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martedì 27 giugno 2017

Lavorare nelle risorse umane



Lavorare in questo settore non significa solo assumere e licenziare. Chi sceglie di specializzarsi nelle Human Resources deve adoperarsi per far sì che ogni singolo lavoratore dia sempre il meglio di sé e deve rapportarsi costantemente con i dipendenti intesi come capitale umano dell’azienda e accompagnare le risorse interne in ogni fase della loro vita lavorativa. Parliamo di un ruolo delicato e strategico, che non può prescindere dall'ingrediente principale: la passione per le persone.

Per risorse umane si deve intendere la gestione dei lavoratori che si trovano alle dipendenze di un'azienda, indipendentemente dalle mansioni ricoperte e dal settore di collocamento. Le figure che si occupano della gestione delle risorse umane hanno il compito di selezionare e di formare il nuovo personale da inserire, nonché di seguire e di valutare i lavoratori già in forza all'azienda, al fine di raggiungere gli obiettivi dell'impresa e di motivare i dipendenti, anche dal punto di vista economico.

Un aspetto rilevante è l'amministrazione del personale, che deve assicurare l'elaborazione delle spettanze e adempimenti di tutto il personale dell'azienda, nel rispetto delle norme del contratto e delle leggi in materia.

Le prime regole per l’amministrazione del personale devono essere: il verificare le aspettative, il saper animare con spirito di conoscenza i diversi aspetti strutturali, cercare di dare credito alle idee innovative e avere un modello di gestione che raggruppi tutti gli interessi sia tecnologici che scientifici dell'azienda.

Tra i requisiti fondamentali c'è sicuramente quello di possedere il titolo di studio idoneo. Preferibilmente una laurea in psicologia, o comunque una laurea umanistica, opportunamente corredata da un master specifico o corsi di specializzazione altamente professionalizzanti. I principali compiti di chi lavora nelle risorse umane consistono nella selezione del personale. Il personale che si sottopone a dei colloqui per occupare una specifica carica deve dimostrare di avere i requisiti richiesti dall'azienda che impartisce direttive precise per le professionalità specifiche di ogni candidato. Nel processo di selezione, il selettore deve carpire la reale motivazione del candidato a voler intraprendere quel particolare tipo di attività, e una volta individuata la risorsa da inserire nello staff aziendale, deve curarne la formazione e la gestione amministrativa.

Quella del manager delle risorse umane è una figura che diventa sempre più basilare nelle aziende. A seguito della formazione, l'esperto in risorse umane può assumere sia la funzione di human resource manager, ossia il ruolo di maggior prestigio e responsabilità, che svolgere altri delicati incarichi, come il responsabile dell'amministrazione del personale e come l'addetto alle risorse umane. Chi possiede una buona preparazione dal punto di vista giuridico può occuparsi delle questioni sindacali e dei relativi rapporti contrattuali con i lavoratori.

Trattandosi di un incarico dirigenziale, il lavoro risorse umane consente di guadagnare cifre importanti. Lo stipendio si differenzia, naturalmente, in base alla mansione che si svolge. Gli HR manager percepiscono retribuzioni medie che superano i 100 mila euro netti annui, mentre per quanto riguarda il ruolo di responsabile del personale gli stipendi si aggirano sui 50/60 mila euro netti all'anno.

Per lavorare in questo ambito bisogna inoltre disporre di competenze afferenti alla psicologia che permettono di andare oltre la superficie delle cose e di cogliere i segnali che le persone possono inviare in vario modo (i veri professionisti non fanno attenzione solo a quello che i loro interlocutori esprimono con le parole, ma anche a quello che comunicano con il corpo).

Di più: chi aspira a fare carriera in questo settore (i Direttori delle Risorse Umane delle grandi aziende, che sovrintendono al lavoro di un numero importante di persone, possono arrivare a guadagnare più che bene) deve dimostrare di avere buone doti organizzative e di pianificazione, spiccate competenze comunicative (deve saper ascoltare gli altri e porsi nel modo più empatico possibile) e buone capacità di negoziazione, dal momento che dovrà curare i rapporti sindacali e (se necessario) fare “da paciere” tra colleghi che battibeccano in continuazione. L’addetto alle Risorse Umane deve, in sintesi, fare in modo che le persone che lavorano in azienda siano messe nella condizione di dare sempre il meglio di sé. E deve accertarsi della qualità dei rapporti umani che – come sappiamo – possono fare la differenza in termini di motivazione e di produttività.

L’addetto alle risorse umane ha il compito di gestire – anche sotto il profilo amministrativo – tutto il personale dell’azienda. Ma cosa fa esattamente?

individua le risorse da assumere (sulla scorta delle esigenze dell’azienda che deve, dunque, conoscere bene);
ricerca e seleziona le risorse più appetibili (valutandole sia sulla base del curriculum vitae che del colloquio di lavoro);

assume i candidati che hanno superato con successo la selezione;

si occupa della formazione del personale;

analizza e valuta il lavoro delle risorse (pianifica carriere nel tentativo di incentivare i talenti a rimanere) e definisce le politiche retributive (tara gli aumenti sulle capacità dimostrate dal dipendente, secondo un criterio di mera meritocrazia);

comunica costantemente col personale e agevola l’interazione tra le risorse interne all’azienda
cura le relazioni sindacali;

si occupa degli eventuali licenziamenti.

Quella dell’addetto alle risorse umane è una professione importantissima. La scelta dei candidati migliori può, infatti, fare la differenza. Ma è solo il primo passaggio: una volta scovato e assunto il talento, l’azienda deve impegnarsi a non farselo scappare. E il contributo offerto dalle risorse umane (che deve rimanere in costante contatto coi dipendenti e accertarsi che ognuno di loro si senta sufficientemente apprezzato e valorizzato) può essere determinante. Si tratta di un compito delicatissimo, che non può essere svolto con leggerezza o approssimazione.

Altra funzione di questo settore e di analizzare le tecniche per misurare le performance dei collaboratori, le tecniche di motivazione per migliorarne le prestazioni e i risultati nell'impresa e/o organizzazioni.

Questi sono i principali canali di valutazione delle risorse umane.

Analisi della realtà e valutazione nelle organizzazione.

Sistemi di valutazione: complessità, problemi, orientamenti.

La valutazione delle risorse umane: contesti colturali e qualità del servizio.

La valutazione tra sistemi di gestione e pratiche empiriche.







domenica 26 marzo 2017

Call center: nuove regole sulla delocalizzazione



Per call center si intende l'insieme dei dispositivi, dei sistemi informatici e delle risorse umane in grado di gestire le chiamate telefoniche da e verso un'azienda. L'attività di un call center può essere svolta da operatori specializzati e/o risponditori automatici interattivi. Nei call center è definito inbound quell'operatore che lavora in ricezione telefonate: è il cliente a chiamare il call center, da un telefono fisso o mobile, e il lavoratore si limita a rispondere alle domande o a fornire l'assistenza richiesta. Nei call center si definisce invece outbound quell'operatore che lavora sulle telefonate in uscita. È dunque il call center, attraverso questo operatore, che contatta i clienti chiamandoli al telefono (soprattutto a quello di casa) per proporre offerte, prodotti o fare sondaggi e inchieste di mercato.

Il Ministero del lavoro  ha pubblicato ieri la  nota operativa 33/1328  con la quale sono state fornite le istruzioni sugli obblighi di comunicazione  per  i call center introdotti dalla legge di bilancio 2017 Le nuove norme anti-delocalizzazione si applicano a tutti gli operatori economici che utilizzano numeri pubblici   a prescindere dal carattere accessorio o prevalente di questa attività rispetto all'oggetto sociale e indipendentemente dal numero di dipendenti. Sono esclusi  le Pubbliche amministrazioni e gli enti non profit.

La nota ricorda che la  comunicazione obbligatoria della delocalizzazione dell'attività, anche con affidamento a terzi, in un paese extra UE va inviata con un preavviso di 30 giorni, e prevede l'obbligo di individuare i «lavoratori coinvolti». Il Ministero chiarisce che si fa riferimento ai lavoratori che, in conseguenza della delocalizzazione , subiscono una modifica della propria posizione lavorativa (tra cui il licenziamento). Nel comunicare il numero degli addetti, si devono indicare anche le unità produttive in cui  sono occupati, nonché le eventuali modifiche della posizione lavorativa.

Le nuove norme anti-delocalizzazione nel settore dei call center si applicano a tutti gli operatori che utilizzano numeri pubblici destinati all’utenza, a prescindere dal carattere accessorio o prevalente di questa attività rispetto all’oggetto sociale. Questa l’indicazione più importante della nota operativa 33/1328 del Lavoro pubblicata ieri, con la quale sono state fornite le istruzioni per attuare gli obblighi di comunicazione introdotti dalla legge di bilancio 2017 (la quale ha modificato l’articolo 24-bis del Dl 83/12) che dovranno essere applicati dalla data odierna.

La nota chiarisce che le norme non sono limitate alle aziende che svolgono in via esclusiva o prevalente attività di call center, ma si rivolgono a qualsiasi operatore economico che svolge, indipendentemente dal numero di dipendenti, attività di call center utilizzando numerazioni telefoniche messe a disposizione del pubblico.

Questa interpretazione, rileva la nota, è coerente con la nozione di “operatore economico” contenuta nel nuovo Codice degli appalti, che fa riferimento a tutti coloro che offrono beni e servizi sul mercato a prescindere dalla forma giuridica di riferimento. Sono esclusi dalla nozione le Pa, se assolvono i loro compiti istituzionali, e tutti i soggetti che svolgono attività prive di finalità lucrative.

Quanto ai contenuti della comunicazione che va inviata, con un preavviso di 30 giorni, dagli operatori economici che decidono di localizzare, anche mediante affidamento a terzi, l’attività di call center in un Paese non Ue, la nota spiega cosa debba intendersi con l’obbligo di individuare i «lavoratori coinvolti». La legge, secondo il Ministero, fa riferimento al numero complessivo dei lavoratori che, in conseguenza della delocalizzazione delle attività di call center, subiscono una modifica della propria posizione lavorativa (tra cui il licenziamento). Nel comunicare il numero degli addetti, si deve indicare anche le unità produttive in cui i medesimi sono occupati, nonché le eventuali modifiche della posizione lavorativa. Infine, la nota chiarisce le modalità con cui dovrà essere resa la comunicazione, per la parte di competenza del ministero del Lavoro, all’Inl.

Per svolgere questo adempimento sarà disponibile, dal 28 marzo, sui siti del ministero e dell’Inl un modello telematico; fino a tale data, le comunicazioni potranno essere effettuate compilando una tabella excel da inviare via email a deloc_callcenter@lavoro.gov.it.



giovedì 2 marzo 2017

Contributi INPS per assistenza anziani e disabili



E’ stata prorogata al 2016 l’iniziativa Home Care Premium, il bonus erogato dall’INPS a coloro che assistono un familiare anziano o disabile. Il programma si concretizza nell’erogazione da parte dell’Istituto di contributi economici mensili, c.d prestazioni prevalenti, in favore di soggetti non autosufficienti, maggiori d’età e minori, che siano disabili e che si trovino in condizione di non autosufficienza per il rimborso di spese sostenute per l’assunzione di un assistente familiare.  Il programma è limitato ai dipendenti e pensionati della pubblica amministrazione che contribuiscono alla gestione con lo 0,35% sulle retribuzioni dei lavoratori in servizio e con lo 0,15% versato su base volontaria dei pensionati oltre che dagli interessi su prestiti e mutui concessi agli iscritti.

La domanda dovrà essere trasmessa esclusivamente per via telematica a partire dal 1° marzo sino al 30 marzo 2017. Il beneficio si rivolge ai dipendenti, pensionati e loro familiari iscritti presso la gestione pubblica.

Ecco quali sono le principali informazioni da tenere in considerazione.

L’INPS offre  la possibilità  ai dipendenti e pensionati pubblici di usufruire di un aiuto nell'assistenza domiciliare alle persone anziane o non autosufficienti . E' stato pubblicato in fatti il Bando Pubblico Progetto Home Care Premium – Si tratta di un progetto di Assistenza Domiciliare per i dipendenti e pensionati pubblici, per i loro coniugi, per parenti e affini di primo grado non autosufficienti.

L’Home Care Premium prevede il coinvolgimento di Ambiti Territoriali Sociali e/o Enti pubblici, che vogliano prendere in carico i soggetti non autosufficienti residenti nei propri territori. Il programma si concretizza nell’erogazione da parte dell’Istituto di contributi economici mensili, c.d. prestazioni prevalenti, in favore di soggetti non autosufficienti, maggiori d’età o minori, che siano disabili e che si trovino in condizione di non autosufficienza per il rimborso di spese sostenute per l’assunzione di un assistente familiare. Il beneficio ha la durata di 18 mesi e potrà riguardare 30 mila persone.

La misura del contributo che verrà erogato dall'INPS dipende dall'ISEE familiare e dalla disabilità del soggetto da assistere. E' compreso tra 1.050 euro mensili per un soggetto con disabilità gravisissima e ISEE sotto gli 8mila euro ad un minimo di 50 euro per disabilità grave con ISEE oltre i 40 mila euro. La procedura per l’acquisizione della domanda sarà attiva a decorrere dalle ore 12,00 del giorno 1 marzo 2017 e non oltre le ore 12,00 del giorno 30 marzo 2017.

Dopo la pubblicazione della graduatoria, a decorrere dal 27 aprile 2017 ore12.00, sarà possibile presentare nuove domande, sia per coloro che non hanno già presentato domanda entro il 30 marzo 2017 sia, solo in caso di aggravamento, per gli idonei che hanno già presentato domanda entro i predetti termini. Le nuove domande accolte comporteranno l’aggiornamento della graduatoria degli idonei e saranno ammesse in graduatoria il trentesimo giorno a decorrere dalla data di presentazione. La graduatoria verrà aggiornata il primo giorno lavorativo di ogni mese e sarà pubblicata sul sito dell’Istituto.

 Il programma di assistenza durerà dal 1° luglio 2017 al 31 dicembre 2018 (18 mesi) e selezionerà 30mila beneficiari sulla base di una graduatoria che sarà pubblicata il prossimo 20 aprile ordinata in funzione della gravità della disabilità dell'ISEE e dell'età anagrafica del richiedente. Per accedere al piano gli interessati dovranno produrre esclusivamente domanda telematica all'Inps dalle ore 12 del 1° marzo alle ore 12 del 31 marzo 2017. Prima di trasmettere la domanda il richiedente dovrà presentare o assicurarsi che il CAF abbia presentato presso l’Inps la DSU relativa che attesti l'ISEE del richiedente la prestazione.

Bonus assistenza anziani e disabili: come funziona?

Il bonus erogato a favore di chi assiste anziani e disabili prevede un contributo che oscilla tra un minimo di 400 euro al mese ed un massimo di 1200 euro al mese.

L’importo del contributo assistenziale mensile può subire variazioni in base all’ISEE del richiedente e ad un punteggio che indica il grado di autosufficienza del soggetto beneficiario.
La somma massima di 1200 euro è prevista per i casi in cui i redditi annuali siano inferiori agli 8000 euro annui.

Il bando dispone poi l’assegnazione di un trattamento integrativo che può arrivare fino a un massimo di 2400 euro, importo che, in ogni caso viene concesso in base allo specifico percorso assistenziale che il beneficiario deve seguire.

Bonus assistenza anziani e disabili: beneficiari
Il progetto Home Care Premium è un bonus destinato a dipendenti e pensionati pubblici che sono in condizioni di non autosufficienza o che assistono in casa persone non autosufficienti o con disabilità grave.

Il bonus può, quindi, essere richiesto dai soli dipendenti e pensionati pubblici per se stessi e per i familiari conviventi o di primo grado non autosufficienti (anziani o disabili che siano).


martedì 7 febbraio 2017

Busta paga:i nuovi obblighi ai datori di lavoro



La busta paga è il documento necessario per tutti i dipendenti, che attesta la retribuzione netta e lorda del lavoratore e serve per verificare lo stipendio percepito e la sua congruità con quanto stabilito nel CCNL. Sulla busta paga si possono inoltre verificare i contributi pensionistici versati dal datore di lavoro a vantaggio del dipendente. Il pagamento dello stipendio potrà essere effettuato solo con versamento in banca o alle Poste e la firma sulla busta paga non costituirà più una prova dell’avvenuto pagamento.

Stipendi versati solo in banca o in posta e la firma sulla busta paga non costituirà prova dell'avvenuto pagamento. Sono queste le principali novità introdotte dal disegno di legge (c1041) recante "disposizioni in materia di modalità di pagamento delle retribuzioni ai lavoratori".

In arrivo cambiamenti in tema di busta paga con il disegno di legge C1041 recante “Disposizioni in materia di modalità di pagamento delle retribuzioni ai lavoratori” che vede come prima firmataria la Titti Di Salvo (Dem) e relatrice Valentina Paris (Pd) ed è attualmente all’esame della Commissione Lavoro della Camera in sede referente.

L’obiettivo principale del provvedimento è quello di evitare brogli sulle retribuzioni, andando a contrastare il fenomeno che affligge molti lavoratori ai quali i datori di lavoro corrispondono una retribuzione inferiore ai minimi fissati dalla contrattazione collettiva, pur facendo firmare loro una busta paga nella quale risulti una retribuzione regolare, dietro minaccia di licenziamento o dimissioni in bianco.

Il Ddl prevede quindi che il versamento dello stipendio possa avvenire solo in banca o alla posta, eliminando al contempo la validità probatoria della firma apposta sulla busta paga per l’avvenuto pagamento della retribuzione. Il tutto senza caricare di nuovi oneri imprese e/o lavoratori, allo scopo è prevista, entro tre mesi dall’entrata in vigore della norma, la stipula di una convenzione tra il Governo, Associazione bancaria italiana e Poste italiane Spa per individuare gli strumenti bancari e postali idonei per consentire ai datori di lavoro di eseguire il pagamento della retribuzione ai propri lavoratori.

Sarà il lavoratore, al momento della firma del contratto, a decidere per il pagamento mediante:

accredito diretto sul proprio conto corrente;

emissione di un assegno da parte dell’istituto bancario o dell’ufficio postale, consegnato direttamente al lavoratore (o ad un delegato in caso di comprovato impedimento);

pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale.

I datori di lavoro o committenti non potranno più corrispondere la retribuzione per mezzo di assegni o di somme contanti di denaro, qualunque sia la tipologia del rapporto di lavoro instaurato.

In fase di assunzione il datore di lavoro dovrà comunicare, al Centro per l’Impiego competente per territorio gli estremi dell’istituto bancario o dell’ufficio postale che provvederà al pagamento delle retribuzioni al lavoratore, nel rispetto delle norme sulla privacy. La comunicazione, per evitare di attribuire nuovi carichi burocratici ai datori di lavoro, sarà inserita nello stesso modulo che i datori di lavoro inviano obbligatoriamente al Centro per l’impiego in caso di nuove assunzioni. Per annullare l’ordine di pagamento il datore di lavoro dovrà trasmettere alla banca o alle Poste copia della lettera di licenziamento/dimissioni del lavoratore.

In caso di inadempimento sono previste sanzioni amministrative pecuniarie da 5mila a 50mila euro. Per la mancata comunicazione al Centro per l’Impiego è prevista una sanzione di 500 euro seguita da un accertamento della direzione provinciale del lavoro.

Sono esclusi da tali obblighi i datori di lavoro non titolari di partita IVA, i rapporti di lavoro domestico e familiare e i rapporti instaurati dai piccoli o piccolissimi condomini.

l provvedimento che si compone di 5 articoli introduce un semplice meccanismo che consiste nel rendere obbligatorio il pagamento delle retribuzioni ai lavoratori (nonché ogni anticipo), attraverso gli istituti bancari o gli uffici postali.

La scelta del sistema di pagamento è rimessa direttamente al lavoratore, il quale potrà optare per l'accredito diretto sul proprio conto corrente, per l'emissione di un assegno (consegnato direttamente al lavoratore o in caso di comprovato impedimento a un suo delegato) oppure per il pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale.

Viene vietato in sostanza ai datori di lavoro il pagamento della retribuzione a mezzo di assegni o contante qualunque sia la tipologia del rapporto di lavoro instaurato.

Si stabilisce, inoltre, che la firma della busta paga non costituisce prova dell'avvenuto pagamento della retribuzione.

Il provvedimento fissa l'obbligo per il datore di lavoro, al momento dell'assunzione, di comunicare al centro per l'impiego competente gli estremi dell'istituto bancario o dell'ufficio postale che provvederà al pagamento delle retribuzioni al lavoratore, nel rispetto delle norme sulla privacy.

La comunicazione, per evitare di attribuire nuovi oneri burocratici ai datori, sarà inserita nello stesso modulo che gli stessi inviano obbligatoriamente al centro per l'impiego quando effettuano nuove assunzioni. La modulistica, quindi, dovrà essere opportunamente modificata (dai centri per l'impiego) entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge per permettere l'invio corretto della comunicazione anche in modalità telematica.

Allo stesso modo, l'ordine di pagamento potrà essere annullato soltanto trasmettendo alla banca o alle poste copia della lettera di licenziamento o delle dimissioni del lavoratore, rese secondo le modalità di legge, fermo restando l'obbligo di effettuare tutti i pagamenti dovuti al lavoratore dopo la risoluzione del rapporto di lavoro.

La convenzione - La proposta di legge prevede, inoltre, la stipula di una convenzione (entro tre mesi dall'entrata in vigore) tra il Governo e l'Associazione bancaria italiana e la società Poste italiane Spa che individua gli strumenti bancari e postali idonei per consentire ai datori di lavoro di eseguire il pagamento della retribuzione ai propri lavoratori, con l'importante previsione che ciò non deve determinare nuovi oneri né per le imprese nè per i lavoratori.

Le esclusioni - Il ddl esclude dagli obblighi introdotti i datori di lavoro che non sono titolari di partita Iva, i quali spesso non sono neanche titolari di un conto corrente. In ogni caso sono esclusi dalla pdl, i rapporti di lavoro domestico e familiare (nei quali i datori spesso sono persone anziane o disabili), così come i rapporti instaurati dai piccoli o piccolissimi condomini (ad es. per pulizia scale o manutenzione verde condominiale).

Le sanzioni - Sono, infine, previste pesanti sanzioni pecuniarie (da 5mila a 50mila euro) per i datori di lavoro che non ottemperano agli obblighi introdotti dalla legge. Chi non comunica al centro per l'impiego competente per territorio gli estremi dell'istituto bancario o dell'ufficio postale che effettuerà il pagamento delle retribuzioni è soggetto al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria di 500 euro e al successivo accertamento della direzione provinciale del lavoro, che procederà alle conseguenti verifiche.





domenica 5 febbraio 2017

Nuove regole per i Call Center dal 2017



Per call center si intende l'insieme dei dispositivi, dei sistemi informatici e delle risorse umane in grado di gestire le chiamate telefoniche da e verso un'azienda.

Per effetto dell’entrata in vigore della Legge di Stabilità 2017, sono cambiate dal 1 gennaio 2017 le regole per i call center che, a partire da quest’anno, devono obbligatoriamente informare l’utente sul luogo in cui si trova l’operatore che sta chiamando.

Con un comunicato stampa del 1° febbraio 2017, il Ministero dello Sviluppo Economico sottolinea le principali novità in favore dell’utente che in particolare, deve essere informato del Paese in cui è fisicamente collocato l’operatore avendo la possibilità di richiedere il servizio da un operatore differente. Una importante novità riguarda inoltre, la responsabilità solidale tra committente e gestore del call center.

Con un comunicato stampa del 1° febbraio 2017, il Ministero dello Sviluppo Economico, chiarisce che nell'ambito dell’ultima legge di bilancio sono state approvate nuove regole per il funzionamento dei call center.

Nuovi obblighi per l’operatore, infatti egli deve:

- a partire dal 1° gennaio 2017 informare l’utente riguardo al Paese in cui è fisicamente collocato l’operatore;

- a partire dal 1° aprile 2017, se l’operatore del call center collocato in un Paese extra UE, deve inoltre offrire subito la possibilità di richiedere che il servizio sia reso da un operatore collocato nel territorio nazionale o nella UE, con immediato trasferimento nel corso della medesima chiamata.

Inoltre per tutti gli operatori economici che svolgono attività di call center diventa obbligatorio iscriversi al Registro degli operatori di comunicazione tenuto dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, alla quale dovranno essere fornite tutte le numerazioni telefoniche messe a disposizioni del pubblico e utilizzate per i servizi di call center.

Per chi decide di localizzare, anche mediante affidamento a terzi, l’attività di call center in un Paese extra UE, diventa obbligatorio darne comunicazione almeno trenta giorni prima del trasferimento alle seguenti amministrazioni:

- Ministero del lavoro e delle politiche sociali nonché Ispettorato nazionale del lavoro;

- Ministero dello Sviluppo Economico;

- Garante per la protezione dei dati personali.

Se la localizzazione dell’attività di call center al di fuori del territorio nazionale e dell’Unione europea è avvenuta prima del 1° gennaio 2017 le comunicazioni devono essere effettuate entro il 2 marzo 2017.

Importante novità riguarda la responsabilità solidale tra committente e gestore del call center, in pratica, chi affida il servizio ad un call center esterno è responsabile in solido con il soggetto gestore, e le sanzioni previste arrivano fino a 50 mila euro per ogni giornata di violazione e a 150 mila per ciascuna comunicazione omessa o tardiva.

Dal 1° marzo 2017 diventa inoltre obbligatoria l’iscrizione per gli operatori economici che svolgono attività di call center al Registro degli Operatori di Comunicazione (R.O.C.) tenuto dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, indicando tutte le numerazioni utilizzate per l’attività di call center. Adempimento valido anche per i soggetti terzi affidatari dei servizi di call center. La sanzione in caso di inadempienza, in questi casi, è pari a 50 mila euro.

Chi delocalizza fuori dall’UE dovrà darne comunicazione almeno 30 giorni prima del trasferimento (entro il 2 marzo per i call center che hanno delocalizzato in Paesi extra UE prima del 1° gennaio 2017) al Ministero del Lavoro, all’Ispettorato nazionale del lavoro, al Ministero dello Sviluppo Economico e al Garante privacy. In questo caso è prevista una sanzione di 150 mila euro per ciascuna comunicazione omessa o tardiva (10mila euro per le delocalizzazioni antecedenti al 2017).

Le grandi e piccole aziende di call center outbound, possono assumere ancora collaboratori con contratti parasubordinati sotto forma di prestazione continuativa e coordinata, qualora sia stato stipulato un Accordo Collettivo Nazionale. La stipula di tale accordo, rende quindi possibile alle aziende, di evitare la tagliola della presunzione di lavoro subordinato, e quindi quello di stipulare ancora il contratto di co.co.co.

Per le figure professionali rientranti nell’ambito del rapporto di lavoro co.co.co si consiglia di visitare la pagina dedicata al nuovo contratto di lavoro.




martedì 9 agosto 2016

Anticipo della pensione, sette mesi in più



La possibilità di andare in pensione fino a 3 anni prima grazie ad un prestito previdenziale da restituire in 20 anni, il cosiddetto Ape – Anticipo pensionistico,  è stata estesa a tutti i lavoratori, anche statali ed autonomi. Quindi non solo dipendenti del settore privato: l’anticipo pensione APE sarà utilizzabile anche da quelli pubblici e dai lavoratori autonomi.

Pensione anticipata è una prestazione economica a domanda, erogata ai lavoratori dipendenti e autonomi iscritti all’assicurazione generale obbligatoria (ago) ed alle forme esclusive, sostitutive, esonerative ed integrative della medesima, nonché alla gestione separata.

Anticipo della pensione a cui sta lavorando il governo, e che dovrebbe diventare lo strumento di riferimento per garantire più flessibilità al sistema previdenziale diventa più ampio. Lo sconto massimo sull’età, infatti, potrebbe arrivare a 3 anni e 7 mesi, secondo quanto dichiarato dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Tommaso Nannicini, mentre finora si era ipotizzato un tetto a tre anni. Se questa sarà la soluzione finale, ciò significa che verrà abbuonato l’adeguamento alla speranza di vita che, dal 2012 a oggi, ha fatto lievitare di sette mesi il minimo anagrafico per la pensione di vecchiaia. L’Ape, inoltre, partirà prima della legge di Stabilità, con un provvedimento ad hoc.

Dal punto di vista tecnico, l’Ape, acronimo di anticipo pensionistico, che dovrebbe debuttare nel 2017, ruota intorno a un finanziamento che sarà erogato dalle banche a vantaggio del neo-pensionato e che servirà a pagare gli assegni nel periodo che precede il raggiungimento del requisito anagrafico standard per la pensione di vecchiaia. Successivamente tale somma verrà rimborsata dal pensionato in un arco temporale di vent’anni.

Il finanziamento sarà erogato dalle banche, ma per semplificare le procedure, è previsto un intervento dell’Inps che dovrebbe fare da “interlocutore” tra lavoratore e istituto di credito. L’intervento, e i costi, a carico dello Stato, saranno determinati dagli aiuti sotto forma di detrazioni, riconosciuti alle persone più in difficoltà, quali i disoccupati di lungo corso. Chi vorrà anticipare la pensione e avrà redditi medio-alti, invece, dovrebbe vedere l’operazione interamente a suo carico. Alcuni dettagli dell’operazione, però, non sono ancora stati definiti in attesa degli ulteriori incontri con i sindacati che si svolgeranno in settembre.

L’Ape costituisce l’intervento più consistente e anche più complesso del pacchetto previdenza a cui sta lavorando il governo: sul fronte della flessibilità sono ipotizzati interventi a favore dei lavoratori impegnati in attività particolarmente faticose e per chi ha iniziato a lavorare da minorenne, nonché nuove regole per consentire di “sommare” più facilmente i contributi versati in gestioni differenti e raggiungere così i requisiti minimi per andare in pensione senza oneri; sul fronte dell’adeguatezza degli assegni, invece, si dovrebbe intervenire sugli importi pensionistici più bassi, aumentando la platea di chi ricade nella “no tax area” e di chi beneficia della quattordicesima, o incrementando il valore di quest’ultima attualmente riconosciuto ai pensionati con oltre 64 anni di età.

L’Anticipo Pensionistico di cui si sta discutendo, e che dovrebbe partire nel 2017, fa leva su un finanziamento erogato da istituti di credito al pensionato mediante l’erogazione del trattamento pensionistico mensile nel periodo antecedente al raggiungimento dei requisiti anagrafici necessari per la pensione di vecchiaia. Sebbene il ‘prestito pensionistico’ sia erogato dalle banche, è l’INPS a fare da ‘anello di congiunzione’ tra lavoratori/pensionati e banche.


La decurtazione sulla pensione dipende dagli anni di anticipo con cui ci si ritira e dall'entità dell’assegno: secondo i primi calcoli, il taglio può andare da un 5 a un 15-20% per chi sceglie i tre anni di anticipo.

Vediamo un esempio: un lavoratore che si ritira con l’anticipo pensionistico APE un anno prima e ha una pensione di 800 euro netti al mese, paga per 20 anni una rata di circa 53 euro, che sale a quasi 160 euro nel caso di pensione anticipata di tre anni: i calcoli sono della UIL e forniscono una serie di esempi di applicazione dell’opzione nel più vasto quadro di Riforma Pensioni da inserire nella Legge di Stabilità 2017. Una nuova possibilità di pensione anticipata fino a tre anni, con un trattamento (l’anticipo pensionistico APE) che poi si restituisce quando si percepisce l’assegno previdenziale vero e proprio, attraverso un piano di ammortamento spalmato su 20 anni.

sabato 9 luglio 2016

Pensione anticipata per dipendenti, privati, autonomi e statali


La possibilità di andare in pensione fino a 3 anni prima grazie ad un prestito previdenziale da restituire in 20 anni, il cosiddetto Ape – Anticipo pensionistico,  è stata estesa a tutti i lavoratori, anche statali ed autonomi. Quindi non solo dipendenti del settore privato: l’anticipo pensione APE sarà utilizzabile anche da quelli pubblici e dai lavoratori autonomi.

Il nuovo meccanismo di Anticipo pensionistico inserito nella Riforma Pensioni 2016/2017, che a sua volta confluirà nella prossima legge di Stabilità, si allarga anche ai dipendenti pubblici e agli autonomi. “Lo schema è che tutti i cittadini con i requisiti previsti possano decidere di aderire all’Ape”, ha dichiarato il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, al termine del 3° vertice tra Governo e sindacati  che si è svolto la settimana scorsa sulle nuove misure per garantire una maggiore flessibilità in uscita.

Ricordiamo che l’APE è una sorta di anticipo sulla pensione che si può chiedere a tre anni dal requisito anagrafico: si percepisce un trattamento finanziato dalle banche fino al raggiungimento della pensione vera e propria, da restituire poi con un piano di ammortamento ventennale. Fra le tante questioni da risolvere c’è quella delle detrazioni, che serviranno ad alleggerire il carico della restituzione delle rate del prestito pensionistico.

La decurtazione sulla pensione dipende dagli anni di anticipo con cui ci si ritira e dall'entità dell’assegno: secondo i primi calcoli, il taglio può andare da un 5 a un 15-20% per chi sceglie i tre anni di anticipo.

Vediamo un esempio: un lavoratore che si ritira con l’anticipo pensionistico APE un anno prima e ha una pensione di 800 euro netti al mese, paga per 20 anni una rata di circa 53 euro, che sale a quasi 160 euro nel caso di pensione anticipata di tre anni: i calcoli sono della UIL e forniscono una serie di esempi di applicazione dell’opzione nel più vasto quadro di Riforma Pensioni da inserire nella Legge di Stabilità 2017. Una nuova possibilità di pensione anticipata fino a tre anni, con un trattamento (l’anticipo pensionistico APE) che poi si restituisce quando si percepisce l’assegno previdenziale vero e proprio, attraverso un piano di ammortamento spalmato su 20 anni.

Al lordo delle detrazioni, i più penalizzati (in base agli esempi che seguono), in termini percentuali risultano i titolari di pensioni basse che scelgono di ritirarsi con tre anni di anticipo: per restituire l’anticipo pensione APE subiscono un taglio sulla pensione lorda pari al 17,7%, contro il 13,9% di coloro che percepiscono un assegno da 2mila 500 euro netti al mese. In generale, il peso della decurtazione dovuta alla restituzione del prestito sui trattamenti bassi è maggiore che non su quelli alti. Ecco i calcoli dello studio UIL.

Pensione di 800 euro netti: si tratta di un trattamenti lordo intorno ai 900 euro al mese. Ecco quando paga di restituzione nei tre diversi casi ipotizzati:

Un anno di anticipo: importo da restituire 10mila 400 euro, rata mensile per 20 anni pari a 53,24 euro, rata annua 692,12 euro. Decurtazione del 5,9% della pensione.
Due anni di anticipo: importo da restituire 20mila 800 euro, rata mensile di 106,48 euro (1.384,24 euro l’anno), decurtazione pari all’11,8%.
Tre anni di anticipo: importo da restituire 31mila 200 euro, rata mensile da 159,71 euro (2.076,23 euro l’anno), e percentuale su trattamento lordo del 17,7%.
Pensione da mille euro netti al mese: si tratta di circa 1200 euro lordi. Ecco i diversi possibili piani di rateazione di questo pensionato.
Un anno di anticipo: importo da restituire, 13mila euro, rata mensile 66,55 euro (annua, 865,15), percentuale su trattamento lordo, 5,5%.
Due anni di anticipo: importo da restituire, 26mila euro, rata mensile 133,09 euro (1.730,17 euro all’anno), decurtazione 11,1%;
Tre anni di anticipo: importo da restituire 39mila euro, rata 199,64 euro (2.595,32 euro all’anno), decurtazione 16,6%.
Pensione da 2500 euro netti al mese: significa un trattamento lordo di 3600 euro. Piani di rateazione a secondo degli anni di anticipo:
Un anno di anticipo: importo da restituire 32mila 500 euro, rata da 166,37 euro (2.162,81 euro annui), percentuale 4,6%;
Due anni di anticipo: importo da restituire 65mila euro, rata da 332,74 euro (4mila 325,62 euro annui), percentuale 9,2%;
Tre anni di anticipo: importo da restituire 97mila 500 euro, rata da 499,10 euro,decurtazione 13,9%.

La decurtazione si dovrebbe azzerare o ridurre al minimo per una particolare fascia di lavoratori a basso reddito: disoccupati senza speranza di ritrovare un impiego, lavoratori impiegati in lavori pesanti e anche per soggetti coinvolti in lavoro di cura familiare. In questi casi la detrazione fiscale non solo dovrebbe compensare l'intero importo della rata ma anche coprire una fetta del “capitale”. Le detrazioni dovrebbero ridursi di molto e addirittura scomparire nei casi “uscita volontaria” dal lavoro da soggetti con reddito elevato, per i quali il taglio dell'assegno potrebbe arrivare anche al 15 per cento.

L'Ape, l'Anticipo pensionistico, passerà obbligatoriamente per l'Inps. Il lavoratore “over 63” intenzionato ad anticipare l'uscita dal lavoro non dovrà recarsi in banca per ottenere il “prestito” ma dovrà interloquire con l'ente previdenziale. Che dovrà anzitutto certificare la sua situazione previdenziale, a partire dal montante contributivo, privo dei contributi relativi agli anni di anticipo (da 1 a 3). A quel punto l'Inps con il soggetto finanziario, probabilmente previsto da un'apposita convenzione, perfezionerà l'operazione di “prestito”.

lunedì 4 luglio 2016

CCNL sale cinematografiche 2016: novità sui contratti a termine


Per i dipendenti dagli esercizi cinematografici e cinema-teatrali, Anec con Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom-Uil hanno siglato l’ipotesi di accordo di rinnovo del CCNL. I contenuti sono identici a quelli dell'ipotesi di accordo 9 marzo 2016 siglata da Anem e Agis, eccetto che per la decorrenza degli importi per vacanza contrattuale.

Per i dipendenti dagli esercizi cinematografici e cinema-teatrali. L'accordo decorre dal 1° gennaio 2017 e prevede nel 2016 un anno di sperimentazione durante il quale le Parti monitoreranno l'andamento degli istituti rinnovati e revisioneranno le altre norme contrattuali.

Il 15 giugno 2016 è stato rinnovato il CCNL che disciplina i rapporti di lavoro tra le aziende che gestiscono sale cinematografiche ed il relativo personale dipendente. Tra le novità in tema di contratto a termine si prevede che la durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale e indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l'altro, non possa  superare i trentasei mesi. II limite può essere superato solo nei seguenti casi:

- sostituzione di lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto;

- ulteriori casi individuati al livello della contrattazione collettiva aziendale.

In ogni singolo cinema e relative sedi amministrative è consentita l'assunzione di un numero complessivo di lavoratori a tempo determinato fino ad un massimo del 40% dei lavoratori a tempo indeterminato, con arrotondamento all'unita superiore. Percentuali superiori, ma sempre entro la percentuale massima del 50%, saranno accordate dal tavolo tecnico paritetico dietro motivata richiesta. È consentita senza limitazioni però la stipulazione di contratti di lavoro a tempo determinato per la sostituzione di lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto. Inoltre sono esenti da limitazioni quantitative i contratti di lavoro a tempo determinato conclusi nella fase di avvio di nuove attività apertura di nuovi cinema e/o sedi amministrative) per un periodo di tredici mesi continuativi a decorrere dalla data di apertura al pubblico.

Vacanza contrattuale e sperimentazione
L’erogazione di € 120,00 a titolo di vacanza contrattuale per l'anno 2015 e di € 120,00 a titolo di sperimentazione per l'anno 2016, ai lavoratori in forza al 1° gennaio 2015 e in servizio alla data di stipulazione dell'ipotesi di accordo in tre tranche (1° aprile 2016, 1° agosto 2016 e 1° dicembre 2016).

Ai lavoratori in forza al 1° gennaio 2015 e in servizio alla data di stipulazione dell'ipotesi di accordo, saranno corrisposti € 120,00 a titolo di vacanza contrattuale per l'anno 2015 ed € 120,00 a titolo di sperimentazione per l'anno 2016, con le seguenti modalità, riferite al 4° livello di monosale e multisale:
- € 80,00 il 1° luglio 2016;
- € 80,00 il 1° ottobre 2016;
- € 80,00 il 1° dicembre 2016.

Gli importi saranno ridotti per i lavoratori assunti dopo il 1° gennaio 2015 ed in forza alle aziende, non in prova, alla data di stipulazione dell'ipotesi di accordo, nonché per i lavoratori con orario e retribuzione inferiori a quelli normali contrattuali.

Gli importi non sono utili ai fini dei vari istituti legali e contrattuali né per il calcolo del TFR.


sabato 14 maggio 2016

Quando può essere disposta la cassa integrazione e come è retribuita



Il datore di lavoro, quando intende sospendere propri dipendenti in CIG, deve preventivamente comunicare alle RSA, nonché alle organizzazioni sindacali di categoria più rappresentative operanti nella provincia, le cause di sospensione, l’entità e la durata prevedibile della stessa, nonché il numero dei lavoratori interessati. Ricevuta la comunicazione, le organizzazioni sindacali possono eventualmente chiedere un esame congiunto, il datore di lavoro deve comunicare anche i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere, nonché le modalità della rotazione. E’ anche previsto che il datore di lavoro, se ritiene per ragioni tecnico – organizzative di non adottare meccanismi di rotazione, debba indicarne le ragioni nel programma da predisporre all’atto della presentazione della domanda di CIG.

Vediamo quando può essere disposta la cassa integrazione. La legge prevede due tipi di cassa integrazione, quella ordinaria e quella straordinaria.

La prima riguarda i lavoratori dell'industria (esclusi i dirigenti) e può essere disposta nel caso di contrazione o sospensione dell’attività produttiva, derivante o da eventi aziendali transitori, non imputabili al datore di lavoro né ai lavoratori, o da situazioni temporanee di mercato. In presenza di un caso come quelli indicati, il datore di lavoro può decidere di sospendere in tutto o in parte l’attività lavorativa, rivolgendo un'istanza all'INPS al fine di ottenere l’ammissione alla cassa integrazione ordinaria.

Quest’ultima può essere concessa per un periodo massimo di 3 mesi continuativi, eccezionalmente prorogabili trimestralmente fino a un limite massimo complessivo di 1 anno. In ogni caso, la sospensione, anche se non consecutiva, non può superare i 12 mesi in un biennio.

La cassa integrazione salariale straordinaria viene invece concessa nei casi di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale; di crisi aziendale di grande rilevanza sociale; di fallimento o altre procedure concorsuali, purché non continui l’attività. Come si vede, in questo caso – e a differenza della cassa ordinaria – il provvedimento può essere adottato a fronte di situazioni di crisi di presumibile durata anche lunga, ma anche nel caso in cui la contrazione dell’attività dipenda dalla semplice decisione del datore di lavoro di riorganizzare o ristrutturare la propria attività, a prescindere dal fatto che ciò sia imposto da una crisi.

Qualora ricorra un’ipotesi come quelle sopra descritte, dunque, il datore di lavoro può sospendere in tutto o in parte l’attività lavorativa, previa autorizzazione del ministro del lavoro.

La sospensione straordinaria può essere disposta entro limiti temporali diversi a seconda della causa che l’ha determinata: 2 anni, prorogabili per altri 2, per le ristrutturazioni e le riconversioni aziendali; 12 mesi in caso di crisi aziendale; 12 mesi, prorogabili per altri 6, quando sussistano fondate prospettive di continuazione o ripresa dell'attività, in caso di procedure concorsuali. La Cassa integrazione guadagni non può comunque protrarsi complessivamente per più di 36 mesi nel quinquennio.

La cassa integrazione straordinaria si applica ai lavoratori (esclusi i dirigenti) che abbiano maturato un'anzianità aziendale di almeno 90 giorni. L’integrazione salariale straordinaria è stata estesa, talvolta con modalità peculiari, ad altri settori: innanzi tutto, alle imprese commerciali con più di 200 dipendenti e alle imprese giornalistiche. Oltre a queste, si possono ricordare le aziende addette alla commercializzazione dei prodotti delle aziende industriali in crisi; le imprese artigiane collegate alle aziende industriali in crisi; le imprese appaltatrici dei servizi di mensa o ristorazione delle medesime imprese industriali. In ogni caso l'impresa deve avere più di 15 dipendenti da almeno 6 mesi.

Il Ministero del Lavoro nella circolare n. 24 del 2015 ha precisato che per giornate di “effettivo lavoro” si intendono le giornate di effettiva presenza al lavoro, a prescindere dalla loro durata oraria (quindi si conteggia anche il part-time), ivi compresi i periodi di sospensione del lavoro derivanti da ferie, festività e infortuni.
Vediamo quindi come si calcola l’importo mensile della cassa integrazione.

Misura CIGO e CIGS: “Il trattamento di integrazione salariale ammonta all'80 per cento della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate, comprese fra le ore zero e il limite dell'orario contrattuale”. Il trattamento si calcola tenendo conto dell'orario di ciascuna settimana indipendentemente dal periodo di paga.

L’orario contrattuale può dunque essere anche superiore a 40 ore settimanali, fermi restando ovviamente i relativi limiti di legge.

Nel caso in cui la riduzione dell'orario di lavoro sia effettuata con ripartizione dell'orario su periodi ultra settimanali predeterminati, l'integrazione è dovuta, nei limiti di cui ai periodi precedenti, sulla base della durata media settimanale dell'orario nel periodo ultra settimanale considerato.

Ai lavoratori con retribuzione fissa periodica, la cui retribuzione sia ridotta in conformità di norme contrattuali per effetto di una contrazione di attività, l'integrazione è dovuta entro i limiti dell’80% ragguagliando ad ora la retribuzione fissa goduta in rapporto all'orario normalmente praticato.

Agli effetti dell'integrazione le indennità accessorie alla retribuzione base, corrisposte con riferimento alla giornata lavorativa, sono computate secondo i criteri stabiliti dalle disposizioni di legge e di contratto collettivo che regolano le indennità.

L’Inps ogni anno comunica gli importi massimi dei trattamenti di integrazione salariale. L’importo della cassa integrazione ordinaria o straordinaria percepita dipende dalla retribuzione percepita dal lavoratore.

Ora vediamo quali sono gli importi massimi della cassa integrazione per l’anno 2016. A prevederli è la circolare Inps n. 48 del 14 marzo 2016. Si riportano gli importi massimi mensili dei trattamenti di integrazione salariale di cui al citato art. 3, comma 5, del Decreto Legislativo n. 148/15, la retribuzione lorda mensile, maggiorata dei ratei relativi alle mensilità aggiuntive, oltre la quale è possibile attribuire il massimale più alto. Gli importi sono indicati, rispettivamente, al lordo ed al netto della riduzione prevista dall’art. 26 della legge 28 febbraio 1986, n. 41, che attualmente è pari al 5,84 per cento:

a) euro 971,71 quando la retribuzione mensile di riferimento per il calcolo del trattamento, comprensiva dei ratei di mensilità aggiuntive, è pari o inferiore a euro 2.102,24;

b) euro 167,91 quando la retribuzione mensile di riferimento per il calcolo del trattamento, comprensiva dei ratei di mensilità aggiuntive, è superiore a euro 2.102,24.

Gli importi massimi mensili sono comunque rapportati alle ore di integrazione salariale autorizzate e per un massimo di dodici mensilità, comprensive dei ratei di mensilità aggiuntive (tredicesima e quattordicesima mensilità).



martedì 19 gennaio 2016

Lavoro: licenziamenti per chi non timbra il cartellino presenza




In 48 ore scatta la sospensione, poi si avvia la procedura. L'obbligo di denuncia. Il dipendente pubblico che timbra il cartellino senza andare in ufficio, o sorpreso in flagranza di altri illeciti disciplinari, sarà sospeso dal lavoro e dalla retribuzione nell’arco di 48 ore.

Furbetti del cartellino sospesi senza stipendio entro 48 ore dalla scoperta del reato, e licenziati entro trenta giorni. Dirigenti responsabilizzati: se non sospendono il dipendente che finge di essere al lavoro quando si trova altrove, rischiano pure loro il licenziamento, e l’omissione diventa un reato penale. Nessuna possibilità per il dipendente sospeso di nascondersi dietro al vizio di forma della comunicazione: se anche non fosse tecnicamente perfetta, la sospensione vale lo stesso. E la Corte dei conti può entro tre mesi multare per danno d’immagine lo statale che, con le sue false strisciate di cartellino, abbia gettato fango e disistima su un’amministrazione. Il dirigente sarà obbligato a prendere questi provvedimenti pena il suo stesso licenziamento perché l’omissione diventerà un reato perseguibile penalmente. È il piano del governo per rendere davvero possibile cacciare i lavoratori pubblici che commettono un reato ai danni della pubblica amministrazione.

Quanto ai licenziamenti economici, quelli “collettivi” sono stati “decisamente semplificati con le norme sulla mobilità del decreto Madia”, ha spiegato Giuliano Cazzola, economista esperto di temi del lavoro. In base a queste norme, i lavoratori statali possono essere trasferiti liberamente, entro i 50 chilometri, all’interno di una stessa o più amministrazioni. Se un lavoratore messo in mobilità non accetta il trasferimento, ha diritto per due anni all’80% dello stipendio, poi può essere licenziato.

Le novità rispetto alla legge attualmente in vigore: i tempi stretti entro i quali il dirigente responsabile dell’ufficio dovrà agire; l’obbligo (non la facoltà) per lo stesso dirigente di operare senza rischiare di rispondere egli di danno erariale nel caso la magistratura accerti successivamente l’illegittimità del licenziamento. Con le nuove norme il dirigente non sarà più perseguibile per questa ragione. Va detto che la riforma della pubblica amministrazione ruota proprio intorno al rafforzamento del ruolo dei dirigenti che saranno periodicamente sottoposti ad una valutazione dei risultati raggiunti.

Le nuove norme sui licenziamenti siano operative ci vorranno comunque dai due ai tre mesi. Sul decreto, infatti, dovranno esprimere il loro parere non vincolante le commissioni parlamentari competenti.

Certo perché scatti la nuova normativa bisognerà essere sostanzialmente in flagranza del reato. Fondamentale (come già ora, d’altra parte) il ruolo delle telecamere. Le prove – come dice il ministro Madia - «dovranno essere schiaccianti ». C’è un punto, tuttavia, che anche i tecnici del governo hanno sollevato: quando comincia il calcolo delle 48 ore? Quando si commette l’illecito o quando il dirigente viene a conoscenza dell’illecito? E ancora: quand’è che il dirigente viene a conoscenza del comportamento illegittimo? Quando si realizza la registrazione oppure quando si è verificata l’attendibilità del fatto registrato? Non sono questioni di lana caprina o da azzeccagarbugli, sono questioni decisive anche perché la tempestività del provvedimento sospensivo previsto ora dall’ordinamento è interpretato dalla giurisprudenza proprio a favore del dipendente per evitare che il dirigente possa tenersi nel cassetto una registrazione compromettente e utilizzarla a suo piacimento mantenendo così il dipendente costantemente sotto possibile ricatto.

L’intenzione del governo, che emerge dalla lettura del testo del ddl Madia, è quella di velocizzare i tempi di licenziamento dei dipendenti pubblici colti in flagranza di truffe verso lo Stato, come nel caso delle assenze ingiustificate.

Testualmente l’art. 17 del disegno di legge parla di una “introduzione di norme in materia di responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti finalizzate ad accelerare e rendere concreto e certo nei tempi di espletamento e di conclusione l’esercizio dell’azione disciplinare”.

A livello formale l’estensione agli statali del nuovo articolo 18 riformato dal Jobs Act, non necessiterebbe di alcun intervento ulteriore, stando a una recente sentenza della Cassazione. Eppure la riforma dovrebbe essere finalizzata, di fatto, a rendere effettive procedure di fatto poco applicate, data la farraginosità del procedimento burocratico.


lunedì 19 gennaio 2015

Certificazione Unica entro il 28 febbraio 2015 per autonomi, pensionati e dipendenti



Il modello per certificare i redditi non si chiamerà più CUD, ma CU, (Certificazione Unica). Tra le principali novità si segnala il fatto che il sostituto d’imposta (datore di lavoro):

dovrà utilizzare il Modello CU per attestare sia i redditi di lavoro dipendenti e assimilati, finora riportati sul CUD, sia i redditi di lavoro autonomo e i redditi diversi, fino ad oggi certificati in forma libera;

è tenuto alla consegna della Certificazione Unica ai dipendenti, equiparati e assimilati, nonché ai lavoratori autonomi entro il 28 febbraio 2015;

è tenuto, per la prima volta, alla trasmissione telematica all’Agenzia delle Entrate delle predette Certificazioni entro il 7 marzo 2015.

E’ prevista una sanzione pari a 100 euro per ogni certificazione omessa, tardiva o errata, salvo che detta certificazione non venga corretta entro i 5 giorni successiva alla scadenza.

Ma vediamo con maggiore dettaglio:

Il nuovo CUD 2015 si chiama CU, Certificazione Unica  dei redditi e, a partire dal periodo d’imposta 2014, il datore di lavoro, sostituto d’imposta, lo utilizzerà per certificare:

i redditi da lavoro dipendente, equiparati e assimilati (borse di studio, collaborazioni coordinate e continuative, compensi corrisposti ai componenti degli organi di amministrazione delle società);

i redditi di lavoro autonomo, dei professionisti, i redditi diversi, le provvigioni, non più certificati in “forma libera”.

Il Decreto Legislativo si è posto l’obiettivo, già dal periodo d’imposta 2014, di inviare al domicilio dei contribuenti il modello 730 precompilato ed è stato appunto previsto questo nuovo modello CU che certificherà  anche i redditi  dei lavoratori autonomi e dei professionisti. Ciò significa che se un contribuente ha percepito, nel corso del 2014, più redditi, ad esempio, di lavoro dipendente e per prestazioni occasionali o collaborazioni, riceverà al proprio domicilio, via internet, un modello 730 che riporterà tutti i redditi percepiti, le ritenute fiscali subite e le detrazioni applicate, modello 730 che il contribuente potrà correggere o integrare se incompleto.

Il sostituto d’imposta, pertanto, dovrà provvedere:
alla consegna della Certificazione Unica ai dipendenti, equiparati e assimilati, nonché ai lavoratori autonomi entro il 28 febbraio 2015;

nonché, per la prima volta, alla trasmissione telematica all’Agenzia delle Entrate delle predette certificazioni entro il 7 marzo 2015 (scadenza prorogata al 9 marzo perché il 7 cade di sabato).

Per ogni certificazione omessa,  tardiva o errata è prevista una sanzione di 100 euro. La sanzione non si applica se la trasmissione è effettuata o rettificata entro i 5 giorni successivi alla scadenza.

Poiché devono essere certificati solo i redditi corrisposti, rammentiamo che se non sono state retribuite tutte le mensilità relative all’anno  2014 è necessario che ciò venga comunicato immediatamente allo studio al fine di provvedere allo storno di quanto non pagato perché, trasmesso il modello CU all’Agenzia delle Entrate e trascorsi i termini di cui sopra, non potrà più essere rettificato.

Come funziona per Pensionati, dipendenti e autonomi?
Nuovo Modello CUD 2015 pensionati, dipendenti e autonomi cos'è? Il nuovo modello CU 2015 è la nuova certificazione unica dei redditi par autonomi, pensionati e dipendenti che parte dal 2015 per i redditi relativi al 2014 e che sostituisce il vecchio CUD.

Come funziona il nuovo modello CU 2015? La Certificazione Unica mod. CU 2015 pensionati, dipendenti e lavoratori autonomi, dovrà essere infatti utilizzata dai sostituiti di imposta per certificare le ritenute operate su dipendenti e pensionati che potranno decidere anche, sempre a partire dal nuovo anno, di presentare la dichiarazione dei redditi tramite modello 730 2015 precompilato, e certificare per la prima volta le ritenute operate sui lavoratori autonomi. Tale certificazione unica, dovrà poi essere rilasciata al lavoratore autonomo, al dipendete e al pensionato, entro il 28 febbraio 2015, ovvero, la stessa scadenza di consegna che aveva il vecchio CUD. Per cui, il compito dei sostituti di imposta a partire dal 2015 sarà quindi di certificare, per la prima volta, anche le ritenute operate sui lavoratori autonomi, oltre che quelle effettuate su dipendenti e pensionati. Una volta consegnato il CU 2015 al lavoratore, il sostituito di imposta, provvederà ad inviarlo per via telematica all'Agenzia delle Entrate, entro il 7 marzo 2015.

Altra novità introdotta con certificazione unica 2015 è l'inserimento delle somme pagate dalle imprese per i Lavori socialmente utili con la quota esente che dovrà essere distinta tra la base imponibile e le ritenute Irpef effettuate, oltre che l'indicazione delle addizionali regionali Irpef e quelle complessive ancora sospese e le ritenute operate e sospese. Nel CU 2015 spazio anche alla nuova sezione dedicata a l’incremento della produttività del lavoro per il quale il sostituto di imposta  dovrà indicare anche i redditi non imponibili e l'operazione ordinaria. Per vedere la bozza della certificazione unica pensionati, dipendenti e autonomi:

La consegna CU 2015 da parte dei sostituti di imposta al lavoratore, dipendente o pensionato dovrà essere entro il 28 febbraio 2015 mentre l'invio online certificazione unica 2015 all'Agenzia delle Entrate dovrà avvenire entro il 7 marzo 2015.

Un'altra novità introdotta con la certificazione unica 2015 per pensionati e dipendenti e si trova propria sulla prima pagina del modello CU. Tale novità, consiste nel fatto che i sostituti di imposta, datori di lavoro o ente pensionistico, dovranno comunicare all’Agenzia delle Entrate anche i dati relativi al coniuge e a familiari a carico del dipendente.

Viene richiesto al sostituto di imposta, di indicare per il dipendente con familiari a carico: il coniuge, il primo figlio e i figli successivi, familiari e i figli con disabilità. Per ciascun familiare a carico, saranno indicati il codice fiscale e il numero dei mesi a carico e per figli anche se minori di tre anni, la percentuale di detrazione spettante, e la detrazione al 100% per l’affidamento dei figli. Nell'ultimo rigo, trova spazio invece la casella relativa alle famiglie numerose, che  il sostituto dovrà barrare indicando la relativa percentuale di detrazione spettante. Inoltre, vi saranno campi separati per l'indicazione esatta dei redditi percepiti, ossia, se trattasi di redditi da pensione o da dipendente, assegni al coniuge o redditi assimilati, spazio anche ai crediti non ancora rimborsati, agli oneri detraibili e deducibili, e visto che il modello CU presentato dall'Agenzia delle Entrate è una bozza e quindi soggetta a future modifiche, è già sicura quella che porterà all'inserimento di una apposita casella per il bonus Irpef da 80 euro.

Il modello CUD 2015 per gli autonomi è il nuovo modello di Certificazione Unica che dal 2015 deve essere rilasciato anche agli autonomi per certificare i redditi percepiti nel 2014. Tale CU, dovrà essere quindi compilato da tutte quelle imprese che nel corso del 2014 si sono avvalse di professionisti con Partita IVA e di collaboratori anche occasionali, per lo svolgimento di prestazioni di lavoro autonomo.

Queste stesse aziende, saranno quindi intese come "datori di lavoro" del lavoratore autonomo e quindi come sostituiti di imposta e per questo tenute alla consegna del nuovo CUD entro al 28 febbraio 2015 al lavoratore e al suo invio per via telematica all'Agenzia delle Entrate entro il 7 marzo 2015.

Cosa cambia per professionisti e collaboratori?
Il CUD, a partire dal 2015 diventa Certifcazione Unica modello CU 2015 è la grande novità introdotta dall'Agenzia delle Entrate per i lavoratori autonomi, professionisti con Partita IVA o collaboratori anche occasionali. Ma chi sono i lavoratori autonomi? Sono lavoratori esterni all'azienda che svolgono un'attività intellettuale, artistica e non piccoli imprenditori, nei confronti di un committente, con lavoro proprio e senza vincoli di subordinazione. Rientra quindi nel lavoro autonomo: la collaborazione parasubordinata, il lavoro autonomo occasionale, i professionisti con Partita IVA, il contratto a progetto o gli studi associati intesi come collaborazione tra professionisti iscritti allo stesso o diverso albo professionale.

A partire dal 2015, per questi lavoratori autonomi ci sarà una grande novità, ossia, otterranno per la prima volta dai loro "datori di lavoro" la certificazione unica redditi relativi al 2014. Cosa cambia per professionisti con partita IVA e collaboratori con modello CU 2015? Per capire meglio cosa cambia per le aziende che si avvalgono del lavoratori autonomi e per gli stessi autonomi con l'introduzione del modello CU, dobbiamo fare un piccolo esempio.

Fino adesso infatti un’azienda che si avvaleva di una consulenza esterna da parte di un professionista autonomo Partita IVA nel forfettino, doveva certificare il compenso dato senza sbrigare alcuna formalità, essendo sufficiente la sola carta intestata dell’impresa. Il professionista dal canto suo, che riceveva il compenso per la sua prestazione doveva inserire il relativo corrispettivo nella dichiarazione dei redditi mediante la certificazione dei corrispettivi ai fini di calcolo delle imposte.

Con il nuovo modello CU 2015, l'impresa che si avvale di una consulenza di un lavoratore autonomo, diventa essa stessa "datore di lavoro" del professionista e deve emettere un Cud da inoltrare al professionista e all’Agenzia delle entrate per via telematica entro il 7 marzo di ogni anno. E il modello 770 che fine farà? Per il momento rimane, anche se è allo studio un modello 770 semplificato per evitare le doppie informazioni che il Fisco riceverà sul lavoratore autonomo con il modello 770 2015 e il CU 2015.

Come va compilata la certificazione unica autonomi 2015? Il modello CU 2015 è stato completamente rinnovato in tutte le sue sezioni, è costituito da 3 pagine contenenti una serie di informazioni che il sostituito dovrà compilare e trasmettere all'Agenzia delle Entrate per la prima volta. Una nuova sezione del nuovo modello CU è per esempio la Certificazione lavoro autonomo, provvigioni e redditi diversi che dovrà essere compilata dall'azienda che si è avvalsa di lavoratori autonomi, quindi collaboratori anche a progetto o occasionali o professionisti con partita IVA, nel corso del 2014. Queste aziende, essendo ora intese come datori di lavori e quindi sostituti di imposta, sono tenute a partire dal 2015 a certificare ufficialmente i corrispettivi pagati a lavoratori autonomi, collaboratori e professionisti per ogni singola collaborazione o prestazione professionale ricevuta dovranno essere indicati i seguenti dati:

Compensi lordi corrisposti al lavoratore autonomo distinguendo tra somme non soggette a ritenuta, imponibili, le ritenute operate in acconto e a titolo di imposta, le addizionali regionali e comunali.
Contributi previdenziali dei lavoratori autonomi che sono a carico di chi ha richiesto la prestazione, o la collaborazione, e pagato i corrispettivi. In questa sezione va indicata anche la quota dei contributi a carico del lavoratore autonomo.

Dati su rimborsi spesa e ritenute restituite.
Somme corrisposte al lavoratore autonomo in caso fallimento indicando le somme erogate prima del fallimento aziendale, oppure,  le somme corrisposte dal curatore fallimentare o dal commissario, a seguito di liquidazione coatta amministrata.



lunedì 8 dicembre 2014

Violazione della procedura di sospensione propri dipendenti in CIG



La cassa integrazione guadagni è una prestazione economica erogata dall'INPS con la funzione di sostituire o integrare la retribuzione dei lavoratori sospesi dal lavoro o che lavorano a orario ridotto, in situazioni espressamente previste dalla legge. Viene concessa, in caso di sospensione o contrazione dell'attività produttiva per situazioni aziendali dovute a: eventi temporanei e non imputabili all'imprenditore o ai lavoratori o situazioni temporanee di mercato.

Obiettivo della CIG è quello di sollevare le aziende, in momentanea difficoltà produttiva, dai costi del lavoro della manodopera temporaneamente non utilizzata, consentendo ai lavoratori di riprendere la loro collaborazione una volta superata tale difficoltà.

Una sentenza della Corte di Cassazione (n. 2882 del 18/3/98) ha fornito al riguardo importanti chiarimenti.

Il datore di lavoro, quando intende sospendere propri dipendenti in CIG, deve preventivamente comunicare alle RSA, nonché alle organizzazioni sindacali di categoria più rappresentative operanti nella provincia, le cause di sospensione, l’entità e la durata prevedibile della stessa, nonché il numero dei lavoratori interessati. Ricevuta la comunicazione, le organizzazioni sindacali possono eventualmente chiedere un esame congiunto. Il contenuto dell’informazione è stato ampliato dalla Legge. n. 223 del 1991: il datore di lavoro deve infatti comunicare anche i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere, nonché le modalità della rotazione. E’ anche previsto che il datore di lavoro, se ritiene per ragioni tecnico – organizzative di non adottare meccanismi di rotazione, debba indicarne le ragioni nel programma da predisporre all’atto della presentazione della domanda di CIG.

E’ pacifico che la violazione delle informazioni introdotte dalla L. 223 costituisca condotta antisindacale. Tuttavia, questo rimedio non sempre è sufficiente, dal momento che molto spesso il sindacato dà atto, contro al vero, che la procedura prevista dalla legge è stata esercitata o, comunque, non reagisce alle violazioni procedurali del datore di lavoro. Pertanto, mancando il sindacato che agisca in giudizio per comportamento antisindacale, il singolo lavoratore sospeso in CIG rimane senza tutela. Peraltro, non tutti i giudici ritenevano che la violazione di quegli obblighi di informazione costituisse anche un motivo di illegittimità delle singole sospensioni in CIG: infatti, la legge non prevede esplicitamente la sanzione della illegittimità della sospensione in CIG per il caso in esame, e ciò a differenza di quanto accade per la messa in mobilità, che è illegittima, per espressa previsione di legge, nel caso di violazioni procedurali. A fronte di questo orientamento giurisprudenziale, dunque, la tutela del singolo lavoratore presupponeva una causa promossa dal sindacato che, come si è detto, non sempre reagiva contro le violazioni procedurali.

La sentenza della Cassazione sopra citata riapre la questione: è stato infatti ritenuto che la mancata comunicazione dei motivi di scelta leda anche il diritto dei singoli lavoratori che, dunque, potranno agire in giudizio per ottenere il riconoscimento della illegittimità della sospensione in CIG e la reintegrazione in servizio. A questa conclusione non osta il fatto che la legge non preveda esplicitamente la sanzione della illegittimità. Infatti il datore di lavoro, se ha il potere di licenziare, non ha il potere di rifiutare la prestazione lavorativa. Ciò è possibile, mediante la sospensione in CIG, solo perché la legge consente, in alcuni casi e a determinate condizioni, di derogare al principio generale; pertanto, tale deroga è ammessa solo nei limiti indicati dalla legge; al di fuori di questi limiti, torna a valere il principio generale e la sospensione in CIG diventa illegittima. Pertanto, non è necessario prevedere specificamente la sanzione della illegittimità, che discende invece dai principi generali.

La Cig del settore industria (gestione ordinaria) può intervenire attraverso due modalità, quella ordinaria e quella straordinaria:

l'intervento ordinario è riconosciuto ai dipendenti di imprese industriali (le aziende edili o produttrici dei materiali lapidei sono ricondotte alla gestione speciale), che siano sospesi dal lavoro (zero ore lavorate) o effettuino un orario ridotto (rispetto all'orario settimanale contrattualmente previsto), a causa di una contrazione o sospensione dell'attività produttiva, dovute a:
eventi transitori non imputabili a imprenditore o ai dipendenti;

oppure a situazioni temporanee di mercato.

l'intervento straordinario è riconosciuto ai dipendenti (assunti da almeno 90 giorni) delle seguenti imprese:
- industriali (comprese le aziende edili o produttrici dei materiali lapidei) con più di 15 addetti;

- esercenti in modo prevalente e continuativo la commercializzazione del prodotto delle imprese industriali con più di 15 addetti;

- appaltatrici di servizi di mensa e ristorazione o di pulizia, con più di 15 addetti, presso aziende industriali (che anch'esse stiano ricorrendo a trattamenti di Cig);

- artigiane, con più di 15 addetti, che procedono alla sospensione dei lavori in conseguenza della contrazione dell'attività dell'impresa committente in Cig, a condizione che questa eserciti l'influsso gestionale prevalente (cioè che abbia fornito il 50% del fatturato nel biennio precedente);

- nei casi di sospensione o riduzione di orario dovute a:
- ristrutturazione, riorganizzazione o riconversione aziendale;
- crisi aziendale;
- ammissione alle procedure concorsuali (fallimento, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria, ammissione al concordato preventivo con cessione dei beni) qualora non sia disposta o sia cessata l'attività;
- accordi di riduzione di orario che salvaguardino i livelli occupazionali (contratti di solidarietà).

Chi può andare in CIG ?

Possono essere posti in Cig/O i lavoratori operai ed impiegati e sono esclusi i dirigenti e gli apprendisti

Per quali cause ?
- mancanza momentanea di lavoro;
- mancanza provvisoria di materiali per l'attività lavorativa;
- guasti agli impianti;
- ridotta o sospesa disponibilità di energia elettrica;
- casi particolari come alluvioni e incendi.


mercoledì 26 febbraio 2014

Contratti di lavoro pubblico impiego : in 8,5mln aspettano rinnovo



Due dipendenti su tre sono in attesa del rinnovo del contratto collettivo di lavoro per un totale di 8,5 milioni di lavoratori. Si tratta della quota più alta dal 2008 e coinvolge il 66,2% degli impiegati.

I contratti in attesa di rinnovo a gennaio sono 51 e riguardano circa 8,5 milioni di dipendenti, corrispondenti al 66,2% del totale. Lo rileva l'Istat, spiegando che si tratta della quota più alta dal gennaio del 2008. In pratica due dipendenti su tre stanno aspettando.

La categoria più numerosa è quella che rientra nel contratto del commercio e tocca 2 milioni di dipendenti. A febbraio sono state ratificate alcune ipotesi di accordo che toccano 4 dei 51 contratti scaduti e interessano 500 mila dipendenti. "E' una beffa che si proponga continuamente la riduzione del cuneo fiscale e poi non si rinnovino nemmeno i contratti, persino quelli dei dipendenti pubblici" tuona il Codacons.

Solo il pubblico impiego, d'altra parte, pesa per 2,9 milioni di lavoratori e 15 contratti. Guardando nel dettaglio quanto accaduto a gennaio, alla fine del mese a fronte del recepimento di un accordo (gomma e materie plastiche) ne sono scaduti ben cinque (agricoltura operai, servizio smaltimento rifiuti privati, servizio smaltimento rifiuti municipalizzati, commercio e Rai). Quel che ha fatto balzare il numero dei dipendenti in attesa si rinnovo, spiega l'Istat, è il contratto del commercio, che include ad esempio i commessi e tocca circa due milioni di dipendenti. Comunque a febbraio già sono state ratificate delle ipotesi di accordo, che toccano quattro dei 51 contratti scaduti, per un totale di circa 500 mila dipendenti (tessili, pelli e cuoio, gas e acqua e turismo-strutture ricettive).

Balzo retribuzioni, +0,6% a gennaio +1,4% annuo - Le retribuzioni contrattuali orarie a gennaio segnano un balzo dello 0,6% su dicembre, mentre sono salite dell'1,4% su base annua. Lo rileva l'Istat, spiegando come il rialzo mensile sia dovuto allo scatto di miglioramenti economici previsti per alcuni contratti in vigore. Aumenti che di solito partono proprio a inizio anno. Si allarga ancora la forbice con l'inflazione, ferma nello stesso mese allo 0,7%. In pratica i salari crescono il doppio dei prezzi, ma il divario è quasi esclusivamente dovuto alla frenata dei listini.


domenica 12 gennaio 2014

Buoni pasto limite esenzione per il 2014



I buoni pasto sono esenti da oneri fiscali e previdenziali fino a euro 5,29, le indennità di mensa, invece, comprendono sempre l’imposizioni di contributi; le uniche eccezioni a questa norma sono le indennità sostitutive corrisposte agli addetti alle strutture lavorative a carattere temporaneo, come gli addetti ai cantieri edili, o le unità produttive ubicate in zone dove mancano servizi di ristorazione; in questo caso valgono le regole per i buoni pasto. Tutto ciò vale anche per i nuovi collaboratori a progetto, assimilati ai dipendenti.

Non aumenterà la soglia di esenzione per i buoni pasto, che non continueranno a non formare reddito fino a 5,29 euro al giorno. Così come il via libera dell'Unione europea all'esenzione Iva per chi ha volumi d'affari fino a 65mila euro annui non avrà ripercussioni su chi è ora nel regime dei minimi: per continuare a pagare le tasse al 5% (senza versare Iva e Irap) bisognerà mantenere sempre come bussola – oltre agli altri requisiti richiesti – il limite annuo di ricavi di 30mila euro.

Chiusura anche sull'innalzamento della soglia dei ricavi fino a 65mila euro per i contribuenti minimi. Il costo in termini di minor gettito sarebbe di 29 milioni di euro all'anno ma il problema maggiore è la valutazione sulla «compatibilità comunitaria con la disciplina in materia di aiuti di Stato». Come a dire che senza il consenso dell'Unione europea su questo punto non si possono fare modifiche. In realtà, la richiesta nasce dal via libera comunitario all'innalzamento della soglia di esenzione dall'Iva per i contribuenti con volume d'affari fino a 65mila euro.

Mense aziendali per i dipendenti: in questo caso non opera il limite di euro 5,29, e l'aliquota iva del 4% (anziché 10%) è applicabile, oltre che alle mense interne, anche in pubblici esercizi essenzialmente sulla base e nei limiti di importo stabiliti in apposite convenzioni / appalti tra datore di lavoro e pubblico esercizio. Quest'ultimo però deve essere munito di apposita licenza e con spazi e locali destinati a fungere da mensa esterna per le imprese.

Ciò vale anche fornendo i pasti su vassoi presso il datore di lavoro, o tramite servizi convenzionati di mensa diffusa a mezzo di card elettroniche personalizzate e tracciate, o tramite distributori automatici in azienda.

Per evitare il limite di deducibilità di euro 5,29, tipico del buono pasto o ticket restaurant, occorre quindi che si configuri un vero servizio di mensa per i dipendenti e assimilati.

Esempio comparativo con valore erogato 5,29 euro:
INDENNITA' PAGATA IN BUSTA
Netto percepito 3,52 euro
Costo azienda 6,98 euro

BUONI PASTO
Netto percepito 5,29 euro
Costo azienda 5,29 euro
Esempio di spesa annua di una azienda che assegna la somma di 5,29 Euro al giorno per 220 giorni lavorativi a un lavoratore del terziario con un reddito lordo non superiore a 15.000 euro annui:

Costo per indennità di mensa in busta paga:
Importo netto annuo 1.163,80 euro
Irpef lavoro dipendente 347,63 euro
Inps carico dipendente 8,89% 147,48 euro
Inps carico azienda 28,98 % 497,34 euro
Costo totale azienda 2.156,25 euro

Costo per acquisto di buoni pasto:
Importo 1.163,80 euro

Ovviamente in entrambi i casi il superamento della quota di 5,29 euro/giorno comporta l’assoggettamento in busta paga di ritenute proporzionali e contributi per la differenza attribuita.


sabato 7 dicembre 2013

Come e dove verificare i propri contributi



Accedendo alla scheda informativa si possono verificare i contributi versati sulla propria posizione assicurativa Inps, scoprendo cos'è l'estratto conto contributivo, a cosa serve, cosa contiene.

Si ricorda che verificare i contributi versati nella propria posizione assicurativa è importante anche in relazione all’introduzione del sistema di calcolo della pensione con il metodo contributivo.

Tramite il link sul sito Inps  al servizio di Estratto conto contributivo. Dopo aver inserito il codice PIN, si può visualizzare in sicurezza l'elenco dei contributi versati sulla posizione assicurativa. Se si hanno contributi versati in diverse gestioni, l’estratto conto si presenta suddiviso in sezioni selezionabili singolarmente mediante il menu che espone in alto le diverse schede consultabili.

Il servizio è disponibile per i dipendenti del settore privato e i lavoratori autonomi, per gli iscritti alla gestione separata, per gli iscritti al fondo clero. Per gli iscritti alla Gestione separata è consultabile anche l’importo del montante contributivo cliccando sul tasto in basso a sinistra “montante parasubordinati”. Il servizio non è ancora disponibile per tutti gli iscritti alla Gestione dipendenti pubblici, in quanto è attualmente in sperimentazione su un campione di 1 milione di assicurati.

Omessi versamenti di contributi INPS
L’omesso versamento di contributi previdenziali (INPS) è il reato previsto da legge speciale che punisce il datore di lavoro che non abbia adempiuto l’obbligo di pagamento all’Inps dei contributi dovuti con riferimento alla retribuzione dei propri dipendenti.

Chi sia stato informato dell’apertura di procedimento penale a proprio carico con riferimento al reato di omesso versamento di contributi previdenziali (INPS) dovrà in primo luogo visionare il fascicolo del procedimento - direttamente, oppure attraverso Legale incaricato - al fine di raccogliere l’intera documentazione relativa alle contestazioni e verificare attraverso la propria contabilità d’impresa (libro matricola e registro delle presenza vidimati dall'Inail, certificati della Camera di Commercio attestanti il numero dei dipendenti, buste paga del periodo, prospetti riepilogativi mensili di sgravio fiscale, stampe di estratti dalle banche dati Inps etc.) l’effettiva cedenza di tali importi.

Sarà utile controllare, altresì, che non vi siano ricorsi o contestazioni pendenti in sede amministrativa con riferimento a tali contributi.

Sarà anche importante controllare l’esistenza di una pregressa notificazione dell’avviso da parte dell’Ente Previdenziale, contenente il termine per il pagamento degli omessi contributi – pena la comunicazione all’Autorità Giudiziaria. In assenza di tale notificazione, sarà ancora possibile estinguere il reato attraverso il pagamento.

Diversamente, occorrerà valutare la miglior scelta processuale, attraverso consulto con un professionista.

Il reato consegue ad una sanzione amministrativa e ad una cartella di pagamento inviati al datore di lavoro da parte dell’Ente previdenziale.

Oltre alla sanzione comminata dall’Ente per more e spese di recupero del credito, dunque, il datore di lavoro dovrà affrontare un procedimento penale. Constatato il mancato pagamento dei contributi dovuti, a fronte del mancato riscontro al sollecito, l’Ente Previdenziale, infatti, provvede a comunicare la notizia di reato alla Procura della Repubblica attraverso vera e propria denuncia.

Sarà utile pertanto, affidarsi a due professionisti distinti: da un lato ad un Commercialista che possa valutare la correttezza delle richieste di pagamento ed eventualmente verificare la sussistenza di presupposti per sollevare contestazioni relative all’avviso dell’Ente Previdenziale.

Dall’altro lato, a fronte dell’apertura del procedimento penale, il datore di lavoro dovrà ricorrere ad un Avvocato penalista per valutare le strade più opportune da seguire.

Nella generalità dei casi non si avrà molto tempo a disposizione in quanto le Procure - essendo la prova del mancato pagamento ricavabile già dalla denuncia presentata dall’Ente Previdenziale – notificano all’imputato direttamente un decreto Penale di condanna, avverso il quale dovrà valutarsi con l’Avvocato penalista eventuale opposizione a decreto penale di condanna.

Poniamo delle domande.

Il pagamento parziale dei contributi o la mancata prova della spontaneità non comporterà una riduzione della condanna?

Potranno comunque essere valutate dal Giudice minori riduzioni attraverso la concessione delle attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis Codice Penale.

Che accertamenti effettua il Pubblico Ministero prima di procedere alla contestazione del reato di omesso versamento di contributi previdenziali?
Non è previsto un particolare onere probatorio, potendo il Pubblico Ministero semplicemente motivare l’imputazione attraverso il riferimento alla relazione redatta dagli agenti accertatori Inps ed alla denuncia inoltrata alla Procura delle Repubblica a firma del funzionario Inps. Incomberà poi al datore di lavoro dimostrare il contrario.

Che condanna prevede il reato di omesso versamento di contributi previdenziali?
L’articolo 2, comma 1-bis della Legge 11 Novembre 1983, n. 638’ prevede la reclusione fino a tre anni e la multa fino ad € 1032,91.

Che termine avrò per pagare i contributi senza che si apra il procedimento penale per i reato di omesso versamento di contributi previdenziali?
Il pagamento entro tre mesi dalla notificazione dell’avviso da parte dell’Ente Previdenziale (contenente la contestazione o l’avviso dell'avvenuto accertamento della violazione) estingue il reato. Pertanto l’Ente Previdenziale non inoltrerà la denuncia all’Autorità Giudiziaria.

E se dimostro di non aver mai ricevuto notificazione dell’avviso da parte dell’Ente Previdenziale?
Sarà ancora possibile estinguere il reato attraverso il pagamento, sino a tre mesi dalla comunicazione da parte dell’Autorità Giudiziaria.  Secondo un orientamento ancor più garantista, invece, l’avviso è “presupposto” del reato, pertanto, non potrà essere sostituito dalla notificazione inerente il procedimento penale. Conseguentemente, in assenza della notificazione dell’avviso, il procedimento penale potrebbe essere chiuso per mancanza della condizione di procedibilità per il reato in questione.

E se le difficoltà economiche neppure hanno consentito di pagare lo stipendio ai dipendenti?
In tal caso, secondo un orientamento giurisprudenziale minoritario, supportato da pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione Penale (sentenza 28/05-26/06/2003 Presidente Marvulli), il reato di omesso versamento di contributi previdenziali non sarebbe sussistente nelle ipotesi in cui il datore di lavoro non abbia pagato la retribuzione al lavoratore e ciò alla luce di una interpretazione letterale della norma che parla di “ritenute” “operate” sulle somme dovute a titolo di stipendio. Conseguentemente, se lo stipendio non è stato ancora corrisposto, le “ritenute” non sarebbero ancora state “operate”.

E’ applicabile l’indulto al reato di omesso versamento di contributi previdenziali?
Sì, per i reati commessi prima del 2 Maggio 2006, potrà essere richiesta l’applicazione Indulto di cui alla legge n. 241/2006.

Il reato di omesso versamento di contributi previdenziali può essere attribuito a chi sia stato delegato a tale pagamento da parte del datore di lavoro (ad esempio il Commercialista)?
No, la responsabilità penale è riferita al datore di lavoro, ossia al titolare del rapporto di lavoro con i lavoratori, e, dunque, nelle società, al rappresentante legale (salvo che, in imprese di complessa organizzazione, egli fornisca la prova di aver delegato la gestione amministrativa di tale rapporto nelle forme e con i requisiti previsti per le deleghe di responsabilità).

Il reato di omesso versamento di contributi previdenziali sussiste in assenza di volontarietà dell’omissione?

Per la punibilità è sufficiente la coscienza e la volontà della omissione contributiva o della tardività del versamento (Dolo generico), che non viene esclusa per il solo fatto di aver demandato a terzi, anche professionisti in materia, l'incarico di provvedere, perché obbligato al versamento è il “titolare del rapporto di lavoro” e, come tale, deve vigilare affinché il terzo adempia alla obbligazione, di cui egli è l'esclusivo destinatario.

Le difficoltà economiche possono escludere il reato di omesso versamento di contributi previdenziali?
No, le difficoltà economiche non costituiscono causa di giustificazione del mancato versamento delle dovute ritenute previdenziali ed assistenziali INPS.

L’avviso di pagamento da parte dell’Ente Previdenziale contiene anche importi a titolo di mora e spese di recupero del credito; si estingue il reato di omesso versamento di contributi previdenziali pagando esclusivamente gli importi relativi i contributi.

No. Occorrerà provare il pagamento integrale, comprensivo di interessi moratori, spese di recupero del credito e sanzioni civili.

Può essere convertita la pena in multa?

Sì, nella maggioranza dei casi il procedimento penale viene definito attraverso la notifica di un decreto penale di condanna al datore di lavoro, comminante già la sanzione pecuniaria sostitutiva (che consegue, in ogni caso, all’accertamento della responsabilità penale).

Se effettuo il pagamento prima del giudizio, ma oltre i termini dei tre mesi concessi, potrà essere applicata l’attenuante del risarcimento del danno?

Solo se il pagamento è integrale (ossia rappresenta l'ammontare dei contributi, gli interessi e le spese eventualmente sostenute dall'istituto per il recupero del credito) può essere valutato dal Giudice quale integrale risarcimento del danno. Tuttavia spesso viene chiesta l’ulteriore prova della “spontaneità” del pagamento – spontaneità esclusa dalla Giurisprudenza se la necessità di pagare è sorta al solo fine di affrontare il giudizio penale.

Se pago la multa del procedimento penale, non dovrò più corrispondere i contributi previdenziali?

No, dovrò pagarli ugualmente all’Ente Previdenziale. Trattandosi di procedimenti distinti (da un lato penale e dall’altro amministrativo) le due sanzioni pecuniarie coesistono, essendo di natura differente.



venerdì 30 agosto 2013

Lavoro: attività estate 2013 dalla chiusura per ferie alla chiusura per cessata attività



Cosa sta accadendo nel mercato del lavoro?

Dopo la Firem di Modena e la Dometic di Forlì adesso tocca ai lavoratori della Hydronic lift
di Pero trovare l'azienda chiusa non per ferie ma per cessata attività all'insaputa dei lavoratori dipendenti in questo caso 32 operai.

L'Hydronic lift di Pero produce componenti idraulici e meccanici per ascensori, la Fiom ha denunciato: "L'azienda non era in crisi. I 32 operai si sono salutati il 2 agosto e non c'era nessun segnale di problemi con la dirigenza".

L'estate del 2013 si trova con medesimo indirizzo aziendale ossia si chiude per la pausa estiva per non riaprire più, con i lavoratori in vacanza e all’oscuro delle decisioni aziendali.

Stando alle notizie i dipendenti si sono salutati il 2 agosto, dandosi appuntamento al 26, come ogni anno. La settimana di ferragosto però hanno ricevuto una lettera, datata 9 agosto, con cui l’azienda li informava di aver avviato una procedura di cassa integrazione straordinaria per cessazione di attività. E il 26 agosto, alla riapertura della attività hanno trovato i cancelli chiusi con tanto di catene e lucchetti.

Durante le ferie si sono ritrovati di fatto senza lavoro. Una lettera infatti, arrivata il 9 agosto, ha annunciato ai lavoratori dipendenti la chiusura dell'azienda per riorganizzazione delle attività e la cassa integrazione straordinaria per cessazione delle attività.

Pare – si legge in una nota della Fiom – che lo sport in voga tra gli imprenditori in questa estate del 2013 sia trasformare la chiusura per ferie in chiusura definitiva, senza alcun preavviso e approfittando dell’assenza dei lavoratori: quando si dice capitani coraggiosi”.

Un portavoce dell’azienda presente in sede ha spiegato che "il sito di Pero è chiuso per una riorganizzazione interna aziendale", mentre "altri siti sono aperti", senza però volerne specificare l’ubicazione. Dal sito internet risulta che, oltre all’impianto di Pero, l’azienda dispone di uno stabilimento a Mc Kinney in Texas

La vicenda della Hydronic allunga la lista di aziende che approfittano dello stop estivo per chiudere i battenti, senza informare nessuno. A partire dalla Firem, l’azienda emiliana che durante le vacanze ha fatto sparire macchinari e merci, li ha caricati su un camion e li ha messi in viaggio verso la Polonia, senza dire una parola a lavoratori e istituzioni. Per arrivare fino alla Dometic di Forlì. Anche qui, secondo quanto riferiscono i sindacati, nella notte del 23 agosto un gruppo di dirigenti, composto dall’amministratore, Marco Grimandi, il responsabile europeo della produzione, Hakan Ekberg, e un terzo dirigente svedese della multinazionale, ha cercato di spedire i generatori e i macchinari degli stabilimenti fuori dall’Italia, ma sono stati fermati dai lavoratori e le forze dell’ordine.

Per ora, gli impianti alla sede dell’Hydronic di via Amerigo Vespucci ci sono ancora tutti. Sono stati smantellati solo alcuni uffici. Ma da martedì 27 i lavoratori staranno comunque davanti allo stabilimento giorno e notte per monitorare e controllare che niente venga portato via.


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