lunedì 20 aprile 2015

Le lauree che danno più lavoro



Quali sono le facoltà che aiutano a trovare lavoro?  Una domanda a cui è difficile trovare una risposta ma che è necessario porsi nel momento in cui ci si trova a scegliere a quale facoltà iscriversi. Prima di affrontare test d’ingresso ed esami, prima di pagare iscrizione e tasse (per non parlare delle spese che devono affrontare i fuori sede è cosa buona e cercare di avere almeno un’idea di quel che potrebbe accadere il futuro.

AlmaLaurea ha diffuso il XVII Rapporto sulla condizione occupazionale dei laureati. I dati analizzano la posizione occupazionale a 1 e 5 anni dalla laurea. Vediamo, caso per caso, quali sono le facoltà universitarie che offrono maggiore probabilità di trovare lavoro e quelle più redditizie.

Medicina. Tasso di occupazione a cinque anni dal titolo: 97%
Retribuzione media: 1.593 euro
I camici bianchi restano in vetta alle rilevazioni di AlmaLaurea: per i laureati in Medicina e nelle professioni sanitarie il tasso di occupazione a cinque anni dal titolo è del 97%. La percentuale è spinta all'insù dalla componente di medici specializzandi (quindi, retribuiti) nel calcolo totale. Gli stipendi? La media registrata viaggia sui 1.593 euro mensili, su di oltre 200 euro rispetto agli standard degli altri laureati e corrispondente – non a caso – al rimborso medio previsto per la specializzazione. Il problema, semmai, è superare lo scoglio della selezione: l'ultimo “concorsone” ha escluso circa il 50% dei candidati, visto lo squilibrio in crescita tra laureati dalle università italiane e posizioni effettivamente aperte per le scuole.

Ingegneria

Tasso di occupazione a cinque anni dalla laurea: 95%

Retribuzione media: 1.693 euro

Il tasso di occupazione dei laureati in ingegneria raggiunge il 65% a un anno dalla laurea. A cinque, si sfiora il numero pieno: 95%. I neo-ingegneri viaggiano a livelli appena più bassi dei laureati in medicina (97%), ma svettano con uno stipendio senza pari su scala italiana: 1.693 euro, oltre 500 euro in più di quello che guadagnano i coetanei laureati in architettura (1.188 euro), giurisprudenza (1.176 euro) e lettere (1.030 euro). Il paragone, comunque, si fa meno felice se spostiamo l'obiettivo sul resto d'Europa: la retribuzione “mediana” di un ingegnere meccanico tedesco, secondo il sito Payscale, è di 45.246 euro.

Economia e statistica

Tasso di occupazione a cinque anni dalla laurea: 90%

Retribuzione media: 1.487 euro

La crisi non fa sconti. O quasi: a quanto rivela AlmaLaurea, il tasso di occupazione dei laureati in discipline economiche-statistiche a cinque anni dal titolo magistrale (3+2) è pari al 90%, con una retribuzione media di 1.487 euro.

Chimica-farmaceutica

Tasso di occupazione a cinque anni dalla laurea: 90%

Retribuzione media: 1.475 euro

La laurea in chimica fa presa sul mercato del lavoro? Stando ai dati AlmaLaurea, sì: il tasso di occupazione registrato tra i neo-dottori di area chimico-farmaceutica viaggia su una percentuale del 90%, con probabilità di essere assunti su del 25% nel giro di cinque anni. La retribuzione media è pari a 1.474 euro, oltre 100 euro sopra le media degli altri gruppi disciplinari.

Scienze (matematica-fisica)

Tasso di occupazione a cinque anni dalla laurea: 88%

Retribuzione media: 1.471 euro

Chi lo ha detto che le “scienze pure” non danno lavoro? AlmaLaurea smonta uno tra i luoghi comuni più diffusi nella scelta universitaria con i dati, freschi di pubblicazione, sul tasso di occupazione dei laureati in discipline come matematica e fisica a cinque anni dal titolo: l'88%, percentuale poco inferiore al 90% dei corsi di laurea in materie economiche. Sopra la media anche gli stipendi: 1.471 euro mensili netti.

Cerchiamo di stilare la classifica delle Facoltà e Università che più facilmente inseriscono nel mondo del lavoro. Questo può servire sia a chi deve scegliere dove iscriversi sia agli attuali studenti universitari che possono notare se la loro Facoltà effettivamente aiuta ad avere una stabile occupazione oppure no. I dati sono raccolti da fonti affidabilissime quali le indagini dell’Istituto Interuniversitario Almalaurea che annualmente fornisce i dati in base ai sondaggi fatti. Abbiamo considerato i dati a 5 anni dal conseguimento del titolo, quindi un periodo abbastanza lungo dopo la laurea; inoltre abbiamo precisato anche qual è lo stipendio medio dei laureati in quello specifico settore. E’ risultato che gli studenti più “fortunati” sono quelli di Ingegneria: a 5 anni dalla laurea più di 9 studenti su 10 sono occupati (91,8%) e con uno stipendio medio davvero elevato (1676 euro mensili). Non distanti i dati che riguardano il settore di Economia: 90,8% dei laureati già occupati a 5 dalla laurea con stipendio medio di 1504 euro al mese. Chiude la classifica Medicina con il 38,8% degli occupati (ma bisogna considerare la necessità per loro di seguire i corsi di specializzazione, fattore che rinvia nel tempo l’effettivo accesso nel mondo del lavoro; è un dato dunque da prendere con la dovuta cautela) e quelli di Scienze Biologiche che piazzano nel mondo del lavoro solo 6 studenti su 10 a 5 anni dal conseguimento del titolo.



Licenziamento può essere verbale o orale?



Si chiede quali sono le conseguenze della comunicazione del licenziamento orale(verbale)del dipendente e se è necessario impugnarlo per renderlo inefficace.

Si ha il licenziamento orale o verbale quando manca la forma scritta; sul punto va ricordato che il licenziamento deve essere intimato nella forma scritta. Tale requisito di forma é essenziale e la sua mancanza rende il licenziamento "inefficace", secondo l'espressione adoperata dal legislatore nell’art. 2, comma 3, della L. 604/1966, in quanto non produce alcun effetto, atteso che il rapporto di lavoro rimane in essere fino a quando non intervenga un valido atto interruttivo dello stesso.

Il licenziamento orale non deve essere impugnato entro 60 giorni.
In base all’interpello n. 12 del 25 marzo 2014, si può affermare che, in caso di licenziamento verbale o di fatto, il licenziamento è inefficace ed in questo caso non si ritiene applicabile l’impugnazione del licenziamento nel termine di decadenza di 60 giorni, in quanto licenziamento, come se non ci fosse ed il lavoratore può agire per far dichiarare tale inefficacia, contestualmente all’azione per la costituzione o l’accertamento del rapporto di lavoro con il fruitore materiale delle prestazioni, senza l’onere della previa impugnativa stragiudiziale del licenziamento stesso, entro il termine prescrizionale di 5 anni.

Quindi il licenziamento verbale o orale non è idoneo a produrre effetti sulla continuità del rapporto di lavoro per cui ne consegue l'obbligo del datore di lavoro di riposizionare immediatamente il lavoratore nella propria posizione lavorativa. Per quanto concerne le altre conseguenze della declaratoria di inefficacia del licenziamento orale, ove non applicabile l'art. 18 della Statuto dei lavoratori, secondo la indicata decisione, non può accogliersi la domanda di risarcimento con condanna del datore di lavoro al pagamento delle retribuzioni globali di fatto maturate dalla data del licenziamento a quella della reintegrazione.

Il licenziamento verbale si verifica quando il lavoratore viene allontanato dal luogo di lavoro senza alcun atto formale da parte del datore di lavoro (lettera o altro).

La legge impone al datore di lavoro di comunicare il licenziamento per iscritto e afferma che il licenziamento verbale è inefficace: ciò significa che il licenziamento comunicato solo oralmente non produce alcun effetto e, in particolare, non interrompe il rapporto di lavoro tra le parti, sicché il datore di lavoro è tenuto a continuare a pagare la retribuzione al lavoratore sino a quando non sopravvenga un'efficace causa di risoluzione o estinzione del rapporto di lavoro o l'effettiva riassunzione.

In questi casi è necessario che il lavoratore faccia pervenire immediatamente una raccomandata A/R (di cui si deve tenere copia) nella quale lo stesso si mette a disposizione per la ripresa immediata dell'attività dando conto del fatto di essere stato allontanato dal datore di lavoro.

Le conseguenze derivanti dal licenziamento intimato in forma orale sono ora espressamente disciplinate dall'art. 18 Statuto lavoratori, come modificato dalla legge 92/2012 di riforma del mercato del lavoro.

Conseguentemente, il lavoratore ha diritto a:

essere reintegrato nel posto di lavoro;

ottenere il risarcimento del danno per il periodo successivo al licenziamento e fino all'effettiva reintegra, dedotto quanto percepito da altra occupazione (il risarcimento non può comunque essere inferiore nel minimo di cinque mensilità di retribuzione);


ottenere il versamento dei contributi assistenziali e previdenziali per tutto il periodo dal giorno del licenziamento a quello della reintegra;

scegliere fra la reintegra e l'indennità sostitutiva pari a quindici mensilità della retribuzione globale di fatto (cd. diritto di opzione)

Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno, determinabile secondo le regole in materia di inadempimento delle obbligazioni, anche facendo eventualmente riferimento alle retribuzioni perdute, ma sempre tenendo presente che la natura sinallagmatica del rapporto richiede, ai fini dell'adempimento dell'obbligazione retributiva, l'offerta della prestazione lavorativa.

Ne consegue che non sia applicabile la disposizione dell'articolo 8 che prevede il risarcimento del danno a seguito di illegittimo licenziamento per difetto della giusta causa o del giustificato motivo, mentre nella fattispecie è applicabile il risarcimento del danno liquidato in relazione all'inadempimento dell'obbligazione per un rapporto di lavoro che non si è mai interrotto.




domenica 19 aprile 2015

Indennità di maternità per le libere professioniste



Anche le libere professioniste hanno diritto all'indennità di maternità da parte di un Ente previdenziale di categoria, ma solo se non svolgono altra attività di lavoro dipendente, autonomo, di imprenditoria agricola o commerciale.

La lavoratrice madre che esercita la professione di psicologa in via autonoma (convenzionata con il sistema sanitario nazionale) e non già con un contratto di lavoro subordinato con l’ASL ha diritto all'indennità di maternità da parte dell’Ente Previdenziale (ENPAP) solo se non svolge altra attività di lavoro dipendente, autonomo, di imprenditrice agricola o commerciale.

Il diritto all'indennità di maternità da parte dell’Ente Previdenziale (ENPAP) va conseguito attraverso l’inoltro, all’ente di categoria, di un apposita domanda redatta ai sensi degli articoli 70 e 71 del Decreto Legislativo n. 151 del 2001.

Tale procedura è il frutto del chiarimento posto in essere dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Direzione Generale per l’Attività Ispettiva, con l’interpello n. 22 del 4 Luglio 2013. L'istituto trae origine dalla seguente normativa: articoli 70 e 71 del D. Lgs. n. 151 del 26 Marzo 2001 recante le disposizioni in materia di “tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53”.

Indennità spettanti
«Alle libere professioniste, iscritte a una cassa di previdenza e assistenza di cui alla tabella D allegata al presente testo unico, è corrisposta un’indennità di maternità per i due mesi antecedenti la data del parto e i tre mesi successivi alla stessa.

L’indennità di cui al comma 1 viene corrisposta in misura pari all’80% di cinque dodicesimi del reddito percepito e denunciato ai fini fiscali dalla libera professionista nel secondo anno precedente a quello della domanda.

In ogni caso l’indennità di cui al comma 1 non può essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione calcolata nella misura pari all’80% del salario minimo giornaliero stabilito dall’articolo 1 del decreto-legge 29 luglio 1981, n. 402, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 settembre 1981, n. 537, e successive modificazioni, nella misura risultante, per la qualifica di impiegato, dalla tabella A e dai successivi decreti ministeriali di cui al secondo comma del medesimo articolo».

L’erogazione dell’indennità è condizionata alla presentazione della domanda, a partire dal sesto mese della gravidanza ed entro il termine di 180 giorni dal parto, indipendentemente dall'effettiva astensione dall'attività lavorativa.

Nel caso di aborto spontaneo o terapeutico intervenuto dopo il terzo mese delle gravidanza ma prima del sesto, l’indennità spetta nella misura di 1/12 del reddito professionale come sopra individuato.

L’indennità non può essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione calcolata nella misura pari all’80% del salario minimo giornaliero stabilito dall’art. 1 del D.L. 29 luglio 1981, n. 402 nella misura risultante, per la qualifica di impiegato, dalla tabella A e dai successivi decreti ministeriali di cui al secondo comma del medesimo articolo, né superiore a cinque volte l’importo minimo come sopra individuato.

La Corte Costituzionale, con pronuncia n.385/2005, ha ulteriormente esteso l’ambito di tutela in caso di affidamento, dichiarando l’illegittimità costituzionale degli artt. 70 e 72 del D.Lgs. n. 151/2001 nella parte in cui non prevedono che al padre spetti in alternativa alla madre l’indennità di maternità attribuita solo a quest’ultima; e ciò sulla base dell’assorbente rilievo che: “se il fine precipuo dell'istituto, in caso di adozione e affidamento, è rappresentato dalla garanzia di una completa assistenza al bambino nella delicata fase del suo inserimento nella famiglia, il non riconoscere l'eventuale diritto del padre all'indennità costituisce un ostacolo alla presenza di entrambe le figure genitoriali”.



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