sabato 16 novembre 2013
Tredicesime 2013 al palo, rischi per le pmi
Gli imprenditori, in difficoltà per le scadenze fiscali e la scarsa liquidità, potrebbero rimandarne il pagamento. L'auspicio è che i 37 miliardi di euro di tredicesime vengano spesi per rilanciare i consumi.
Tredicesime invariate rispetto all'anno scorso, a rischio i dipendenti di aziende privati. La previsione arriva dalla Cgia di Mestre. "Se il costo della vita è cresciuto dell'1,3 per cento - sostiene il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi - l'indice di rivalutazione contrattuale Istat è salito dell'1,4 per cento. Pertanto, rispetto allo stesso periodo del 2012, il potere d'acquisto dei lavoratori è rimasto pressoché invariato".
Secondo le simulazioni della Cgia, un operaio specializzato con un reddito lordo annuo di poco superiore ai 21.000 euro (pari a uno stipendio mensile di 1.255 euro) riceverà appena un euro in più per la tredicesima di dicembre, chi ne guadagna oltre 25.600 euro (pari a una busta paga netta di 1.419 euro) 2 euro in e chi ha un reddito lordo annuo di quasi 50.000 euro (stipendio mensile netto di 2.545 euro) non beneficerà di alcun aumento.
L'importo delle tredicesime dovrebbe essere pari a 37 miliardi di euro, garantirà alle casse dell'Erario oltre 9,5 miliardi di euro, e l'auspicio è che vengano spesi per rilanciare i consumi interni.
"Mai come in questo - spiega Bortolussi - gli artigiani e i commercianti hanno bisogno di veder ripartire la domanda interna. Ricordo che per molte attività le vendite nel periodo natalizio incidono fino al 30/40 per cento del fatturato annuale".
La stima del numero di persone destinatarie della tredicesima mensilità si aggirerebbe indicativamente attorno ai 33 milioni.
Per i pensionati non dovrebbero esserci problemi, la stessa cosa non può essere affermata per i lavoratori dipendenti del settore privato. Molti imprenditori infatti potrebbero trovarsi in difficoltà nel pagare le tredicesime, dato che a dicembre sono molte le scadenze fiscali e contributive.
"E' possibile - secondo Bortolussi - considerata la scarsa liquidità a disposizione, che molti decidano di onorare gli impegni con il fisco e di posticipare il pagamento della tredicesima, o di una parte di essa, mettendo in difficoltà, loro malgrado, le famiglie dei propri dipendenti".
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Pensioni d’oro quanto ci costano? 45 miliardi secondo i dati dell’Istat
Chi prende oltre 3mila euro al mese è costato nel 2011 45 miliardi di euro. Ma loro sono solo il 5% del totale dei pensionati. Un nuovo dato dell'Istat arriva a rinfocolare le polemiche sulle cosiddette pensioni d'oro, quelle cioè che fanno percepire oltre 3mila euro al mese. Nel 2011 il 5,2% dei pensionati nella fascia più "ricca", pari a 861mila persone, hanno assorbito 45 miliardi di euro l'anno, il 17% della spesa totale, poco meno di quanto sborsato (51 miliardi, 19,2%) per i 7,3 milioni, il 44% dei pensionati, sotto i mille euro.
Questione, quella delle pensioni d’oro, tornata d’attualità con le considerazioni, tutt’altro che incoraggianti, contenute nella relazione illustrativa che ha accompagnato la Legge di stabilità 2013. Nella quale si sottolinea come la restituzione ai super pensionati di quanto avevano perso con lo stop alla rivalutazione dei trattamenti pensionistici superiori a cinque volte il minimo per gli anni 2012-2013, pesi sulle casse dello Stato per 80 milioni di euro. Lo stop alle indicizzazioni era stato deciso nel luglio 2011 dal governo Berlusconi, ma era stato successivamente dichiarato incostituzionale dalla Consulta. Decisione per effetto della quale, al fine di rimborsare le somme versate all’entrata del bilancio dello Stato, si legge nella relazione, è stato istituito «un apposito fondo nello stato di previsione del ministero dell’Economia e delle finanze, con una dotazione di 40 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015».
Quindi meno di un milione di persone in pensione che, in termini di spesa pensionistica, vale quasi come più di sette milioni di persone, quasi la metà del totale. Forte è il divario tra donne e uomini, quest'ultimi rappresentano il 76,3% dei pensionati over tremila euro al mese, quasi otto su dieci. Se si fa il confronto con l'anno precedente, sempre in base alle ultime tavole pubblicate dall'Istat a fine ottobre, si scopre che nel 2011, anche se il numero dei pensionati in Italia è diminuito di 38mila unità, il gruppo che percepisce più di tremila euro mensili è salito di 85mila (+10,9%), con un aumento della spesa di 4,6 miliardi di euro.
Cifre comunque non da sottovalutare, se lette in contemporanea con l’ultima fotografia scattata dall’Istat. Che richiamando la forbice distributiva tra i pensionati d’oro e quelli al minimo, rende lo squilibrio ancora più evidente.
Tenendo presente che si sta parlando di pensionati e non di pensioni: una stessa persona può essere titolare di più trattamenti (pensioni di vecchiaia, invalidità, sociali e altro). La ripartizione dei pensionati per classe d’importo risente infatti della possibilità di cumulo di uno o più trattamenti sullo stesso beneficiario. Sempre nel 2011 quasi un quarto dei pensionati è stato destinatario di un doppio assegno. Probabilmente con il blocco dell’indicizzazione e gli altri cambiamenti che hanno toccato il mondo delle pensioni dalla fine del 2011 qualcosa oggi è cambiato, ma si tratta comunque di dati consolidati, riflesso di situazioni che permangono negli anni. Tra la fascia dei pensionati al minimo e quella degli assegni d’oro, vivono i 6,3 milioni di italiani che percepiscono un assegno tra i 1000 2 i 2000 euro e i 2,1 milioni di persone che ricevono tra i 2000 e i 3000 euro al mese. E che completano l’esercito dei 16,6 milioni di pensionati.
In generale c'è una tendenza al trasferimento dei pensionati verso classi d'importo maggiore, spiegabile sia con la perequazione annuale, sia con il fatto che il valore medio delle nuove pensioni è maggiore di quello delle cessate. Infatti sempre nel 2011 si è verificata anche una diminuzione dei pensionati sotto i mille euro (di quasi 250 mila teste, -3,3%).
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martedì 12 novembre 2013
Lavoratori dipendenti: persi 1.040 euro in busta paga dal 2007 al 2012
Un'indagine sul fenomeno del 'fiscal drag' -drenaggio fiscale mostra come il mancato adeguamento dell'imposta all'inflazione durante il periodo 2007-2012 abbia determinato un minor reddito disponibile per i lavoratori dipendenti. E’ quanto ha affermato la Cisl analizzando le dichiarazioni dei redditi elaborate dal suo Caf: nel periodo considerato la perdita è del 5,83%, circa 1.040 euro.
Il mancato adeguamento dell'imposta all'inflazione ha penalizzato soprattutto le fasce di reddito tra 10 e 55mila euro, per quelle comprese tra 29 e 50mila euro la perdita supera il 6%, mentre restano marginalmente sfiorati dal fenomeno i contribuenti della no tax area, così come i redditi alti e medio alti.
Ad evidenziare questi dati è un'indagine promossa dalla Cisl, condotta tra le dichiarazioni dei contribuenti che si sono rivolti al Caf del sindacato. Analizzando l'andamento del biennio 2010-2012 il reddito medio complessivo dei contribuenti del Caf-Cisl è aumentato del 2,5% tra il 2010 e il 2012, e dell'1,6% tra 2011 e 2012. Tuttavia il moderato aumento dei redditi è stato di fatto neutralizzato dall'incremento delle imposte (per effetto dell'aumento delle addizionali irpef) e dalle riduzioni dell'ammontare medio delle detrazioni per familiari a carico e per tipologia del reddito che hanno appesantito l'incidenza dell'imposta netta sul reddito.
Ricordiamo che l'ammontare dell'imposta netta cresce, in media, sia tra 2010 e 2012 (+5%), sia tra 2011 e 2012 (+2,8%). Anche le addizionali comunali e regionali si sono fatte sentire: in media nel 2012 ammontano complessivamente a 408 euro, in crescita del 6% sul 2011 e del 31% sul 2010. L'indagine sottolinea che il contemporaneo aumento di Irpef e addizionali in proporzione maggiore rispetto ai redditi complessivi «rende quasi nullo» l'incremento dei redditi disponibili 2012 rispetto agli anni precedenti: +1,22% sul 2011 e +1,52% sul 2010.
Tra le imposte, l'Irpef è quella che incide maggiormente sul reddito delle famiglie (17,6%), seguita dall'Iva (8,7%) e dall'Imu (meno dell'1%). L'andamento complessivo delle tre imposte, secondo l'indagine, è molto elevato per i redditi fino a 7.500 euro lordi annui per effetto dell'Iva e, in misura minore, dell'Imu, mentre raggiunge valori minimi (aliquota media attorno al 19-22%) fra i 7.500 e i 15mila euro di reddito, diventando crescente - con il traino dell'Irpef - fino al 40% di aliquota media per i redditi sopra i 150mila euro.
Secondo la Cisl bisogna compensare in modo più che proporzionale gli aumenti dell'Iva attraverso una significativa riduzione dell'Irpef per non deprimere le scarse propensioni al consumo che incidono negativamente sulla domanda interna e sulle prospettive della ripresa. Adeguare le detrazioni per lavoro dipendente e pensioni secondo la Cisl è «fondamentale» per consentire il recupero del reddito disponibile delle famiglie. Ma bisogna agire anche sui bassi redditi, sotto i 15mila euro, che risultando incapienti non riescono a beneficiare appieno delle detrazioni e delle deduzioni fruibili e subiscono il maggiore peso dell'Iva. La Cisl propone per i lavoratori dipendenti e pensionati collocati al di sotto di questa soglia, di introdurre un'imposta negativa di ammontare pari alle detrazioni non godute.
Negli ultimi anni l'aumento delle tasse (+5% tra 2010-12) ha quasi vanificato l'incremento dei redditi: ''molto forte è l'incremento delle addizionali comunali e regionali. Il loro ammontare complessivo nel 2012 è in media di 408 euro: in crescita del 6% rispetto al 2011 e di oltre il 31% sul 2010''.
L'inflazione acquisita per il 2013, ovvero la crescita dei prezzi che si registrerebbe ipotizzando il mantenimento dello stesso livello di ottobre, scende all'1,2% dall'1,3% di settembre.
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