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venerdì 22 dicembre 2017

250 euro a chi non può lavorare: i requisiti per ottenerlo e come si presenta la domanda



L’assegno viene erogato mensilmente insieme alla rendita che viene rivalutata annualmente, con decreto del ministero del Lavoro, sulla base della variazione effettiva dei prezzi al consumo.

Per richiedere l’assegno di incollocabilità è necessario essere in possesso di una serie di requisiti. Il primo consiste nell’età, che non deve superare i 65 anni. Il grado di inabilità non può essere inferiore al 34%, riconosciuto dall’INAIL per infortuni sul lavoro verificatesi o malattie professionali denunciate fino al 31 dicembre 2006. Inoltre, il grado di menomazione dell’integrità psicofisica/danno biologico deve essere superiore al 20.

Per ciò che riguarda il risarcimento danni per infortuni senza vigilanza, la domanda va presentata alla sede INAIL di competenza, insieme alla descrizione dell’invalidità (lavorativa ed extralavorativa, se esistente), oltre che ai dati anagrafici e alla fotocopia del documento di identità. In caso di invalidità extralavorativa, dovrà essere presentata la relativa certificazione. La domanda può essere presentata al lo sportello della sede competente, via posta ordinaria, via Pec oppure avvalendosi dell’assistenza di un patronato.

Ammonta a 256,39 euro l’assegno per infortunio in itinere e incollocabilità previsto dall’INAIL in favore degli invalidi per infortunio o malattia professionale che si trovano nell’impossibilità di fruire dell’assunzione obbligatoria. L’importo mensile dell’assegno di incollocabilità è stato confermato dall’Istituto, a decorrere dal 1° luglio 2017, nella misura di euro 256,39, con la circolare n. 40/2017. Si tratta di un assegno erogato mensilmente insieme alla rendita che viene rivalutato annualmente, con apposito decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, sulla base della variazione effettiva dei prezzi al consumo.

L’assegno di incollocabilità è una prestazione assistenziale erogata dall’INAIL ai soggetti impossibilitati a collocarsi in qualsiasi settore lavorativo: esente da IRPEF, è concesso mensilmente agli invalidi del lavoro in seguito a certificazione del centro di medicina legale della sede competente.

Requisiti assegno incollocabilità

età non superiore a 65 anni;

impossibilità di collocamento in qualsiasi settore lavorativo (riconosciuta dagli organismi competenti);

inabilità per infortuni sul lavoro o malattie professionali non inferiore al 34% riconosciuta dall’INAIL secondo le tabelle allegate al DPR 1124/1965 per eventi fino al 31 dicembre 2006;

menomazione dell’integrità psicofisica-danno biologico superiore al 20% secondo le tabelle allegate al DLgs 38/2000 per eventi dal 1 gennaio 2007.

Domanda
Per ottenere l’assegno occorre presentare domanda alla sede INAIL di appartenenza, indicando dati anagrafici del richiedente e descrizione dell’invalidità lavorativa o extra-lavorativa, allegando fotocopia del documento identità ed eventuale certificazione di invalidità extra-lavorativa. Una volta che l’INAIL accerta la sussistenza dei requisiti, il centro medico legale della sede competente verifica con apposita visita medica i requisiti sanitari prescritti dalla legge. In caso di esito positivo, comunica all’interessato l’erogazione dell’assegno di incollocabilità. In caso negativo, gli specifica le motivazioni del rigetto.

Pagamento
L’assegno – importo pari ad euro 256,39 – iene erogato nel mese successivo alla presentazione della richiesta e dura fino ai 65 anni di età, a patto che nel frattempo non si siano verificate variazioni nella condizione di incollocabilità. Viene pagato con:

accredito su conto corrente bancario o postale, libretto di deposito nominativo bancario o postale;

carta prepagata dotata di IBAN;

istituti convenzionati con l’INPS per i soggetti titolari di rendita che riscuotono all’estero;

sportello postale o bancario, per importi inferiori alla soglia del contante.

Per richiedere l’assegno di incollocabilità è necessario essere in possesso dei seguenti requisiti:

età non superiore ai 65 anni;

grado di inabilità non inferiore al 34%, riconosciuto dall’INAIL secondo le tabelle allegate al Testo Unico (d.p.r. 1124/1965) per infortuni sul lavoro verificatesi o malattie professionali denunciate fino al 31 dicembre 2006;

grado di menomazione dell’integrità psicofisica/danno biologico superiore al 20%, riconosciuto secondo le tabelle di cui al d.m. 12 luglio 2000 per gli infortuni verificatisi e per le malattie professionali denunciate a decorrere dal 1° gennaio 2007.

La domanda va presentata alla sede INAIL di competenza completa della descrizione dell’invalidità (lavorativa ed extralavorativa, se esistente),  oltre che dei dati anagrafici e della fotocopia del documento di identità. In caso di invalidità extralavorativa, dovrà essere presentata la relativa certificazione. La domanda può essere presentata:

presso lo sportello della Sede competente

via posta ordinaria

via PEC;

avvalendosi dell’assistenza di un patronato.



martedì 3 gennaio 2017

Inps: da febbraio 2017 pensioni, pagamento il primo del mese



Nel 2017 tutte le prestazioni pensionistiche saranno pagate il 1° giorno bancabile del mese, con la sola eccezione della rata di gennaio, il cui pagamento è stabilito al 2° giorno bancabile del mese). Lo ha  comunicato l'Inps con una nota spiegando che il Decreto Milleproroghe, firmato dal Presidente Mattarella lo scorso 31 dicembre, ha modificato l'articolo 6 del decreto legge 65/2015, convertito con legge 109/2015, che ha unificato le date di pagamento delle prestazioni Inps, Inpdap ed Enpals. "In base a tale modifica, fortemente richiesta dall'Inps - sottolinea l'Istituto - viene ripristinato per l'anno 2017 il pagamento al primo giorno bancabile del mese, con l'unica eccezione per la rata di gennaio". A febbraio e marzo le pensioni saranno pagate il primo del mese mentre ad aprile le poste pagheranno il primo (è un sabato) e le banche il 3. A maggio le pensioni saranno pagate il due mentre a giugno saranno pagate il primo del mese. A luglio le Poste pagheranno il primo del mese e le banche il 3 mentre ad agosto e settembre la rata arriverà sui conti il primo del mese. A ottobre e novembre le pensioni saranno pagate il due del mese sia dalle Poste che dalle banche mentre a dicembre si potrà riscuotere l'assegno il primo sia dalle banche che dalle Poste.

I pensionati italiani rischiano di dover restituire allo Stato da febbraio lo 0,1% dell'importo ricevuto nel 2015, ovvero la differenza tra l'inflazione programmata e quella effettiva su cui è stato calcolato l'adeguamento al costo della vita delle pensioni. Lo denuncia lo Spi-Cgil, rilevando come nel decreto Milleproroghe di fine anno non ci sia stato l'intervento con cui si doveva risolvere la questione. In questo modo - dice il sindacato dei pensionati della Cgil - tutte le pensioni avranno una perdita di valore. Nel caso di una pensione al minimo la perdita sarà di 6,50 euro all'anno e di 13 euro per una da 1.000 euro. "Cifre - precisa - che possono sembrare di poco conto ma che incidono in particolare sulle pensioni basse". Lo scorso anno il governo intervenne rimandando questa restituzione a quando l'economia fosse effettivamente in ripresa neutralizzandone così gli effetti negativi. Anche quest'anno il governo si era reso disponibile ad intraprendere la stessa strada ma per ora non lo ha fatto. Chiediamo al ministro Poletti - conclude il sindacato - di intervenire urgentemente per evitare che si penalizzino ancora una volta milioni di pensionati italiani".

venerdì 18 settembre 2015

Pensioni guida alla ricongiunzione contributi


La ricongiunzione dei contributi è quell’istituto che permette, a chi ha posizioni assicurative in gestioni previdenziali diverse, di riunire, mediante trasferimento, tutti i periodi contributivi presso un’unica gestione, allo scopo di ottenere una sola pensione.

La ricongiunzione, avviene a domanda del diretto interessato o dei suoi superstiti e deve comprendere tutti i periodi di contribuzione (obbligatoria, volontaria, figurativa, riscattata) che il lavoratore ha maturato in almeno due diverse forme previdenziali fino al momento della richiesta e che non siano già stati utilizzati per liquidare una pensione.

I periodi ricongiunti sono utilizzati come se fossero sempre stati versati nel fondo in cui sono stati unificati e danno quindi diritto a pensione in base ai requisiti previsti dal fondo stesso. Si tratta però di un provvedimento che comporta solitamente degli oneri economici a carico del richiedente variabili a seconda della sua retribuzione, dell'età anagrafica, dell'anzianità contributiva complessiva e dell'importo del contributo che si intende trasferire da una gestione all'altra.

Ricongiunzione nel Fondo Pensioni Dipendenti, è possibile ricongiungere presso il Fondo pensioni lavoratori dipendenti, gestito dall’Inps, tutti i contributi esistenti nelle altre gestioni sostitutive, esclusive o esonerative dell’Assicurazione obbligatoria (cosiddette gestioni “alternative” quali INPDAP, Fondi speciali Ferrovie, Volo, Elettrici, Telefonici, eccetera) o nelle Gestioni speciali dei lavoratori autonomi (Artigiani, commercianti e coltivatori diretti).  Fino al 30 Giugno 2010 l'operazione era gratuita; dal 1° Luglio 2010, per effetto delle modifiche introdotte dalla legge 122/2010, l'istituto è diventato di regola oneroso.

La procedura di ricongiunzione effettuata prevede il pagamento, di regola, di un onere a carico del richiedente. Onere che è pari al 50% della somma risultante dalla differenza tra la riserva matematica, determinata in base a specifici criteri e tabelle, necessaria per la copertura assicurativa relativa al periodo utile considerato, e le somme versate dalla gestione o dalle gestioni assicurative interessate. Il pagamento può essere effettuato, su domanda, in un numero di rate mensili non superiore alla metà delle mensilità corrispondenti ai periodi ricongiunti, con la maggiorazione di interesse annuo composto pari al 4,50%. Infine, il debito residuo al momento della decorrenza della pensione può essere recuperato ratealmente sulla pensione stessa, fino al raggiungimento del numero di rate indicato in precedenza.

La ricongiunzione interessa anche i lavoratori autonomi; per tali lavoratori è tuttavia richiesto che possano far valere un periodo di contribuzione di almeno cinque anni immediatamente antecedente nell'Ago oppure in due o più gestioni previdenziali diverse dall'Ago. Si ricorda, peraltro, che i lavoratori autonomi hanno anche la facoltà di ricorrere al cumulo contributivo gratuito ed ottenere una prestazione derivante dai contributi accreditati nel fondo lavoratori dipendenti e da quelli accreditati in qualità di lavoratori autonomi. I contributi presenti nella gestione separata non possono essere invece ricongiunti.

Sono stati ammessi alla ricongiunzione solo nel 1990 anche i liberi professionisti, e possono pertanto attivare la ricongiunzione sia in uscita dalle Casse, sia in entrata verso le Casse. In tali casi tuttavia i lavoratori dovranno sostenere interamente l'onere del provvedimento.

La domanda di ricongiunzione va presentata dall'assicurato alla sede competente dell'istituto, ente, cassa, fondo o gestione previdenziale in cui si intente ricongiungere i diversi periodi contributivi. La facoltà di ricongiunzione normalmente può essere esercitato solo una volta; è ammessa una seconda possibilità di ricongiunzione soltanto se sono passati almeno 10 anni dalla prima richiesta, nonché al momento del pensionamento solo nella stessa gestione in cui è stata effettuata la prima ricongiunzione.

Lo strumento della ricongiunzione INPS è applicabile ai contributi obbligatori, volontari, figurativi e da riscatto. Per fare domanda di ricongiunzione il lavoratore deve aver maturato contributi in almeno due diverse forme previdenziali senza averli già utilizzati per liquidare la pensione. L’istanza si trasmette online alla sede competente dell’Istituto, ente, cassa, fondo o gestione presso cui si intende trasferire i periodi contributivi.

Di norma il pagamento avviene utilizzando i bollettini MAV da versare presso sportello bancario senza costi aggiuntivi o uffici postali pagando la commissione postale. I bollettini possono essere acquisiti: dall’INPS, che li invia insieme al provvedimento di accoglimento della domanda di ricongiunzione; online dal sito INPS (www.inps.it > Portale dei Pagamenti > riscatti ricongiunzioni e rendite) con codice PIN; dal contact center INPS al numero 803164 gratuito da rete fissa o 06164164 da rete mobile a pagamento. Indicando codice fiscale  e numero pratica, il pagamento può avvenire anche presso:
tabaccherie del circuito Reti Amiche;

sportelli bancari di Unicredit o il suo sito internet;

Sito INPS (www.inps.it > Portale dei Pagamenti > riscatti ricongiunzioni e rendite) con carta di credito o tramite contact center.

Si paga in unica soluzione, entro 60 giorni dalla ricezione del provvedimento di accoglimento dell’INPS o a rate, con maggiorazione degli interessi legali calcolati al tasso vigente. L’importo totale della ricongiunzione deve essere suddiviso in rate mensili consecutive, d’importo unitario non inferiore a 27 euro. Le prime tre da versare in un’unica soluzione entro 60 giorni dalla notifica del provvedimento di accoglimento della domanda di ricongiunzione da parte dell’INPS. Se i termini non vengono rispettati l’INPS considera l’omissione come rinuncia alla ricongiunzione.

In caso di versamento rateale, se non sono pagate due rate consecutive, in pendenza di rateazione, viene annullata l’operazione di ricongiunzione, con rimborso di quanto versato. Si potrà riproporre una nuova domanda dopo 10 anni o al momento del pensionamento.

domenica 25 gennaio 2015

Jobs Act: le novità per il licenziamento e la conciliazione



Il Jobs Act introduce per il licenziamento l’offerta di conciliazione. Lo schema di decreto legislativo sul contratto a tutele crescenti, infatti, prevede uno strumento innovativo di risoluzione stragiudiziale delle controversie sul licenziamento. Il datore di lavoro può offrire, con assegno circolare, al lavoratore un importo esente da tasse e contributi di ammontare pari a una mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a diciotto mensilità.

La richiesta dell'indennità sostitutiva deve essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della pronuncia o dall'invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione.

Trattandosi di termine avente natura perentoria, il mancato rispetto dello stesso ne determina la decadenza.

La mancata previsione di analogo diritto in capo al datore di lavoro ha indotto a parlare di “Opting out unilaterale” ovvero il diritto riconosciuto al solo lavoratore di chiedere al datore di lavoro un indennità al posto della reintegrazione nel posto di lavoro, diritto già riconosciuto al lavoratore dalla normativa vigente.
Tuttavia è opportuno porre l'attenzione a quanto disposto dall'art. 6 del decreto legislativo il quale introduce uno strumento innovativo di risoluzione stragiudiziale delle controversie sul licenziamento, l’offerta di conciliazione.

Il nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti previsto dal Jobs Act e oggetto del primo decreto legislativo attuativo della delega, cambia profondamente l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, e quindi il diritto al reintegro in caso di licenziamento illegittimo, per i nuovi assunti e introduce una nuova possibilità di conciliazione. Esaminiamo con precisione le nuove disposizioni in materia di licenziamenti, anche evidenziando i principali punti critici.

Il diritto al reintegro nel posto di lavoro resta nei seguenti casi:

licenziamento discriminatorio o riconducibile ad altri casi di nullità;

licenziamento intimato in forma orale;

licenziamento per motivi disciplinari (giustificato motivo soggettivo o giusta causa) per il quale sia dimostrata in giudizio «l’insussistenza del fatto materiale».

Per il licenziamento illegittimo per giustificato motivo oggettivo, e in tutti gli altri casi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, decade il diritto al reintegro previsto dall’articolo 18, sostituito dall’indennizzo economico.

Le novità, rispetto alla Riforma Fornero (legge 92/2012), che già aveva riformato l’articolo 18, sono due: il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (motivi economici) non prevede più in nessun caso il reintegro. Il diritto a tornare nel posto di lavoro viene fortemente limitato anche nel caso dei licenziamenti disciplinari. Qui, è già iniziato il dibattito giurisprudenziale sul preciso significato da dare all’espressione utilizzata (insussistenza del fatto materiale). In linea generale, significa che se la motivazione addotta dall’azienda (che come è noto deve essere esplicitata in forma scritta) si rivela inesistente (esempio: si contesta un fatto che in realtà non si è verificato), il lavoratore ha diritto al reintegro. Questo, indipendentemente da qualsiasi valutazione del giudice sulla sproporzione del licenziamento.

Il problema è che la formulazione della norma potrebbe rendere licenziabile il lavoratore per un fatto che sussiste, ma per il quale il contratto non prevede il licenziamento. In parole semplici, cosa succede se un dipendente commette effettivamente un fatto materiale, che però non è illecito, o è sproporzionato rispetto al provvedimento di licenziamento? Perde il diritto al reintegro? Oppure, deve valere un’interpretazione più estensiva per cui l’azienda non può comunque effettuare un licenziamento per motivazioni che non sono esplicitamente previste dalle leggi e dai contratti di riferimento? Il dibattito è aperto. Ricordiamo che tutto questo vale solo per gli assunti con il nuovo contratto a tutele crescenti, gli altri contratti a tempo indeterminato continuano ad applicare l’articolo 18.

Licenziamento discriminatorio o nullo
Per quanto riguarda le altre fattispecie sopra citate, il licenziamento discriminatorio è definito dall’articolo 3 della legge 108/1990, e riguarda ad esempio i casi in cui avvenga per motivi legati a credo politico o fede religiosa, appartenenza ad un sindacato o partecipazione attività sindacali, partecipazione a uno sciopero, discriminazioni di natura razziale, di lingua o di sesso. Gli altri casi di nullità del licenziamento sono previsti dal comma 1 dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori: matrimonio, gravidanza, diritti legati a maternità e paternità (congedi parentali), violazione dell’articolo 1345 del codice civile (in base al quale sono nulli i contratti in cui le parti agiscono esclusivamente per un motivo illecito): quest’ultima è una fattispecie complessa, su cui comunque esiste ampia giurisprudenza.

Nuova procedura di conciliazione
Un’altra novità introdotta dalla riforma è rappresentata dalla nuova procedura di conciliazione, prevista dall’articolo 6 del decreto. Il datore di lavoro può offrire al dipendente un’indennità risarcitoria pari a una mensilità per ogni anni di servizio, in misura comunque non inferiore a due mensilità e non superiore a 18. Questa nuova forma di conciliazione è fiscalmente incentivata in due modi: l’indennità non rileva ai fini dell’imponibile IRPEF del lavoratore (quindi, è detassata), e non è assoggettata a contribuzione previdenziale. Non solo: il datore di lavoro è tenuto a pagarla mediante assegno circolare (che garantisce la totale sicurezza del pagamento). Se il lavoratore accetta, rinuncia a impugnare il licenziamento (anche se aveva già iniziato una procedura in tal senso).

La modalità di conciliazione introdotta non può passare inosservata.
Infatti, come evidenziato dalla stessa relazione illustrativa, suddetta conciliazione è incentivata attraverso la totale esenzione fiscale, oltre che contributiva, della indennità prevista, resa possibile dalla predeterminazione per legge del criterio di calcolo dell'importo vincolato al pagamento oggettivo dell'anzianità di servizio e, quindi, sottratto alla disponibilità delle parti.

Non solo, il pagamento immediato mediante assegno circolare, previene ulteriori possibili contenziosi ed assicura la lavoratore l'immediata disponibilità della somma.

Infatti con questa modalità di conciliazione le parti rispettivamente, possono oltre a beneficiare della totale esenzione fiscale e contributiva, evitare di intraprendere un percorso giudiziale il cui esito oltre a non essere certo è anche estenuante per i tempi richiesti.



domenica 28 dicembre 2014

Quando può essere disposta la cassa integrazione?



La cassa integrazione guadagni (CIG), istituita è una prestazione economica erogata dall’INPS con la funzione di sostituire o integrare la retribuzione dei lavoratori sospesi dal lavoro o che lavorano a orario ridotto.

Obiettivo della CIG è quello di sollevare le aziende, in momentanea difficoltà produttiva, dai costi del lavoro della manodopera temporaneamente non utilizzata, consentendo ai lavoratori di riprendere la loro collaborazione una volta superata tale difficoltà.

L’importo che viene corrisposto è pari all’80% della retribuzione totale che sarebbe spettata per le ore di lavoro non prestate, entro un limite massimo mensile stabilito di anno in anno.

La CIG può durare al massimo 13 settimane, più eventuali proroghe fino a 12 mesi; in determinate aree territoriali il limite è elevato a 24 mesi.

Le istituzioni responsabili sono il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS).

La Cassa è alimentata dai seguenti contributi:

contributo ordinario a carico delle imprese pari all’1% della retribuzione (0,75% nel caso di imprese con meno di 50 dipendenti);

contributo addizionale per le imprese che usufruiscono della CIG, dell’8% dell’integrazione salariale corrisposta ai propri dipendenti (4% per le imprese con meno di 50 dipendenti);

contributo a carico dello Stato.

Gli eventi temporanei, previsti per l’applicazione, devono avere le seguenti caratteristiche:

rientrare nell’ambito aziendale;

non essere causati né dall’imprenditore né dal lavoratore;

essere involontari e transitori;

prevedere la ripresa certa del normale ritmo produttivo.

L’integrazione salariale ordinaria spetta ai lavoratori dipendenti con la qualifica di operai, impiegati, quadri, mentre non spetta ad apprendisti, dirigenti e lavoratori a domicilio.

Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria

Soggetti interessati:

Operai, impiegati e quadri delle imprese industriali in genere.

Presupposto: Sospensione o riduzione dell’attività produttiva a causa di:
situazioni aziendali dovute ad eventi temporanei e non dovute all’imprenditore o ai lavoratori;

situazioni temporanee di mercato.

Importo: 80% della retribuzione totale che sarebbe spettata per le ore di lavoro non prestate, entro un limite massimo mensile stabilito di anno in anno.

Durata massima: 13 settimane
più eventuali proroghe fino a 12 mesi;

in determinate aree territoriali il limite è elevato a 24 mesi.

La cassa integrazione guadagni straordinaria

Non tutte le situazioni problematiche delle aziende sono gestibili mediante l’attivazione della cassa integrazione guadagni ordinaria e per questo è stata istituita con legge 5 novembre 1968, n. 1115, la cassa integrazione guadagni straordinaria (CIGS). Lo scopo è di far fronte a durevoli eccedenze del personale di tipo strutturale, causate da crisi economiche settoriali o locali o ristrutturazioni e riorganizzazioni aziendali.

A differenza del trattamento ordinario, che interviene in situazioni congiunturali e risolvibili nel breve periodo, la CIGS è uno strumento di politica industriale finalizzato a una graduale eliminazione di personale in esubero, evitando le ripercussioni traumatiche sul piano sociale provocate dai licenziamenti collettivi. L’utilizzo di tale strumento precede, molto spesso, il ricorso alla procedura di messa in mobilità.

Come funziona la CIGS
La CIGS è valida sull’intero territorio nazionale.
L’importo da corrispondere ai lavoratori è pari all’80% della retribuzione totale che sarebbe spettata per le ore di lavoro non prestate, entro un limite massimo mensile stabilito di anno in anno.

Può durare al massimo:
12 mesi in caso di crisi aziendali;
24 mesi in caso di riorganizzazione, ristrutturazione e riconversione aziendale;
18 mesi per i casi di procedure esecutive concorsuali.

Le istituzioni responsabili sono il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS).

Il finanziamento della CIGS proviene da:
contributo ordinario a carico delle imprese, pari allo 0,6% della retribuzione;

contributo ordinario a carico del lavoratore, pari allo 0,3% della retribuzione;

contributo addizionale a carico delle imprese che si avvalgono della CIGS, pari al 4,5% dell’integrazione salariale corrisposta ai propri dipendenti (3% per le imprese con meno di 50 dipendenti).

L’intervento straordinario di integrazione salariale può essere concesso per le seguenti cause:

ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale;

crisi aziendale;

fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria senza continuazione dell’esercizio di impresa, amministrazione straordinaria con continuazione dell’esercizio di impresa;

contratto di solidarietà.

L’integrazione salariale straordinaria spetta ai lavoratori dipendenti con la qualifica di operai, impiegati, quadri, mentre non spetta ad apprendisti, dirigenti e lavoratori a domicilio.

I contratti di solidarietà
L’ art. 1 della legge 19 dicembre 1984, n. 863, ha inoltre istituito una nuova forma di intervento di CIGS applicabile a seguito della stipula di contratti di solidarietà.

Si tratta di contratti collettivi aziendali che realizzano forme di solidarietà tra lavoratori attraverso la riduzione dell’orario di lavoro, il cui onere è parzialmente o totalmente a loro carico.

In questo caso il trattamento di integrazione salariale è pari al 50% della retribuzione persa a causa della riduzione di orario e viene corrisposto al massimo per 24 mesi, termine che può essere ulteriormente prorogato per un massimo di 36 mesi nel Mezzogiorno e di 24 mesi nelle altre aree.

L’applicazione dei contratti di solidarietà non procura danni al lavoratore né sulla maturazione e l’ammontare della pensione, né sul trattamento di fine rapporto (liquidazione).

Presupposto:
Sospensione dal lavoro o riduzione di orario ridotto a causa di:
crisi economiche settoriali o locali;
ristrutturazioni, riorganizzazioni o conversioni aziendali;
procedure concorsuali che interessino l’azienda.
Importo: 80% della retribuzione totale che sarebbe spettata per le ore di lavoro non prestate, entro un limite massimo mensile stabilito di anno in anno.

Durata massima:
12 mesi per le crisi aziendali;
24 mesi per la riorganizzazione, ristrutturazione e riconversione aziendale;
18 mesi per i casi di procedure esecutive concorsuali.

L’indennità di mobilità, un’impresa può avviare le procedure di mobilità se, durante l’attuazione del programma di trattamento straordinario di integrazione salariale, ritiene di non essere in grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi e di non poter ricorrere a misure alternative.

Per i primi 12 mesi l’importo erogato corrisponde al 100% del trattamento di cassa integrazione straordinaria percepito o che sarebbe spettato nel periodo immediatamente precedente il licenziamento; per i periodi successivi si riduce all’80% dello stesso importo.
In ogni caso l’indennità di mobilità non può superare un importo massimo mensile determinato di anno in anno.

È possibile usufruire di tale indennità per un periodo massimo che varia nel modo seguente:
nel Centro-Nord 12, 24 o 36 mesi a seconda dell’età del lavoratore (fino a 39 anni; da 40 a 49; oltre 50);

nel Mezzogiorno la durata è rispettivamente di 24, 36 e 48 mesi.

Destinatari dell’indennità sono i lavoratori collocati in mobilità dalla loro azienda a seguito di:
esaurimento della Cassa integrazione straordinaria;

licenziamento per riduzione di personale o trasformazione di attività o di lavoro;

licenziamento per cessazione dell’attività da parte dell’azienda.

I requisiti richiesti ai lavoratori per poterne usufruire sono i seguenti:
iscrizione nelle liste di mobilità compilate dall’Ufficio Regionale del Lavoro;

anzianità aziendale complessiva di almeno 12 mesi;

6 mesi di effettivo lavoro, comprese ferie, festività, infortuni.

L’azienda, per individuare i lavoratori da collocare in mobilità, deve rispettare i criteri individuati dai contratti collettivi stipulati con i sindacati, se esistono; altrimenti deve seguire i seguenti criteri (non alternativi tra loro):
carichi di famiglia;

anzianità;

esigenze tecnico-produttive e organizzative.

Indennità di mobilità

Soggetti interessati:
lavoratori collocati in mobilità dalla loro azienda a seguito di esaurimento della Cassa integrazione straordinaria;

lavoratori licenziati per riduzione di personale o trasformazione di attività o di lavoro;

lavoratori licenziati per cessazione dell’attività dell’azienda.

Requisiti:
iscrizione nelle liste di mobilità compilate dall’Ufficio Regionale del Lavoro;

anzianità aziendale complessiva di almeno 12 mesi;

6 mesi di effettivo lavoro, comprese ferie, festività, infortuni.

Importo:
100% del trattamento di cassa integrazione straordinaria percepito o che sarebbe spettato nel periodo immediatamente precedente il licenziamento per i primi 12 mesi;
80% del predetto importo per i periodi successivi;

in ogni caso l’indennità di mobilità non può superare un importo massimo mensile determinato di anno in anno.

Durata massima:
nel Centro-Nord 12, 24 o 36 mesi a seconda dell’età del lavoratore (fino a 39 anni; da 40 a 49; superiore a 50);

nel Mezzogiorno la durata è rispettivamente di 24, 36 e 48 mesi.



lunedì 22 dicembre 2014

Erogazione dei buoni (voucher) per l’infanzia



I contributi per i servizi per l'infanzia (o "voucher baby sitting") sono gestiti dall'INPS con voucher alla madre o pagamento diretto all'asilo. Il contributo per la fruizione della rete pubblica dei servizi per l’infanzia o dei servizi privati accreditati viene erogato attraverso pagamento diretto alla struttura scolastica prescelta dalla madre, dietro esibizione, da parte della struttura stessa, della documentazione attestante l’effettiva fruizione del servizio, e fino a concorrenza dell’importo di 600 euro mensili, per ogni mese di congedo parentale non fruito dalla lavoratrice.

Il beneficio consiste in un contributo, pari ad un importo massimo di 600 euro mensili erogati complessivamente per un periodo non superiore a 6 mesi (tre per le lavoratrici iscritte alla gestione separata). Per l’acquisto dei servizi di baby sitting il contributo è erogato attraverso i buoni lavoro (1 voucher per ogni mese di congedo parentale al quale la madre rinuncia), mentre per la fruizione dei servizi per l’infanzia, pubblici o privati, consiste nel pagamento diretto da parte dell’Inps alla struttura prescelta (fino alla concorrenza dell’importo di 600 euro mensili per ogni mese di congedo parentale rinunciato).

Il contributo per il servizio di baby sitting viene erogato attraverso il sistema dei buoni lavoro (Voucher), mentre nel caso di fruizione della rete pubblica dei servizi per l'infanzia o dei servizi privati accreditati, il beneficio consiste in un pagamento diretto alla struttura prescelta, fino ad un massimo di 600 euro mensili, dietro esibizione da parte della struttura della richiesta di pagamento corredata della documentazione attestante l'effettiva fruizione del servizio.

Possono accedere al beneficio:

le lavoratrici dipendenti di amministrazioni pubbliche o di privati datori di lavoro;

le lavoratrici iscritte alla gestione separata di cui all’art.2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n.335, (ivi comprese le libere professioniste, che non risultino iscritte ad altra forma previdenziale obbligatoria e non siano pensionate, pertanto tenute al versamento della contribuzione in misura piena) che si trovino al momento di presentazione della domanda ancora negli 11 mesi successivi alla conclusione del periodo di congedo obbligatorio di maternità, e non abbiano fruito ancora di tutto il periodo di congedo parentale.

Le lavoratrici madri possono accedere al beneficio anche per più figli, presentando una domanda per ogni figlio purché ricorrano per ciascun figlio i requisiti sopra richiamati.

Non sono ammesse al beneficio:

le lavoratrici autonome iscritte ad altra gestione (coltivatrici dirette, mezzadre e colone, artigiane ed esercenti attività commerciali di cui alle leggi 26 ottobre 1957, n. 1047, 4 luglio 1959, n. 463, e 22 luglio 1966, n. 613, imprenditrici agricole a titolo principale, pescatrici autonome della piccola pesca marittima e delle acque interne, disciplinate dalla legge 13 marzo 1958, n. 250);

le lavoratrici esentate totalmente dal pagamento della rete pubblica dei servizi per l’infanzia o dei servizi privati convenzionati;

le lavoratrici che usufruiscono dei benefici di cui al Fondo per le Politiche relative ai diritti ed alle pari opportunità istituito con l’art.19, comma 3, del decreto legge 4 giugno 2006, n.223, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n.248.

I voucher sono unicamente cartacei e dovranno essere ritirati dalla madre lavoratrice presso la sede provinciale INPS territorialmente competente, individuata in base alla residenza o al domicilio temporaneo dichiarato nella domanda di accesso a tale prestazione. La madre lavoratrice potrà ritirare i voucher in un’unica soluzione oppure scegliere di ritirarne solo una parte o ritirarli con cadenza mensile, indicando espressamente il codice fiscale del figlio per cui è concesso il beneficio.

I voucher dovranno essere ritirati entro e non oltre 120 giorni dalla ricevuta comunicazione di accoglimento della domanda tramite i canali telematici. Il mancato ritiro o il ritiro parziale comporteranno l’automatica rinuncia al beneficio o alla parte di voucher non ritirata nel termine, con il conseguente ripristino della possibilità di utilizzo del periodo di congedo parentale rinunciato nel momento di presentazione della richiesta.

La madre lavoratrice potrà spendere detti voucher entro la scadenza degli stessi purché, prima dell’inizio della prestazione lavorativa del servizio di baby sitting, effettui (attraverso i consueti canali INPS/INAIL) la comunicazione preventiva di inizio prestazione, indicando oltre al proprio codice fiscale, il codice fiscale della prestatrice, il luogo di svolgimento della prestazione e le date presunte di inizio e di fine dell’attività lavorativa.

Per calcolare il periodo di congedo parentale, le frazioni di mese si sommano tra di loro fino a raggiungere trenta giorni, da considerarsi equivalenti ad un mese, mentre i mesi interi si computano come tali, qualunque sia il numero delle giornate di cui sono formati.

Le lavoratrici part-time, in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa, potranno accedere al contributo in misura proporzionata in ragione dell’entità della prestazione lavorativa.

Le lavoratrici possono accedere al beneficio, anche per più figli (in tale caso si deve presentare una domanda per ogni figlio), purché ricorrano per ciascun figlio i requisiti sopra richiamati. Per determinare i mesi di congedo parentale ancora spettanti occorre avere presenti i limiti individuali (massimo 6 mesi) e complessivi (tra i due genitori non superiori a 10 mesi, aumentabili a 11). Pertanto, anche ai fini del contributo in questione, è necessario tenere conto dei periodi di congedo parentale fruiti dal padre del minore.



domenica 23 novembre 2014

Pagamento delle retribuzioni non corrisposte: quale tutela per il lavoratore



Cosa può fare il lavoratore, quando il datore non corrisponde la retribuzione e le indennità di legge (malattia, assegni familiari, maternità, etc?).

Occorre premettere che la retribuzione ha una duplice funzione economico-sociale:
• da un lato rappresenta il corrispettivo della prestazione lavorativa;
• dall’altro costituisce il messo per il mantenimento del lavoratore e della sua famiglia.

L’insolvenza del datore di lavoro costituisce quindi violazione sia di un obbligo contrattuale sia di un obbligo costituzionale (articolo 36 della Costituzione).

Va anche ricordato che i crediti di lavoro, avendo natura “alimentare”, sono considerati privilegiati ai sensi dell’articolo 2751 del Codice civile, e danno diritto, oltre che agli interessi di mora, anche alla rivalutazione monetaria secondo appositi indici determinati periodicamente dall’ISTAT.

A fronte dell’omesso versamento, il lavoratore potrà:

rassegnare le proprie dimissioni per giusta causa con risoluzione immediata del rapporto obbligando la ditta al pagamento del preavviso. Si precisa che il Centro per l’Impiego iscrive nelle liste di mobilità il lavoratore se accerta che lo stipendio non sia pagato da oltre due mesi.

Il lavoratore avrà quindi diritto all’indennità di disoccupazione poiché si tratta di dimissioni presentate per “giusta causa”. L’avere percepito successivamente dal datore di lavoro le somme spettanti, non preclude il diritto alla percezione dell’indennità di disoccupazione, anche se il lavoratore abbia ottenuto tali somme senza avere attivato una formale azione di contenzioso.

Tale principio è affermato dall’Inps nel messaggio del 20 luglio 2009, n. 16410:

attivare un procedimento giudiziale per il recupero del credito (esempio, un ricorso per decreto ingiuntivo);

presentare una denuncia all’Ispettorato del lavoro;

attivare un procedimento di diffida accertativa del credito innanzi alla Direzione Territoriale del lavoro;

chiedere l’intervento della Direzione Territoriale del Lavoro per un procedimento di conciliazione monocratica;

presentare in Tribunale un ricorso d’urgenza (ai sensi dell’articolo 700 del Codice di procedura civile) quando la retribuzione costituisce l’unico mezzo di sostentamento del lavoratore e della famiglia;

in ogni caso il lavoratore potrà agire per il risarcimento del danno derivato dall’insolvenza, nonché qualora tale insolvenza determini una disparità di trattamento tra lavoratori con un intento discriminatorio volto ad indurre il dipendente a dimettersi.

I crediti di lavoro sono retribuzioni maturate dal lavoratore e non pagate dal datore di lavoro insolvente.

L’Inps indennizza a seguito dell’intervento del Fondo di garanzia.

le retribuzioni maturate e non corrisposte degli ultimi 90 giorni del rapporto di lavoro rientranti nei dodici mesi che precedono la data (dies a quo) della domanda diretta all'apertura della procedura concorsuale o la data di deposito in tribunale del relativo ricorso.

I crediti di lavoro che possono essere posti a carico del Fondo sono :

la retribuzione propriamente detta

i ratei di tredicesima e di altre mensilità aggiuntive

le somme dovute dal datore di lavoro a titolo di prestazioni di malattia e maternità;

ESCLUSE :
l’indennità di preavviso

l’indennità per ferie non godute

l’indennità di malattia a carico dell’Inps che il datore di lavoro avrebbe dovuto anticipare.

I crediti di cui sopra possono essere corrisposti a carico del Fondo solamente se rientrano negli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro (tre mesi di calendario o, più precisamente, l’arco di tempo compreso tra la data di cessazione del rapporto di lavoro e la stessa data del terzo mese precedente)

PROCEDURE CONCORSUALI
Fallimento
Concordato Preventivo
Amministrazione straordinaria
Liquidazione Coatta Amministrativa

FALLIMENTO DIES A QUO:
è la data della domanda diretta all'apertura del fallimento o, se più favorevole, quella del primo ricorso diretto all'apertura della suddetta procedura concorsuale indipendentemente da chi l'abbia proposta

oppure
la data del provvedimento di messa in liquidazione, di cessazione dell’esercizio provvisorio, di revoca dell’autorizzazione alla continuazione all’esercizio di impresa, per i lavoratori che dopo l’apertura di una procedura concorsuale abbiano effettivamente continuato a prestare attività lavorativa.

Se la cessazione del rapporto di lavoro è intervenuta durante la continuazione dell’attività dell’impresa, i dodici mesi dovranno essere calcolati a partire dalla data di licenziamento o di dimissioni del lavoratore.

Tale disposizione deve essere applicata solo a quei lavoratori che hanno effettivamente prestato attività lavorativa dopo l’apertura della procedura e non a coloro il cui rapporto, per l’intero periodo successivo, sia stata o sospeso.

Il responsabile del pagamento dei contributi e` esclusivamente il datore di lavoro e il contributo a carico del lavoratore e` trattenuto sulla retribuzione corrisposta al lavoratore stesso. E` prevista una sanzione amministrativa (da E 30,00 a E 125,00 per ogni dipendente) per il datore di lavoro che trattiene sulla retribuzione del lavoratore somme maggiori di quelle per le quali e` stabilita la trattenuta.

In caso di mancato pagamento della retribuzione alla scadenza del periodo di paga, il datore di lavoro non può procedere ad effettuare la trattenuta della quota dei contributi a carico del lavoratore.



Indennità ASPI: in caso di nuova occupazione



In caso di nuova occupazione del disoccupato come lavoratore subordinato, l’indennità Aspi viene sospesa d’ufficio fino ad un massimo di 6 mesi. La sospensione interviene in seguito alla comunicazioni obbligatorie a cui è tenuto il datore di lavoro, che entro 5 giorni, deve segnalare l’assunzione agli uffici competenti.

Al termine del periodo di rioccupazione, se compreso nei 6 mesi, l’indennità riprende a decorre dal momento della sospensione. I sei mesi di contribuzione del nuovo lavoro possono essere fatti valere ai fine di acquisire il diritto ad un nuovo trattamento di Aspi o mini-Aspi.

Oltre alla sospensione di sei mesi, è prevista anche la decadenza definitiva del diritto all'indennità di disoccupazione Aspi, che interviene in caso di:

inizio di attività autonoma senza aver provveduto alla comunicazione entro i 30 giorni:

raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia o anticipata;

diritto alla pensione di inabilità;

diritto all’assegno ordinario di invalidità, con possibilità di opzione tra i due trattamenti;

condanna per reati di terrorismo, associazione mafiosa, strage;

richiesta di anticipazione prevista in via sperimentale per il 2014 e 2015;

rifiuto a partecipare alle iniziative di politiche attive;

rifiuto di un lavoro congruo con una retribuzione superiore almeno del 20% rispetto all’importo lordo dell’indennità spettante periodo per periodo.

Nel caso di nuova occupazione del soggetto assicurato con contratto di lavoro subordinato, l’erogazione della prestazione ASPI è sospesa d’ufficio, sulla base delle comunicazioni obbligatorie, per un periodo massimo di sei mesi; al termine della sospensione l’indennità riprende  ad essere corrisposta per il periodo residuo spettante al momento in cui l’indennità stessa era stata sospesa.

Il soggetto titolare dell’indennità di disoccupazione ASPI può svolgere attività lavorativa di natura meramente occasionale (lavoro accessorio), purchè la stessa non dia luogo a compensi superiori a 3.000 euro (al netto dei contributi previdenziali) nel corso dell’anno solare.

In caso di svolgimento di lavoro autonomo o parasubordinato, dal quale derivi un reddito inferiore al limite utile alla conservazione dello stato di disoccupazione, il soggetto titolare dell’indennità di disoccupazione ASPI deve, a pena di decadenza, informare l’INPS entro un mese dall’inizio dell’attività, dichiarando altresì il reddito annuo che prevede di trarre dall'attività.

Nel caso in cui il reddito rientri nel limite di cui sopra, l’indennità di disoccupazione è ridotta di un importo pari all’80% dei proventi preventivati. Qualora il soggetto intende modificare il reddito dichiarato, può farlo attraverso nuova dichiarazione “a montante”, cioè comprensiva del reddito in precedenza dichiarato e delle variazioni a maggiorazione  o a diminuzione. In tal caso l’indennità verrà rideterminata.

Il beneficiario decade dall'indennità nei seguenti casi:

perdita dello stato di disoccupazione;

rioccupazione con contratto di lavoro subordinato superiore a 6 mesi;

inizio attività autonoma senza comunicazione all’INPS;

pensionamento di vecchiaia o anticipato;

assegno ordinario di invalidità, se non si opta per l’indennità;

rifiuto di partecipare, senza giustificato motivo, ad una iniziativa di politica attiva (attività di formazione, tirocini ecc.) o non regolare partecipazione;

mancata accettazione di un’offerta di lavoro il cui livello retributivo sia superiore almeno del 20% dell’importo lordo dell’indennità.



Indennità di disoccupazione ASPI per l’anno 2015



Cerchiamo di dare una guida per rispondere alle domande principali sul sussidio di disoccupazione dell'Inps, l'Aspi.

Innanzitutto l’Aspi è una prestazione economica istituita per gli eventi di disoccupazione che si verificano a partire dal 1° gennaio 2013 e che sostituisce l’indennità di disoccupazione ordinaria non agricola requisiti normali. E’ una prestazione a domanda erogata a favore dei lavoratori dipendenti che abbiano perduto involontariamente l’occupazione. Il sussidio di disoccupazione Aspi è una prestazione erogata dall'Inps ai lavoratori dipendenti che hanno perso involontariamente l'occupazione.

Spetta ai lavoratori con rapporto di lavoro subordinato che abbiano perduto involontariamente l’occupazione, compresi:

gli apprendisti;
i soci lavoratori di cooperative con rapporto di lavoro subordinato;
il personale artistico con rapporto di lavoro subordinato;
i dipendenti a tempo determinato delle Pubbliche Amministrazioni;

Sono esclusi dall'Aspi e non possono percepire il sussidio di disoccupazione i dipendenti delle PA con contratto a tempo indeterminato, gli operai agricoli, gli extracomunitari con permesso di soggiorno che hanno fatto un lavoro stagionale.

I requisiti sono i seguenti:
Stato di disoccupazione non volontario (viene escluso chi si è dimesso o ha risolto il contratto in modo consensuale, tranne in casi specifici);

aver comunicato al Centro per l'impiego del proprio territorio la dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro;

devono essere passati almeno 24 mesi dal versamento del primo contributo;

nei due anni precedenti alla domanda, devono essere stati versati almeno 12 mesi di contributi utili.

Spetta in presenza del requisito di stato di disoccupazione involontario, l’interessato deve rendere, presso il Centro per l’impiego nel cui ambito territoriale si trovi il proprio domicilio, una dichiarazione che attesti l’attività lavorativa precedentemente svolta e l’immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa.

L’indennità quindi non spetta nelle ipotesi in cui il rapporto di lavoro sia cessato a seguito di dimissioni o risoluzione consensuale.

Il lavoratore ha diritto all’indennità nelle ipotesi di dimissioni durante il periodo tutelato di maternità ovvero di dimissioni per giusta causa.

Inoltre, la risoluzione consensuale non impedisce il riconoscimento della prestazione se intervenuta:

nell’ambito della procedura conciliativa presso la Direzione Territoriale del Lavoro, secondo le modalità previste all’art. 7 della legge n. 604 del 1966, come sostituito dall’art. 1, comma 40 della legge di riforma del mercato del lavoro (Legge 28 giugno 2012 n.92);

a seguito di trasferimento del dipendente ad altra sede distante più di 50 Km dalla residenza del lavoratore e/o mediamente raggiungibile in 80 minuti o più con i mezzi pubblici.

Devono essere trascorsi almeno due anni dal versamento del primo contributo contro la disoccupazione; il biennio di riferimento si calcola procedendo a ritroso a decorrere dal primo giorno in cui il lavoratore risulta disoccupato.

Almeno uno anno di contribuzione contro la disoccupazione nel biennio precedente l’inizio del periodo di disoccupazione. Per contribuzione utile si intende anche quella dovuta ma non versata. Ai fini del diritto sono valide tutte le settimane retribuite purché risulti erogata o dovuta per ciascuna settimana una retribuzione non inferiore ai minimi settimanali. La disposizione relativa alla retribuzione di riferimento non si applica ai lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari, agli operai agricoli e agli apprendisti per i quali continuano a permanere le regole vigenti.

Ai fini del perfezionamento del requisito contributivo, si considerano utili:

i contributi previdenziali comprensivi di quota DS e ASpI versati durante il rapporto di lavoro subordinato;

i contributi figurativi accreditati per maternità obbligatoria se all’inizio dell’astensione risulta già versata contribuzione ed i periodi di congedo parentale purché regolarmente indennizzati e intervenuti in costanza di rapporto di lavoro;

i periodi di lavoro all’estero in paesi comunitari o convenzionati ove sia prevista la possibilità di totalizzazione (non sono utili i periodi di lavoro all’estero in Stati con i quali l’Italia non ha stipulato convenzioni bilaterali in materia di sicurezza sociale);

l’astensione dal lavoro per periodi di malattia dei figli fino agli 8 anni di età nel limite di cinque giorni lavorativi nell’anno solare.

Qualora il lavoratore abbia periodi di lavoro nel settore agricolo e periodi di lavoro in settori non agricoli, i periodi sono cumulabili ai fini del conseguimento dell’indennità di disoccupazione agricola o dell’indennità di disoccupazione ASpI, sulla base del criterio della prevalenza. Per verificare l’entità delle diverse contribuzioni restano fermi i parametri di equivalenza che prevedono 6 contributi giornalieri agricoli per il riconoscimento di una settimana contributiva.

Non sono invece considerati utili, pur se coperti da contribuzione figurativa, i periodi di:

malattia e infortunio sul lavoro solo nel caso non vi sia integrazione della retribuzione da parte del datore di lavoro, nel rispetto del minimale retributivo;

cassa integrazione straordinaria e ordinaria con sospensione dell’attività a zero ore;

assenze per permessi e congedi fruiti dal coniuge convivente, dal genitore, dal figlio convivente, dai fratelli o sorelle conviventi di soggetto con handicap in situazione di gravità.

Ai fini della determinazione del biennio per la verifica del requisito contributivo, i suddetti periodi - non considerati utili – devono essere neutralizzati con conseguente ampliamento del biennio di riferimento.

Come fare domanda

La domanda per il sussidio di disoccupazione va presentata all'INPS, esclusivamente per via telematica, utilizzando questi canali:

Sito dell'INPS, attraverso servizi telematici accessibili e codice PIN;

Contact Center multicanale (numero telefonico 803164 da rete fissa o 06164164 da rete mobile);

Patronati, CAF o intermediari.

La domanda va presentata entro 2 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro:
a) ottavo giorno successivo alla data di cessazione dell’ultimo rapporto di lavoro;

b) data di definizione della vertenza sindacale o data di notifica della sentenza giudiziaria;

c) data di riacquisto della capacità lavorativa nel caso di un evento patologico (malattia comune, infortunio) iniziato entro gli otto giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro;

d) ottavo giorno dalla fine del periodo di maternità in corso al momento della cessazione del rapporto di lavoro;

e) ottavo giorno dalla data di fine del periodo corrispondente all’indennità di mancato preavviso ragguagliato a giornate;
f) trentottesimo giorno successivo alla data di cessazione per licenziamento per giusta causa.

Per il 2015 spetta un'indennità mensile della durata di 10 mesi (persone di età inferiore a 50 anni), 12 mesi (persone di età tra 50 e 55 anni), 16 mesi (persone di età superiore a 55 anni).

L'assegno dell'INPS corrisponde al 75% della retribuzione media mensile imponibile degli ultimi 2 anni, e non può eccedere ilo limite massimo stabilito ogni anno. Se la retribuzione media mensile imponibile degli ultimi 2 anni è maggiore di 1.192,98 euro, per la parte eccedente si calcola il 25% (cifre stabilite per l'anno in corso). Dopo 6 mesi viene applicata la prima riduzione del 15%, e dopo 12 mesi la seconda.

La misura della prestazione è pari:

al 75% della retribuzione media mensile imponibile ai fini previdenziali degli ultimi due anni, se questa è pari o inferiore ad un importo stabilito dalla legge e rivalutato annualmente sulla base della variazione dell’indice ISTAT (per l’anno 2014 pari ad € 1.192,98). L’importo della prestazione non può comunque superare un limite massimo individuato annualmente per legge.

al 75% dell’importo stabilito (per l’anno 2014 pari ad € 1.192,98) sommato al 25% della differenza tra la retribuzione media mensile imponibile ed € 1.192,98 (per l’anno 2014), se la retribuzione media mensile imponibile è superiore al suddetto importo stabilito.

L’importo della prestazione non può comunque superare un limite massimo individuato annualmente per legge.

All’indennità mensile si applica una riduzione del 15% dopo i primi sei mesi di fruizione ed un’ulteriore riduzione del 15% dopo il dodicesimo mese di fruizione.

Il pagamento avviene mensilmente ed è comprensivo degli Assegni al Nucleo Famigliare se spettanti.

L’indennità può essere riscossa nelle seguenti modalità:

mediante accredito su conto corrente bancario o postale o su libretto postale;

mediante bonifico domiciliato presso Poste Italiane allo sportello di un ufficio postale rientrante nel CAP di residenza o domicilio del richiedente. Secondo le vigenti disposizioni di legge, le Pubbliche Amministrazioni non possono effettuare pagamenti in contanti  per prestazioni il cui importo netto superi i 1.000 euro.



martedì 4 novembre 2014

Contributi previdenziali INPS ed ex INPDAP



I contributi si dicono obbligatori quando sono imposti in relazione ad un'attività di lavoro svolta con modalità e tempi previsti dall'ordinamento giuridico vigente.

In altre parole: a fronte del lavoro, il sistema di sicurezza sociale prevede che obbligatoriamente, debbano essere versati i contributi previdenziali, cioè somme di danaro, diversamente calcolate a seconda del tipo di attività svolta, che alimentano un monte (detto Fondo, Cassa o Gestione previdenziale) cui si attinge:

nel corso della vita lavorativa del contribuente a causa di:

cessazione del rapporto di lavoro;

diminuzione della capacità lavorativa;

necessità di sostegno del reddito familiare;

alla fine della vita lavorativa, per la liquidazione della pensione.

La ricongiunzione dei contributi è quell’istituto che permette a chi ha posizioni assicurative in gestioni previdenziali diverse, di riunire  tutti i periodi contributivi presso un’unica gestione, allo scopo di ottenere una sola pensione.

La ricongiunzione, avviene a domanda del diretto interessato o dei suoi superstiti e deve comprendere tutti i periodi di contribuzione (obbligatoria, volontaria, figurativa, riscattata) che il lavoratore ha maturato in almeno due diverse forme previdenziali fino al momento della richiesta e che non siano già stati utilizzati per liquidare una pensione. I periodi ricongiunti sono utilizzati come se fossero sempre stati versati nel fondo in cui sono stati unificati e danno quindi diritto a pensione in base ai requisiti previsti dal fondo stesso.

La disciplina della ricongiunzione è regolata dalle seguenti leggi:
la Legge 29/1979 per i  trasferimenti tra INPS, ex INPDAP, ex ENPALS, INPGI, Gestioni speciali INPS per i lavoratori autonomi e i fondi aziendali sostitutivi dell’Assicurazione Generale Obbligatoria;

la legge 45 del 1990  sui  trasferimenti di contributi tra Casse dei liberi  professionisti e le gestioni di previdenza obbligatorie.

Il Decreto Legislativo n.184 del 30 aprile 1997 ha poi ampliato la possibilità anche a chi non abbia maturato in alcuna delle predette forme il diritto a pensione, e che scelgano la liquidazione della pensione con il sistema contributivo.

Possono esercitare la facoltà prevista e totalizzare i periodi assicurativi, per ottenere un’unica pensione, i lavoratori iscritti:

a due o più forme di assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti;

alle forme sostitutive, esclusive ed esonerative dell’assicurazione generale obbligatoria;

alle forme pensionistiche obbligatorie gestite dagli Enti previdenziali privatizzati di cui al decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509;

agli appositi albi o elenchi, gestiti dagli Enti previdenziali privati costituiti ai sensi del decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103;

alla gestione separata dei lavoratori parasubordinati, introdotta dall’articolo 2, comma 26, della
Legge 8 agosto 1995, n. 335;

al fondo di previdenza per il clero secolare e per i ministri di culto delle confessioni religiose diverse dalla cattolica.

Può essere liquidata anche una pensione in regime di totalizzazione con sola contribuzione Inps (ad es. con contribuzione da lavoro dipendente e/o da lavoro autonomo con versamento nella gestione separata).

La totalizzazione può essere richiesta dai superstiti di assicurato ancorché quest'ultimo sia deceduto prima di aver acquisito il diritto a pensione.

La domanda di ricongiunzione deve essere presentata alla competente sede dell’Istituto, Ente, Cassa, Fondo o gestione previdenziale nella quale si chiede  vengano ricongiunti  i diversi periodi.

La facoltà di ricongiunzione dei vari periodi in un’unica gestione in generale può essere esercitata una sola volta.

Tale facoltà può essere esercitata una seconda volta solamente:
1) dopo almeno dieci anni dalla prima, con almeno cinque anni di contribuzione per effettivo lavoro;
2) al momento del pensionamento e solo nella stessa gestione nella quale ha operato la precedente ricongiunzione.

Il pagamento  per la ricongiunzione contributiva si effettua utilizzando gli appositi bollettini MAV inviati dall'INPS con il provvedimento di accoglimento. I bollettini possono essere pagati presso qualsiasi sportello bancario senza costi aggiuntivi e presso tutti gli uffici postali, pagando la commissione postale vigente. E’ possibile stampare i bollettini MAV direttamente dal sito seguendo il seguente percorso: www.inps.it --> Portale dei Pagamenti --> riscatti ricongiunzioni e rendite.

E' possibile inoltre  effettuare il pagamento anche con le seguenti modalità:
a) rivolgendosi ai soggetti aderenti al circuito “Reti Amiche”: 1) le tabaccherie che aderiscono al circuito Reti Amiche; 2) gli sportelli bancari di Unicredit Spa (con pagamento in contanti per tutti gli utenti o, per i correntisti Unicredit, anche a debito sul conto corrente bancario);
b) tramite il sito Internet Unicredit Spa per i clienti titolari del servizio Banca online

Il pagamento può essere effettuato sia in un' unica soluzione, entro 60 giorni dalla data di ricezione del provvedimento che  in forma rateale (la rateazione non può superare la metà dei mesi ricongiunti, prevede un primo versamento di importo pari a tre rate e comporta maggiorazione di interessi).

L’INPS gestisce il sistema previdenziale in termini di imposizione, riscossione e recupero dei contributi ed in termini erogazione di prestazioni pensionistiche e non pensionistiche per:
La generalità dei lavoratori dipendenti del settore privato e del parastato ( FPLD ovvero Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti );
Gli imprenditori (Gestioni previdenziali dei Lavoratori Autonomi);
I parasubordinati,venditori a domicilio, professionisti senza cassa, lavoratori autonomi occasionali ed associati in partecipazione (Gestione Separata );
I lavoratori iscritti ai Fondi speciali
I dirigenti di imprese industriali ( Ex INPDAI )

L’INPDAP gestisce il sistema previdenziale:
di tutti i lavoratori dipendenti, civili e militari, dello Stato.

Nota bene – sono iscritti all'INPDAP anche i dipendenti di alcuni enti parastatali che sono stati autorizzati dalla legge ad optare per l'iscrizione all'INPDAP piuttosto che all'Inps: dipendenti di ordini professionali, di Casse di previdenza di categoria, di Camere di Commercio, Istituti di Istruzione, Automobil club ecc..

L’INAIL è l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali con due gestioni: industria e agricoltura.
L'Inail provvede inoltre, alla tutela antinfortunistica dei soggetti che si occupano di lavoro domestico o cura delle persone (badanti).

L’IPSEMA assicura contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali il personale della navigazione marittima, accerta e riscuote contributi dai datori di lavoro, ed eroga le prestazioni previdenziali per gli eventi di malattia e maternità nei confronti dello stesso personale e di quello della navigazione,  aerea (vedi d.l. 663/79 e d.l.vo 479/94).


domenica 19 ottobre 2014

Come calcolare il sussidio di disoccupazione ASPI




Innanzitutto è una prestazione economica istituita per gli eventi di disoccupazione che si verificano a partire dal 1° gennaio 2013 e che sostituisce l’indennità di disoccupazione ordinaria non agricola requisiti normali. E’ una prestazione a domanda erogata a favore dei lavoratori dipendenti che abbiano perduto involontariamente l’occupazione.

La misura della prestazione è pari:

al 75% della retribuzione media mensile imponibile ai fini previdenziali degli ultimi due anni, se questa è pari o inferiore ad un importo stabilito dalla legge e rivalutato annualmente sulla base della variazione dell’indice ISTAT (per l’anno 2014 pari ad € 1.192,98). L’importo della prestazione non può comunque superare un limite massimo individuato annualmente per legge.

al 75% dell’importo stabilito (per l’anno 2014 pari ad € 1.192,98) sommato al 25% della differenza tra la retribuzione media mensile imponibile ed € 1.192,98 (per l’anno 2014), se la retribuzione media mensile imponibile è superiore al suddetto importo stabilito.

Per stimare esattamente a quanto ammonta la somma dell'indennità, bisogna, prima di tutto determinare, tramite le buste paga, l'importo dello stipendio medio erogato nell'arco di tempo dei due anni precedenti la domanda (tale cifra deve comprendere le aggiunte varie mensili, le tredicesime e gli eventuali aumenti). Successivamente, si andrà a moltiplicare il numero delle settimane nelle quali è stata percepita la retribuzione per il coefficiente 4,33. Fatto questo, si divide la somma media degli stipendi, precedentemente calcolata, con questo risultato. In sostanza, questo importo, è la sommatoria delle diverse aree nelle quali il lavoratore ha maturato fondi per i diritti agli accrediti contributivi. Nel caso in cui lo stipendio non superi i 1.192,98 Euro mensili, l'importo di indennità sarà automaticamente pari al 75% dell'importo in questione.

Stato di disoccupazione involontario.
L’interessato deve rendere, presso il Centro per l’impiego nel cui ambito territoriale si trovi il proprio domicilio, una dichiarazione che attesti l’attività lavorativa precedentemente svolta e l’immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa.

L’indennità quindi non spetta nelle ipotesi in cui il rapporto di lavoro sia cessato a seguito di dimissioni o risoluzione consensuale.

Il lavoratore ha diritto all’indennità nelle ipotesi di dimissioni durante il periodo tutelato di maternità ovvero di dimissioni per giusta causa.

Inoltre, la risoluzione consensuale non impedisce il riconoscimento della prestazione se intervenuta:

nell’ambito della procedura conciliativa presso la Direzione Territoriale del Lavoro, secondo le modalità previste all’art. 7 della legge n. 604 del 1966, come sostituito dall’art. 1, comma 40 della legge di riforma del mercato del lavoro (Legge 28 giugno 2012 n.92);

a seguito di trasferimento del dipendente ad altra sede distante più di 50 Km dalla residenza del lavoratore e/o mediamente raggiungibile in 80 minuti o più con i mezzi pubblici.

Devono essere trascorsi almeno due anni dal versamento del primo contributo contro la disoccupazione; il biennio di riferimento si calcola procedendo a ritroso a decorrere dal primo giorno in cui il lavoratore risulta disoccupato.

Almeno un anno di contribuzione contro la disoccupazione nel biennio precedente l’inizio del periodo di disoccupazione. Per contribuzione utile si intende anche quella dovuta ma non versata. Ai fini del diritto sono valide tutte le settimane retribuite purché risulti erogata o dovuta per ciascuna settimana una retribuzione non inferiore ai minimi settimanali. La disposizione relativa alla retribuzione di riferimento non si applica ai lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari, agli operai agricoli e agli apprendisti per i quali continuano a permanere le regole vigenti.

Ai fini del perfezionamento del requisito contributivo, si considerano utili:

i contributi previdenziali comprensivi di quota DS e ASpI versati durante il rapporto di lavoro subordinato;

i contributi figurativi accreditati per maternità obbligatoria se all’inizio dell’astensione risulta già versata contribuzione ed i periodi di congedo parentale purché regolarmente indennizzati e intervenuti in costanza di rapporto di lavoro;

i periodi di lavoro all’estero in paesi comunitari o convenzionati ove sia prevista la possibilità di totalizzazione (non sono utili i periodi di lavoro all’estero in Stati con i quali l’Italia non ha stipulato convenzioni bilaterali in materia di sicurezza sociale);
l’astensione dal lavoro per periodi di malattia dei figli fino agli 8 anni di età nel limite di cinque giorni lavorativi nell’anno solare.

Non sono invece considerati utili, pur se coperti da contribuzione figurativa, i periodi di:

malattia e infortunio sul lavoro solo nel caso non vi sia integrazione della retribuzione da parte del datore di lavoro, nel rispetto del minimale retributivo;

cassa integrazione straordinaria e ordinaria con sospensione dell’attività a zero ore;

assenze per permessi e congedi fruiti dal coniuge convivente, dal genitore, dal figlio convivente, dai fratelli o sorelle conviventi di soggetto con handicap in situazione di gravità.

Ai fini della determinazione del biennio per la verifica del requisito contributivo, i suddetti periodi - non considerati utili – devono essere neutralizzati con conseguente ampliamento del biennio di riferimento.

L’indennità di disoccupazione ASpI spetta:

dall’ottavo giorno successivo alla data di cessazione del rapporto di lavoro, se la domanda viene presentata entro l’ottavo giorno;

dal giorno successivo a quello di presentazione della domanda, nel caso in cui questa sia stata presentata dopo l’ottavo giorno;

dalla data di rilascio della dichiarazione di immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa nel caso in cui questa non sia stata presentata all’INPS ma al centro per l’impiego e sia successiva alla presentazione della domanda.

Un’indennità mensile la cui durata, collegata all’età anagrafica del lavoratore, aumenta gradualmente nel corso del triennio 2013-2015 (periodo transitorio), per essere definita a regime con decorrenza 1° gennaio 2016.

L’importo della prestazione non può comunque superare un limite massimo individuato annualmente per legge.

All’indennità mensile si applica una riduzione del 15% dopo i primi sei mesi di fruizione ed un’ulteriore riduzione del 15% dopo il dodicesimo mese di fruizione.

Il pagamento avviene mensilmente ed è comprensivo degli Assegni al Nucleo Famigliare se spettanti. L’indennità può essere riscossa:
mediante accredito su conto corrente bancario o postale o su libretto postale;
mediante bonifico domiciliato presso Poste Italiane allo sportello di un ufficio postale rientrante nel CAP di residenza o domicilio del richiedente. Secondo le vigenti disposizioni di legge, le Pubbliche Amministrazioni non possono effettuare pagamenti in contanti  per prestazioni il cui importo netto superi i 1.000 euro.



lunedì 15 settembre 2014

Maternità: requisiti, retribuzione, calcolo e pagamento



L’astensione obbligatoria di 5 mesi per il congedo di maternità dà diritto al pagamento da parte dell’Inps dell’indennità durante l’interdizione dal lavoro. Vediamo tutte le informazioni sul calcolo dell’indennità di maternità, la retribuzione di riferimento, le giornate indennizzate, come si fa domanda e le modalità di pagamento.

Una delle assenze da lavoro tutelate dalla legge è l’assenza per maternità. La donna lavoratrice che rimane incinta ha diritto a speciali tutele nel periodo di gravidanza e nei mesi successivi alla nascita del bambino. La legge prevede l’astensione obbligatoria dal lavoro a partire da 2 mesi prima della data presunta del parto. Questa assenza dal lavoro tutelata, e retribuita tramite l’indennità di maternità, si protrae per 5 mesi, quindi fino al terzo mese di età del neonato.

Sempre nell’ottica della salvaguardia della salute della donna in gravidanza e del suo bambino sono previste alcune eccezioni, come la flessibilità del congedo di maternità, che consente alla madre di posticipare ad un mese prima del parto l’inizio dell’interdizione obbligatoria per il congedo di maternità, così come l’astensione anticipata nel caso di complicanze durante la gravidanza, provvedimento disposto per il tramite della Direzione provinciale del lavoro (DPL). Per maggiori informazioni sui periodi di astensione obbligatoria di 5 mesi, da tre mesi prima del parto ad un mese prima, sulla possibilità di proroga dell’astensione e tutti le casistiche, vediamo l’approfondimento sul congedo di maternità.

Per il periodo di astensione obbligatoria di 5 mesi, sia prima del parto che dopo il parto, la donna ha diritto alla percezione di una prestazione previdenziale da parte dell’Inps: l’indennità di maternità. Si tratta di una indennità sostitutiva della retribuzione erogata dal datore di lavoro nei mesi di normale svolgimento dell’attività.

Cioè, la donna pur non lavorando, quindi non svolgendo il proprio orario di lavoro contrattuale, ha diritto all’astensione obbligatoria per 5 mesi e al pagamento della retribuzione, l’indennità di maternità nella misura dell’80%. I contratti collettivi possono disporre l’integrazione al 100% dell’indennità da parte del datore di lavoro. In alcuni casi, purtroppo con eventi negativi che accompagnano il lieto evento della nascita del figlio, l’indennità può essere erogata al padre in sostituzione della madre, in questo casi parla di indennità di paternità.

Vediamo in questo approfondimento tutti gli aspetti relativi al sistema di calcolo dell’indennità stessa, soprattutto riguardo alla retribuzione presa a riferimento per il calcolo, quali sono le giornate indennizzate e come si fa domanda per ottenere l’indennità e le modalità di pagamento.

Lavoratrici a cui spetta l’indennità dell’Inps
L’indennità di maternità (o di paternità nei casi previsti) spetta ai cittadini italiani ma anche ai cittadini non in possesso della cittadinanza italiana. Il diritto alla percezione della prestazione previdenziale scatta al verificarsi dell’evento della maternità, a favore delle seguenti categorie di lavoratrici (o lavoratori) dipendenti (purché abbiamo effettivamente iniziato l’attività lavorativa):

lavoratrici dipendenti da datori di lavoro privati, compresi i dirigenti; lavoratori con contratto di somministrazione di lavoro,  lavoratori dipendenti dell’appaltatore e lavoratori distaccati;

lavoratori con contratto di lavoro intermittente;

lavoratori con contratti di lavoro ripartito;

lavoratori a tempo parziale;

lavoratore apprendista, lavoratori con contratto di inserimento;

lavoratrici dipendenti dalle imprese dello Stato, degli Enti Pubblici e degli Enti locali privatizzate per i periodi dal 1° gennaio 2009;

lavoratrici disoccupate o sospese da meno di 60 giorni;

lavoratrici disoccupate da oltre 60 giorni con diritto all’indennità di disoccupazione con requisiti normali o alla indennità di mobilità;

lavoratrici disoccupate da oltre 60 giorni con diritto all’indennità di disoccupazione con requisiti ridotti;

lavoratrici disoccupate da oltre 60 giorni e meno di 180, non assicurate contro la disoccupazione, in possesso del requisito di 26 contributi settimanali nel biennio precedente l’inizio della maternità;

lavoratrici sospese da oltre 60 giorni con diritto alla cassa integrazione guadagni;

lavoratrici agricole a tempo determinato (OTD) con almeno 51 giornate di lavoro prestato nell’anno precedente ovvero nell’anno in corso prima dell’inizio della maternità;

lavoratrici agricole (dirigenti e impiegate) a tempo indeterminato (OTI);
collaboratrici domestiche e familiari (Colf e badanti) in possesso del requisito di 52 settimane di lavoro nei due anni precedenti ovvero 26 settimane nell’anno precedente l’inizio del congedo di maternità (una settimana utile viene considerata se lavorata almeno 24 ore);

lavoratrici dipendenti di cooperative (operaie e impiegate socie o non socie);

dipendenti (operaie e impiegate) da aziende esercenti pubblici servizi di trasporto;

lavoratrici a domicilio;

lavoratrici in distacco sindacale;

lavoratrici dello spettacolo;

lavoratrici impegnate in attività socialmente utili (A.S.U.) o di pubblica utilità (A.P.U.);

padri lavoratori (solo nei casi di morte, grave infermità o malattia della madre, abbandono del bambino da parte della stessa, affidamento esclusivo al padre) in possesso dei requisiti indicati per le lavoratrici madri. Al lavoratore padre sono riconosciuti anche i periodi di astensione obbligatoria post partum di maggiore durata conseguenti al parto prematuro, nonché i periodi di astensione obbligatoria post parto di maggiore durata conseguenti alla richiesta di flessibilità da parte della madre;

genitori adottanti o affidatari (padri e madri lavoratori dipendenti) in possesso dei requisiti indicati per le lavoratrici madri (il padre adottivo o affidatario può esercitare il diritto al beneficio in alternativa, cioè per periodi alterni a quello della madre che vi abbia rinunciato;

ai genitori (padri e madri lavoratori dipendenti) in possesso dei requisiti indicati per le lavoratrici madri, in caso di collocamento temporaneo del minore in famiglia (è da escludersi, invece, la concessione del beneficio, qualora il collocamento avvenga presso una comunità del tipo familiare).

La retribuzione da prendere a base per il calcolo dell’indennità, dipende dalla situazione in cui si trova la lavoratrice (o il lavoratore in caso di indennità di paternità) avente diritto. L’Inps prende a riferimento diverse retribuzioni, da quelle del mese precedente alla retribuzione media globale giornaliera, fino alla retribuzione media convenzionale giornaliera. Per la retribuzione media giornaliera si considerano gli stessi elementi utili per determinare l’ammontare dell’indennità di malattia.

La retribuzione media globale giornaliera si ottiene dividendo per 30 l’importo totale della retribuzione del mese preso a riferimento. Nel caso in cui la lavoratrice non abbia svolto l’intero periodo lavorativo mensile a causa della sospensione del rapporto di lavoro con diritto alla conservazione del posto (si pensi alla malattia ad esempio), per ottenere la retribuzione globale giornaliera va diviso l’ammontare complessivo degli emolumenti percepiti nel periodo di paga preso in considerazione per il numero di giorni lavorati, o comunque retribuiti, risultanti dal periodo stesso.

Lavoro straordinario e retribuzione giornaliera. Per le lavoratrici operaie dei settori non agricoli, la retribuzione media globale giornaliera nei casi in cui viene svolto lavoro straordinario, o per contratto di lavoro il lavoro svolto supera le 8 ore giornaliere, viene calcolata dividendo l’ammontare complessivo degli emolumenti percepiti nel periodo di paga preso in considerazione per il numero di giorni lavorati o comunque retribuiti.

Orario medio inferiore a quello contrattuale. E’ il caso inverso, nel caso in cui per esigenze organizzative aziendali o per ragioni di carattere personale della lavoratrice, l’orario medio effettivamente lavorato risulti inferiore a quello previsto dal contratto di lavoro di categoria, l’importo della retribuzione media globale giornaliera, preso a riferimento per il calcolo dell’indennità di maternità, va calcolato dividendo l’ammontare complessivo delle retribuzioni percepite nel periodo paga preso in considerazione (vedremo in seguito) per il numero di ore di lavoro effettuato e moltiplicando il quoziente ottenuto per il numero delle ore giornaliere previste dal contratto stesso.

Lavoro su 6 giorni settimanali. Nei casi in cui il contratto di lavoro prevede che la lavoratrice (o il lavoratore nel caso di indennità di paternità) svolga un orario di lavoro basato su un orario settimanale di  6 giorni, di cui 5 giorni a tempo pieno e il sesto giorno, normalmente il sabato, ad orario ridotto (es. i portieri), l’orario giornaliero da considerare per il calcolo dell’indennità di maternità è quello che si ottiene dividendo per 6 il numero complessivo delle ore settimanali contrattualmente stabilite.

Una volta stabilito le modalità di calcolo della retribuzione giornaliera presa a riferimento per determinare il trattamento economico spettante in caso di maternità, è necessario procedere al calcolo dell’indennità.

Indennità di maternità a carico Inps pari all’80%. Nel periodo di astensione obbligatoria, che è pari a 5 mesi, e la cui distribuzione è normalmente di 2 mesi prima del parto e 3 mesi dopo, salvo i casi di flessibilità in cui la distribuzione è 1 mese prima del parto e 4 mesi dopo del parto, oppure salvo il caso di astensione anticipata di 3 mesi prima del parto e 2 dopo il parto, alla lavoratrice spetta un’indennità a carico dell’Inps pari all’80% della retribuzione giornaliera del periodo di paga mensile precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio il congedo di maternità. Oppure, come vedremo, della retribuzione giornaliera prevista, nei casi diversi dalla lavoratrice dipendente del settore privato.

L’indennità di maternità comprende anche il rateo giornaliero di gratifica natalizia o tredicesima mensilità e gli altri premi o mensilità (quattordicesima mensilità) o trattamenti accessori eventualmente erogati.

Integrazione e somme a carico dell’azienda. I contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL) possono prevedere l’integrazione a carico del datore di lavoro fino a raggiungere il 100% dell’ordinaria retribuzione percepita in busta paga nei normali periodi di lavoro. A carico del datore di lavoro resta anche il pagamento di tutte le festività cadenti nel periodo di astensione dal lavoro, per le operaie, e di quelle cadenti di domenica, per le impiegate.

Una volta stabilito la percentuale erogata dall’Inps a suo carico e le somme dovute dal datore di lavoro, per calcolare l’indennità di maternità è importante capire per ogni tipologia di lavoratrice su quale retribuzione va calcolato l’80%.  Vediamo ora l’elenco, per tipologia di lavoratrice, delle retribuzioni di riferimento.

Lavoratrici dipendenti non agricole. Si prende a riferimento la retribuzione del mese precedente la data di inizio della maternità per le lavoratrici occupate dipendenti non agricole, agricole a tempo indeterminato, dello spettacolo e socie di cooperative.

Lavoratrici disoccupate o sospese. Si prende a riferimento la retribuzione del mese precedente la data di abbandono del lavoro per le lavoratrici disoccupate o sospese del settore non agricolo, agricolo a tempo indeterminato, socie dipendenti di cooperative e dello spettacolo.

Lavoratrici in cassa integrazione CIGS. Per la lavoratrice sospesa ed in godimento della integrazione salariale straordinaria, la retribuzione è costituito dalla retribuzione media globale giornaliera che una lavoratrice della stessa categoria, che abbia continuato a svolgere regolarmente la prestazione lavorativa, ha percepito nel periodo di paga scaduto ed immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio l’astensione obbligatoria dal lavoro per maternità.

Lavoratrici in sciopero. Nel caso di lavoratrice in sciopero la retribuzione media globale giornaliera si determina, ai fini del calcolo della misura dell’indennità giornaliera di maternità, dividendo la retribuzione complessiva  effettivamente percepita dalla lavoratrice nel periodo di paga preso a riferimento per il numero di giorni lavorati o comunque retribuiti.

Lavoratrici con trasformazione da tempo pieno a tempo parziale. Nel caso in cui la lavoratrice e il datore di lavoro abbiano concordato la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo parziale a tempo pieno per un periodo in parte coincidente con quello del congedo di maternità, la retribuzione da prendere a base per il calcolo della indennità non sarà quella del periodo di paga precedente l’inizio del congedo ma quella dovuta per l’attività lavorativa a tempo pieno che la lavoratrice avrebbe svolto se non avesse dovuto astenersi obbligatoriamente dal lavoro.

Lavoratrici con conversione da part time a full time. La retribuzione da prendere a base per la determinazione dell’indennità di maternità in caso di conversione a tempo pieno del contratto di lavoro part-time è quella prevista per l’attività lavorativa a tempo pieno che la lavoratrice avrebbe svolto se non avesse dovuto astenersi per maternità anziché la retribuzione del periodo di paga precedente l’inizio del congedo.

Lavoratrici agricole a tempo determinato. In questo caso, a decorrere dagli eventi indennizzabili relativi a periodi di paga inclusi nell’anno 2006, la retribuzione da prendere a base per il calcolo delle prestazioni a sostegno del reddito  è quella contrattuale. La retribuzione da prendere in considerazione alla base del calcolo sarà quindi la più alta tra quella stabilita dai contratti collettivi nazionali e quella stabilita degli accordi collettivi o contratti individuali.

Lavoratrici dello spettacolo. Per questo settore la retribuzione da prendere a base per il calcolo della indennità è la retribuzione media giornaliera del mese immediatamente precedente (entro il massimale di euro 67,14) l’inizio del congedo di maternità. Nel caso in cui nel mese precedente l’inizio del congedo non sia stato svolto l’intero periodo lavorativo mensile si dividerà l’ammontare complessivo degli emolumenti percepiti nel periodo retributivo di riferimento per il numero dei giorni lavorati o retribuiti risultanti dal periodo stesso.

Se nel mese precedente non è stata svolta alcuna prestazione lavorativa, la retribuzione da prendere a base per il calcolo dovrà essere quella del mese ancora precedente e qualora anche quest’ultima manchi, quella in cui inizia il congedo di maternità o in cui è rinvenibile una prestazione di lavoro dante titolo alla indennità.

Lavoratrice saltuaria. La retribuzione da prendere a base per il calcolo sarà computata dividendo quanto percepito dal lavoratore nel periodo da considerare non per il numero delle giornate lavorate o retribuite bensì per il numero di giornate feriali (ovvero di calendario, se impiegati) cadenti nel periodo stesso.

Colf e badanti. In questo caso per il calcolo dell’indennità va presa a riferimento la retribuzione media convenzionale giornaliera delle ultime 52 o 26 settimane di lavoro stabilita anno per anno con decreto.

Infine, per le lavoratrici dipendenti da società o enti cooperativi anche di fatto, si prende a riferimento la retribuzione convenzionale giornaliera. Per i piccoli coloni e compartecipanti familiari, la retribuzione da considerare è il salario medio convenzionale giornaliero.

Quando spetta l’indennità di maternità: il periodo di congedo
Il congedo di maternità spetta alla lavoratrice incinta per 5 mesi. Come abbiamo già accennato, il periodo indennizzato va da 2 mesi prima della data presunta del parto (o 1 mese in caso di flessibilità, o 2 mesi in caso di astensione anticipata) a 3 mesi dopo la data presunta del parto (o 4 mesi in caso di flessibilità, o 3 mesi in caso di astensione anticipata). La relativa indennità di maternità erogata dall’Inps si divide in indennità ante partum e indennità post partum.

L’indennità ante partum. La lavoratrice ha diritto all’indennità di maternità, sostitutiva della retribuzione, per i due mesi precedenti la data presunta del parto, mesi che si calcolano senza includere la data presunta del parto nel calcolo. L’indennità di maternità prima del parto spetta anche per l’eventuale periodo intercorrente tra la data presunta del parto e la data effettiva del parto.

Spetta inoltre per i periodi di astensione obbligatoria ante partum anticipati, cioè quei periodi di interdizione dal lavoro disposti dalla Direzione provinciale del lavoro (DPL), salvo la cessazione del rapporto di lavoro. Per maggiori informazioni vediamo l’astensione anticipata.

L’indennità post partum. La lavoratrice, sia essa occupata che disoccupata, sospesa, agricola, non agricola, a domicilio, colf o badante, ha diritto all’indennità anche per il periodo successivo al parto: l’indennità post partum, anche in questo caso sostitutiva della retribuzione. L’indennità spetta per i tre mesi successivi al parto, che decorrono dal giorno successivo al parto.

Spetta anche per i periodi proroga dell’astensione obbligatoria, quando il congedo viene prolungato fino a sette mesi dopo il parto dalla Direzione provinciale del lavoro (DPL), salvo che non ci sia cessazione del rapporto di lavoro. In quest’ultimo caso i periodi di interdizione riconosciuti dalla DPL non sono assistiti dall’indennità.

La lavoratrice ha diritto all’indennità di maternità post partum anche quando capitano eventi tragici come la nascita di un bambino già morto o il decesso del bambino successivo al parto. Analogamente l’indennità spetta anche quando ci sia stata una interruzione di gravidanza dopo il 180° giorno di gestazione.

Si ha diritto all’indennità post partum anche nei casi di adozione, affidamento o di collocazione del minore in famiglia. Per maggiori informazioni vedremo il congedo di maternità per adozioni e affidamenti.

L’indennità di maternità nel parto prematuro. In questo caso abbiamo un periodo di congedo di maternità che si è ridotto rispetto al previsto, quindi l’indennità che spetta per il periodo ante partum non goduto andrà sommata alla fine dell’indennità di maternità post partum e fino al massimo dei 5 mesi indennizzabili, a condizione che la lavoratrice non abbia ripreso l’attività lavorativa. In pratica se la nascita avviene con 20 giorni di anticipo e si ha diritto a 2 mesi di indennità post parto, le indennità successive alla nascita saranno percepite per 2 mesi e 20 giorni. Se il parto prematuro è avvenuto prima dei due mesi di astensione obbligatoria prima del parto, vengono riconosciuti direttamente 5 mesi dopo il parto come indennità di maternità.

Indennità di  maternità nella flessibilità. Nel caso in cui la lavoratrice richieda la flessibilità dell’art. 20 del D. Lgs. 151 del 2001, che consente di ritardare l’inizio dell’astensione obbligatoria ad un mese prima del parto, l’indennità ante partum è riconosciuta appunto per un mese mentre quella post partum per 4 mesi. Si ha il semplice spostamento delle indennità.

L’indennità post partum per i papà. Nei casi previsti di congedo di paternità il lavoratore padre ha dirotto alla percezione dell’indennità di paternità. Il congedo di maternità post partum spetta ai padri sono nei casi di morte, grave infermità o malattia della madre, abbandono del bambino da parte della madre stessa o affidamento esclusivo al padre se in possesso dei requisiti richiesti per le lavoratrici madri, cioè soltanto se la madre aveva diritto all’indennità. Per maggiori informazioni vedremo il congedo di paternità.

Quali sono le giornate indennizzabili
L’indennità giornaliera di maternità, calcolata secondo il metodo precedentemente descritto, spetta per tutte le giornate indennizzabili comprese nel periodo di astensione obbligatoria di 5 mesi, sia prima del parto che dopo il parto. L’Inps però fornisce delle indicazioni ben precise, sono le seguenti:

alle operaie, compreso le apprendiste e le lavoratrici agricole, spetta l’indennità per le giornate feriali incluse nel periodo di astensione, quindi con esclusione delle domeniche e delle festività;
alle lavoratrici addette ai servizi domestici e familiari (colf e badanti) spetta analogo trattamento previsto per le operaie;

alle lavoratrici impiegate spetta l’indennità di maternità per tutte le giornate incluse nel periodo di astensione con l’esclusione delle festività nazionali e infrasettimanali cadenti di domenica.

Nel caso in cui le lavoratrici svolgono presso il proprio datore di lavoro delle prestazioni limitate ad alcuni giorni della settimana (si pensi al part time di tipo verticale), l’indennità spetta solo per le giornate che sarebbero state retribuite se la dipendente non fosse stata assente da lavoro per maternità.

Disoccupazione o sospensione dal lavoro. Se per effetto della disoccupazione o di altre sospensioni dal lavoro, le lavoratrici, o per contratto o per legge, non ricevono alcun trattamento economico per le festività nazionali e infrasettimanali, l’indennità è dovuta per queste giornate.

La domanda sia per il congedo per l’indennità di maternità erogata dall’Inps va presentata prima del compimento del settimo mese di gravidanza al datore di lavoro e all’Inps. Alla domanda vanno allegati alcuni certificati, tra i quali quello del medico del servizio sanitario nazionale che indica la data presunta del parto dal quale si calcola sia il periodo di astensione obbligatoria ante partum che post partum, aldilà del possibile errore del medico.

Nel caso di lavoratrici a domicilio va presentata anche una dichiarazione dell’azienda o delle aziende per le quali la lavoratrice lavora, così come è necessario allegare il provvedimento della Direzione provinciale del lavoro (DPL) in caso di astensione anticipata.

Dopo il parto va presentato l’attestato di parto rilasciato dall’Asl oppure uno stato di famiglia o una dichiarazione sostitutiva. Nel caso di parto prematuro va presentata anche la richiesta di fruizione post partum dell’indennità non goduta ante partum per la nascita in anticipo. Per maggiori informazioni vediamo la domanda di congedo di maternità.

L’indennità di maternità (o di paternità) nel caso delle lavoratrici dipendenti viene normalmente anticipata dal datore di lavoro per conto dell’Inps. L’azienda poi recupererà le somme attraverso una compensazione con le somme a debito dovute per i contributi da versare per i lavoratori in forza all’azienda. In altri casi invece l’indennità viene corrisposta alla lavoratrice direttamente dall’ente previdenziale. Vediamo quali sono questi casi.

Quando l’indennità di maternità è pagata direttamente dall’Inps. Si tratta di tutti quei casi in cui il rapporto lavorativo con l’azienda non consente l’anticipo aziendale. Sono i seguenti casi:

indennità di maternità erogata alle lavoratrici stagionali;

indennità di maternità per le lavoratrici disoccupate o sospese dal lavoro da non oltre 60 giorni che fruiscono del trattamento di integrazione salariale;

Indennità pagata alle lavoratrici disoccupate o sospese dal lavoro da oltre 60 giorni che fruiscono, all’inizio della maternità, dell’indennità di disoccupazione, di mobilità o di integrazione salariale con pagamento diretto di tali indennità da parte dell’Inps;

Indennità di maternità corrisposte alle lavoratrici agricole dipendenti (facoltativamente se titolari di un contratto a tempo indeterminato);

Indennità erogata ai piccoli coloni e compartecipanti familiari;

Indennità di maternità pagata a colf e badanti;

Indennità pagata alle lavoratrici dello spettacolo con contratto a termine o a prestazione o a giornata.

Richiesta di pagamento diretto. La lavoratrice interessata dal pagamento diretto dall’Inps dell’indennità di maternità deve produrre una espressa richiesta indicando le modalità di pagamento, cioè tramite bonifico bancario o tramite bonifico postale oppure tramite sportello di qualsiasi ufficio postale del territorio nazionale, previo accertamento dell’identità del percettore. L’identità sarà accertata da un documento di riconoscimento, dal codice fiscale e dalla consegna dell’originale della lettera di avviso da parte dell’Inps della disponibilità del pagamento ricevuta via posta prioritaria.

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