lunedì 24 novembre 2014

Lavoro: la lettera di assunzione cosa deve contenere



La lettera di assunzione è il documento che consente di individuare con certezza gli elementi essenziali che caratterizzano il rapporto di lavoro.

Tale lettera, che ai sensi dell’art. 4bis comma 2 D.Lgs. n. 181/00 deve essere consegnata al lavoratore al momento dell’assunzione, deve contenere le condizioni di lavoro applicate al rapporto, di cui all’art. 1 comma 1 D.Lgs. n. 152/97, ovvero:

a) l’identità delle parti;

b) il luogo di lavoro;

c) la data di inizio del rapporto di lavoro;

d) la durata del rapporto di lavoro, precisando se si tratta di rapporto di lavoro a tempo determinato o indeterminato;

e) la durata del periodo di prova se previsto;

f) l’inquadramento, il livello e la qualifica attribuiti al lavoratore, oppure le caratteristiche o la descrizione sommaria del lavoro;

g) l’importo iniziale della retribuzione e i relativi elementi costitutivi, con l’indicazione del periodo di pagamento;

h) la durata delle ferie retribuite cui ha diritto il lavoratore o le modalità dei determinazione e di fruizione delle ferie;

i) l’orario di lavoro;

l) i termini di preavviso in caso di recesso.

L’informazione circa le indicazioni di cui alle lettere e), g), h), i) ed l) può essere effettuata mediante il rinvio alle norme del contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro.

La lettera di assunzione in quanto tale non è un documento obbligatorio per l’instaurazione di un rapporto di lavoro dipendente, il cui contratto che ne sta alla base, può essere concluso anche oralmente o per atti concludenti.

La lettera di assunzione ha solo una funzione probatoria e la sua assenza non inficia la validità del contratto stipulato tra le parti. Ora, posto che la lettera di assunzione non è un elemento fondamentale per l’instaurazione di un rapporto di lavoro dipendente, la sua obbligatorietà può essere prevista in determinati specifici casi dalla lette (personale marittimo personale dell’aria, contratto a tempo determinato, eccetera) o dalla contrattazione collettiva.

La prassi comune vuole che sempre venga redatta, sia al fine di rendere valide particolari clausole come - ad esempio - il patto di prova, sia al fine di ottemperare ad altri obblighi di legge quali quelli previsti dal decreto legislativo 152/1997, articolo 4bis, comma 2, decreto legislativo 181/2000, articolo 40, comma 2 del decreto legge 112/2008 convertito in legge 133/2008, i quali stabiliscono che all’atto dell’instaurazione di un rapporto di lavoro dipendente, e prima dell’inizio dell’attività, i datori di lavoro sono tenuti ad informare i dipendenti in merito al contenuto del loro contratto individuale.

Sebbene tale obbligo si può dar seguito mediante la consegna al lavoratore della copia della comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro effettuata al centro per l’impiego, tuttavia è sempre consigliabile la consegna di copia del contratto al lavoratore in quanto strumento più completo a garanzia delle parti.

Con l’esplicitazione del contratto collettivo applicato al lavoratore non sarà necessario specificate altri elementi nel contratto individuale, quali - ad esempio - durata delle ferie oppure ore di riduzione orario di lavoro, in quanto avrà valore quanto previsto dal contratto collettivo nazionale, fatte salve condizioni di miglior favore contrattate dalle parti.



Età minima per iniziare a lavorare



L'art. 37 della Costituzione prevede che sia la legge a stabilire il limite minimo di età per il lavoro salariato e tale limite è stato disciplinato dall'art. 3 della L. n. 977/1967, modificato dall'art. 5 del D.Lgs n. 345/1999: "l'età minima di ammissione al lavoro è fissata al momento in cui il minore ha concluso il periodo di istruzione obbligatoria e comunque non inferiore ai 15 anni compiuti". Vige quindi il principio in virtù del quale l'età minima di ammissione al lavoro non può essere inferiore all'età in cui cessa l'obbligo scolastico. E' proprio questo il principio che è stato espresso dalla Legge Finanziaria 2007 (296/2006), in particolare ove si afferma che l'innalzamento dell'obbligo di istruzione ad almeno 10 anni determina quale "conseguenza" l'aumento da 15 a 16 anni dell'età per l'accesso al lavoro.

Premesso quanto sopra, poiché la stessa legge fa espressamente decorrere l'innalzamento dell'obbligo di istruzione a far data "dall'anno scolastico 2007/2008", dal 1° settembre 2007 decorre anche l'innalzamento a 16 anni dell'età di ingresso al lavoro per i minori.

Il lavoro dei  minori che non hanno compiuto i 15 anni e degli adolescenti di età compresa tra i 15 e i 18 anni compiuti) è disciplinato e tutelato dalla L. 17/10/67 n. 977. La regola generale posta dalla legge è che la età minima per la ammissione al lavoro, anche per gli apprendisti, è di 15 anni compiuti. Tuttavia questa regola incontra alcune eccezioni: in agricoltura e nei servizi familiari, l'età minima per l'ammissione al lavoro è di 14 anni compiuti, purché ciò sia compatibile con la tutela della salute del minore e non comporti la trasgressione dell'obbligo scolastico; nelle attività non industriali, i fanciulli di età non inferiore a 14 anni compiuti possono essere ammessi a lavori leggeri, che siano compatibili con la tutela della salute, non comportino trasgressione all'obbligo scolastico e sempre che il minore non sia adibito a lavoro notturno e festivo.

E' prevista una deroga anche per la preparazione o rappresentazione di spettacoli o riprese cinematografiche. In questo caso, l'ispettorato provinciale del lavoro, su conforme parere del prefetto e previo assenso scritto del genitore o tutore, può autorizzare l'ammissione al lavoro dei minori di età inferiore ai 15 anni e fino al compimento dei 18, sempre che il lavoro non sia pericoloso e non si protragga oltre le ore 24. Il rilascio di tale autorizzazione è subordinato all'esistenza di tutte le condizioni necessarie ad assicurare la salute fisica e la moralità del minore, nonché l'osservanza dell'eventuale obbligo scolastico. In ogni caso, il fanciullo o adolescente, dopo l'impegno in tali rappresentazioni, dovrà godere di un riposo di almeno 14 ore consecutive.

La legge appronta particolari tutele a favore dei fanciulli e adolescenti che siano impiegati al lavoro. In particolare, i minori di 16 anni non possono essere adibiti ai lavori pericolosi, insalubri e faticosi, è vietato adibire i minori a lavori sotterranei in miniere o cave o gallerie, nonché alla somministrazione di bevande alcooliche. L'ammissione al lavoro deve essere preceduta da una visita medica che certifichi l'idoneità del minore al lavoro cui sarà adibito. La legge prevede infine un particolare trattamento di salvaguardia in tema di ferie, orario di lavoro, lavoro notturno, riposo settimanale. La violazione delle norme della legge 977 comporta l'inflizione di sanzioni penali, peraltro modeste.

Dal punto di vista sostanziale si segnala che l’età minima di ammissione al lavoro non può, comunque, essere inferiore all’età in cui cessa l’obbligo scolastico essendo riconosciuto un collegamento funzionale tra l’accesso al lavoro e l’assolvimento dell’obbligo scolastico poiché quest’ultimo, volto a tutelare la crescita psico intellettiva del minore, fa presumere raggiunta da  parte dello stesso la maturità necessaria affinché possa svolgere legittimamente l’attività lavorativa.

Pertanto, l’età minima per accedere a un rapporto di lavoro è sottoposta ad un duplice requisito: il compimento dell’età minima prevista dalla legge (16 anni) e l’assolvimento dell’obbligo di istruzione (per almeno 10 anni). Se manca uno di essi non può, legittimamente, essere instaurato un contratto di lavoro.


domenica 23 novembre 2014

Pagamento delle retribuzioni non corrisposte: quale tutela per il lavoratore



Cosa può fare il lavoratore, quando il datore non corrisponde la retribuzione e le indennità di legge (malattia, assegni familiari, maternità, etc?).

Occorre premettere che la retribuzione ha una duplice funzione economico-sociale:
• da un lato rappresenta il corrispettivo della prestazione lavorativa;
• dall’altro costituisce il messo per il mantenimento del lavoratore e della sua famiglia.

L’insolvenza del datore di lavoro costituisce quindi violazione sia di un obbligo contrattuale sia di un obbligo costituzionale (articolo 36 della Costituzione).

Va anche ricordato che i crediti di lavoro, avendo natura “alimentare”, sono considerati privilegiati ai sensi dell’articolo 2751 del Codice civile, e danno diritto, oltre che agli interessi di mora, anche alla rivalutazione monetaria secondo appositi indici determinati periodicamente dall’ISTAT.

A fronte dell’omesso versamento, il lavoratore potrà:

rassegnare le proprie dimissioni per giusta causa con risoluzione immediata del rapporto obbligando la ditta al pagamento del preavviso. Si precisa che il Centro per l’Impiego iscrive nelle liste di mobilità il lavoratore se accerta che lo stipendio non sia pagato da oltre due mesi.

Il lavoratore avrà quindi diritto all’indennità di disoccupazione poiché si tratta di dimissioni presentate per “giusta causa”. L’avere percepito successivamente dal datore di lavoro le somme spettanti, non preclude il diritto alla percezione dell’indennità di disoccupazione, anche se il lavoratore abbia ottenuto tali somme senza avere attivato una formale azione di contenzioso.

Tale principio è affermato dall’Inps nel messaggio del 20 luglio 2009, n. 16410:

attivare un procedimento giudiziale per il recupero del credito (esempio, un ricorso per decreto ingiuntivo);

presentare una denuncia all’Ispettorato del lavoro;

attivare un procedimento di diffida accertativa del credito innanzi alla Direzione Territoriale del lavoro;

chiedere l’intervento della Direzione Territoriale del Lavoro per un procedimento di conciliazione monocratica;

presentare in Tribunale un ricorso d’urgenza (ai sensi dell’articolo 700 del Codice di procedura civile) quando la retribuzione costituisce l’unico mezzo di sostentamento del lavoratore e della famiglia;

in ogni caso il lavoratore potrà agire per il risarcimento del danno derivato dall’insolvenza, nonché qualora tale insolvenza determini una disparità di trattamento tra lavoratori con un intento discriminatorio volto ad indurre il dipendente a dimettersi.

I crediti di lavoro sono retribuzioni maturate dal lavoratore e non pagate dal datore di lavoro insolvente.

L’Inps indennizza a seguito dell’intervento del Fondo di garanzia.

le retribuzioni maturate e non corrisposte degli ultimi 90 giorni del rapporto di lavoro rientranti nei dodici mesi che precedono la data (dies a quo) della domanda diretta all'apertura della procedura concorsuale o la data di deposito in tribunale del relativo ricorso.

I crediti di lavoro che possono essere posti a carico del Fondo sono :

la retribuzione propriamente detta

i ratei di tredicesima e di altre mensilità aggiuntive

le somme dovute dal datore di lavoro a titolo di prestazioni di malattia e maternità;

ESCLUSE :
l’indennità di preavviso

l’indennità per ferie non godute

l’indennità di malattia a carico dell’Inps che il datore di lavoro avrebbe dovuto anticipare.

I crediti di cui sopra possono essere corrisposti a carico del Fondo solamente se rientrano negli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro (tre mesi di calendario o, più precisamente, l’arco di tempo compreso tra la data di cessazione del rapporto di lavoro e la stessa data del terzo mese precedente)

PROCEDURE CONCORSUALI
Fallimento
Concordato Preventivo
Amministrazione straordinaria
Liquidazione Coatta Amministrativa

FALLIMENTO DIES A QUO:
è la data della domanda diretta all'apertura del fallimento o, se più favorevole, quella del primo ricorso diretto all'apertura della suddetta procedura concorsuale indipendentemente da chi l'abbia proposta

oppure
la data del provvedimento di messa in liquidazione, di cessazione dell’esercizio provvisorio, di revoca dell’autorizzazione alla continuazione all’esercizio di impresa, per i lavoratori che dopo l’apertura di una procedura concorsuale abbiano effettivamente continuato a prestare attività lavorativa.

Se la cessazione del rapporto di lavoro è intervenuta durante la continuazione dell’attività dell’impresa, i dodici mesi dovranno essere calcolati a partire dalla data di licenziamento o di dimissioni del lavoratore.

Tale disposizione deve essere applicata solo a quei lavoratori che hanno effettivamente prestato attività lavorativa dopo l’apertura della procedura e non a coloro il cui rapporto, per l’intero periodo successivo, sia stata o sospeso.

Il responsabile del pagamento dei contributi e` esclusivamente il datore di lavoro e il contributo a carico del lavoratore e` trattenuto sulla retribuzione corrisposta al lavoratore stesso. E` prevista una sanzione amministrativa (da E 30,00 a E 125,00 per ogni dipendente) per il datore di lavoro che trattiene sulla retribuzione del lavoratore somme maggiori di quelle per le quali e` stabilita la trattenuta.

In caso di mancato pagamento della retribuzione alla scadenza del periodo di paga, il datore di lavoro non può procedere ad effettuare la trattenuta della quota dei contributi a carico del lavoratore.



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