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lunedì 7 novembre 2016
Gestione Separata: estesi i sussidi e le tutele previdenziali
La Gestione separata è un fondo pensionistico finanziato con i contributi previdenziali obbligatori dei lavoratori assicurati ed è nata con la legge n. 335 del 1995 di riforma del sistema pensionistico (riforma Dini).
Lo scopo è di assicurare la tutela previdenziale a categorie di lavoratori fino ad allora escluse e ciò è avvenuto essenzialmente in tre modi:
disponendo la costituzione di nuovi fondi previdenziali e aggregando alcune categorie di professionisti a casse professionali già esistenti ed infine disponendo l'iscrizione alla Gestione separata di tutte le categorie residuali di liberi professionisti, per i quali non è stata prevista una specifica cassa previdenziale;
nella fattispecie devono quindi essere ricompresi anche i professionisti con cassa previdenziale, nel caso in cui, ai sensi del suo regolamento, l'attività non sia iscrivibile;
della quasi totalità delle forme di collaborazione a progetto), che fino ad allora non avevano mai beneficiato di alcuna disciplina specifica, né giuridica, né previdenziale.
Congedi, malattia, deduzioni spese formazione e maggiori tutele contro i mancati pagamenti dei committenti, ma anche disciplina, per la prima volta in Italia, dello smart working. Sono queste le principali novità previste dalla riforma del lavoro autonomo.
Con il Jobs Act Lavoro Autonomo arrivano nuove tutele previdenziali per i professionisti ed i lavoratori parasubordinati. Si tratta del Ddl n. 2233, approvato dal Senato con 173 voti a favore e 53 astenuti, contenente “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”
L’estensione delle tutele previdenziali prevista dal Ddl anche conosciuto come Jobs Act lavoratori autonomi, come definiti dall’articolo 2222 Codice Civile, prevede il riconoscimento per le lavoratrici autonome iscritte alla Gestione Separata INPSdell’indennità di maternità nelle forme e con le modalità previste per il lavoro dipendente, a prescindere dalla effettiva astensione dall’attività lavorativa.
Per i lavoratori autonomi che prestano la loro attività continuativa per un committente, inoltre, eventuali gravidanze, malattie o infortuni non implicano obbligatoriamente l’estinzione del rapporto di lavoro, ma la sospensione, senza diritto al corrispettivo, per un periodo non superiore a centocinquanta giorni per anno solare.
Dunque, a partire dal 1° gennaio 2017 gli iscritti alla Gestione Separata INPS avranno diritto:
a un trattamento economico per congedo parentale per 6 mesi entro i primi 3 anni di vita del bambino;
all’indennità di maternità spetterà, a prescindere dalla effettiva astensione dall’attività lavorativa, per i 2 mesi precedenti il parto e per i 3 mesi successivi;
sospensione, senza diritto al corrispettivo, fino a 150 giorni per anno solare in caso di gravidanza, malattia e infortunio di lavoratori che operino in via continuativa per un committente, a meno che non venga meno l’interesse del committente.
Anche i lavoratori autonomi avranno uno sportello di collocamento ad hoc che dovrà essere realizzato presso i centri per l'impiego (e negli organismi autorizzati alle attività di intermediazione in materia di lavoro), in ogni sede aperta al pubblico, anche stipulando convenzioni con gli ordini professionali e con le associazioni più rappresentative sul piano nazionale.
I centri per l'impiego si devono dotare, in ogni sede aperta al pubblico, di uno sportello dedicato al lavoro autonomo. Viene poi mosso il primo passo per disciplinare in Italia il lavoro agile (smart working), quale "modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell'attività lavorativa". Il Capo II prevede che il lavoro agile consenta l'impiego di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell'attività lavorativa; si possono poi adottare forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro.
Compiti dello sportello saranno: raccogliere le domande e le offerte di lavoro autonomo e fornire le relative informazioni ai professionisti ed alle imprese che ne facciano richiesta; fornire informazioni relative alle procedure per l'avvio di attività autonome e per l'accesso a commesse e appalti pubblici, nonché alle opportunità di credito e alle agevolazioni previste a livello nazionale e locale.
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martedì 12 luglio 2016
Lavoratori autonomi:estese le indennità di maternità e paternità
Nella Circolare n. 128, l’INPS comunica di aver recepito l’estensione delle tutele in materia di paternità e maternità introdotta dal Jobs Act in favore di lavoratori e lavoratrici autonomi: la circolare esplicita le modalità di verifica della spettanza e di presentazione dell’istanza per la fruizione dei periodi di maternità e paternità.
L’INPS, con la Circolare n. 128 dell’11 luglio 2016, interviene in materia di indennità di paternità in favore di lavoratori autonomi e di maternità per le lavoratrici autonome. Si tratta di una estensione, operata dal Jobs Act, delle tutele genitoriali, previste in via sperimentale per l’anno 2015, ma successivamente estese anche agli anni successivi.
Il riferimento normativo è il decreto legislativo n. 80/2015 con il quale sono stati modificati gli artt. 28, 66 e 67 del T.U. maternità/paternità (D.Lgs. 151/2001). L’indennità di paternità per i lavoratori autonomi (artigiani, commercianti, coltivatori diretti, coloni, mezzadri, imprenditori agricoli a titolo principale, pescatori autonomi della piccola pesca) era stata introdotta in via sperimentale per il solo anno 2015, poi la misura è stata resa strutturale dal Dlgs 148/2015 con effetto dal 25 giugno 2015.
Requisiti
Il tutto a patto che la madre sia lavoratrice dipendente o autonoma (artigiana, commerciante, coltivatrice diretta, colona, mezzadra, imprenditrice agricola a titolo principale pescatrice autonoma della piccola pesca) e che il padre rimanga l’unico genitore al verificarsi dei seguenti eventi:
morte o grave infermità della madre;
abbandono del figlio da parte della madre;
affidamento esclusivo del figlio al padre.
Il padre autonomo deve inoltre essere iscritto ad una delle Gestioni INPS per i lavoratori autonomi (Artigiani, Esercenti attività commerciali, Coltivatori diretti, dei mezzadri e dei coloni) oppure, nel caso si tratti di pescatori autonomi, al Fondo pensioni lavoratori dipendenti. L’iscrizione può avvenire anche in data successiva all'inizio dell’attività.
L’INPS fa presente che, anche per i padri autonomi, non sussiste obbligo di astensione dal lavoro nei periodi indennizzati a titolo di indennità di paternità.
L’indennità di paternità è riconoscibile in relazione agli eventi verificatisi a partire dal 25 giugno 2015, data di entrata in vigore del decreto, o comunque, qualora l’evento si sia verificato in data anteriore al 25 giugno 2015 per gli eventuali periodi dal 25 giugno in poi.
L’indennità di paternità è riconosciuta a domanda dell’interessato, da presentare entro il termine prescrizionale di un anno, alla Struttura Inps competente in modalità cartacea o anche tramite pec o raccomandata con ricevuta di ritorno.
Indennità di paternità
L’indennità di paternità è riconoscibile dalla data in cui si verifica l’evento fino alla fine del periodo post partum che sarebbe spettato alla madre lavoratrice:
se la madre è lavoratrice dipendente, il congedo post partum coincide con i 3 mesi dopo il parto più eventuali periodi di congedo di maternità ante partum non goduti;
se la madre è lavoratrice autonoma, l’indennità post partum spetta per i 3 mesi dopo il parto.
La data del parto può invece essere indennizzata solo a favore della lavoratrice madre avente diritto all’indennità. Non esiste alcun obbligo per i padri autonomi di astensione dal lavoro nei periodi indennizzati a titolo di indennità di paternità, analogamente a quanto previsto per le lavoratrici autonome.
L’indennità è calcolata in base alle stesse regole previste per l’indennità di maternità ed è pari quindi all’80% di un importo giornaliero individuato a seconda dell’attività autonoma svolta:
per gli artigiani e gli esercenti attività commerciali l’indennità è pari all’80% del limite minimo di retribuzione giornaliera fissata, rispettivamente per gli impiegati dell’artigianato e del commercio con riferimento all’anno in cui inizia l’indennità di paternità;
per i lavoratori autonomi agricoli (coltivatori diretti, coloni e mezzadri, imprenditori agricoli) l’indennità è pari all’80% del limite minimo di retribuzione per la qualifica di operai dell’agricoltura con riferimento all’anno precedente il parto (o l’ingresso in famiglia o in Italia in caso di adozione o affidamento);
per i pescatori, l’indennità è pari all’80% del salario giornaliero convenzionale per i pescatori della piccola pesca marittima e delle acque interne associati in cooperativa di cui alla legge 13.3.1958, n. 250, fissato per l’anno in cui inizia l’indennità di paternità.
Domanda
Per il conseguimento della prestazione, l’interessato deve presentare apposita domanda all’INPS, per ora ancora in modalità cartacea, entro il termine prescrizionale di un anno decorrente dal giorno successivo alla fine del periodo indennizzabile, utilizzando il modello SR01 (domanda di indennità maternità/paternità), appositamente aggiornato e disponibile sul sito istituzionale, nella sezione modulistica. La domanda dovrà essere inoltrata all’INPS di competenza tramite Posta Elettronica Certificata (serve la PEC, non è sufficiente una email ordinaria) o mezzo equivalente (raccomandata con ricevuta di ritorno o presentazione della domanda allo sportello).
L’Istituto rende noto che, entro settembre, sarà data comunicazione dell’avvenuto aggiornamento delle applicazioni per l’acquisizione delle domande per via telematica. Successivamente, la domanda di paternità, anche per i casi in argomento, dovrà essere presentata esclusivamente in modalità telematica attraverso i consueti canali (WEB, Contact center multicanale o Patronati).
Per i periodi non fruiti dalla madre lavoratrice (dipendente o autonoma), in caso di morte o grave infermità della stessa, di abbandono del minore o di affidamento esclusivo del bambino al padre, il diritto si estende al padre. Non è prevista invece la possibilità di rinuncia all'indennità da parte della madre, lavoratrice dipendente o autonoma, a favore del padre autonomo.
L’INPS comunica che le applicazioni per l'acquisizione delle domande per via telematica sono state aggiornate per consentire l’acquisizione:
- in caso di adozione o affidamento preadottivo nazionale di un periodo fino a 5 mesi, a prescindere dall’età del minore;
- in caso di adozione o affidamento preadottivo internazionale, l’inserimento di periodi precedenti l'ingresso del minore in Italia.
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domenica 31 gennaio 2016
Liberi professionisti e Partite Iva: più tutele sul lavoro autonomo
Il Jobs Act per gli autonomi permetterà ai professionisti la integrale deducibilità “degli oneri sostenuti per la garanzia contro il mancato pagamento delle prestazioni delle prestazioni di lavoro autonomo fornita da forme assicurative o di solidarietà”. In sostanza, il professionista che paga un premio annuale al fine di ottenere un indennizzo assicurativo a fronte del mancato pagamento di una prestazione professionale resa, potrà dedurre integralmente la somma pagata alla compagnia assicuratrice. E’ prevista, inoltre, la detrazione integrale dai redditi di lavoro autonomo delle spese di formazione.
Ovvero i professionisti potranno considerare integralmente in detrazione dai redditi di lavoro autonomo le spese di formazione, con l’unico limite rappresentato da un plafond annuale di 10.000 euro. La deduzione integrale riguarda le spese per l’iscrizione a master e a corsi di formazione o di aggiornamento professionale, nonché le spese sostenute per l’iscrizione a congressi.
Ad essere rafforzate saranno anche le garanzie. Maggiori tutele ci saranno per maternità, infortuni e malattie. In caso di assenza prolungata, al massimo 150 giorni l'anno, per ragioni di salute, il rapporto non potrà essere interrotto, ma solo sospeso senza stipendio. L'indennità di maternità, poi, verrà pagata anche se la neo mamma continua a lavorare. A differenza di quanto avviene nel lavoro subordinato, infatti, spesso per una partita Iva non è possibile fermarsi per non mancare una scadenza.
Quanti lavoratori coprirà il Jobs act delle partite Iva? Secondo la Cgia di Mestre, in realtà, pochi. Gli autonomi sono in tutto 3,9 milioni, ma il provvedimento interessa solo quelli iscritti alla gestione separata dell'Inps, che non poco più di 220 mila, il 6% del totale.
Sul fronte del lavoro autonomo, il disegno di legge conferma la stretta sulle clausole abusive: si considerano illegittime quelle clausole che attribuiscono al committente la facoltà di modificare unilateralmente le condizioni di contratto o che fissano termini di pagamento superiori a 60 giorni. Si tutelano anche le invenzioni fatte dai lavoratori autonomi: si stabilisce che i relativi diritti di utilizzo economico spettino al professionista, e non al committente, che al più ne può trarre un vantaggio.
Ad oggi il lavoratore autonomo, in caso di continuativo e prolungato ritardo nell’adempimento del corrispettivo da parte del committente/cliente, si limita ad aspettare di ricevere il proprio corrispettivo potendosi rivolgere, al più, ai servizi di recupero crediti degli ordini professionali.
Il Ddl sul lavoro autonomo, invece, stabilisce che l’autonomo o il giovane professionista abbia la possibilità di rivolgersi alla compagnia assicurativa ed essere da questa soddisfatto, a seguito dell’avvenuta sottoscrizione di una specifica polizza il cui contenuto sarà regolamentato dalla legge.
Il premio annuale che verrà versato all’assicurazione per poter fruire di tale servizio sarà detraibile dalle tasse.
L’assegno di maternità per 5 mesi non sarà più vincolato alla sospensione dell’attività lavorativa, ma verrà erogato anche se la lavoratrice autonoma, come spesso accade, deve continuare a far fronte agli impegni presi. Inoltre, in caso di malattia grave, comprese quelle oncologiche, si potrà sospendere il pagamento dei contributi sociali fino a un massimo di due anni (recuperando poi con pagamenti rateizzati). Infine, ci saranno norme di tutela contrattuale per impedire clausole vessatorie (per esempio, modifiche unilaterali di quanto pattuito) e ritardi nei pagamenti da parte dei committenti.
Si rafforzano le tutele per professionisti e partite Iva: l'indennità di maternità si potrà ricevere pur continuando a lavorare (non scatta l'astensione obbligatoria); alla nascita del bambino si avrà diritto a un congedo parentale di sei mesi (entro i primi tre anni di vita); le spese per la formazione saranno deducibili al 100% (nel limite di 10mila euro l'anno); e in caso di malattia o infortunio il rapporto con il committente si sospende (non si estingue) per un periodo non superiore a 150 giorni.
Nel caso di nascita di un bambino il professionista e le partite Iva potranno percepire l’indennità di maternità pur continuando a lavorare (non è prevista, quindi, l’astensione obbligatoria dal lavoro). Inoltre, nei primi tre anni di vita del bambino sarà possibile ottenere un congedo parentale di sei mesi.
L’indennità sarà pagata dall’Inps a seguito di apposita domanda in carta libera corredata da un certificato medico rilasciato dalla Asl.
Qualora sussista una grave malattia tale da eccedere i 30 giorni, il professionista avrà la possibilità di non pagare i contributi previdenziali fino a un periodo massimo di 2 anni. L’arretrato potrà poi essere recuperato, ai fini contributivi, mediante versamenti rateali per un arco temporale che sarà pari al triplo di quello della sospensione dell’attività professionale dovuta alla malattia.
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domenica 19 aprile 2015
Indennità di maternità per le libere professioniste
Anche le libere professioniste hanno diritto all'indennità di maternità da parte di un Ente previdenziale di categoria, ma solo se non svolgono altra attività di lavoro dipendente, autonomo, di imprenditoria agricola o commerciale.
La lavoratrice madre che esercita la professione di psicologa in via autonoma (convenzionata con il sistema sanitario nazionale) e non già con un contratto di lavoro subordinato con l’ASL ha diritto all'indennità di maternità da parte dell’Ente Previdenziale (ENPAP) solo se non svolge altra attività di lavoro dipendente, autonomo, di imprenditrice agricola o commerciale.
Il diritto all'indennità di maternità da parte dell’Ente Previdenziale (ENPAP) va conseguito attraverso l’inoltro, all’ente di categoria, di un apposita domanda redatta ai sensi degli articoli 70 e 71 del Decreto Legislativo n. 151 del 2001.
Tale procedura è il frutto del chiarimento posto in essere dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Direzione Generale per l’Attività Ispettiva, con l’interpello n. 22 del 4 Luglio 2013. L'istituto trae origine dalla seguente normativa: articoli 70 e 71 del D. Lgs. n. 151 del 26 Marzo 2001 recante le disposizioni in materia di “tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53”.
Indennità spettanti
«Alle libere professioniste, iscritte a una cassa di previdenza e assistenza di cui alla tabella D allegata al presente testo unico, è corrisposta un’indennità di maternità per i due mesi antecedenti la data del parto e i tre mesi successivi alla stessa.
L’indennità di cui al comma 1 viene corrisposta in misura pari all’80% di cinque dodicesimi del reddito percepito e denunciato ai fini fiscali dalla libera professionista nel secondo anno precedente a quello della domanda.
In ogni caso l’indennità di cui al comma 1 non può essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione calcolata nella misura pari all’80% del salario minimo giornaliero stabilito dall’articolo 1 del decreto-legge 29 luglio 1981, n. 402, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 settembre 1981, n. 537, e successive modificazioni, nella misura risultante, per la qualifica di impiegato, dalla tabella A e dai successivi decreti ministeriali di cui al secondo comma del medesimo articolo».
L’erogazione dell’indennità è condizionata alla presentazione della domanda, a partire dal sesto mese della gravidanza ed entro il termine di 180 giorni dal parto, indipendentemente dall'effettiva astensione dall'attività lavorativa.
Nel caso di aborto spontaneo o terapeutico intervenuto dopo il terzo mese delle gravidanza ma prima del sesto, l’indennità spetta nella misura di 1/12 del reddito professionale come sopra individuato.
L’indennità non può essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione calcolata nella misura pari all’80% del salario minimo giornaliero stabilito dall’art. 1 del D.L. 29 luglio 1981, n. 402 nella misura risultante, per la qualifica di impiegato, dalla tabella A e dai successivi decreti ministeriali di cui al secondo comma del medesimo articolo, né superiore a cinque volte l’importo minimo come sopra individuato.
La Corte Costituzionale, con pronuncia n.385/2005, ha ulteriormente esteso l’ambito di tutela in caso di affidamento, dichiarando l’illegittimità costituzionale degli artt. 70 e 72 del D.Lgs. n. 151/2001 nella parte in cui non prevedono che al padre spetti in alternativa alla madre l’indennità di maternità attribuita solo a quest’ultima; e ciò sulla base dell’assorbente rilievo che: “se il fine precipuo dell'istituto, in caso di adozione e affidamento, è rappresentato dalla garanzia di una completa assistenza al bambino nella delicata fase del suo inserimento nella famiglia, il non riconoscere l'eventuale diritto del padre all'indennità costituisce un ostacolo alla presenza di entrambe le figure genitoriali”.
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lunedì 13 aprile 2015
Jobs Act: le novità del mercato del lavoro per il 2015
Conciliazione delle esigenze di cura di vita e di lavoro, le novità più importanti riguardano l'allargamento dei diritti ad indennità economiche e a permessi dal lavoro nei periodi di maternità /paternità.
Ad esempio:
• in caso di parto anticipato i giorni di congedo non goduti possono essere fruiti successivamente anche oltre il limite complessivo di cinque mesi previsti dopo il parto dalla normativa attualmente in vigore;
• Inoltre in caso di ricovero del neonato in ospedale nel periodo di congedo della madre può chiedere la sospesone del congedo stesso per usufruirne al momento del a dimissione del bambino;
• l'indennità di maternità è corrisposta anche in caso di risoluzione del rapporto di lavoro per colpa grave o cessazione di attività dell'azienda o scadenza del termine del contratto di lavoro (art. 54 Comma 3 Dlgs.151/2001;
• il congedo di paternità può essere usufruito anche nel caso di madri lavoratrici autonome , imprenditrici agricole, coltivatrici con le stesse modalità ora previste per le lavoratrici dipendenti e da padri lavoratori autonomi, liberi professionisti;
• il diritto di assentarsi per congedo parentale previsto all'art 32 del dl 151 si amplia dagli attuali 8 ai primi 12 anni di vita del figlio. l'indennità del 30% della retribuzione è assicurata per i congedi entro i sei , non più tre anni di vita del figlio , che arrivano a 8 in caso delle retribuzioni più basse .
In materia di sostegno al telelavoro il decreto prevede che il numero di lavoratori ammessi al telelavoro in ragione di esigenze di cure parentali resti escluso dai limiti numerici cui è sottoposta l'azienda datrice di lavoro per alcune normative particolari.
Viene anche introdotto un congedo retribuito fino a tre mesi, e valido per il conteggio dell'anzianità e delle ferie, in caso di misure di protezione della donna dalla violenza di genere.
I punti importantissimi per il riordino delle tipologie contrattuali.
A partire dall'entrata in vigore del decreto non potranno essere attivati nuovi contratti di collaborazione a progetto (quelli già in essere potranno proseguire fino alla loro scadenza). Comunque, a partire dal 1° gennaio 2016 ai rapporti di collaborazione personali con contenuto ripetitivo ed etero-organizzati dal datore di lavoro saranno applicate le norme del lavoro subordinato. Restano salve le collaborazioni regolamentate da accordi collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che prevedono discipline specifiche relative al trattamento economico e normativo in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore e poche altri tipi di collaborazioni.
Vengono superati: i contratti di associazione in partecipazione con apporto di lavoro ed il job sharing.
Vengono confermate le seguenti tipologie:
Contratto a tempo determinato cui non sono apportate modifiche sostanziali.
Contratto di somministrazione. Per il contratto di somministrazione a tempo indeterminato (staff leasing) si prevede un’estensione del campo di applicazione, eliminando le causali e fissando al contempo un limite percentuale all’utilizzo calcolato sul totale dei dipendenti a tempo indeterminato dell’impresa che vi fa ricorso (10%).
Contratto a chiamata. Viene confermata anche l’attuale modalità tecnologica, sms, di tracciabilità dell’attivazione del contratto.
Lavoro accessorio (voucher). Verrà elevato il tetto dell’importo per il lavoratore fino a 7.000 euro, restando comunque nei limiti della no-tax area, e verrà introdotta la tracciabilità con tecnologia sms come per il lavoro a chiamata.
Apprendistato. Si punta a semplificare l’apprendistato di primo livello (per il diploma e la qualifica professionale) e di terzo livello (alta formazione e ricerca) riducendone anche i costi per le imprese che vi fanno ricorso, nell'ottica di favorirne l’utilizzo in coerenza con le norme sull'alternanza scuola-lavoro.
Tempo parziale. Vengono definiti i limiti e le modalità con cui, in assenza di previsioni al proposito del contratto collettivo, il datore di lavoro può chiedere al lavoratore lo svolgimento di lavoro supplementare e le parti possono pattuire clausole elastiche (le clausole che consentono lo spostamento della collocazione dell’orario di lavoro) o flessibili (le clausole che consentono la variazione in aumento dell’orario di lavoro nel part- time verticale o misto).
Viene inoltre prevista la possibilità, per il lavoratore, di richiedere il passaggio al part-time in caso di necessità di cura connesse a malattie gravi o in alternativa alla fruizione del congedo parentale.
In presenza di processi di ristrutturazione o riorganizzazione aziendale e negli altri casi individuati dai contratti collettivi l’impresa potrà modificare le mansioni di un lavoratore fino ad un livello, senza modificare il suo trattamento economico (salvo trattamenti accessori legati alla specifica modalità di svolgimento del lavoro).
Viene altresì prevista la possibilità di accordi individuali, “in sede protetta”, tra datore di lavoro e lavoratore che possano prevedere la modifica anche del livello di inquadramento e della retribuzione al fine della conservazione dell’occupazione, dell’acquisizione di una diversa professionalità o del miglioramento delle condizioni di vita.
SI fermano le stipule dei nuovi contratti di collaborazione dalla data di entrata in vigore del d.lgs. e trasformazione in lavoro dipendente dal 1 gennaio 2016.
A far data dal 1° gennaio 2016 i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa dovranno quindi trasformarsi in rapporti di lavoro subordinato ad eccezione per:
a) le collaborazioni per le quali gli accordi collettivi stipulati dalle confederazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore;
b) le collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi professionali;
c) le attività prestate nell’esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni;
d) le prestazioni di lavoro rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I. come individuati e disciplinati dall’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289.
In attesa del riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, tale normativa non trova applicazione nei confronti delle pubbliche amministrazioni fino al 1° gennaio 2017.
Al fine di promuovere la stabilizzazione dell'occupazione mediante il ricorso a contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato nonché di garantire il corretto utilizzo dei contratti di lavoro autonomo, nel periodo compreso fra l’entrata in vigore del presente decreto e il 31 dicembre 2015, i datori di lavoro privati che procedano alla assunzione con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato di soggetti già parti di contratti di collaborazione coordinata e continuativa anche a progetto e di persone titolari di partita IVA, godono dell'estinzione delle violazioni previste dalle disposizioni in materia di obblighi contributivi, assicurativi e fiscali connessi alla eventuale erronea qualificazione del rapporto di lavoro pregresso, salve le violazioni già accertate prima dell’assunzione, a condizione che:
a) i lavoratori interessati alle assunzioni sottoscrivano, con riferimento a tutte le possibili pretese riguardanti la qualificazione del pregresso rapporto di lavoro, atti di conciliazione in una delle sedi di cui all'articolo 2113, comma 4, del codice civile, e all'articolo 76 del decreto legislativo n. 276 del 2003;
b) nei dodici mesi successivi alle assunzioni, i datori di lavoro non recedano dal rapporto di lavoro, salvo che per giusta causa ovvero per giustificato motivo soggettivo.
lunedì 15 settembre 2014
Maternità: requisiti, retribuzione, calcolo e pagamento
L’astensione obbligatoria di 5 mesi per il congedo di maternità dà diritto al pagamento da parte dell’Inps dell’indennità durante l’interdizione dal lavoro. Vediamo tutte le informazioni sul calcolo dell’indennità di maternità, la retribuzione di riferimento, le giornate indennizzate, come si fa domanda e le modalità di pagamento.
Una delle assenze da lavoro tutelate dalla legge è l’assenza per maternità. La donna lavoratrice che rimane incinta ha diritto a speciali tutele nel periodo di gravidanza e nei mesi successivi alla nascita del bambino. La legge prevede l’astensione obbligatoria dal lavoro a partire da 2 mesi prima della data presunta del parto. Questa assenza dal lavoro tutelata, e retribuita tramite l’indennità di maternità, si protrae per 5 mesi, quindi fino al terzo mese di età del neonato.
Sempre nell’ottica della salvaguardia della salute della donna in gravidanza e del suo bambino sono previste alcune eccezioni, come la flessibilità del congedo di maternità, che consente alla madre di posticipare ad un mese prima del parto l’inizio dell’interdizione obbligatoria per il congedo di maternità, così come l’astensione anticipata nel caso di complicanze durante la gravidanza, provvedimento disposto per il tramite della Direzione provinciale del lavoro (DPL). Per maggiori informazioni sui periodi di astensione obbligatoria di 5 mesi, da tre mesi prima del parto ad un mese prima, sulla possibilità di proroga dell’astensione e tutti le casistiche, vediamo l’approfondimento sul congedo di maternità.
Per il periodo di astensione obbligatoria di 5 mesi, sia prima del parto che dopo il parto, la donna ha diritto alla percezione di una prestazione previdenziale da parte dell’Inps: l’indennità di maternità. Si tratta di una indennità sostitutiva della retribuzione erogata dal datore di lavoro nei mesi di normale svolgimento dell’attività.
Cioè, la donna pur non lavorando, quindi non svolgendo il proprio orario di lavoro contrattuale, ha diritto all’astensione obbligatoria per 5 mesi e al pagamento della retribuzione, l’indennità di maternità nella misura dell’80%. I contratti collettivi possono disporre l’integrazione al 100% dell’indennità da parte del datore di lavoro. In alcuni casi, purtroppo con eventi negativi che accompagnano il lieto evento della nascita del figlio, l’indennità può essere erogata al padre in sostituzione della madre, in questo casi parla di indennità di paternità.
Vediamo in questo approfondimento tutti gli aspetti relativi al sistema di calcolo dell’indennità stessa, soprattutto riguardo alla retribuzione presa a riferimento per il calcolo, quali sono le giornate indennizzate e come si fa domanda per ottenere l’indennità e le modalità di pagamento.
Lavoratrici a cui spetta l’indennità dell’Inps
L’indennità di maternità (o di paternità nei casi previsti) spetta ai cittadini italiani ma anche ai cittadini non in possesso della cittadinanza italiana. Il diritto alla percezione della prestazione previdenziale scatta al verificarsi dell’evento della maternità, a favore delle seguenti categorie di lavoratrici (o lavoratori) dipendenti (purché abbiamo effettivamente iniziato l’attività lavorativa):
lavoratrici dipendenti da datori di lavoro privati, compresi i dirigenti; lavoratori con contratto di somministrazione di lavoro, lavoratori dipendenti dell’appaltatore e lavoratori distaccati;
lavoratori con contratto di lavoro intermittente;
lavoratori con contratti di lavoro ripartito;
lavoratori a tempo parziale;
lavoratore apprendista, lavoratori con contratto di inserimento;
lavoratrici dipendenti dalle imprese dello Stato, degli Enti Pubblici e degli Enti locali privatizzate per i periodi dal 1° gennaio 2009;
lavoratrici disoccupate o sospese da meno di 60 giorni;
lavoratrici disoccupate da oltre 60 giorni con diritto all’indennità di disoccupazione con requisiti normali o alla indennità di mobilità;
lavoratrici disoccupate da oltre 60 giorni con diritto all’indennità di disoccupazione con requisiti ridotti;
lavoratrici disoccupate da oltre 60 giorni e meno di 180, non assicurate contro la disoccupazione, in possesso del requisito di 26 contributi settimanali nel biennio precedente l’inizio della maternità;
lavoratrici sospese da oltre 60 giorni con diritto alla cassa integrazione guadagni;
lavoratrici agricole a tempo determinato (OTD) con almeno 51 giornate di lavoro prestato nell’anno precedente ovvero nell’anno in corso prima dell’inizio della maternità;
lavoratrici agricole (dirigenti e impiegate) a tempo indeterminato (OTI);
collaboratrici domestiche e familiari (Colf e badanti) in possesso del requisito di 52 settimane di lavoro nei due anni precedenti ovvero 26 settimane nell’anno precedente l’inizio del congedo di maternità (una settimana utile viene considerata se lavorata almeno 24 ore);
lavoratrici dipendenti di cooperative (operaie e impiegate socie o non socie);
dipendenti (operaie e impiegate) da aziende esercenti pubblici servizi di trasporto;
lavoratrici a domicilio;
lavoratrici in distacco sindacale;
lavoratrici dello spettacolo;
lavoratrici impegnate in attività socialmente utili (A.S.U.) o di pubblica utilità (A.P.U.);
padri lavoratori (solo nei casi di morte, grave infermità o malattia della madre, abbandono del bambino da parte della stessa, affidamento esclusivo al padre) in possesso dei requisiti indicati per le lavoratrici madri. Al lavoratore padre sono riconosciuti anche i periodi di astensione obbligatoria post partum di maggiore durata conseguenti al parto prematuro, nonché i periodi di astensione obbligatoria post parto di maggiore durata conseguenti alla richiesta di flessibilità da parte della madre;
genitori adottanti o affidatari (padri e madri lavoratori dipendenti) in possesso dei requisiti indicati per le lavoratrici madri (il padre adottivo o affidatario può esercitare il diritto al beneficio in alternativa, cioè per periodi alterni a quello della madre che vi abbia rinunciato;
ai genitori (padri e madri lavoratori dipendenti) in possesso dei requisiti indicati per le lavoratrici madri, in caso di collocamento temporaneo del minore in famiglia (è da escludersi, invece, la concessione del beneficio, qualora il collocamento avvenga presso una comunità del tipo familiare).
La retribuzione da prendere a base per il calcolo dell’indennità, dipende dalla situazione in cui si trova la lavoratrice (o il lavoratore in caso di indennità di paternità) avente diritto. L’Inps prende a riferimento diverse retribuzioni, da quelle del mese precedente alla retribuzione media globale giornaliera, fino alla retribuzione media convenzionale giornaliera. Per la retribuzione media giornaliera si considerano gli stessi elementi utili per determinare l’ammontare dell’indennità di malattia.
La retribuzione media globale giornaliera si ottiene dividendo per 30 l’importo totale della retribuzione del mese preso a riferimento. Nel caso in cui la lavoratrice non abbia svolto l’intero periodo lavorativo mensile a causa della sospensione del rapporto di lavoro con diritto alla conservazione del posto (si pensi alla malattia ad esempio), per ottenere la retribuzione globale giornaliera va diviso l’ammontare complessivo degli emolumenti percepiti nel periodo di paga preso in considerazione per il numero di giorni lavorati, o comunque retribuiti, risultanti dal periodo stesso.
Lavoro straordinario e retribuzione giornaliera. Per le lavoratrici operaie dei settori non agricoli, la retribuzione media globale giornaliera nei casi in cui viene svolto lavoro straordinario, o per contratto di lavoro il lavoro svolto supera le 8 ore giornaliere, viene calcolata dividendo l’ammontare complessivo degli emolumenti percepiti nel periodo di paga preso in considerazione per il numero di giorni lavorati o comunque retribuiti.
Orario medio inferiore a quello contrattuale. E’ il caso inverso, nel caso in cui per esigenze organizzative aziendali o per ragioni di carattere personale della lavoratrice, l’orario medio effettivamente lavorato risulti inferiore a quello previsto dal contratto di lavoro di categoria, l’importo della retribuzione media globale giornaliera, preso a riferimento per il calcolo dell’indennità di maternità, va calcolato dividendo l’ammontare complessivo delle retribuzioni percepite nel periodo paga preso in considerazione (vedremo in seguito) per il numero di ore di lavoro effettuato e moltiplicando il quoziente ottenuto per il numero delle ore giornaliere previste dal contratto stesso.
Lavoro su 6 giorni settimanali. Nei casi in cui il contratto di lavoro prevede che la lavoratrice (o il lavoratore nel caso di indennità di paternità) svolga un orario di lavoro basato su un orario settimanale di 6 giorni, di cui 5 giorni a tempo pieno e il sesto giorno, normalmente il sabato, ad orario ridotto (es. i portieri), l’orario giornaliero da considerare per il calcolo dell’indennità di maternità è quello che si ottiene dividendo per 6 il numero complessivo delle ore settimanali contrattualmente stabilite.
Una volta stabilito le modalità di calcolo della retribuzione giornaliera presa a riferimento per determinare il trattamento economico spettante in caso di maternità, è necessario procedere al calcolo dell’indennità.
Indennità di maternità a carico Inps pari all’80%. Nel periodo di astensione obbligatoria, che è pari a 5 mesi, e la cui distribuzione è normalmente di 2 mesi prima del parto e 3 mesi dopo, salvo i casi di flessibilità in cui la distribuzione è 1 mese prima del parto e 4 mesi dopo del parto, oppure salvo il caso di astensione anticipata di 3 mesi prima del parto e 2 dopo il parto, alla lavoratrice spetta un’indennità a carico dell’Inps pari all’80% della retribuzione giornaliera del periodo di paga mensile precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio il congedo di maternità. Oppure, come vedremo, della retribuzione giornaliera prevista, nei casi diversi dalla lavoratrice dipendente del settore privato.
L’indennità di maternità comprende anche il rateo giornaliero di gratifica natalizia o tredicesima mensilità e gli altri premi o mensilità (quattordicesima mensilità) o trattamenti accessori eventualmente erogati.
Integrazione e somme a carico dell’azienda. I contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL) possono prevedere l’integrazione a carico del datore di lavoro fino a raggiungere il 100% dell’ordinaria retribuzione percepita in busta paga nei normali periodi di lavoro. A carico del datore di lavoro resta anche il pagamento di tutte le festività cadenti nel periodo di astensione dal lavoro, per le operaie, e di quelle cadenti di domenica, per le impiegate.
Una volta stabilito la percentuale erogata dall’Inps a suo carico e le somme dovute dal datore di lavoro, per calcolare l’indennità di maternità è importante capire per ogni tipologia di lavoratrice su quale retribuzione va calcolato l’80%. Vediamo ora l’elenco, per tipologia di lavoratrice, delle retribuzioni di riferimento.
Lavoratrici dipendenti non agricole. Si prende a riferimento la retribuzione del mese precedente la data di inizio della maternità per le lavoratrici occupate dipendenti non agricole, agricole a tempo indeterminato, dello spettacolo e socie di cooperative.
Lavoratrici disoccupate o sospese. Si prende a riferimento la retribuzione del mese precedente la data di abbandono del lavoro per le lavoratrici disoccupate o sospese del settore non agricolo, agricolo a tempo indeterminato, socie dipendenti di cooperative e dello spettacolo.
Lavoratrici in cassa integrazione CIGS. Per la lavoratrice sospesa ed in godimento della integrazione salariale straordinaria, la retribuzione è costituito dalla retribuzione media globale giornaliera che una lavoratrice della stessa categoria, che abbia continuato a svolgere regolarmente la prestazione lavorativa, ha percepito nel periodo di paga scaduto ed immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio l’astensione obbligatoria dal lavoro per maternità.
Lavoratrici in sciopero. Nel caso di lavoratrice in sciopero la retribuzione media globale giornaliera si determina, ai fini del calcolo della misura dell’indennità giornaliera di maternità, dividendo la retribuzione complessiva effettivamente percepita dalla lavoratrice nel periodo di paga preso a riferimento per il numero di giorni lavorati o comunque retribuiti.
Lavoratrici con trasformazione da tempo pieno a tempo parziale. Nel caso in cui la lavoratrice e il datore di lavoro abbiano concordato la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo parziale a tempo pieno per un periodo in parte coincidente con quello del congedo di maternità, la retribuzione da prendere a base per il calcolo della indennità non sarà quella del periodo di paga precedente l’inizio del congedo ma quella dovuta per l’attività lavorativa a tempo pieno che la lavoratrice avrebbe svolto se non avesse dovuto astenersi obbligatoriamente dal lavoro.
Lavoratrici con conversione da part time a full time. La retribuzione da prendere a base per la determinazione dell’indennità di maternità in caso di conversione a tempo pieno del contratto di lavoro part-time è quella prevista per l’attività lavorativa a tempo pieno che la lavoratrice avrebbe svolto se non avesse dovuto astenersi per maternità anziché la retribuzione del periodo di paga precedente l’inizio del congedo.
Lavoratrici agricole a tempo determinato. In questo caso, a decorrere dagli eventi indennizzabili relativi a periodi di paga inclusi nell’anno 2006, la retribuzione da prendere a base per il calcolo delle prestazioni a sostegno del reddito è quella contrattuale. La retribuzione da prendere in considerazione alla base del calcolo sarà quindi la più alta tra quella stabilita dai contratti collettivi nazionali e quella stabilita degli accordi collettivi o contratti individuali.
Lavoratrici dello spettacolo. Per questo settore la retribuzione da prendere a base per il calcolo della indennità è la retribuzione media giornaliera del mese immediatamente precedente (entro il massimale di euro 67,14) l’inizio del congedo di maternità. Nel caso in cui nel mese precedente l’inizio del congedo non sia stato svolto l’intero periodo lavorativo mensile si dividerà l’ammontare complessivo degli emolumenti percepiti nel periodo retributivo di riferimento per il numero dei giorni lavorati o retribuiti risultanti dal periodo stesso.
Se nel mese precedente non è stata svolta alcuna prestazione lavorativa, la retribuzione da prendere a base per il calcolo dovrà essere quella del mese ancora precedente e qualora anche quest’ultima manchi, quella in cui inizia il congedo di maternità o in cui è rinvenibile una prestazione di lavoro dante titolo alla indennità.
Lavoratrice saltuaria. La retribuzione da prendere a base per il calcolo sarà computata dividendo quanto percepito dal lavoratore nel periodo da considerare non per il numero delle giornate lavorate o retribuite bensì per il numero di giornate feriali (ovvero di calendario, se impiegati) cadenti nel periodo stesso.
Colf e badanti. In questo caso per il calcolo dell’indennità va presa a riferimento la retribuzione media convenzionale giornaliera delle ultime 52 o 26 settimane di lavoro stabilita anno per anno con decreto.
Infine, per le lavoratrici dipendenti da società o enti cooperativi anche di fatto, si prende a riferimento la retribuzione convenzionale giornaliera. Per i piccoli coloni e compartecipanti familiari, la retribuzione da considerare è il salario medio convenzionale giornaliero.
Quando spetta l’indennità di maternità: il periodo di congedo
Il congedo di maternità spetta alla lavoratrice incinta per 5 mesi. Come abbiamo già accennato, il periodo indennizzato va da 2 mesi prima della data presunta del parto (o 1 mese in caso di flessibilità, o 2 mesi in caso di astensione anticipata) a 3 mesi dopo la data presunta del parto (o 4 mesi in caso di flessibilità, o 3 mesi in caso di astensione anticipata). La relativa indennità di maternità erogata dall’Inps si divide in indennità ante partum e indennità post partum.
L’indennità ante partum. La lavoratrice ha diritto all’indennità di maternità, sostitutiva della retribuzione, per i due mesi precedenti la data presunta del parto, mesi che si calcolano senza includere la data presunta del parto nel calcolo. L’indennità di maternità prima del parto spetta anche per l’eventuale periodo intercorrente tra la data presunta del parto e la data effettiva del parto.
Spetta inoltre per i periodi di astensione obbligatoria ante partum anticipati, cioè quei periodi di interdizione dal lavoro disposti dalla Direzione provinciale del lavoro (DPL), salvo la cessazione del rapporto di lavoro. Per maggiori informazioni vediamo l’astensione anticipata.
L’indennità post partum. La lavoratrice, sia essa occupata che disoccupata, sospesa, agricola, non agricola, a domicilio, colf o badante, ha diritto all’indennità anche per il periodo successivo al parto: l’indennità post partum, anche in questo caso sostitutiva della retribuzione. L’indennità spetta per i tre mesi successivi al parto, che decorrono dal giorno successivo al parto.
Spetta anche per i periodi proroga dell’astensione obbligatoria, quando il congedo viene prolungato fino a sette mesi dopo il parto dalla Direzione provinciale del lavoro (DPL), salvo che non ci sia cessazione del rapporto di lavoro. In quest’ultimo caso i periodi di interdizione riconosciuti dalla DPL non sono assistiti dall’indennità.
La lavoratrice ha diritto all’indennità di maternità post partum anche quando capitano eventi tragici come la nascita di un bambino già morto o il decesso del bambino successivo al parto. Analogamente l’indennità spetta anche quando ci sia stata una interruzione di gravidanza dopo il 180° giorno di gestazione.
Si ha diritto all’indennità post partum anche nei casi di adozione, affidamento o di collocazione del minore in famiglia. Per maggiori informazioni vedremo il congedo di maternità per adozioni e affidamenti.
L’indennità di maternità nel parto prematuro. In questo caso abbiamo un periodo di congedo di maternità che si è ridotto rispetto al previsto, quindi l’indennità che spetta per il periodo ante partum non goduto andrà sommata alla fine dell’indennità di maternità post partum e fino al massimo dei 5 mesi indennizzabili, a condizione che la lavoratrice non abbia ripreso l’attività lavorativa. In pratica se la nascita avviene con 20 giorni di anticipo e si ha diritto a 2 mesi di indennità post parto, le indennità successive alla nascita saranno percepite per 2 mesi e 20 giorni. Se il parto prematuro è avvenuto prima dei due mesi di astensione obbligatoria prima del parto, vengono riconosciuti direttamente 5 mesi dopo il parto come indennità di maternità.
Indennità di maternità nella flessibilità. Nel caso in cui la lavoratrice richieda la flessibilità dell’art. 20 del D. Lgs. 151 del 2001, che consente di ritardare l’inizio dell’astensione obbligatoria ad un mese prima del parto, l’indennità ante partum è riconosciuta appunto per un mese mentre quella post partum per 4 mesi. Si ha il semplice spostamento delle indennità.
L’indennità post partum per i papà. Nei casi previsti di congedo di paternità il lavoratore padre ha dirotto alla percezione dell’indennità di paternità. Il congedo di maternità post partum spetta ai padri sono nei casi di morte, grave infermità o malattia della madre, abbandono del bambino da parte della madre stessa o affidamento esclusivo al padre se in possesso dei requisiti richiesti per le lavoratrici madri, cioè soltanto se la madre aveva diritto all’indennità. Per maggiori informazioni vedremo il congedo di paternità.
Quali sono le giornate indennizzabili
L’indennità giornaliera di maternità, calcolata secondo il metodo precedentemente descritto, spetta per tutte le giornate indennizzabili comprese nel periodo di astensione obbligatoria di 5 mesi, sia prima del parto che dopo il parto. L’Inps però fornisce delle indicazioni ben precise, sono le seguenti:
alle operaie, compreso le apprendiste e le lavoratrici agricole, spetta l’indennità per le giornate feriali incluse nel periodo di astensione, quindi con esclusione delle domeniche e delle festività;
alle lavoratrici addette ai servizi domestici e familiari (colf e badanti) spetta analogo trattamento previsto per le operaie;
alle lavoratrici impiegate spetta l’indennità di maternità per tutte le giornate incluse nel periodo di astensione con l’esclusione delle festività nazionali e infrasettimanali cadenti di domenica.
Nel caso in cui le lavoratrici svolgono presso il proprio datore di lavoro delle prestazioni limitate ad alcuni giorni della settimana (si pensi al part time di tipo verticale), l’indennità spetta solo per le giornate che sarebbero state retribuite se la dipendente non fosse stata assente da lavoro per maternità.
Disoccupazione o sospensione dal lavoro. Se per effetto della disoccupazione o di altre sospensioni dal lavoro, le lavoratrici, o per contratto o per legge, non ricevono alcun trattamento economico per le festività nazionali e infrasettimanali, l’indennità è dovuta per queste giornate.
La domanda sia per il congedo per l’indennità di maternità erogata dall’Inps va presentata prima del compimento del settimo mese di gravidanza al datore di lavoro e all’Inps. Alla domanda vanno allegati alcuni certificati, tra i quali quello del medico del servizio sanitario nazionale che indica la data presunta del parto dal quale si calcola sia il periodo di astensione obbligatoria ante partum che post partum, aldilà del possibile errore del medico.
Nel caso di lavoratrici a domicilio va presentata anche una dichiarazione dell’azienda o delle aziende per le quali la lavoratrice lavora, così come è necessario allegare il provvedimento della Direzione provinciale del lavoro (DPL) in caso di astensione anticipata.
Dopo il parto va presentato l’attestato di parto rilasciato dall’Asl oppure uno stato di famiglia o una dichiarazione sostitutiva. Nel caso di parto prematuro va presentata anche la richiesta di fruizione post partum dell’indennità non goduta ante partum per la nascita in anticipo. Per maggiori informazioni vediamo la domanda di congedo di maternità.
L’indennità di maternità (o di paternità) nel caso delle lavoratrici dipendenti viene normalmente anticipata dal datore di lavoro per conto dell’Inps. L’azienda poi recupererà le somme attraverso una compensazione con le somme a debito dovute per i contributi da versare per i lavoratori in forza all’azienda. In altri casi invece l’indennità viene corrisposta alla lavoratrice direttamente dall’ente previdenziale. Vediamo quali sono questi casi.
Quando l’indennità di maternità è pagata direttamente dall’Inps. Si tratta di tutti quei casi in cui il rapporto lavorativo con l’azienda non consente l’anticipo aziendale. Sono i seguenti casi:
indennità di maternità erogata alle lavoratrici stagionali;
indennità di maternità per le lavoratrici disoccupate o sospese dal lavoro da non oltre 60 giorni che fruiscono del trattamento di integrazione salariale;
Indennità pagata alle lavoratrici disoccupate o sospese dal lavoro da oltre 60 giorni che fruiscono, all’inizio della maternità, dell’indennità di disoccupazione, di mobilità o di integrazione salariale con pagamento diretto di tali indennità da parte dell’Inps;
Indennità di maternità corrisposte alle lavoratrici agricole dipendenti (facoltativamente se titolari di un contratto a tempo indeterminato);
Indennità erogata ai piccoli coloni e compartecipanti familiari;
Indennità di maternità pagata a colf e badanti;
Indennità pagata alle lavoratrici dello spettacolo con contratto a termine o a prestazione o a giornata.
Richiesta di pagamento diretto. La lavoratrice interessata dal pagamento diretto dall’Inps dell’indennità di maternità deve produrre una espressa richiesta indicando le modalità di pagamento, cioè tramite bonifico bancario o tramite bonifico postale oppure tramite sportello di qualsiasi ufficio postale del territorio nazionale, previo accertamento dell’identità del percettore. L’identità sarà accertata da un documento di riconoscimento, dal codice fiscale e dalla consegna dell’originale della lettera di avviso da parte dell’Inps della disponibilità del pagamento ricevuta via posta prioritaria.
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Calcolo indennità di maternità che spetta alla madre dipendente
Il calcolo dell'indennità di maternità spettante alla lavoratrice dipende dal tipo di astensione, obbligatoria o facoltativa e dalla retribuzione di fatto percepita nel mese precedente la data di astensione dal lavoro.
La normativa di riferimento è il Decreto Legislativo n. 151 del 26 marzo 2001, Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità.
Durante il periodo di astensione dal lavoro per maternità e nei sette mesi di età del figlio, alla lavoratrice non possono essere assegnate determinate tipologie di lavori, considerati come pericolosi, faticosi ed insalubri.
Le lavoratrici con un bebè in arrivo attesa hanno il diritto a permessi retribuiti per effettuare esami prenatali, accertamenti clinici e visite mediche specialistiche.
Il Decreto legislativo stabilisce il divieto, per i datori di lavoro, di adibire al lavoro le donne nel periodo intercorrente tra i 2 mesi precedenti la data presunta del parto e i tre mesi successivi alla data effettiva del parto.
Se la data effettiva è superiore alla data presunta, come può accadere nella maggior parte dei casi, è incluso naturalmente anche l'intervallo di tempo tra la data presunta e quella effettiva (se invece la data effettiva è anteriore a quella presunta, i 5 mesi non saranno più 5 mesi, ma un periodo inferiore!)
Prima dell'inizio del periodo di astensione per maternità la lavoratrice deve consegnare al datore di lavoro e all'INPS la domanda di congedo per maternità redatta su appositi moduli, unitamente al certificato medico indicante la data presunta del parto.
Il congedo per la maternità può essere anticipato rispetto al minimo obbligatorio previsto (5 mesi) in determinati casi che dovranno essere accertare dalla Direzione provinciale del lavoro, come ad esempio la presenza di condizioni di lavoro potenzialmente pregiudizievoli, l' impossibilità di spostare la lavoratrice ad altre mansioni o altri rischi per la salute e la sicurezza della lavoratrice e del nascituro.
Divieto di licenziamento, sospensione dal lavoro, dimissioni in caso di maternità
Durante il periodo di maternità la lavoratrice non può essere licenziata. La lavoratrice madre non può essere licenziata o sospesa dall'inizio della gestazione fino al termine del periodo di astensione obbligatoria e in ogni caso fino al compimento del primo anno di età del bambino.
Per lo stesso periodo non può essere sospesa dal lavoro a meno che non si tratti di sospensione dell'intera azienda o reparto.
In caso di congedo di paternità, il divieto di licenziamento si applica anche al padre lavoratore per la durata del congedo stesso e si estende fino al compimento di un anno di età del bambino/a.
La normativa si applica anche in caso di adozione e di affidamento.
Nel caso in cui la lavoratrice madre presenti le dimissioni dal posto di lavoro durante lo stesso periodo è necessario comunicare le dimissioni alla Direzione provinciale del Lavoro, che dovrà controllarne la regolarità e provvedere alla loro convalida.
In ogni caso permane il diritto al TFR oltre, ovviamente, l'indennità sostitutiva di preavviso.
Il divieto non si applica:
1) nel caso di licenziamento per giusta causa dovuto a colpa grave della lavoratrice;
2) nel caso di cessazione dell'attività dell'azienda;
3) nel caso di ultimazione della prestazione per cui la lavoratrice era stata assunta;
4) in caso di esito negativo della prova.
Il licenziamento intimato alla lavoratrice in stato di gravidanza al di fuori dei precedenti casi è nullo.
La lavoratrice madre ha diritto di conservare il proprio posto di lavoro e, salvo che vi rinunci, di rientrare nella stessa unità produttiva ove era occupata all'inizio del periodo di gravidanza o in altra situata nello stesso comune, e di permanervi fino al compimento di un anno di età del bambino.
Ha anche il diritto di essere assegnata alle mansioni svolte prima di entrare in maternità o a mansioni analoghe.
Il congedo di maternità può essere anticipato, su richiesta della lavoratrice e a seguito dell'approvazione della Direzione provinciale del lavoro, sulla base di accertamento medico, quando sussistono le seguenti circostanze:
a) vi sono gravi complicanze della gestazione o preesistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza;
b) le condizioni ambientali o di lavoro sono ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino/a;
c) la lavoratrice addetta a lavorazioni pesanti pericolose o insalubri non può essere spostata ad altre mansioni.
L'indennità giornaliera, a carico dell'INPS, è pari all'80% della retribuzione media percepita nel periodo di paga mensile immediatamente precedente l'inizio dell'astensione.
Il datore di lavoro è tenuto ad integrare fino al 100% se il contratto collettivo applicato dall'azienda lo prevede.
L'indennità di maternità a carico dell'INPS è anticipata in busta paga dal datore di lavoro e deve essere calcolata con riferimento alla retribuzione media globale giornaliera del periodo di paga mensile scaduto ed immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio il congedo di maternità.
E’ possibile il pagamento diretto da parte dell'INPS in alcuni particolari casi come: le lavoratrici agricole, le collaboratrici domestiche, le lavoratrici a tempo determinato per lavori stagionali, le lavoratrici sospese senza trattamento di Cassa Integrazione e le lavoratici in CIGS (Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria) a zero ore con pagamento diretto da parte dell'INPS.
Il congedo di maternità è computabile ai fini della maturazione del TFR (Trattamento di Fine Rapporto), delle mensilità aggiuntive (tredicesima, quattordicesima) e delle ferie.
Anche al padre spetta il congedo obbligatorio in tre determinati casi: qualora la madre sia defunta o gravemente inferma, qualora la madre abbandonasse il bambino o, infine, qualora il bambino fosse affidato esclusivamente al padre.
Per ogni bambino, nei primi suoi otto anni di vita, ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro per un periodo non superiore a dieci mesi.
Con questo articolo si rinnova il vecchio istituto dell'astensione facoltativa ed emerge una nuova nozione di lavoro di cura.
Per ogni bambino, nei primi suoi otto anni di vita, ciascun genitore ha il diritto di astenersi dal lavoro facoltativamente per un massimo di sei mesi (anche contemporaneamente).
Il congedo parentale dà diritto ad una indennità a carico INPS del 30% della retribuzione media globale giornaliera.
Nella maggior parte dei casi non è prevista una integrazione a carico del datore di lavoro, ma occorre verificare il CCNL applicabile.
Il datore di lavoro è comunque tenuto a conservare il posto di lavoro e a riconoscere la maturazione della sola anzianità di servizio utile ai fini del TFR, ma non è tenuto a garantire la maturazione dei ratei relativi agli altri elementi retributivi differiti, come ferie, permessi e mensilità aggiuntive.
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domenica 27 ottobre 2013
Diritto alla disoccupazione (ASPI) e procedura di licenziamento disciplinare
L’Assicurazione sociale per l’impiego (ASPI), l’ex indennità di disoccupazione, spetta anche ai lavoratori destinatari di un licenziamento disciplinare per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa, la negazione di tale diritto “costituirebbe un’ulteriore reazione sanzionatoria” nei confronti del lavoratore.
Il lavoratore che subisce un licenziamento disciplinare, per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, ha diritto all’indennità ASPI, l’ex indennità di disoccupazione. Ed il datore di lavoro deve versare all’Inps il ticket di licenziamento, il contributo all’ASPI del 41%. A precisarlo è il Ministero del Lavoro con interpello n. 29/2013 del 23 Ottobre 2013, col quale equipara il caso a quello riguardante l’indennità di maternità.
Le considerazioni partono dal contenuto generale della Norma cioè dell’articolo 2, comma 31, della Legge del 28 Giugno 2012, n. 92 recante le “disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita”.
Tra l’altro, va evidenziato che quanto sarà detto su tale articolo è stato, ancora, oggetto di modifiche con la Legge di Stabilità del 2013 (ovvero Legge n. 228 del 24 Dicembre del 2012 ), i cui effetti sono iniziati a decorrere, per l’appunto, dal 1° Gennaio 2013.
Tanto premesso, tale comma, sancisce che: quando c’è una interruzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato (a prescindere dai requisiti contributivi ) che da diritto all’indennità di disoccupazione ordinaria cioè ASpI, a partire dal 1° Gennaio 2013, il Datore di Lavoro deve versare all’INPS una somma pari al 41% del massimale mensile di ASPI per 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni.
Nel conteggio dell’anzianità aziendale, del lavoratore, devono essere compresi i periodi di lavoro caratterizzati da un contratto diverso da quello a tempo indeterminato, se il rapporto è proseguito senza soluzione di continuità o se comunque si è dato luogo alla restituzione al cosiddetto “contributo addizionale” ( a carico del datore di lavoro per i contratti a tempo determinato ) pari al 1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali.
Fatta tale premessa, la questione verte su un punto fondamentale e cioè se il licenziamento disciplinare possa rappresentare uno status di disoccupazione involontaria e come tale degno di essere coperto dall’indennità di disoccupazione – ASPI.
L’istanza di interpello è stata avanzata dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti in merito alla possibilità che si configuri il diritto del lavoratore a percepire l’ASPI e il conseguente obbligo del datore di lavoro di versare il contributo di cui all’art. 2, comma 31 della L. n. 92/2012, nell’ipotesi di licenziamento disciplinare per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa. In particolare la richiesta riguarda se il licenziamento disciplinare possa costituire un’ipotesi di disoccupazione “involontaria”, per la quale è prevista la concessione della indennità di disoccupazione ASPI.
Da tale normativa emergono nel complesso i seguenti punti fondamentali:
- le cause di esclusione del diritto all’ASPI sono rigide e tassative e riguardano i casi di dimissioni del lavoratore;
- in più l’esclusione di tale diritto opera quando c’è una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro ( accordo tra il datore di lavoro ed il lavoratore ).
In buona sostanza, pertanto, si assume che l’indennità di disoccupazione – ASPI – spetta anche la lavoratore licenziato per motivi disciplinari.
I motivi si riconducono al fatto che il licenziamento disciplinare già di per se è una punizione del lavoratore e perciò non se ne può aggiungere un’altra dettata dalla privazione del diritto all’indennità di disoccupazione.
Tale prerogativa trova fondamento della Costituzione Italiana, ed in particolare begli articoli 31 e 37, dal momento che dalla loro portata si evince che tale causa di licenziamento è già una efficace sanzione.
A ciò si aggiunge anche la linea interpretativa adottata dalla Corte Costituzionale nel punto in cui afferma che il licenziamento disciplinare può essere considerato un’adeguata risposta dell’ordinamento al comportamento del lavoratore.
Inoltre, si aggiunge qualche pronunciamento della Corte di Cassazione, laddove afferma che “l’adozione del provvedimento disciplinare è sempre rimessa alla libera determinazione e valutazione del datore di lavoro e costituisce esercizio di potere discrezionale”, non ritenendosi, pertanto, l’automatica o conseguente la privazione del diritto all’indennità di disoccupazione.
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ritiene legittima la concessione dell’ASPI al lavoratore licenziato per motivi disciplinari.
La Corte Costituzionale dichiarò illegittimo negare l’indennità di maternità post licenziamento disciplinare. Il Ministero collega il diritto all’Aspi a quello dell’indennità di maternità: “A supporto di quanto sopra rappresentato, si evidenzia che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 405/2001, aveva statuito in merito all’opportunità che, in caso di licenziamento disciplinare, venisse corrisposta l’indennità di maternità, pronunciandosi nel senso di ritenere che una sua esclusione integrasse una violazione degli artt. 31 e 37 della Costituzione, in quanto alla protezione della maternità andava attribuito un rilievo superiore rispetto alla ragione del licenziamento, trovando già “il fatto che ha dato causa al licenziamento (…) comunque in esso efficace sanzione”.
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domenica 3 febbraio 2013
Lavoro e congedo maternità per interruzione della gravidanza
Alla lavoratrice dipendente, nel caso di interruzione della gravidanza, spetta:
l’indennità di maternità per tutto il periodo di congedo, se l’interruzione della gravidanza si verifica dopo il 180° giorno dall'inizio della gestazione (l’evento viene considerato, a tutti gli effetti, parto);
l’indennità di malattia, se ricorre, per tutto il tempo necessario al ripristino della capacità lavorativa, nel caso di interruzione della gravidanza che si verifica prima del 180° giorno dall’inizio della gestazione (l’evento viene considerato aborto).
L'interruzione della gravidanza avvenuta dopo il 180° giorno dall'inizio della gestazione è considerata a tutti gli effetti parto. L'interruzione avvenuta, invece, prima del 180° giorno dall'inizio della gestazione è considerata aborto e equiparata alla malattia; la lavoratrice, quindi, non ha diritto al congedo di maternità, ma a quella di malattia.
Alle lavoratrici autonome viene pagata una indennità per 30 giorni in caso di interruzione della gravidanza tra il terzo mese e il 180° giorno di gestazione. In caso di parto prematuro i giorni di astensione obbligatoria non goduti prima del parto sono aggiunti al periodo di astensione obbligatoria dopo il parto. Se il parto prematuro è avvenuto prima dei due mesi di astensione pre-parto, ovvero durante il periodo di interdizione anticipata disposta dall'Ispettorato del lavoro, è riconosciuto un periodo massimo di astensione obbligatoria dopo il parto pari a cinque mesi.
Per poter fruire del congedo maternità occorre che: non vi sia stata attività lavorativa nel periodo per il quale si chiede il riconoscimento; l'interessata presenti una domanda all'Inps entro 30 giorni dal parto allegando il certificato di nascita del bambino. I giorni non goduti di astensione obbligatoria prima del parto non possono essere aggiunti al termine dei mesi di proroga dell'astensione dopo il parto disposta dall'Ispettorato del lavoro.
La legge ha introdotto dal 1° gennaio 2001 un congedo straordinario retribuito per l'assistenza di figli disabili. Il congedo ha la durata massima di due anni nell'arco della vita lavorativa e può essere frazionato (a giorni, a settimane, a mesi ecc.).
Questo congedo maternità spetta: ai genitori, naturali o adottivi, e dal 27 aprile 2001 (data di entrata in vigore del decreto legislativo che riordina i permessi e i congedi per i genitori di portatori di handicap grave) anche agli affidatari di disabili per i quali è stata accertata la situazione di gravità; i genitori non possono fruire del congedo contemporaneamente; ai fratelli o alle sorelle conviventi del portatore di handicap grave, in caso di decesso di entrambi i genitori o quando questi ultimi siano impossibilitati a provvedere all'assistenza del figlio handicappato perché totalmente inabili.
Non è possibile fruire del congedo parentale (astensione facoltativa) e del congedo per grave handicap contemporaneamente. Per ottenere il congedo sono richieste le stesse condizioni che permettono di fruire degli speciali congedi previsti dalla legge sull'handicap (giorni di permesso mensili retribuiti, prolungamento dell'astensione facoltativa, permessi orari retribuiti ecc.).
Il congedo è retribuito con un'indennità pari all'ultima retribuzione percepita, è coperto dai contributi figurativi e viene corrisposto per tutti i giorni per i quali il beneficio è richiesto. Per i periodi per i quali non è prevista attività lavorativa (es. part-time verticale), il congedo non è riconosciuto. Il congedo di maternità non può essere riconosciuto ai lavoratori domestici e ai lavoratori a domicilio.
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