sabato 23 novembre 2013

Allarme pensioni, Cazzola: «Il buco Inpdap che pesa sull' Inps?



Il disavanzo di gestione dell'ex Inpdap, che ora pesa sul bilancio Inps con una forza capace di azzerarne il patrimonio netto nel giro di un paio d'anni, non dipende solo dal blocco del turn over nella Pa degli ultimi anni. All'origine c'è una scelta fatta nel 2007 dal Governo Prodi, quando ministro dell'Economia era Tommaso Padoa-Schioppa e Cesare Damiano minstro del Lavoro.

A ricordare quel passaggio è Giuliano Cazzola, responsabile Welfare con un lungo trascorso negli enti previdenziali, visto che è stato membro del collegio dei sindaci Inpdap tra il 1994 e il 2002 e del collegio dei sindaci Inps dal 2002 al 2007. «Tutto nasce con una norma maligna del 2007 che ha trasformato in anticipazioni di Tesoreria, e quindi in debiti dell'ente verso lo Stato, gli iniziali trasferimenti (e quindi crediti dell'Inpdap verso lo Stato) stanziati dalla legge Dini del 1995 a copertura dello stock delle pensioni degli statali, quando venne istituita la loro Cassa». Perché si decise quell'operazione contabile? È questa una storia complessa che merita di essere raccontata almeno per sommi capi. Prima della legge n. 335/1995 le Amministrazioni dello Stato si limitavano ad incassare la quota di contribuzione dovuta dai loro dipendenti; poi, quando essi cessavano dal servizio le Amministrazioni erogavano direttamente i trattamenti spettanti in termini di cassa come gli stipendi. Con l'istituzione della Gestione pensionistica degli statali presso l'Inpdap (l'ente era stato costituito in via definitiva nel 1994) le amministrazioni hanno dovuto cominciare a versare alla Gestione stessa presso l'Inpdap la loro quota in quanto datori di lavoro. Nel 1996 si doveva gestire, con il passaggio a Inpdap, la continuità delle pensioni statali vigenti.

Infatti. Lo Stato si impegnò a trasferire il corrispettivo 14mila miliardi di vecchie lire alla Gestione, dal momento che essa si prendeva in carico il servizio. Questo stanziamento, che nel frattempo si è tradotto in euro (circa 8 miliardi), ha subìto quella trasformazione in anticipazioni di cui accennavo in precedenza. Ciò per alleggerire di qualche miliardo la posizione debitoria del bilancio dello Stato presso i censori di Bruxelles. Insomma una mossa obbligata dallo stato dei saldi di finanza pubblica? È bene ricordare che la pratica di erogare coperture tramite anticipazioni anziché trasferimenti è vecchia come il cucco. Il Tesoro vi aveva fatto ricorso in passato per finanziare, in parte, la cosiddetta spesa assistenziale sostenuta dall'Inps, tanto che l'Istituto aveva accumulato una situazione patrimoniale deficitaria per 160mila miliardi di lire, poi azzerata nel 1998 grazie all'azione dell'allora ministro Carlo Azeglio Ciampi. Ovviamente, quella misura aveva rivoltato in positivo il bilancio Inps fino ad allora deficitario prevalentemente a causa di un marchingegno solo finanziario.

Secondo lei cosa bisognerebbe fare ora? Quando Mastrapasqua ha dichiarato che il bilancio dell'Inps non è come quello che appare dall'esterno, non voleva dire che è peggiore, ma che il suo disavanzo dipende dalla fusione con l'Inpdap, il quale si è portato appresso la fregatura che ha ricevuto dallo Stato (e dall'ultimo governo di centro-sinistra). E non servirebbe – unicamente da questo punto di vista - ripensare l'unificazione perché comunque il "buco" resterebbe nel bilancio dell'Inpdap che è pur sempre un ente previdenziale che eroga pensioni, i cui oneri vanno nel conto "spesa pensionistica" del Paese.


Giovani e lavoro con gli ITS 6 studenti su 10 trova lavoro subito



Più della metà degli studenti con un lavoro subito dopo aver ottenuto il diploma, è  un vero exploit per le nuove tecnologie per il made in Italy: è positivo il primo bilancio degli ITS, le scuole post-diploma ad alta specializzazione nate due anni fa con l’intento di formare tecnici nelle aree tecnologiche strategiche.

A presentare i dati sulle performance dei 62 istituti sparsi in tutta Italia è stato il sottosegretario all’Istruzione Gabriele Toccafondi, durante Job&Orienta, la 23esima edizione della mostra-convegno che si tiene a Verona su orientamento, scuola, formazione e lavoro.

Alcuni ITS sfiorano ormai quasi il 100% di occupati tra i neo-diplomati: in pratica gli iscritti non fanno in tempo a uscire dalla scuola che già c'è un posto che li aspetta in azienda. E molto spesso si tratta della stessa dove hanno già trascorso un stage obbligatorio che vale almeno il 30% dell'orario delle lezioni.

La media di occupati tra gli studenti già usciti dai 64 ITS d'Italia è comunque altissima: sei su dieci hanno infatti un posto di lavoro. Da qui la spinta del ministero dell'Istruzione che nel suo recente decreto sulla scuola ha eliminato, tra le altre cose, il divieto di creare non più di un ITS in ogni Regione per la stessa area tecnologica.

Su 2971 studenti che frequentano i 139 percorsi di studio attivati finora dalle 62 Fondazioni, si sono già diplomati 825 ragazzi, e circa 250 completeranno il corso biennale tra novembre e dicembre: 470 hanno già un posto di lavoro, il 56,96%. Ovviamente ci sono casi assolutamente virtuosi, come l’ITS Accademia mercantile di Genova, dove tutti e 65 i diplomati sono già occupati o l’ITS di Gallarate per la mobilità sostenibile, dove 24 ex studenti su 24 lavorano, o ancora l’ITS di Vicenza per la meccanica, dove sono 21 su 22 i ragazzi che hanno trovato un impiego. Ma ci sono anche casi meno positivi: l’istituto di Conegliano per il made in Italy agroalimentare ha un solo studente che è entrato nel mondo del lavoro contro 11 diplomati, quello di Ferrara per i Beni culturali ne conta 8 su 23, l’ITS di Pavia per il made in Italy nel settore della casa conta 5 lavoratori su 15.

Poi abbiamo l'ITS Caboto di Gaeta che forma i professionisti del mare a quello di Somma Lombardo che prepara i tecnici del cielo, dall'ITS meccatronico di Vicenza all'Istituto di Scandicci che sforna i professionisti della moda. Performance da record di occupati si registrano anche nei sette ITS che gravitano attorno all'universo di Finmeccanica (in Lombardia, Piemonte, Campania, Puglia, Toscana, Friuli Venezia Giulia e Liguria).

Attualmente si contano più di 5mila corsisti e 825 studenti già con il titolo in mano, di cui ben 491, pari al 59,52% con un posto di lavoro. Questi i settori dove operano e la percentuale di occupazione: efficienza energetica (69,57%), mobilità sostenibile (79,73%), nuove tecnologie della vita (72,22%), tecnologie dell'informazione e comunicazione (36,79%), tecnologie innovative per i beni e le attività culturali-turismo (47,62%). Sul made in Italy infine: servizi alle imprese (34,38%), agroalimentare (32%), sistema casa (33,33%), sistema meccanica (65,15%), sistema moda (56,12%).

Finora sono stati avviati a percorsi di orientamento al lavoro 50mila studenti, con 550 istituti messi in rete da «Italia Lavoro». Un'iniziativa che ha un duplice obiettivo: favorire e migliorare la transizione scuola-lavoro e ridurre la contraddizione tra il titolo di studio acquisito e l'occupazione trovata. Dei 550 istituti, 327 sono stati individuati come capofila e hanno già realizzato al loro interno uno sportello di placement per mettere in collegamento giovani e imprese. Sono stati infine avviati 17mila percorsi personalizzati di orientamento e placement, di cui 2.368 conclusi. Un vero e proprio ponte tra istruzione e lavoro, per promuovere l'ingresso e la permanenza dei giovani nel mercato del lavoro.


mercoledì 20 novembre 2013

Pensioni si pensioni no Inps ex INPDAP. Che confusione



Il disavanzo patrimoniale ed economico dell'Inps «può dare segnali di non totale tranquillità». Così il presidente dell'Inps Antonio Mastrapasqua sui dati di bilancio dell'Ente nel corso di una audizione alla commissione bicamerale di controllo degli enti previdenziali.

Un'uscita che aveva sollevato parecchi allarmi e che ha indotto Mastrapasqua a specificare che i conti dell'Istituto «sono in piena sicurezza» e a smentire «ogni allarmismo». «C'è piena e totale sostenibilità dei conti della previdenza e dell'Inps - ha chiarito Mastrapasqua - Nessun allarme e nessun allarmismo.

L'accorpamento con Inpdap ed Enpals ha spiegato Mastrapasqua in audizione «ha creato uno squilibrio di bilancio». La perdita dell'Inps è imputabile essenzialmente, riassume ancora il presidente Inps, «al deficit ex Inpdap, alla forte contrazione dei contributi per blocco del turnover del pubblico impiego e al continuo aumento delle uscite per prestazioni istituzionali».

Di qui la necessità di rivedere le norme che hanno regolato l'accorpamento dell'Inps con Inpdap ed Enpals. Per Mastrapasqua occorre dunque abbandonare la pratica delle anticipazioni, «di trasferimenti statali non completamente rispondenti ai fabbisogni», e ripristinare una copertura strutturale da parte dello Stato per il pagamento delle pensioni pubbliche. Senza questo intervento normativo si potrebbero «innescare rischi di sotto finanziamento dei disavanzi previdenziali e di progressivo aggravamento delle passività».

Ecco perché «sarebbe auspicabile che fosse approfondita e valutata nelle sedi competenti l'opportunità di eventuali interventi normativi, tesi a garantire l'efficiente ed efficace implementazione della più grande operazione di razionalizzazione del sistema previdenziale pubblico», dice Mastrapasqua, ricordando come all'origine del deficit ex Inpdap vi sia stata la soppressione, con la Finanziaria 2008, della norma in vigore dal 1996 che prevedeva l'apporto dello Stato a favore della gestione ex Inpdap, per garantire il pagamento dei trattamenti pensionistici statali. A fronte di questo, infatti, l'Inpdap ha fatto ricorso all'avanzo di amministrazione per la coperture del relativo deficit finanziario e soprattutto, alle anticipazioni di bilancio. Il rischio, senza un intervento dello Stato, è un «aumento delle passività».

Il fardello ereditato dall'Inpdap è probabilmente il nodo principale e forse quello più urgente da affrontare, ma nell'agenda del sistema pensionistico italiano non è l'unico. A livello generale ci si sta iniziando a interrogare sulla tenuta del sistema e sull'adeguatezza delle pensioni future, tenuto conto che la rivalutazione dei contributi è legata all'andamento del Pil nazionale e se questo continuerà a non crescere o addirittura a diminuire gli effetti si faranno sentire anche sull'importo delle pensioni. Il passaggio al sistema contributivo, inoltre, se consente di avere conti più sostenibili rispetto al retributivo, in un mercato del lavoro e in una congiuntura sempre più difficili, caratterizzati dall'alternarsi di periodi di impiego ad altri senza, rischia di determinare assegni mensili inadeguati per chi andrà in pensione tra 20-30 anni, come ha recentemente sottolineato il ministro del Lavoro Enrico Giovannini.

Altro tema caldo è quello delle pensioni d'oro, su cui si è già tentato di introdurre un contributo di solidarietà in modo da reperire risorse da distribuire a favore delle pensioni più magre.

Entro fine anno il Governo dovrebbe prendere una decisione anche in merito all'incremento dell'aliquota contributiva prevista per gli iscritti alla gestione separata. In base alla legge 92/2012 (riforma del mercato del Lavoro dell'allora ministro Elsa Fornero), l'aliquota dovrebbe passare dall'attuale 27% al 33% entro il 2018. Un incremento ritenuto insopportabile dai professionisti a partita Iva iscritti alla gestione separata su cui ricade pressoché interamente questo onere dato che nelle attuali condizioni di mercato non possono permettersi di aumentare gli onorari fatturati ai committenti.

Infine ci sono gli esodati, conseguenza della riforma previdenziale Monti-Fornero di fine 2011, non ancora risolto. Le persone salvaguardate dagli effetti negativi del nuovo sistema finora sono meno di 150mila, a fronte di un bacino potenziale stimato di oltre 300mila. In questo caso il problema è il reperimento delle coperture necessarie, da parte del governo, per ampliare ulteriormente l'intervento e consentire così all'Inps di riconoscere il diritto alla pensione ed erogare il relativo assegno mensile sulla base delle regole in vigore fino al 2011.

Basti pensare al fatto che la confluenza dell'Inpdap nell'Inps ha portato come dote il primo bilancio in rosso per oltre 9 miliardi dell'Inps. Il cronico buco deficitario dell'ex fondo dei dipendenti pubblici si è così scaricato sulla previdenza di tutti. Per il 2013 il Collegio di indirizzo e vigilanza dell'Inps si attende dalla sola gestione dell'ex ente dei dipendenti pubblici un disavanzo di 7,6 miliardi, che vale quasi l'80% dell'intero disavanzo stimato per tutto l'Inps per il 2013 che è sopra i 9 miliardi.

E così l'incorporazione nei fatti è diventato un salvataggio mascherato dell'Inpdap che rischiava di finire in dissesto. Ora il contagio dei disastrati conti dell'ente pensionistico dei lavoratori pubblici si allarga però all'intero Inps. Del resto con perdite annue che sono state di 10 miliardi nel 2011 e di 9 miliardi nel 2010, l'Inpdap nei fatti aveva finito per vedersi erodere l'intero capitale. Salvezza necessaria, dunque, ma che avrà l'effetto, se il trend di perdite proseguirà con questo passo, di portare a zero anche il patrimonio dell'Inps già nel 2015, come ha avvertito lo stesso presidente Mastrapasqua.

Se poi si va indietro nel tempo si scopre che le perdite dell'Inpdap sono strutturali da anni. Nel 2009 il saldo tra contributi e prestazioni è stato infatti negativo per la bellezza di 14,4 miliardi, mitigato dai 9,1 miliardi di contributi dello Stato come datore di lavoro. Il buco resta comunque alto oltre i 5 miliardi. E dal 2005 al 2008 il saldo cumulativo è stato negativo per 42 miliardi, che si dimezzano tenendo conto dei versamenti contributivi dello Stato ma che lasciano comunque un passivo imponente.

Già ma perché l'Inpdap è perennemente in perdita? Come mostrano i dati della Corte dei Conti nell'ultimo decennio il saldo tra entrate e uscite è sempre stato negativo, accelerando negli anni tra l'altro. Solo nel 2011 il buco è stato di 10 miliardi, dato che le entrate si sono fermate a 51 miliardi mentre le spese per pensioni sono salite a ben 61 miliardi. E nel decennio 2002-2011 le spese sono aumentate del 4,6% annuo, mentre le entrate sono salite solo del 2,8 per cento.

Uno squilibrio strutturale come si vede determinato dal fatto che i contributi sono sempre stati più bassi delle pensioni erogate. Il metodo retributivo che premia gli ultimi anni di attività lavorativa, le pensioni d'anzianità, i ritiri anticipati sommati al blocco del turn over e alla contrazione del numero dei dipendenti hanno sortito questo effetto. Troppe pensioni e di importo più elevato rispetto ai contributi effettivamente versati.

Ma per ironia della sorte non sono solo le pensioni pubbliche (oltre 2,8 milioni di assegni per un importo nel 2013 stimato in 63,7 miliardi) e il loro disavanzo strutturale a minacciare i conti dell'Inps.

Anche le ricche pensioni degli ex dirigenti d'azienda (e i minori contributi versati in proporzione) mandano in deficit strutturale l'ex Inpdap. Il buco di bilancio dell'ente riassorbito nell'Inps pena il fallimento non è episodico. Nell'ultimo decennio il deficit cumulato è stato di almeno 20 miliardi. Come per l'Inpdap, le uscite previdenziali superano strutturalmente le entrate da contributi. Anche qui il danno del sistema retributivo è stato enorme. Pensioni calcolate sugli ultimi 5 anni di carriera lavorativa sono assai generose rispetto ai reali contributi versati dagli ex manager e i loro datori di lavoro.

Il fondo lavoratori dipendenti (cioè i privati) mantiene un debole segno positivo per 590 milioni. Ma in realtà sarebbe in forte avanzo per ben 8,5 miliardi se non gravassero su di esso i deficit strutturali degli ex fondi speciali: tra lavoratori elettrici, telefonici, dei trasporti e appunto dirigenti d'azienda il disavanzo complessivo per il 2013 sarà di 8 miliardi. Tanto da portare quasi a zero l'avanzo dei dipendenti privati.

Lo pagano i cittadini con la fiscalità generale, dato che lo Stato deve ogni anno elevare la quota di trasferimenti pubblici all'Inps. Sono circa 90 miliardi l'anno che saliranno di altri 20 miliardi fino al 2015, quando (forse) la riforma Fornero dispiegherà in pieno i suoi effetti.







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