anche le garanzie. Maggiori tutele ci saranno per maternità, infortuni e malattie. In caso di assenza prolungata, al massimo 150 giorni l'anno, per ragioni di salute, il rapporto non potrà essere interrotto, ma solo sospeso senza stipendio. L'indennità di maternità, poi, verrà pagata anche se la neo mamma continua a lavorare. A differenza di quanto avviene nel lavoro subordinato, infatti, spesso per una partita Iva non è possibile fermarsi per non mancare una scadenza.

Quanti lavoratori coprirà il Jobs act delle partite Iva? Secondo la Cgia di Mestre, in realtà, pochi. Gli autonomi sono in tutto 3,9 milioni, ma il provvedimento interessa solo quelli iscritti alla gestione separata dell'Inps, che non poco più di 220 mila, il 6% del totale.

Sul fronte del lavoro autonomo, il disegno di legge conferma la stretta sulle clausole abusive: si considerano illegittime quelle clausole che attribuiscono al committente la facoltà di modificare unilateralmente le condizioni di contratto o che fissano termini di pagamento superiori a 60 giorni. Si tutelano anche le invenzioni fatte dai lavoratori autonomi: si stabilisce che i relativi diritti di utilizzo economico spettino al professionista, e non al committente, che al più ne può trarre un vantaggio.

Ad oggi il lavoratore autonomo, in caso di continuativo e prolungato ritardo nell’adempimento del corrispettivo da parte del committente/cliente, si limita ad aspettare di ricevere il proprio corrispettivo potendosi rivolgere, al più, ai servizi di recupero crediti degli ordini professionali.

Il Ddl sul lavoro autonomo, invece, stabilisce che l’autonomo o il giovane professionista abbia la possibilità di rivolgersi alla compagnia assicurativa ed essere da questa soddisfatto, a seguito dell’avvenuta sottoscrizione di una specifica polizza il cui contenuto sarà regolamentato dalla legge.
Il premio annuale che verrà versato all’assicurazione per poter fruire di tale servizio sarà detraibile dalle tasse.

L’assegno di maternità per 5 mesi non sarà più vincolato alla sospensione dell’attività lavorativa, ma verrà erogato anche se la lavoratrice autonoma, come spesso accade, deve continuare a far fronte agli impegni presi. Inoltre, in caso di malattia grave, comprese quelle oncologiche, si potrà sospendere il pagamento dei contributi sociali fino a un massimo di due anni (recuperando poi con pagamenti rateizzati). Infine, ci saranno norme di tutela contrattuale per impedire clausole vessatorie (per esempio, modifiche unilaterali di quanto pattuito) e ritardi nei pagamenti da parte dei committenti.

Si rafforzano le tutele per professionisti e partite Iva: l'indennità di maternità si potrà ricevere pur continuando a lavorare (non scatta l'astensione obbligatoria); alla nascita del bambino si avrà diritto a un congedo parentale di sei mesi (entro i primi tre anni di vita); le spese per la formazione saranno deducibili al 100% (nel limite di 10mila euro l'anno); e in caso di malattia o infortunio il rapporto con il committente si sospende (non si estingue) per un periodo non superiore a 150 giorni.

Nel caso di nascita di un bambino il professionista e le partite Iva potranno percepire l’indennità di maternità pur continuando a lavorare (non è prevista, quindi, l’astensione obbligatoria dal lavoro). Inoltre, nei primi tre anni di vita del bambino sarà possibile ottenere un congedo parentale di sei mesi.
L’indennità sarà pagata dall’Inps a seguito di apposita domanda in carta libera corredata da un certificato medico rilasciato dalla Asl.

Qualora sussista una grave malattia tale da eccedere i 30 giorni, il professionista avrà la possibilità di non pagare i contributi previdenziali fino a un periodo massimo di 2 anni. L’arretrato potrà poi essere recuperato, ai fini contributivi, mediante versamenti rateali per un arco temporale che sarà pari al triplo di quello della sospensione dell’attività professionale dovuta alla malattia.


sabato 17 gennaio 2015

Partite Iva in fuga dalla gestione separata Inps



Il 2015 per freelance e partite Iva potrebbe essere l'anno della ampia fuga. Sempre  più autonomi pensano infatti di lasciare la gestione separata dell'Inps, dove attualmente versano i propri contributi previdenziali, perché la pressione si è fatta ormai insostenibile. Potrebbero emigrare verso altre casse dell'istituto, più favorevoli – come quelle di commercianti e artigiani – o abbandonarlo completamente: anche se sono opzioni non aperte a tutti.

Quindi il popolo delle partite Iva, 1,3 milioni di persone, è pronto a migrare verso altri lidi previdenziali, altre casse contributive meno onerose del’Inps: la riforma Fornero ha previsto l’aumento graduale dei contributi della gestione separata dal 27,72% del reddito fino al 33,72% (dal 2013 al 2018 quando la tassazione sarà a regime).

L’ultima legge di Stabilità ha nel frattempo revocato il congelamento di due anni degli aumenti, con l’aliquota che si attesta al momento al 30,72%. Troppo per l’esercito di lavoratori autonomi che comprende informatici, consulenti di marketing, di organizzazione o di qualità, traduttori, pubblicitari, formatori, comunicatori, creativi delle aziende editoriali e dei media, grafici, designer. A parte un 12-15% di partite Iva false, molti sono quelli che operano sul web o via telelavoro: e anzi, proprio tra questi ultimi, più per motivi fiscali che previdenziali, si starebbe diffondendo il fenomeno di spostare in modo fittizio la residenza all'estero, verso regimi più favorevoli, un po' come avviene già da tempo con le multinazionali.

Ci sono infine ingegneri, architetti o psicologi, in particolare quelli che non hanno la necessità di essere iscritti a un ordine per svolgere la propria attività, ma che sono rimasti in pochi: un gran numero di loro, negli anni passati, è già emigrato verso le casse dei rispettivi ordini professionali.

Per chi non ha un ordine di riferimento – con relativa cassa verso cui traslocare – le opzioni per fuggire dalla gestione separata sono varie . La prima è quella di accedere alle gestioni di commercianti e artigiani: sempre all’interno dell’Inps, ma con una contribuzione più bassa, determinando quindi una perdita netta di introiti per l’istituto.

Oppure si possono creare delle società di persone: in accomandita semplice (sas) o in nome collettivo (snc). O, ancora, si può ricorrere alla cessione dei diritti d’autore. I contributi versati alle diverse casse si possono unificare gratuitamente, tramite “totalizzazione” (differente è il caso della “ricongiunzione”, applicato ad alcune fattispecie, che invece prevede un onere).

Per fornire consigli, l'Acta, una delle associazioni più rappresentative, ha organizzato un vero e proprio workshop, che si terrà a Milano (ma anche in streaming, per chi non potrà esserci fisicamente), il 21 gennaio prossimo. E il nome del seminario è più che chiaro: “ Vuoi fuggire dalla gestione separata? ”.

Ma i motivi di protesta sul fronte previdenziale non si esauriscono qui. Si deve sapere infatti che la quota dedicata all'assistenza (maternità, congedi parentali, malattia) è una piccola parte dei contributi, quello 0,72% che resta fisso. Ebbene, uno studio di Acta  ha messo in evidenza che viene restituito in prestazioni solo la metà di quanto versato dai contribuenti, mentre – come nota la presidente dell'associazione di freelance – “se si utilizzasse per intero, potremmo avere la copertura per le malattie serie e lunghe, o per i congedi parentali degli uomini, che nella nostra categoria, non si sa perché, non sono previsti”. E il nodo malattia non è certo secondario: da tempo è nota la storia di Daniela Fregosi, lavoratrice autonoma ammalata di tumore, che ha voluto denunciare pubblicamente il proprio caso, spiegando che su questo piano le partite Iva sono del tutto scoperte.

I contributi versati alle diverse casse si possono unificare gratuitamente, tramite “totalizzazione” (differente è il caso della “ricongiunzione”, applicato ad alcune fattispecie, che invece prevede un onere). “Essendo spesso molto differenti i trattamenti fiscali di queste figure, è comunque sempre consigliabile rivolgersi al proprio commercialista”, consigliano le associazioni. E attenzione, valutare bene anche in base alla propria storia personale, ai progetti che si coltivano: se si vuole diventare mamma e si ha un reddito consistente, secondo Acta conviene comunque restare nella gestione separata Inps. E prima di intraprendere un nuovo percorso, si calcolino gli importi della futura pensione, e si consideri ad esempio se non sia il caso (finanze permettendo) di aggiungere un pilastro di previdenza integrativa.

Per molti piccoli lavoratori autonomi, per i quali l’apertura della Partita Iva ha rappresentato una forma di auto impiego con cui mettere sul mercato le proprie competenze e capacità lavorative in un Paese dove la disoccupazione è in aumento, si tratta della mazzata finale, che li metterà definitivamente fuori mercato per lasciarli tra l’alternativa di lavorare praticamente gratis, solo per pagare tasse e contributi, oppure chiudere la Partita Iva ed entrare nel magico mondo della disoccupazione, ovviamente senza nessun ammortizzatore sociale, senza nessuna tutela. C’è però anche un’altra via, anche se non proprio “opportuna”: quella di lavorare in nero.

Saranno questi gli effetti delle geniali politiche del lavoro e della previdenza condotte dai governi di crisi degli ultimi anni, quelli che da Mario Monti in poi avrebbero dovuto “salvare l’Italia” e che quando hanno messo mano alle riforme del mercato del lavoro l’hanno fatto come se vivessero su un altro pianeta. Esimi professori di Economia che di colpo si sono trasformati nella più impreparata delle matricole universitarie: senza una visione di insieme del mondo del lavoro e senza nessuna considerazione delle spinte più propulsive, creative e innovative provenienti da quella parte del mercato che raccoglie spesso persone preparate, creative e produttive, il cui talento viene ogni volta mortificato e la cui capacità lavorativa sfruttata per fare cassa.



martedì 6 gennaio 2015

Regime dei minimi per il 2015, i requisiti d'accesso al regime agevolato



È entrato in vigore il primo gennaio 2015 il nuovo regime dei minimi per le partite IVA: cambiano i requisiti per l'accesso al regime agevolato e si dà finalmente avvio alla prova dei nuovi minimi 2015 per mesi al centro delle polemiche, le cui discusse novità hanno decretato, negli ultimi giorni del 2014, una vera e propria corsa all'apertura delle partite IVA. Col varo della nuova riforma, vediamo dunque quali sono i requisiti per l'accesso al regime dei minimi 2015 e le prime istruzioni dell'agenzia delle entrate.

Ricordiamo che i professionisti che vorranno aprire Partita IVA col nuovo regime dei minimi dovranno attestarsi entro i 15mila euro di fatturato annui. Soglia reddituale alla quale si dovrà aggiungere un'imposta sostituiva al 15% e un'aliquota contributiva prevista per la gestione separata INPS al 33%. Tradotto, la soglia di povertà sarà più di una certezza, cosa che sta scatenando a raffica una serie di furenti reazioni.

Chi ha aperto Partita IVA col vecchio regime dei minimi, è bene ricordarlo, potrà continuare a fruire dell'impostazione agevolata ivi configurata (soglia di accesso a 30mila euro e imposta sostitutiva al 5%) sino al compimento dei 35 anni di età o sino al quinto anno di attività lavorativa realizzata sotto il regime agevolato.

Chi invece vorrà accedere al Regime dei Minimi 2015 avrà davanti una situazione ben diversa: 'Il ddl Stabilità compie una autentica confusione sul regime dei minimi, provocando un danno grave per molte centinaia di migliaia di partite IVA. L'aumento dell'aliquota al 15% e la riduzione per molte categorie della soglia massima per accedere al regime agevolato a 15mila euro rischia di rendere questo nuovo sistema inutile e spesso peggiorativo. Un esempio: un giovane professionista che aprirà la partita IVA dal 2015, a fronte di un reddito pari a euro 30.000 euro, sarà tassato con il regime ordinario con una tassazione pari a circa 7.000 euro rispetto a una tassazione di circa 1.500 euro che avrebbe avuto con il vecchio regime dei minimi'.

Le istruzioni dell'Agenzia delle Entrate precisano che sarà possibile accedere al nuovo regime dei minimi già da subito, contestualmente alla richiesta di apertura della partita IVA. Per fare ciò, le istruzioni dell'Agenzia delle Entrate specificano l'accortezza della casella

“Regime fiscale di vantaggio per l'imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità, previsto dall'art 27, commi 1 e 2 nel Dl n. 98/2011”, da barrare per avvantaggiarsi fin da subito di “un sistema di favore con meno adempimenti e meno imposte da pagare”.

Sempre sul comunicato dell'Agenzia delle Entrate, le istruzioni per l'accesso ricordano i vantaggi del nuovo regime: “nessuna ritenuta d'acconto da applicare ed esonero dal versamento dell'IVA”. Non ci sarà inoltre alcun limite temporale per la permanenza e nessun limite di età a vincolare l'accesso. Con i nuovi minimi 2015 inoltre, chi avvia nuova attività avrà diritto a una riduzione aggiuntiva di 1/3 del reddito imponibile per i primi 3 anni.

I contribuenti, per aderire al nuovo regime fiscale forfettario, devono semplicemente, quando chiedono l’apertura della partita IVA, barrare la casella prevista per l’adesione al precedente “Regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità, previsto dall’articolo 27, commi 1 e 2, del Dl 98/2011“. In questo modo, sottolinea l’Agenzia delle Entrate: «Le nuove partite IVA che intendono esercitare in forma individuale, con ricavi o compensi tra 15mila e 40mila euro (a seconda del tipo di attività economica), potranno avvantaggiarsi di un sistema di favore con meno adempimenti e meno imposte da pagare».

Per l'accesso ai nuovi minimi 2015 per chi intende aprire partita IVA e aderire dal nuovo anno, vediamo come stanno le cose per chi ha già aperto la partita IVA con il vecchio regime minimi, nel 2014 o negli anni precedenti esistono due opzioni:

applicare automaticamente il regime forfettario (salvo opzione per l'applicazione d'imposta sul valore aggiunto e delle imposte sul reddito nei modi ordinari),

oppure continuare ad avvalersi del regime agevolato per il periodo rimanente al completamento dei cinque anni previsti o del trentacinquesimo anno d'età.

Per chi intende aprire partita IVA o aderire al regime minimi nel 2015, i requisiti per l'accesso impongono le seguenti condizioni:

spese complessive per lavoratori dipendenti, associati in partecipazioni o parasubordinati per un importo inferiore a euro 5.000

spese per beni strumentali inferiori a euro 20.000

soglie di reddito variabili in relazione alle categorie di attività e codici ATECO da 15.000 a 40.000 euro

Considerati i requisiti d'accesso ai nuovi minimi 2015, vediamo invece i casi di esclusione:

regimi IVA speciali

regimi di determinazione reddito forfettari

contribuenti non residenti in UE o Norvegia/Islanda

coloro che effettuano in via esclusiva o prevalente cessioni di fabbricati/porzioni di fabbricato/terreni edificabili

esercizio di attività in società di persone, associazioni o srl trasparenti.


Professionisti, partite Iva, free-lance le tasse per il 2015



Anno nuovo, regole nuove. La legge di stabilità ha cambiato il regime agevolato per le «piccole» partite Iva, dal 2015 mini-imprese e professionisti dovranno fare i conti con un nuovo regime che vedrà un'imposta sostitutiva più alta (15% contro il 5% del precedente regime dei minimi) e con soglie di ricavi variabili a seconda dell'attività.

Il governo sostiene di aver ridotto, tramite la legge di Stabilità, di 800 milioni il monte-tassazione delle partite Iva. Ma è davvero così e il taglio interessa entrambi i segmenti del lavoro autonomo, quello tradizionale e quello di nuova generazione? Esaminando le tabelle allegate al provvedimento si viene a scoprire abbastanza agevolmente che 520 milioni (degli 800) serviranno a intervenire sui minimi contributivi di artigiani e commercianti, misura più che legittima ma che non ha niente a che vedere con il portafoglio di professionisti, chi lavora con partita IVA e freelance. Il resto delle risorse serve a coprire il cambio del regime dei minimi (per Irpef e Iva) con una platea allargata e che vede predominare in benefici dei commercianti.

Che cosa si può fare in concreto per venire incontro alle legittime esigenze delle partite Iva? A detta del sottosegretario all’Economia Enrico Zanetti si tratta di decidere se si vuole operare a “invarianza di risorse” oppure se siamo in grado di investire risorse aggiuntive.

Nel primo caso Zanetti propone di rinunciare agli interventi sui contributi previdenziali di artigiani e commercianti – che assorbono buona parte degli 800 milioni stanziati per gli autonomi – , di confermare le nuove soglie Irpef previste dalla legge di Stabilità per le varie tipologie di partite Iva e alzare però il forfait per professionisti e freelance da 15 mila a 30 mila, “applicando un’aliquota fiscale tra il 10 e il 12%”. Per operare queste correzioni si potrebbero usare i decreti attuativi della delega fiscale che potrebbero essere approvati entro marzo.

“Tra l’altro la delega fiscale è la sede più appropriata per modificare norme di questo tipo e caso mai si è sbagliato a usare la Stabilità”. E’ chiaro che in questo modo artigiani e commercianti farebbero un passo indietro e i freelance avrebbero un regime fiscale dei minimi più severo di quello di oggi (10-12% contro 5%) ma valido per sempre – e non solo per 5 anni – e senza tetti anagrafici.

Se invece il governo fosse in grado di reperire nuove risorse il passo indietro per la previdenza di artigiani e commercianti non sarebbe più necessario e si potrebbe finanziare con alcune centinaia di milioni di euro il rialzo dei minimi per professionisti e freelance tra i 25 e i 30 mila euro.

Quindi dal 2015 i freelance andranno incontro a un salasso. La legge di Stabilità rivoluziona il regime dei minimi, uno status agevolato destinato agli under 35. Con le vecchie regole, le giovani partite Iva pagavano il 5% di Irpef, a patto di guadagnare meno di 30 mila euro l'anno. Dal primo gennaio l'aliquota triplica: passa al 15%. Ma è solo l'inizio, perché 30 mila euro, a quanto pare, sono troppi. Il governo ha introdotto delle soglie differenti a seconda dell'attività svolta. Per pagare il 15%, i commercianti devono incassare meno di 40 mila euro. I giovani professionisti meno di 15 mila.

In altre parole: chi ha guadagni mensili anche meno che decorosi, sforerà. Per la Confederazione Italiana Libere Professioni del Lazio il nuovo regime dei minimi contenuto nella legge di Stabilità, se non avverranno modifiche comporterà un incre­mento della tassazione dei giovani professionisti del 500% circa. Su un reddito medio ipotizzato di 19 mila euro, se nel 2014 si paga­vano 900 euro di Irpef-sostituto d’impresa, con la riforma in arrivo nel 2015 si sbor­seranno oltre 4 mila euro. Su base men­sile que­sto signi­fica un taglio di 200 euro almeno su un red­dito men­sile da 1400 euro. Questo rove­scio riguarda i professioni­sti under 40, i coe­ta­nei del pre­si­dente del Consiglio. Il vecchio regime dei minimi aveva una tassazione unica al 5%, nella quale si ricomprendevano Irpef, addizionali e Irap. Il limite massimo di reddito era di 30mila euro, e le agevolazioni valevano per cinque anni o fino al compimento del 35esimo anno di età del professionista. La tassazione sale dal 5 al 15%, l’asticella dei 30mila non vale più se non per alcune professioni.

Ad essi poi si applicheranno i cosiddetti coefficienti di redditività, che andranno a definire il reddito su cui applicare l’aliquota del 15%. In pratica un professionista tipo avvocato o commercialista che dovesse ottenere introiti per 20mila euro, ossia il massimo consentito dalle tabelle, si vedrebbe applicare un coefficiente del 78%, con un reddito definitivo di 15.600 euro e una esborso fiscale di 2.340 euro. Stando così le cose, bisognerà valutare bene se converrà aderire al regime dei minimi, tenendo presenti i livelli massimi di reddito e il coefficiente di redditività della propria professione, oppure optare per il regime ordinario dove si pagheranno più tasse ma si potranno però dedurre le spese sostenute.

Cancellato invece il limite dei cinque anni, e questa sembra essere l’unica novità positiva. Chi già paga le tasse con il regime dei minimi avrà una fase transitoria che permetterà di mantenere l’attuale regime agevolato.

Inoltre il governo ha dato il via libera agli aumenti contributivi Inps per gli iscritti alla gestione separata. Una misura, prevista dalla Riforma Fornero e bloccata dai precedenti governi, che porterà l'aliquota dal 27 al 33% entro il 2018. Con un primo scatto oltre il 29% già dal primo gennaio del 2015.

I freelance iscritti ad alcune casse professionali, con aliquote che vanno dal 12 al 22%, sono un po' più fortunati. Gli iscritti all'Inps che rientreranno nel regime dei minimi, vedranno evaporare in tasse il 44% dei loro (bene che vada) 15 mila euro. Chi invece ha la colpa di avere una partita Iva e uno stipendio decente dovrà sopportare una pressione fiscale del 52% nel 2015 e del 56% nel 2018.

Secondo una elaborazione della Fondazione Hume ha calcolato gli effetti del nuovo sistema su un giovane professionista del terziario, ad esempio un consulente informatico, che abbia deciso di mettersi in proprio. Quindicimila euro di compensi l’anno, capitale iniziale di circa duemila (il minimo per un computer e uno smartphone). Se avesse aperto la partita Iva la settimana scorsa, l’imposta sostitutiva si sarebbe attestata a 450 euro. Così, decolla a 811. Un aumento superiore all’80 per cento.

L’altro profilo è quello di un giovane che avvia un’attività di vendita al dettaglio e viaggia sui venticinquemila euro di ricavi l’anno. Bisogna calcolare un 10mila euro di costi, inevitabili per chi inizia. Se con il «vecchio» regime dei minimi, attivato entro il 2014, l’imposta sostitutiva si fermava a 520 euro, con il nuovo forfait - stima la Fondazione Hume - l’importo sfiora i 700.



domenica 2 novembre 2014

Partite Iva e cocopro, come sono gli stipendi?


Iniziamo a vedere cosa bisogna sapere delle partita IVA.

Se il datore di lavoro vuole farti passare da un contratto di collaborazione alla partita Iva si sa che si perderà ogni tutela e buona parte dello stipendio.

Fino ai 35 anni si può usufruire del regime fiscale dei minimi, che consiste in una tassazione totale di circa il 33% di quello che guadagni, così divisi: 5% di Irpef e 28% di Inps. Questo discorso vale per chi ha la “gestione separata”, cioè tutti quei lavoratori generici che non usufruiscono di casse previdenziali di settore (come giornalisti, avvocati, commercianti) e con la clausola che i ricavi siano entro i 30.000 euro l’anno (per l’anno in corso il limite potrebbe aumentare a 65.000). Superati i 35 anni e i 30.000 euro di reddito l’Irpef sale dal 5% al 23% creando una pressione contributiva totale del 51%.

Alla pressione contributiva devi aggiungere gli acconti sulle tasse dell’anno successivo. Funziona così: tra giugno e agosto di ogni anno si  inizieranno a pagare le rate delle tasse relative alla dichiarazione dei redditi dell’anno precedente. Ma assieme a queste si dovrà pagare anche l’acconto sulle tasse dell’anno successivo. Questo acconto consiste nel 50% di quanto si ha appena pagato per le tasse.

In breve: se si ha dichiarato 21.000 euro di ricavi per il 2013 e pagato 7.000 euro (33%) di tasse? Bene, si dovrà pagare subito altri 3.500 euro, come acconto dell’anno successivo. Questa cifra verrà poi scalata dalle tasse che si ritroverà a pagare l’anno successivo. Ma non uno non se ne accorgerà neanche, perché l’anno successivo ci si ritroverà a pagare comunque l’acconto dell’anno dopo ancora.

La partita Iva per essere sostenibile prevede che svolgendo il proprio lavoro si abbia dei costi. La benzina per l’auto, metà di quanto spendi per l’affitto se lavori in casa, i biglietti del treno o di aereo, il ristorante: tutte queste cose si possono detrarre, ma non tutte al 100%. Hai ricavi per 21.000 euro l’anno? Bene, se hai avuto 6.000 euro di costi, il tuo reddito è di 15.000 euro, e su quelli pagherai un terzo di tasse (al regime dei minimi). Se nel tuo lavoro non hai costi aprire una partita Iva è difficilmente sostenibile. Facciamo un esempio: su un reddito lordo di 12.000 euro – i miseri mille euro al mese – ci si trova a dover pagare 4.000 euro di tasse più 2.000 di acconto e 1.000 (circa) di commercialista. Un totale di 7.000 euro di tasse, e in tasca ne rimangono meno della metà, 5.000. Oltre i 35 anni, poi, si paga molto di più.

Se si usufruisce del regime fiscale dei minimi si può detrarre un elenco molto ristretto di costi, diversamente da chi ha più di 35 anni, che paga un 51% di tasse (28% Inps + 23% Irpef) ma può detrarre molte più cose.

La cosa migliore che puoi fare è capire in anticipo, mese per mese, quanti costi si dovrà avere entro la fine dell’anno per abbassare il reddito, e pagare una cifra sostenibile di tasse.

Metti da parte un terzo (o più) dei tuoi guadagni dal primo momento: così facendo eviti il rischio, molto comune, di non rientrare più con le cifre una volta che inizierai a pagare le tasse.

Se per un anno un con partita IVA non lavora ed il fatturato è pari a 0 euro, oltre a non dover pagare il 5% di Irpef visto che sono un “minimo”, cosa dove versare? Se il contribuente è iscritto alla cassa artigiani o commercianti dell’Inps deve pagare il contributo annuale anche se il suo reddito è pari a zero. L’importo è di poco inferiore a 3.000 euro annui.

Se il contribuente è un libero professionista in caso di reddito negativo non deve pagare l’Inps. Se invece è iscritto alla cassa artigiani e/o commercianti deve comunque pagare il contributo sul reddito minimale (in 4 rate per un importo di poco inferiore a 3.000 euro annui). Se i contributi non vengono versati l’Inps applica una sanzione pari a circa il 10% della somma non pagata.


Adesso evidenziamo i dati dell'Inps illustrati a un convegno organizzato dall'Associazione 20 Maggio a raccontarci i veri disperati dalla busta paga pressoché inesistente, che siano collaboratori a progetto o partite Iva.

La media dei compensi di tutti i parasubordinati 2013 (dati Inps) è di 19mila euro lordi annui. E a parità di attività svolta, le donne guadagnano 11mila euro in meno rispetto agli uomini. Gli uomini, infatti, hanno redditi di 23.874 euro mentre le donne hanno una media di reddito di 12.185. Più colpite da questa discriminazione sono le fasce d'età dai 40 a i 49 anni, quindi, proprio le lavoratrici all'apice della carriera.

Con un compenso lordo medio di 18.640 il reddito netto di un lavoratore con partita Iva iscritto alla Gestione separata è di 8.679 euro annui e di soli 723 euro mensili. Va poi sfatato lo stereotipo per cui il lavoro parasubordinato sia un fenomeno solo giovanile e quindi transitorio. Se si osserva la composizione per fascia d'età, emerge che su 1.259mila lavoratori 607.198 hanno tra i 30 e i 49 anni (pari al 48% del totale) e il 33% ha superati i 50 anni. Il lavoro parasubordinato riguarda in prevalenza lavoratrici e lavoratori adulti e con famiglia.

Lo studio analizzato dal direttore dell'Associazione, Patrizio Di Nicola (Università La Sapienza di Roma), mostra anche il crollo degli occupati tra i parasubordinati. Il sito di Adepp, l’associazione degli enti previdenziali privati, riporta nel dettaglio la ricerca. «I collaboratori a progetto diminuiscono di 322mila unità dal 2007 al 2013, e nel solo 2012 passano da 647mila a 502mila, con una flessione di ben 145mila unità. Si tratterebbe di un fenomeno a cui, oltre la crisi, ha contribuito anche la riforma Fornero la quale imponeva, nel tentativo di aumentare il costo di questi contratti e favorire lo spostamento verso il lavoro dipendente, l'introduzione per i collaboratori dei minimi tabellari dei dipendenti».

Le collaborazioni coordinate continuative anche a progetto sono disciplinate dagli articoli da 61 a 69 del decreto legislativo n. 276/2003, che ne disciplinano, tra gli altri, diversi aspetti, quali:

la definizione ed il campo di applicazione;

la forma;

gli obblighi e diritti del lavoratore;

il regime di estinzione del contratto di collaborazione;

previsioni di conversione dei contratti di collaborazione.

All’indomani delle modifiche introdotte dalla L. n. 92/2012, l’art. 63 del D.Lgs. n. 276/2003 dispone:
che il compenso debba essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro eseguito in relazione a ciò e  alla particolare natura della prestazione e del contratto non può essere inferiore ai minimi stabiliti in modo specifico per ciascun settore di attività, eventualmente articolati per i relativi profili professionali tipici e in ogni caso sulla base dei minimi salariali applicati nel settore medesimo alle mansioni equiparabili svolte dai lavoratori subordinati, dai contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale a livello interconfederale o di categoria ovvero, su loro delega, ai livelli decentrati.

Se da più parti tali previsioni hanno destato qualche perplessità, in merito a come identificare i parametri di riferimento per la determinazione del corrispettivo (posto che le collaborazioni coordinate e continuative anche a progetto non costituiscono lavoro subordinato e che, salvo le poche e recentissime eccezioni, non hanno un CCNL) al comma successivo la norma è giunta “in soccorso” prevedendo che:

“in assenza di contrattazione collettiva specifica, il compenso non può essere inferiore, a parità di estensione temporale dell’attività oggetto della prestazione, alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi nazionali di categoria applicati nel settore di riferimento alle figure professionali il cui profilo di competenza e di esperienza sia analogo a quello del collaboratore a progetto”…

Se indubbio è l’interesse che queste previsioni hanno suscitato negli addetti ai lavori, altrettanto interessante è stata la specificazione del Ministero del lavoro (Circ. 22 aprile 2013 n. 7258) che relativamente ai criteri da seguire per la definizione del corrispettivo del collaboratore ha chiarito che il compenso non deve essere parametrato al tempo impiegato per realizzare il progetto, ma che tuttavia “l’elemento temporale rileva ai fini della valutazione circa la congruità dell’importo attribuito al collaboratore sulla base del contratto collettivo di riferimento.”

Ora, nella stessa nota il Ministero ha anche sottolineato il riferimento del nuovo art. 63 “ai minimi salariali applicati nello specifico settore alle mansioni equiparabili svolte dai lavoratori subordinati, in forza dei contratti collettivi sottoscritti dalle Organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, a livello interconfederale o di categoria ovvero, su loro delega, ai livelli decentrati”. Premesso che, a parere di chi scrive, la previsione di un corrispettivo parametrato ai minimi “salariali” parrebbe quanto meno inconsueta per le collaborazioni a progetto, che, di norma, attengono a prestazioni dal contenuto professionale elevato, a chiarimento del punto, la citata nota ricorda che laddove non si rinvenga una contrattazione per lo specifico settore, a parità di estensione temporale (che cos’è l’estensione temporale se non una sorta di orario di lavoro?) dell’attività oggetto della prestazione, si fa riferimento “alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi di categoria applicati nel settore di riferimento alle figure professionali il cui profilo di competenza e di esperienza sia analogo a quello del collaboratore a progetto”.

Se di indubbio interesse risultano le espressioni del legislatore e le precisazioni ministeriali su questi argomenti, non meno meritevoli di attenzione saranno le traduzioni operative da parte degli addetti ai lavori nella redazione pratica dei contratti a progetto, come anche il mantenimento delle collaborazioni a progetto nell’ambito delle prestazioni di carattere autonomo (seppur in coordinamento con il committente), vista la progressiva assimilazione sotto più profili alle forme del lavoro subordinato.



sabato 6 luglio 2013

Ministero del Lavoro: ispezionate oltre 65mila imprese

Boom delle collaborazioni irregolari (+84%) e della somministrazione illecita. Ma diminuisce di otto punti percentuali il lavoro nero. Edilizia e agricoltura i settori più interessati dal fenomeno.

Per l’esattezza sono 65.589 le imprese controllate nei primi tre mesi dell'anno dal ministero del Lavoro (assieme agli enti impegnati nell'attività di vigilanza e le forze dell'ordine): il 62% di queste sono risultate irregolari. Lo ha comunicato il ministero del Lavoro; ed Enrico Giovannini parla di «sforzo straordinario»; e ha ribadito l'impegno «per il raggiungimento degli obiettivi per l'anno 2013, circa 240mila ispezioni concentrate verso forme di irregolarità nella gestione dei rapporti di lavoro». Il ministro ha ricordato poi le misure contenute nel Dl76/2013 tra cui l'importanza attribuita alla tutela dei lavoratori sotto il profilo della regolarità contrattuale e in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.

A questo proposito, ha aggiunto Giovannini, il decreto prevede che la rivalutazione del 9,6% delle sanzioni in caso di irregolarità sia in parte utilizzata per progetti e azioni rivolti alla sicurezza. Diminuisce il lavoro nero.

Tra i risultati del primo trimestre, si rileva una diminuzione del lavoro nero (-8% rispetto al corrispondente periodo dell'anno precedente), con l'accertamento di 21.866 lavoratori totalmente sommersi. Per quanto riguarda l'incidenza del lavoro irregolare per settore, la maggiore concentrazione si conferma nell'edilizia (55% delle aziende ispezionate), in agricoltura (50%) e nel settore terziario e industriale (entrambi con il 46%).

Tra le varie tipologie di violazione, le forme di «decentramento produttivo» irregolare (appalto e somministrazione illecita) raggiungono i livelli più preoccupanti, con 4.900 violazioni (+96% degli illeciti rilevati rispetto all'analogo periodo dell'anno 2012). Seguito dall'utilizzo distorto di forme contrattuali (come le collaborazioni a progetto, partite Iva, associazioni in partecipazione), che interessano 5.227 lavoratori (+84%).

Quindi oltre sei imprese su dieci - su un campione di oltre 65mila sono risultate irregolari per quanto riguarda il trattamento dei dipendenti.

Nel ribadire l'impegno per il raggiungimento degli obiettivi per l'anno 2013, circa 240mila ispezioni concentrate verso forme di irregolarità nella gestione dei rapporti di lavoro, il ministro ha ricordato l'importanza attribuita alla tutela dei lavoratori sotto il profilo della regolarità contrattuale e in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. A questo proposito, ha ricordato Giovannini, il decreto del piano lavoro (76/2013) appena approvato prevede che la rivalutazione del 9,6% delle sanzioni in caso di irregolarità sia in parte utilizzata per progetti e azioni rivolti alla sicurezza.

Tra i risultati del primo trimestre, si rileva una diminuzione del lavoro nero (-8% rispetto al corrispondente periodo dell'anno precedente), con l'accertamento di 21.866 lavoratori totalmente sommersi. Per quanto riguarda l'incidenza del lavoro irregolare per settore, la maggiore concentrazione si conferma nell'edilizia (55% delle aziende ispezionate), in agricoltura (50%) e nel settore terziario e industriale (entrambi con il 46%).

sabato 1 giugno 2013

Ricette dei consulenti del lavoro per rilanciare l'economia el'occupazione

“Riduzione della pressione fiscale e contributiva allo scopo di liberare risorse economiche per lavoratori ed imprese, da impiegare in consumi ed investimenti; possibilità di far ricorso al sistema creditizio, pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione e possibilità di conguaglio immediato; rifinanziamento della CIG in deroga e assunzioni agevolate.

Sono queste le ricette che i consulenti del lavoro napoletani propongono per riavviare la macchina dell’economia e dell’occupazione”, ha spiegato il presidente dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Napoli Edmondo Duraccio.

“In questi anni, ha poi concluso, stiamo assistendo allo scempio del lavoro e della dignità dell’uomo. Il lavoro non deve essere più considerato una variabile indipendente del sistema economico: esso non ha colorazioni politiche e costituisce il fondamento della nostra Repubblica. E’ fondamentale ritrovare il dialogo tra le istituzioni, interrogandosi sulle cause della crisi economica ed occupazionale del paese”.

Estratto dal ilsole24ore.com.
Cancellazione dei requisiti che individuano le "vere" partite Iva introdotte dalla legge 92/2012; incremento a 8mila euro del limite economico annuo per il lavoro accessorio; abolizione dell'obbligo della causale per i contratti a termine sottoscritti fino al 31 dicembre 2016. Sono alcune delle proposte di modifica della normativa in vigore messe a punto dal Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro. Il documento parte dalla constatazione che la legge 92/2012 di riforma del mercato del lavoro (la legge Fornero"), «non ha centrato gli obiettivi occupazionali che si prefiggeva, forse perché pensata per un modello di mercato del lavoro già in espansione».

Al contrario si è verificato in particolare, un irrigidimento della flessibilità in entrata. A fronte di tale situazione i consulenti hanno individuato alcuni interventi che agiscono anche sulla riduzione del costo del lavoro. Per quanto riguarda i vincoli alla flessibilità in entrata introdotti dalla legge 92, le proposte sono rilevanti. Per le partite Iva si auspica la cancellazione dell'articolo 69 bis del Dlgs 276/2003, introdotto dalla riforma Fornero. Significa eliminare la possibilità di trasformare le prestazioni a partita Iva in collaborazione coordinata e continuativa se si verificano due di questi tre presupposti: rapporto superiore a otto mesi annui in due anni consecutivi; corrispettivo da partita Iva superiore all'80% dei corrispettivi annui complessivi del collaboratore sempre in due anni consecutivi; postazione fissa presso una sede del committente a disposizione del collaboratore.

Ritorno alla situazione prima della riforma anche per il contratto di associazione in partecipazione, che ha introdotto vincoli al numero di associati e al tipo di mansioni che si possono svolgere con questo tipo di rapporto. Per il tempo determinato, invece, si chiede la sospensione, fino alla fine del 2016, dell'obbligo di indicare la causale nonché dei periodi di sospensione obbligatoria tra due contratti (60-90 giorni in base alla legge 92, riducibili a 20-30 dai contratti collettivi rispetto ai 10-20 giorni prima della riforma). Meno vincoli anche all'apprendistato, per il quale devono essere eliminati i nuovi obblighi di stabilizzazione da parte delle aziende (50% degli apprendisti quando la legge sarà a regime), lasciando solo quelli previsti dai contratti nazionali. Per quanto riguarda la formazione, invece, si auspica la possibilità di standardizzare il percorso a livello nazionale, in modo da ridurre il puzzle oggi esistente in quanto ogni Regione può agire in modo autonomo. Sempre sul fronte della flessibilità, si propone l'innalzamento del tetto economico per lavoratore e per anno a 8mila euro per le imprese e gli studi professionali (oggi il tetto è di 5mila euro complessivi per il lavoratore che un tetto a 2mila se il committente è impresa o professionista). Inoltre si ritiene opportuno l'accorpamento giuridico di questo contratto con quello dell'impiego intermittente.

La realizzazione di tali interventi determinerebbe una sorta di balzo all'indietro, prima del 18 luglio 2012, data di entrata in vigore della legge 92. Oltre ad altri interventi relativi alla responsabilità solidale, al documento unico di regolarità contributiva e al contributo di fine rapporto che finanzia l'Aspi, i consulenti del lavoro ritengono opportuno introdurre uno sgravio fiscale di cinque anni (totale per retribuzioni fino a 40mila euro e al 50% fino a 80mila euro) per i lavoratori under 30 o over 50, nonché contributi ridotti per 3 anni se si stabilizza un dipendente a termine. Infine una riduzione di cinque punti percentuali del costo del lavoro a tempo indeterminato ottenibile tramite 12,2 miliardi di euro recuperati con una revisione delle tariffe Inail, la razionalizzazione del Fondo di tesoreria, utilizzo del 50% delle risorse recuperate dalla lotta all'evasione fiscale, la riduzione della spesa pubblica.

domenica 12 agosto 2012

Riforma del lavoro 2012: le regole per collaboratori a progetto, apprendisti e partite iva


Il lavoro autonomo svolto nelle varie forme contrattuali (a progetto, contratti di associazione in partecipazione e partite Iva) conserva un legittimo ambito di applicazione sostanzialmente nel terziario e in via residuale, e solo per le alte qualifiche, nel settore dell'industria e del commercio. Al contrario, scompare totalmente nelle attività artigianali, agricoltura e nel settore edile.
Sembra questa una prima valutazione degli impatti della riforma del lavoro Monti Fornero nell'ambito dei settori economici se si analizzano le novità riferite alla flessibilità in entrata.
Le norme che maggiormente incidono su questo fronte sono contenute nel riscritto articolo 61 della legge Biagi (decreto legislativo 276/2003) alla luce delle modifiche apportate dalla riforma Fornero per i titolari di partita Iva e per gli associati in partecipazione (articolo 1, comma 30, legge 92/2012).
Il progetto delle collaborazioni coordinate e continuative «non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi, che possono essere individuati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale». Si tratta di numerose attività individuabili settore per settore. Certamente le aziende industriali (ad esempio, edili o manifatturiere) non potranno più sottoscrivere questa tipologia di contratti con il capo cantiere, o con operai di fabbrica che abbiano raggiunto limiti di età pensionabile.
Ad analoghe considerazioni si giunge se si analizzano i compiti nell'ambito del settore artigiano o in agricoltura, in cui il contratto a progetto è un modello contrattuale sostanzialmente sorpassato.
Una distinzione va effettuata nel settore commercio: per le attività esecutive (addetti alla vendita, gestioni di magazzino, segreteria) il contratto a progetto non è più utilizzabile anche in presenza di un'autonomia nello svolgimento della prestazione. Si ritiene ancora applicabile il contratto in tutte le realtà di gestione strategica dell'azienda e sempre che sussista un valido progetto (procacciamento d'affari, ideazione di campagne pubblicitarie o altre azioni di marketing).
Il lavoro a progetto non è più utilizzabile nei call center (sia outbound, sia inbound) e in altri servizi analoghi compresi, come detto, anche attività di segreteria per le quali già in precedenza sussistevano forti dubbi per la scarsa autonomia.
Anche il contratto di associazione in partecipazione ha subito un forte ridimensionamento, non tanto per il limite numerico riferito alla medesima attività, ma soprattutto con riferimento a quanto indicato nell'articolo 69 bis lettera a) della legge Biagi. Questa norma stabilisce che si applica una presunzione di lavoro subordinato qualora l'apporto non sia connotato da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi, ovvero da capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell'esercizio concreto di attività. Il confine di questa definizione è meno netto, ma comunque è ragionevole ritenere che il settore industria, artigianato o agricoltura non potranno più avvalersi di questo contratto salvo rarissimi casi di difficile individuazione.
Anche l'attività autonoma da titolari di partita Iva non potrà più essere svolta in ambito industriale, artigianale o agricolo, a meno che non si tratti di veri lavoratori autonomi.
Dalla riforma del lavoro 2012 esce indenne il contratto di lavoro autonomo occasionale anche se per la natura del rapporto anch'esso è destinato a essere utilizzato in modo molto marginale.

venerdì 13 luglio 2012

Riforma del lavoro 2012: le novità sulle Partite Iva e il lavoro stagionale


È accordo sul pacchetto di modifiche alla riforma del merato del lavoro.
Le richieste di modifica sono diventate 11, mentre erano 10; si conferma l'allentamento della stretta sulle partite Iva e sui contratti a tempo determinato (specie per il lavoro stagionale); si generalizza la possibilità per le agenzie di somministrazione di ricorrere al contratto di apprendistato.
Mentre sul fronte degli ammortizzatori sociali salta lo slittamento di un anno per l'introduzione dell'Aspi, sollecitato dalla maggioranza: per l'Assicurazione sociale per l'impiego l'entrata in vigore resta confermata al 1° gennaio 2013. Marcia indietro del governo sull'indennità di mobilità; la fase transitoria "a requisiti massimi" (dal 2017 sarà assorbita dall'Aspi) viene allungata di un anno, dal 31 dicembre 2013 al 31 dicembre 2014.
Con un beneficio in maggio misura per i lavoratori meridionali e per chi ha più di 50 anni del Centro Nord che potranno così fruire di sei mesi in più di erogazione dell'indennità di mobilità. Con la riforma Fornero, infatti, un lavoratore sopra i 50 anni del Centro Nord nel 2014 avrebbe percepito il sussidio per 30 mesi, mentre grazie allo slittamento di un anno previsto dall'emendamento, avrà diritto a sei mesi in più, arrivando quindi a 36 mesi complessivi di ammortizzatore. Stesso discorso per i lavoratori del Sud che, a seconda dell'età (fino a 39 anni, da 40 a 49 anni e oltre i 50) potranno godere in tutti e tre i casi di sei mesi in più di mobilità. Entro il 31 ottobre 2014 è previsto un monitoraggio da parte del ministero del Lavoro, insieme alle parti sociali, per verificare la sostenibilità della misura e, conti pubblici permettendo, vedere se esistono le condizioni per nuovi interventi.
L'emendamento rinvia di un anno l'aumento contributivo a carico di partite Iva e parasubordinati iscritti alla Gestione separata Inps previsto dalla riforma Fornero. L'attuale aliquota al 27% rimarrà in vigore nel 2013 e salirà al 28% nel 2014. Ma per bilanciare gli effetti finanziari di questa misura si interviene, in via speculare, sull'aumento contributivo degli assicurati iscritti anche ad altri forme pensionistiche che salirà in modo più spedito: l'aliquota nel 2013 sarà al 20% (anzichè 19% come previsto dalla riforma Fornero). Per le partite Iva la verifica di regolarità su reddito e durata della prestazione si spalma nell'arco di 2 anni consecutivi e non più su uno solo.
La riscrittura degli emendamenti sul lavoro ha cancellato la norma che aumentava le tutele ai parasubordinati in caso di mancati versamenti contributivi dei datori di lavoro, attraverso l'estensione dell'articolo 2116 Codice civile.

Gli altri emendamenti alla riforma del mercato del lavoro confermano le richieste esposte dalla maggioranza governativa. Ossia, gli intervalli nei contratti a tempo (60 o 90 giorni) si potranno ridurre a 20-30 giorni per le attività stagionali (e in ogni altro caso previsto dai Ccnl), inoltre un cassintegrato potrà fare lavori accessori (con voucher fino a 3mila euro). Viene salvata la Cigs per le aziende ammesse a procedura concorsuale. A patto che l'impresa abbia prospettive di ripresa e tutela, anche parziale, dell'occupazione.

giovedì 5 luglio 2012

Riforma del lavoro: pubblicato il testo in Gazzetta Ufficiale


È legge la riforma del lavoro. Il testo, pubblicato in Gazzetta Ufficiale  dopo l’approvazione con fiducia ed entra in vigore mercoledì 18 luglio 2012.

L’obiettivo è, da un lato, favorire l’instaurazione di rapporti di lavoro più stabili con contratto a tempo indeterminato come “contratto dominante” e, dall’altro, contrastare l’uso improprio e strumentale degli elementi di flessibilità progressivamente introdotti nell’ordinamento con riferimento alle diverse tipologie contrattuali. In particolare si punta sulla formazione, con un’attenzione particolare all’apprendistato che diviene il mezzo per rafforzare le possibilità di inserimento dei giovani nel mondo del lavoro.

Come si legge nel comunicato del Ministero del Lavoro, la legge cerca di raggiungere una distribuzione più equa delle tutele attraverso il contenimento dei margini di flessibilità progressivamente introdotti negli ultimi vent’anni e l’adeguamento all’attuale contesto economico della disciplina del licenziamento individuale. Allo stesso modo, la norma mira a un uso più coerente degli ammortizzatori sociali e all’instaurazione di rapporti di lavoro più stabili, tanto che il tempo indeterminato diventa la formula contrattuale prevalente e sono previste premialità per la stabilizzazione dei contratti di apprendistato e a termine.

In base alla legge approvata, gli obiettivi saranno attuati attraverso varie aree di intervento, rappresentate da razionalizzazione degli istituti contrattuali, tutele dei lavoratori in caso di licenziamento illegittimo, collegamento con altri aspetti che gravitano intorno al mercato del lavoro, come sostegno del reddito, formazione, riqualificazione professionale e incentivi alle assunzioni, equità di genere.

I diversi istituti contrattuali e processuali interessati dalla riforma del lavoro cambieranno volto in momenti diversi, che spesso non coincideranno con i tradizionali quindici giorni successivi alla pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale».

La previsione di decorrenze differenti è dettata dalla volontà del legislatore di dare al mercato del lavoro il tempo necessario ad adeguarsi ai cambiamenti legislativi presenti nella legge. Questo problema può presentarsi per quelle norme che avranno un impatto molto forte su prassi gestionali consolidate (per esempio le regole sul lavoro a progetto) o, comunque, per quelle regole che presentano dei profili di rilevante complessità.

Rientra in questa ultima categoria la riforma dei termini di impugnazione del contratto a tempo determinato. Che in relazione a questo istituto, la nuova legge prevede l'allungamento del termine per impugnare il rapporto: il limite, introdotto dalla legge 183/2010, passa da 60 a 120 giorni per le impugnazioni stragiudiziali e si riduce da 270 a 180 giorni per la proposizione della causa. Queste nuove scadenze saranno applicabili solo per i rapporti a termine che andranno a scadenza dal 1° gennaio del 2013: prima di allora resteranno validi i termini di impugnazione oggi vigenti nel collegato lavoro.

Diverso è il destino della riforma del lavoro che, in misura analoga a quanto appena descritto, ha interessato i termini di impugnazione dei licenziamenti: per questa ipotesi, la legge non concede dilazioni, ma prevede l'immediata entrata in vigore delle nuove decorrenze di 120 e 180 giorni.

Partenza differita per le norme che sanciscono l'abrogazione del contratto di inserimento. E solo dopo tale scadenza, i contratti di inserimento non potranno più essere stipulati e mantenuti in vita.

Per quanto riguarda il contratto di apprendistato,vige un regime transitorio rispetto alla norma che subordina la possibilità di assumere nuovi apprendisti al mantenimento in servizio di almeno il 50 per cento dei lavoratori assunti in precedenza con tale contratto. La nuova regola è immediatamente applicabile, ma la soglia del 50 per cento dovrà essere rispettata solo dopo che saranno passati 36 mesi dalla data di entrata in vigore della riforma. Sino al compimento di tale periodo, dovrà essere rispettata una soglia più bassa pari al 30 per cento. Questa misura dovrebbe consentire alle imprese di adattarsi in maniera graduale al nuovo e impegnativo meccanismo.

Anche le partite Iva sono interessati da un'entrata in vigore differita. Per i contratti in corso, la nuova normativa si applica dopo 12 mesi dalla data di entrata in vigore della riforma; solo per i nuovi contratti (così come previsto anche per il lavoro a progetto) il cambio di disciplina è immediato.
Mentre risulta già applicabile il nuovo rito accelerato per le cause che hanno a oggetto i licenziamenti.

domenica 25 marzo 2012

Riforma del mercato del lavoro, ecco tutte le novità

Dieci capitoli e 26 pagine approvati per quella che sarà una vera e propria svolta per il mercato del lavoro in Italia

Vediamo le misure adottate:

- contratti di lavoro: si punta sull'apprendistato e sul suo valore formativo. Si collega l'assunzione di nuovi apprendisti alla stabilizzazione avvenuta in precedenza (50% nell'ultimo triennio), si prevede una durata minima di sei mesi per il contratto e si alza il rapporto tra apprendisti e lavoratori qualificati (da 1 a 1 a 3 a 2). Il contratto a tempo determinato è perseguito fissando un intervallo di 60 giorni tra un contratto e l'altro (contro i 10 attuali) per un contratto inferiore a 6 mesi e di 90 giorni per una durata superiore (adesso 20). L'apprendistato diventerà una delle forme prevalenti. Previste percentuali minime (50%) di conferma in servizio per continuare ad assumere apprendisti. Innalzato il rapporto tra apprendisti e lavoratori qualificati dall'attuale 1/1 a 3/2. Durata minima di sei mesi.

- stretta sulle partite IVA: Stretta sulle partite Iva e sulle associazioni in partecipazione permesse solo in caso di associazione tra familiari entro il primo grado (genitori o figli) e il coniuge. Arrivano norme volte a evitare l'uso improprio della partita Iva in sostituzione di contratti di lavoro subordinato. La prestazione per più di 6 mesi è presunzione del carattere coordinato e continuativo (e anche quella da cui il prestatore ricavi oltre il 75% dei propri corrispettivi).

- stangata per i co.co.pro: Ci sarà una definizione più stringente del progetto con la limitazione a mansioni non meramente esecutive o ripetitive in modo da enfatizzare la componente professionale. E' vietato l'inserimento di clausole che consentono il recesso prima della fine del progetto. In caso di mancanza di un progetto specifico il contratto a progetto si considera di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Si prevede per i collaboratori un aumento dell'aliquota contributiva di un punto l'anno fino a raggiungere nel 2018 il 33% prevista per il lavoro dipendente (fino al 24% per chi è iscritto a gestione separata e ad altre gestioni o pensionati). Il contratto a progetto non può più consistere in una mera riproposizione dell'oggetto sociale dell'impresa. Se manca il progetto scatta il rapporto a tempo indeterminato. Aumenta l'aliquota contributiva e si rafforza la disciplina della presunzione di subordinazione
Il congedo di paternità diventa obbligatorio. Al padre spetteranno tre giorni consecutivi di astensione dal lavoro entro cinque mesi dalla nascita del figlio. La riforma adegua la legislazione italiana a quella europea modificando il testo unico in materia (Dlgs n. 151 del 2001)

- ASPI: la nuova assicurazione sociale per l'impiego e' destinata a sostituire a regime, nel 2017, l'indennità di mobilità e le varie indennità di disoccupazione. Ne potranno usufruire oltre i lavoratori dipendenti anche gli apprendisti e gli artisti purché possano contare su 2 anni di anzianità assicurativa e 52 settimane di lavoro nell'ultimo biennio. Sarà pari al 75% della retribuzione fino a 1.150 euro e al 25% oltre questa soglia per un tetto massimo di 1.119 euro lordi al mese. E' prevista una fase transitoria per il passaggio del periodo dagli 8 mesi attuali (12 per gli over 50) ai 12 dell'Aspi (18 per gli over 55). La contribuzione è estesa a tutti i lavoratori che rientrino nell'ambito di applicazione dell'indennita'. L'aliquota è pari a quella attuale per i lavoratori a tempo indeterminato (1,31%) ma sarà gravata di un ulteriore 1,4% per i lavoratori a termine (da restituire in caso di stabilizzazione del contratto). Andrà a regime nel 2013.

- contributo licenziamento: Il datore di lavoro all'atto del licenziamento dovrà versare all'Inps mezza mensilità ogni 12 mensilità di anzianità aziendale negli ultimi tre anni (in vigore dal 2013).

- Cigs: La necessità di eliminare a decorrere dal 2014 i casi in cui la cassa integrazione straordinaria copre esigenze non connesse alla conservazione del posto di lavoro porta all'eliminazione della causale per cessazione di attività. La Cigs viene estesa a regime per le imprese del commercio tra i 50 e i 200 dipendenti, le agenzie di viaggio sopra i 50 e le imprese di vigilanza sopra i 15.

- fondo solidarietà per settori non coperti da cassa integrazione: per le aziende non coperte dalla Cassa integrazione guadagni straordinaria arriva un fondo di solidarietà. La contribuzione dovrà essere a carico del datore di lavoro (2/3) e del lavoratore (1/3) e ci sarà l'obbligo di bilancio in pareggio.

- tutela lavoratori anziani: sono possibili accordi per esodi di lavoratori anziani (che raggiungano la pensione nei quattro anni successivi al licenziamento) e la loro tutela con un indennità in attesa dell'accesso alla pensione con costi a carico dei datori di lavoro. Per i lavoratori che raggiungano i requisiti per il pensionamento nei successivi 4 anni è prevista la creazione di una cornice giuridica per gli esodi con costi a carico dei datori di lavoro, sulla falsariga di quanto previsto dai fondi di solidarietà ex legge 662/1996.

- equità di genere: Norme di contrasto alle dimissioni in bianco e il rafforzamento fino a tre anni di età del bambino del regime di convalida delle dimissioni rese dalle lavoratrici madri (al momento è un anno). - PAPA' OBBLIGATORIO: Viene introdotto il congedo di paternità obbligatorio (tre giorni) e si approva il regolarmente che disciplina le quote rosa nelle società controllate dalle pubbliche amministrazioni.

- voucher baby sitter: Arrivano i voucher per le baby sitter Le neo mamme avranno diritto di chiedere la corresponsione di questi buoni dalla fine della maternità obbligatoria e per gli 11 mesi successivi. Li darà l'Inps.
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