domenica 16 giugno 2013

Sicurezza sul lavoro, formazione continua


Pubblicata dal la circolare n.21 del 10 giugno 2013 riguardante le attrezzature di lavoro per le quali è richiesta una specifica abilitazione degli operatori.
La circolare si riferisce agli adempimenti in materia introdotti dall’Accordo del 22 febbraio e segue i chiarimenti pubblicati dal Ministero stesso l’11 marzo con documento n.12.

La formazione parte integrante della sicurezza lavoro. I decreti legislativi 626/1994 e 494/1996 che hanno recepito le direttive comunitarie in materia, sono stati i precursori della "cultura della sicurezza" nei vari luoghi di lavoro. Cultura che interessa tutti i soggetti attivi, dal datore di lavoro fino ai lavoratori, passando per le varie figure intermedie. Principi poi trasfusi nel Testo unico (decreto legislativo 81/2008) sulla sicurezza e la salute sui luoghi di lavoro, che potrebbe, però, subire qualche modifica con il pacchetto di provvedimenti all'esame già da oggi del Consiglio dei ministri.

A parte dunque i lavoratori, nei confronti dei quali, seppure in forme non propriamente regolamentate, l'informazione e la formazione era prevista dalle precedenti disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro, ora il Tu, individua ben 26 attività obbligatorie tra l'informazione e la formazione, coinvolgendo, lo stesso datore di lavoro per le piccole e medie imprese, il dirigente, il preposto e i nuovi soggetti attivi della sicurezza tra cui il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e relativi addetti, il medico competente, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza aziendale o territoriale, gli addetti al primo soccorso, all'antincendio e emergenze, i coordinatori per la progettazione e l'esecuzione, ecc.. A questi si aggiungono le informazioni e formazioni nei confronti di lavoratori addetti a determinate attività che li espongono a particolari fonti di rischio, quali i lavori in quota, con la movimentazione dei carichi, esposizioni ad agenti fisici, chimici e biologici, conduzione di particolari attrezzature, ecc.

Quando la formazione riguarda lavoratori immigrati, essa avviene previa verifica della conoscenza della lingua veicolare utilizzata nel percorso formativo.

L'attività di formazione dei soggetti indicati non è limitata ovviamente al momento dell'inizio delle attività, ma deve essere poi periodicamente "riveduta" mediante la frequenza, con profitto, a corsi di aggiornamento la cui periodicità è stabilita dalla legge, da decreti attuativi, da accordi Stato-Regioni o, come per alcuni casi, dalla normativa contrattuale. La formazione entra dunque nell'attuale quadro normativo riguardante la sicurezza sul lavoro, come norma sostanziale, posta a base per una efficace attuazione del "sistema sicurezza".

Tutto questo comporta un costo, diretto e indiretto, da parte del datore di lavoro, non solo per permettere ai soggetti interessati di partecipare ai corsi obbligatori, ma anche ai fini della responsabilità che è sempre di natura penale. Infatti, fatta esclusione per i coordinatori per il progetto e per l'esecuzione, ove la nomina di questi soggetti privi della prescritta formazione, la responsabilità ricade sul committente dei lavori, in tutti gli altri casi è sanzionabile il datore di lavoro. A seconda dell'entità del rischio, le sanzioni variano con l'applicazione dell'arresto da due a sei mesi o dell'ammenda da 750 a 6.400 euro. In ogni caso si tratta di contravvenzioni che possono essere definite mediante il pagamento della sanzione pari a un quarto di quella massima, sempre che si sia provveduto a sanare l'irregolarità nei termini stabiliti dall'ispettore.

Somministrazione e le ragioni che blindano la causale

Il contratto di somministrazione di lavoro è disciplinato dagli artt. 20 - 28 del D.Lgs. n. 276 del 2003 ed ha sostituito, senza peraltro alterarne la struttura essenziale, il lavoro interinale.
Ricordiamo che la somministrazione di lavoro si caratterizza per un duplice rapporto contrattuale nell'ambito del quale:

il somministratore, un'Agenzia per il lavoro autorizzata dal Ministero del Lavoro, stipula un contratto di lavoro con un lavoratore, a tempo indeterminato o a tempo determinato, l'utilizzatore, che è un'azienda pubblica o privata, utilizza il lavoratore contrattualizzato dall'Agenzia per esigenze proprie e, a tal fine, stipula un contratto di somministrazione con la medesima agenzia.

La presenza di una causale generica del contratto di somministrazione a termine comporta la trasformazione del rapporto in un contratto a tempo indeterminato con l'impresa utilizzatrice. Lo affermano due sentenze gemelle della Cassazione: la 10560 del 7 maggio e la 11411 del 13 maggio scorso.
Per usare il contratto di somministrazione a tempo determinato, infatti – esclusi i casi in cui è consentita la mancanza della causale – devono sussistere precise ragioni tecniche, produttive, organizzative o sostitutive (si veda l'articolo a lato). Ed è bene che queste ragioni siano chiaramente enunciate nel contratto di fornitura tra l'agenzia per il lavoro e l'impresa utilizzatrice.
Nella sentenza 10560, la Cassazione si è pronunciata sulla vicenda di alcuni lavoratori assunti da un'agenzia per il lavoro con vari contratti a termine, che contestavano la genericità della causale del contratto commerciale. Nel caso specifico, la causale prevedeva la stipula nei casi previsti dai contratti collettivi nazionali della categoria, per una indefinita «sostituzione». Sia il Tribunale, sia la Corte di appello avevano accolto il ricorso, sostenendo che le ragioni fossero del tutto generiche e inidonee a integrare i requisiti di specificità richiesti dalla legge 196/1997 (oggi sostituita dal Dlgs 276/2003). Comunque, per i giudici di merito, non era provata la ricollegabilità dell'assunzione degli operai all'assenza in azienda di lavoratori con contratti a tempo indeterminato. L'illegittimità del ricorso al lavoro temporaneo ha quindi come conseguenza la conversione del contratto a tempo indeterminato con l'impresa utilizzatrice.
La Cassazione, confermando la sentenza di appello, afferma che nel contratto di somministrazione è stata usata una formula più generica di quella prevista nel testo legislativo, mentre sarebbe stato necessario indicare quale contratto collettivo di riferimento applicare. I vizi del contratto commerciale di fornitura tra agenzia interinale e impresa utilizzatrice si riverberano sul contratto individuale di lavoro: l'illegittimità del contratto di fornitura comporta le conseguenze previste dalla legge sul divieto di intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro (legge 1369/1960 abrogata e confluita nella riforma Biagi). L'effetto finale è dunque la conversione del contratto per prestazioni di lavoro temporaneo in un ordinario contratto di lavoro a tempo indeterminato tra l'utilizzatore della prestazione, datore di lavoro effettivo, e il lavoratore (Cassazione 6933/2012).
Segue la stessa linea la sentenza 8120 del 3 aprile 2013: la Cassazione precisa che la mancanza di specificità delle ragioni giustificative del ricorso alla somministrazione temporanea di lavoro comporta la nullità del contratto di lavoro stesso. Serve, infatti, un elevato grado di specificità, che consenta di classificare le ragioni giustificative come legittimanti un contratto a tempo determinato, e la verifica della loro effettività.
Le causali non possono risolversi in una parafrasi della norma, ma devono esplicitare il collegamento tra quanto previsto nel contratto e la reale situazione aziendale. La Cassazione ha ritenuto specifiche le ragioni del ricorso alla somministrazione di lavoro poiché l'indicazione di «punte di più intensa attività produttiva», erano state determinate «dall'acquisizione di commesse» o dal «lancio di nuovi prodotti».

sabato 15 giugno 2013

12 giugno 2013 Giornata mondiale contro il lavoro minorile


Il 12 giugno 2013 si è celebrato in tutto il mondo la Giornata mondiale contro il lavoro minorile, quest’anno è stata dedicata al tema del lavoro domestico. Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) il numero totale di minori lavoratori a livello mondiale è di 215 milioni. Di questi, 115 milioni svolgono lavori considerati pericolosi, incluse le forme peggiori di lavoro minorile. Il lavoro domestico dei minori è un fenomeno largamente diffuso e in costante aumento. Almeno 15,5 milioni di bambini — perlopiù femmine — sono vittime di questa forma nascosta di sfruttamento che comporta spesso anche abusi, rischi per la salute e violenze.

In Italia un minore ogni 20 lavora. E' uno dei dati denunciati da Game Over, Dossier realizzato dall'Associazione Bruno Trentin e da Save the Children presentato a Roma alla vigilia della Giornata mondiale contro il lavoro minorile . Dei 260 mila under 16 che lavorano nel nostro Paese, 30 mila sono a rischio di sfruttamento,fanno un lavoro pericoloso per salute, sicurezza o integrità morale, lavorano di notte e in modo continuativo con ricadute negative sugli studi e molti non hanno tempo per riposare né per divertirsi con gli amici.

D’altronde, ha messo in risalto il Dossier, l’allontanamento dalla scuola è correlato anche a "un'offerta formativa generalmente distante dalle necessità di sviluppare competenze professionali richieste dal mercato del lavoro".

Secondo il Dossier è la famigli a giocare un ruolo decisivo anche quando non lo decide direttamente. Il ragazzo non ha interesse per lo studio, non vuole andare a scuola. Il rischio è la strada, il non avere niente da fare, il passare le giornate da soli. Allora meglio è, per qualche genitore, non ostacolare l’inserimento in attività lavorative precoci anche se a volte sono rischiose.

Gli operatori sociali intervistati, ha spiegato l'indagine, sottolinea che i giovani lavoratori provengono, prevalentemente, da due tipi di famiglie: quelle che per far fronte ad uno stato di indigenza coinvolgono in attività lavorative anche i figli che ancora devono adempiere agli obblighi scolastici, e quelle dove sono venuti a mancare ruoli e responsabilità genitoriali. E' la famiglia, dunque, secondo il Dossier, "il primo soggetto sociale da sostenere".
Lo sfruttamento sul lavoro può costituire la spinta per un giovane ad entrare nella criminalità.
E' un'altra osservazione di "Game Over": "non solo l'appartenenza familiare a circuiti criminali", anche l'esperienza di sfruttamento sul lavoro può essere percepita "non troppo distante nelle modalità di relazione tra chi comanda e chi esegue un lavoro".  Tuttora: "le attività illecite sono legate alle amicizie/legami nel quartiere", possono offrire opportunità di guadagnare tanto e con poche ore di lavoro e sono avvertite come la sola possibilità “per coloro che hanno problemi economici e non riescono a trovare un lavoro, specie quando si entra in un circuito vizioso di disagio familiare".

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