domenica 12 gennaio 2014
Pensione anticipata con il prestito Inps
L’ipotesi che si aggira avrebbe uno scopo ben preciso, ovvero garantire la flessibilità su un duplice livello (oltre che arrestare il numero degli esodati):
per i lavoratori che vogliono andare in pensione in anticipo;
per le aziende che vorrebbero ringiovanire il proprio personale (togliendo dal limbo moltissimi giovani che faticano ad entrare nel mercato del lavoro).
Come funziona la pensione anticipata con prestito INPS? Il lavoratore che vuole andare in pensione, ma non ha ancora maturato i requisiti, che scatteranno comunque nel giro di 2-3 anni, potrebbe ricevere un assegno pensionistico, pari ad una determinata percentuale della propria retribuzione (pare si tratti di circa il 75%-80%), versato dall’INPS con un eventuale contributo dell’azienda. Sul tema vige ancora un certo dubbio. Se da una parte si parla dei soli lavoratori del settore privato, dall’altro si aggiungono i lavoratori con almeno 62 anni di età e 35 anni di contributi, che risultano inoccupati o rischiano di rimanere senza occupazione alla fine del periodo di mobilità.
Una volta raggiunti i requisiti, l’assegno verrebbe decurtato di una certa percentuale (che secondo le ipotesi al vaglio potrebbe oscillare tra il 10% ed il 15%) per poter restituire quanto incassato con il prestito pensionistico.
La pensione anticipata con prestito INPS non sarebbe altro che un’alternativa alla staffetta generazionale ma quali sono i costi? Secondo il ministro l’onere da sostenere potrebbe essere molto elevato, ma non trapelano ancora cifre attendibili.
Ovviamente tutto dipende dai numeri: quanti sarebbero i lavoratori e le aziende interessati? Giovannini spiega:
"Già oggi c’è un meccanismo che attraverso accordi sindacali permette il pensionamento anticipato con pagamento da parte dell’azienda di una quota consistente del gap pensionistico, è stato utilizzato dalle grandi imprese, mentre non è utilizzabile dalle piccole. Anche queste ultime potrebbero avere l’interesse a dare uno scivolo ai lavoratori, soprattutto in quei comparti dove l’età avanzata può addirittura comportare rischi per il tipo di attività svolta".
Il ministro del lavoro, Enrico Giovannini, sta lavorando ad una «manutenzione» della riforma delle pensioni per introdurre degli elementi di flessibilità sia per i lavoratori che vogliono lasciare in anticipo il lavoro rispetto ai requisiti attuali, ma anche per le imprese che potrebbero avere la necessità di ringiovanire il proprio personale. Lo schema è quello del cosiddetto «prestito pensionistico», un’ipotesi che già era circolata e di cui si era parlato nei mesi scorsi. Funzionerebbe più o meno così: supponiamo che ad un lavoratore manchino due anni alla pensione. Con le regole attuali non potrebbe fare altro che attendere.
Con il meccanismo al quale sta lavorando il ministro del lavoro potrebbe lasciare anticipatamente il lavoro. Non andrebbe in pensione, ma incasserebbe un assegno pari ad una certa percentuale del suo stipendio (per esempio l’80%) pagato dall’Inps eventualmente con il contributo della stessa azienda. Dal momento in cui, maturati i requisiti per la pensione, si incomincia ad incassare l’assegno previdenziale, quest’ultimo verrebbe decurtato di una cifra (che secondo le ipotesi circolate potrebbe oscillare tra il 10 e il 15%) per poter restituire i soldi ottenuti in prestito nei due anni precedenti. «Il meccanismo al quale stiamo lavorando», spiega a Il Messaggero il ministro Giovannini, «prevede anche il coinvolgimento da parte delle imprese oltre che del lavoratore e dello Stato. È un’operazione anche finanziariamente difficile da disegnare». . Il prestito pensionistico dovrebbe valere soltanto per i lavoratori del settore privato e sarebbe, comunque, un meccanismo volontario.
Il principale ostacolo, come sempre accade quando si parla di pensioni, sono i costi per le casse pubbliche di un sistema del genere. Costi che, spiega Giovannini, «possono essere molto alti». Dipenderà dal numero di lavoratori e dal numero di imprese eventualmente interessate ad attivare il il prestito. Se, per esempio, il mondo imprenditoriale non fosse propenso ad utilizzare il sistema, tutti i costi si scaricherebbero sui lavoratori e sull’Inps e dunque il meccanismo potrebbe diventare difficilmente sostenibile. Anche per questo, non appena il lavoro tecnico di Giovannini sarà concluso, il risultato sarà illustrato alle parti sociali, a cominciare dalla Confindustria, per sondare l’interesse delle imprese.
«Già oggi», spiega Giovannini, «c’è un meccanismo che attraverso accordi sindacali permette il pensionamento anticipato con pagamento da parte dell’azienda di una quota consistente del gap pensionistico, è stato utilizzato dalle grandi imprese, mentre non è utilizzabile dalle piccole. Anche queste ultime», aggiunge il ministro, «potrebbero avere l’interesse a dare uno scivolo ai lavoratori, soprattutto in quei comparti dove l’età avanzata può addirittura comportare rischi per il tipo di attività svolta».
Il prestito pensionistico, inoltre, sarebbe alternativo all’altra ipotesi di cui pure si era parlato, ossia la cosiddetta staffetta generazionale. In questo caso i lavoratori più anziani vedrebbero trasformati i loro contratti in part time con una contribuzione figurativa a carico dello Stato in modo da non incidere sulla futura pensione, dando così la possibilità alle imprese comunque di far entrare giovani nel mercato del lavoro. Rispetto alla staffetta, il prestito pensionistico avrebbe anche un altro vantaggio, non secondario, quello di essere una misura in grado di dare una risposta più strutturale anche al problema degli esodati, fino ad oggi affrontato con interventi spot, l’ultimo in finanziaria con la salvaguardia di altri 33 mila lavoratori.
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Buoni pasto limite esenzione per il 2014
I buoni pasto sono esenti da oneri fiscali e previdenziali fino a euro 5,29, le indennità di mensa, invece, comprendono sempre l’imposizioni di contributi; le uniche eccezioni a questa norma sono le indennità sostitutive corrisposte agli addetti alle strutture lavorative a carattere temporaneo, come gli addetti ai cantieri edili, o le unità produttive ubicate in zone dove mancano servizi di ristorazione; in questo caso valgono le regole per i buoni pasto. Tutto ciò vale anche per i nuovi collaboratori a progetto, assimilati ai dipendenti.
Non aumenterà la soglia di esenzione per i buoni pasto, che non continueranno a non formare reddito fino a 5,29 euro al giorno. Così come il via libera dell'Unione europea all'esenzione Iva per chi ha volumi d'affari fino a 65mila euro annui non avrà ripercussioni su chi è ora nel regime dei minimi: per continuare a pagare le tasse al 5% (senza versare Iva e Irap) bisognerà mantenere sempre come bussola – oltre agli altri requisiti richiesti – il limite annuo di ricavi di 30mila euro.
Chiusura anche sull'innalzamento della soglia dei ricavi fino a 65mila euro per i contribuenti minimi. Il costo in termini di minor gettito sarebbe di 29 milioni di euro all'anno ma il problema maggiore è la valutazione sulla «compatibilità comunitaria con la disciplina in materia di aiuti di Stato». Come a dire che senza il consenso dell'Unione europea su questo punto non si possono fare modifiche. In realtà, la richiesta nasce dal via libera comunitario all'innalzamento della soglia di esenzione dall'Iva per i contribuenti con volume d'affari fino a 65mila euro.
Mense aziendali per i dipendenti: in questo caso non opera il limite di euro 5,29, e l'aliquota iva del 4% (anziché 10%) è applicabile, oltre che alle mense interne, anche in pubblici esercizi essenzialmente sulla base e nei limiti di importo stabiliti in apposite convenzioni / appalti tra datore di lavoro e pubblico esercizio. Quest'ultimo però deve essere munito di apposita licenza e con spazi e locali destinati a fungere da mensa esterna per le imprese.
Ciò vale anche fornendo i pasti su vassoi presso il datore di lavoro, o tramite servizi convenzionati di mensa diffusa a mezzo di card elettroniche personalizzate e tracciate, o tramite distributori automatici in azienda.
Per evitare il limite di deducibilità di euro 5,29, tipico del buono pasto o ticket restaurant, occorre quindi che si configuri un vero servizio di mensa per i dipendenti e assimilati.
Esempio comparativo con valore erogato 5,29 euro:
INDENNITA' PAGATA IN BUSTA
Netto percepito 3,52 euro
Costo azienda 6,98 euro
BUONI PASTO
Netto percepito 5,29 euro
Costo azienda 5,29 euro
Esempio di spesa annua di una azienda che assegna la somma di 5,29 Euro al giorno per 220 giorni lavorativi a un lavoratore del terziario con un reddito lordo non superiore a 15.000 euro annui:
Costo per indennità di mensa in busta paga:
Importo netto annuo 1.163,80 euro
Irpef lavoro dipendente 347,63 euro
Inps carico dipendente 8,89% 147,48 euro
Inps carico azienda 28,98 % 497,34 euro
Costo totale azienda 2.156,25 euro
Costo per acquisto di buoni pasto:
Importo 1.163,80 euro
Ovviamente in entrambi i casi il superamento della quota di 5,29 euro/giorno comporta l’assoggettamento in busta paga di ritenute proporzionali e contributi per la differenza attribuita.
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Ipotesi contratto unico di lavoro e assegno universale
Le ipotesi sul lavoro e delle pensioni riaprono i battenti. Dopo il varo della riforma Fornero sono rimasti chiuse le questioni previdenziali. Il del Jobs act annunciato da Matteo Renzi, che poggia sul contratto unico e l'assegno universale per chi perde il lavoro, e della revisione della spesa (spending review) targata Carlo Cottarelli. Grazie alla quale potrebbe scattare un intervento sulle pensioni medio alte con connotazione retributiva e sui trattamenti di reversibilità in relazione al passaggio al metodo contributivo.
La bozza di Jobs act oltre al contratto unico e all'assegno universale per chi perde lavoro prevede un drastico snellimento del codice del lavoro da realizzare in otto mesi, singoli piano industriali per sette settori chiave, tra cui edilizia e servizi per il nuovo Welfare, e la riduzione dell'Irap per le imprese facendo leva su un aumento delle tasse sulle rendite finanziarie. «La proposta di Renzi sulla natura dei contratti e le tutele ad essi collegati non è nuova, ma va dettagliata meglio», ha detto questa il ministro del Lavoro Enrico Giovannini «Noi adesso abbiamo ogni trimestre circa 400mila assunzioni a tempo indeterminato e circa 1,6 milioni a tempo determinato. Allora – ha proseguito Giovannini – riuscire a trasformare contratti precari in contratti di più lunga durata è un obiettivo assolutamente condivisibile, che però in un momento di grande incertezza come questo molte imprese siano disponibili ad andare in questa direzione è un fatto da verificare. C'è poi da dire che molte delle proposte presentate da Renzi in questa lista prevedono investimenti consistenti».
Anche per quanto riguarda le pensioni esistono delle possibili novità: ci saranno anche dei provvedimenti specifici per gli esodati da attuare in un'unica tranche oppure poco per volta. Interventi di sostegno che dovrebbero andare ad aggiungersi alle misure di tutela già previste dall'ultima legge di stabilità: il salvataggio per il 2014 di altri 17mila soggetti oltre ai 6mila indicati in prima battuta. E sempre nella direzione della "tutela" si colloca il pacchetto al quale sta lavorando il ministro del lavoro che prevedrebbe la possibilità di riconoscere con un anticipo di 2 o 3 anni la pensione maturata a lavoratori rimasti senza impiego e senza ammortizzatore sociale con almeno 62 ani di età e 35 di contributi. Una sorta di "prestito previdenziale" su cui il Governo potrebbe confrontarsi con le parti sociali entro fine mese. Tra i capitoli nel mirino di Cottarelli anche quello delle pensioni medio-alte, a partire da quelle con connotazione retributiva (calcolate sulla base dello stipendio e non solo dei contributi versati).
L'Europa promuove il piano Renzi sul lavoro. Alcuni dei punti chiave del Jobs act - spiega il commissario Ue al Lavoro Lazlo Andor, durante una conferenza stampa a Roma - appaiono in linea con le raccomandazioni Ue sul mercato del lavoro. Andor sottolinea che la proposta andrà comunque valutata nei dettagli.
Sul capitolo lavoro, Letta lavora ad alcune sue proposte, da integrare con quelle del segretario. In questi giorni ha incontrato il ministro Giovannini. Tra le soluzioni caldeggiate sia dal presidente del Consiglio sia da Renzi - su cui i due potrebbero trovare un'intesa - il potenziamento dei servizi per l'impiego, l'aumento delle tutele con l'obiettivo di introdurre un sostegno di inclusione attiva e la necessità di mettere ordine nei contratti. Aprono alcuni esponenti dell'esecutivo, e allo stesso tempo segnalano la necessità di individuare le coperture: «C'è poi da dire che molte delle proposte presentate da Renzi in questa lista prevedono investimenti consistenti», aggiunge il ministro. Sullo stesso tono le osservazioni del ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato: «I punti sono tutti sollevati in modo corretto e li condivido in toto, bisogna però risolvere un problema non banale, che è quello delle coperture».
Un'apertura al Jobs Act arriva anche dalla Cisl. «Ne dobbiamo discutere ma siamo tendenzialmente favorevoli», afferma il segretario Raffaele Bonanni, intervistato da Skytg24. Secondo Bonanni la "flessibilità" va bene «a patto che venga pagata di più» e piace l'idea «di dare forza a un solo contratto ed eliminare quei contratti civetta che servono solo per pagare meno le persone, specie giovani».
Più tiepida la reazione della Cgil, che però apre al confronto: «avremmo sperato in una maggior ambizione, a partire ad esempio dalla creazione del lavoro o dalle risorse, penso alla patrimoniale, ma è già importante che il tema del lavoro sia tornato al centro», ha dichiarato il segretario generale della Cgil Susanna Camusso. «Non possiamo che salutare con favore - ha aggiunto la sindacalista - che il dibattito politico finalmente abbia ripreso a parlare di lavoro e che il più grande partito del centrosinistra si stia impegnando a fare delle proposte». A seguire un inaspettato riconoscimento a Renzi: «Che si dica esplicitamente che bisogna ridurre le forme del lavoro è una novità assolutamente inaspettata: fino ad oggi lo dicevamo solo noi».
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