domenica 26 giugno 2016

NASPI 2016 estesa per i lavoratori stagionali


Niente Naspi dimezzata per i lavoratori stagionali, penalizzati dall'entrata in vigore dei nuovi ammortizzatori sociali del Jobs Act: a chiedere al Governo di intervenire sono tre risoluzioni discusse in commissione Lavoro alla Camera, presentate da diversi schieramenti politici. Il punto è il seguente: con la vecchia “Aspi”, l’assicurazione per l’impiego introdotta dalla Riforma Lavoro 2012, gli stagionali che lavoravano fino a sei mesi l’anno ne percepivano altrettanti di sussidio.

La NASPI, invece, funziona come per i dipendenti a tempo indeterminato, prevedendo un numero di mensilità pari alla metà delle settimane lavorate nell’ultimo quadriennio. Ma non si possono conteggiare eventuali periodi lavorativi che abbiano già dato luogo a precedenti trattamenti. Risultato: un lavoratore stagionale che lavora sei mesi nel 2016 prende tre mesi di NASPI anche se ha precedenti periodi di lavoro negli anni scorsi e ha utilizzato l’ASpI di cui aveva diritto.

La norma contestata è quella relativa all’articolo 5 del Dlgs 22/2015 (il decreto legislativo del Jobs Act che introduce i nuovi ammortizzatori sociali),  il quale prevede le regole sopra esposte per il calcolo della NASPI. Il successivo Dlgs 148/2015 prevede una fase transitoria per i lavoratori stagionali del turismo e degli stabilimenti termali, limitatamente alle cessazioni dal lavoro intervenute tra il 1° maggio e il 31 dicembre 2015, che abbiano dato luogo a eventuali prestazioni di disoccupazione ordinaria con requisiti ridotti e mini-ASpI 2012 fruite negli ultimi quattro anni. Quindi, in questi casi si possono conteggiare anche i periodi che hanno già dato luogo a prestazioni di sostegno al reddito.

Nell’ambito del dibattito sulle tre mozioni che chiedono di aumentare la NASPI per ilavoratori stagionali, la Commissione Lavoro ha ascoltato i sindacati confederali, i quali hanno sottolineato come le regole sulla NASPI penalizzano quasi 300mila stagionali del settore turismo e termale che rischiano di trovarsi un sussidio dimezzato.

«La stagionalità della domanda turistica è un male cronico del nostro sistema», la Naspi comporta che a pagare lo scotto di un deficit strutturale siano i soli lavoratori e le imprese che della professionalità di questi lavoratori si avvalgono», con il rischio di far fallire «interi sistemi turistici locali (soprattutto al Sud)».

Ricordiamo infatti che gli stagionali, a seguito dell'entrata in vigore del decreto Jobs Act per il riordino delle norme sugli ammortizzatori sociali, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183, ha previsto nuovi requisiti e condizioni per la concessione della cassa integrazione ordinaria e straordinaria, i fondi di solidarietà, l'indennità di disoccupazione Naspi per 24 mesi anche dopo il 2016, l'assegno di ricollocazione ASDI per i disoccupati che non trovano ancora lavoro dopo 6 mesi dal termine dell'indennità, e per i lavoratori stagionali NASPI solo una salvaguardia per l'anno precedente e solo per il settore del turismo.

Perché i lavoratori stagionali sono stati penalizzati dalla NASPI? L'introduzione a partire dal 1° maggio della nuova NASPi ha fatto nascere non pochi malumori tra i lavoratori stagionali per non parlare delle associazioni di categoria al quanto perplesse dal fatto che il nuovo metodo di calcolo utilizzato per determinare la durata dell'indennità e dai requisiti di accesso resi ancor più astringenti, abbiano fortemente penalizzato i lavoratori, specialmente quelli del settore turismo dal momento che questa tipologia contrattuale è quella maggiormente utilizzata per il lavoro estivo ed invernale.

Infatti, in base a quanto sancito dal decreto legislativo 22/2015, il diritto alla NASpI è per i disoccupati che nei 4 anni precedenti alla data di cessazione del rapporto di lavoro, possono vantare almeno 13 settimane di contributi versati e almeno 30 giorni di lavoro effettivo nei 12 mesi precedenti lo stato di disoccupazione.

Per cui se con la mini-aspi gli stagionali potevano contare su 6 mesi di disoccupazione a fronte di 6 mesi di lavoro, oggi, con la NASPi tale periodo è ridotto a 3 mesi, perché sulla base dell'articolo 5 della legge, l'indennità spetta per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contributi versati negli utlimi 4 anni.

Per la Naspi stagionali, il decreto attuativo in materia di riordino ammortizzatori sociali, ha previsto una salvaguardia per il solo anno 2015, per i cd. lavoratori stagionali ma esclusivamente del settore turismo.

Cosa prevedeva la nuova salvaguardia per gli stagionali? Prevedeva che per i soli eventi di licenziamento involontario verificati dal 1° gennaio 2015 al 31 dicembre 2015, i lavoratori stagionali del settore turismo potevano, ai fini di calcolo NASPI e durata dell'indennità, non computare i periodi di mini aspi o di disoccupazione con requisiti ridotti, percepiti negli ultimi 4 anni.


Lavoro: malati gravi diritto al part time




Ai lavoratori affetti da patologie oncologiche o da altre gravi patologie cronico-degenerative, per i quali residui una ridotta capacità lavorativa anche a causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita, è riconosciuto il diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale.

Ai lavoratori affetti da malattie gravi, come le patologie oncologiche per i quali residui una ridotta capacità lavorativa o altre patologie cronico-degenerative, il datore di lavoro non può rifiutare il passaggio dal rapporto d lavoro a tempo pieno al part-time. Questo vale tanto nel privato quanto nel pubblico, come previsto dalla Legge Biagi (Dlgs 276/2003) e dal più recente Dlgs 81/2015 attuativo del Jobs Act.

La trasformazione da tempo pieno a tempo parziale può essere verticale, nel caso in cui la riduzione dell’orario di lavoro è prevista in relazione all’orario normale giornaliero, orizzontale, quando l’attività lavorativa viene svolta a tempo pieno ma limitatamente a periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell’anno.

Su richiesta del lavoratore il rapporto a tempo parziale deve essere trasformato nuovamente in rapporto a tempo pieno. Il ministero del Lavoro, con la circolare 40/05, ha precisato che la richiesta del lavoratore non può essere negata anche se possono essere fatte valere contrastanti esigenze aziendali e che le parti si dovranno accordare sul nuovo orario di lavoro e sulla sua collocazione temporale, che può essere di tipo orizzontale, verticale o misto ma che deve prioritariamente tenere in considerazione le specifiche esigenze del lavoratore.

Nel decreto attuativo del Jobs Act viene inoltre prevista la possibilità, per il lavoratore che necessita di cura connesse a malattie gravi, di richiedere, in alternativa al passaggio al part-time, la fruizione del congedo parentale.

L’obiettivo generale della norma è tutelare la salute dei lavoratori ma anche la loro professionalità e la partecipazione al lavoro come importante strumento di integrazione sociale e di permanenza nella vita attiva. Per questi motivi la richiesta del lavoratore affetto da invalidità rappresenta una potestà che non può essere negata sulla base di contrastanti esigenze aziendali.

Il datore di lavoro può però pattuire con il lavoratore la quantificazione della riduzione dell’orario di lavoro e la scelta il part-time orizzontale o verticale. Nello stabilire tali opzioni organizzative, tuttavia, dovrà essere data priorità alle esigenze individuali specifiche del
lavoratore e non a quelle dell’azienda.

Il rapporto di lavoro potrà poi essere successivamente convertito nuovamente in tempo pieno su richiesta del lavoratore, si tratta di un suo diritto soggettivo, in caso di miglioramenti nello stato di salute.

Non vi è, invece, alcun diritto di chiedere la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale se la malattia colpisce il coniuge, i figli o i genitori del lavoratore o della lavoratrice e questi abbiano necessità di assistenza continua. L’articolo 8, comma 4, del Dlgs 81/15 stabilisce, infatti, che il lavoratore dipendente ha semplicemente la priorità nella trasformazione del contratto, da tempo pieno a tempo parziale, in caso di patologie oncologiche o gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti riguardanti il coniuge, i figli o i genitori del lavoratore o della lavoratrice.

Tale priorità può essere fatta valere anche se il lavoratore o la lavoratrice assiste una persona convivente con totale e permanente inabilità lavorativa definita grave ai sensi dell’Legge 104/92 e che abbia, quindi, necessità di assistenza continua.

E' utile ricordare che l’Inps, con la circolare 136/03 ha considerato sufficiente un’unica certificazione del curante che attesti la necessità di trattamenti ricorrenti comportanti incapacità lavorativa e che li qualifichi l’uno ricaduta dell’altro. Gli interessati devono inviare la certificazione prima dell’inizio della terapia, fornendo anche l’indicazione dei giorni previsti per l’esecuzione. A tale certificazione dovranno far seguito, sempre a cura degli interessati, periodiche dichiarazioni della struttura sanitaria riportanti il calendario delle prestazioni effettivamente eseguite, le sole che danno titolo all’indennità.


sabato 25 giugno 2016

Riforma pensioni: pensione anticipata torna la penalizzazione



Torna, a partire dal 2018, la penalizzazione sull'assegno previdenziale per i lavoratori che escono in anticipo dal mondo del lavoro, ovvero con meno di 62 anni di età. Per i lavoratori che maturino i requisiti per l’accesso alla pensione anticipata entro il 31 dicembre 2017, invece, non sono previste penalizzazioni anche se la prestazione previdenziale ha decorrenza successiva a tale data.

L’Anticipo pensionistico o l’Ape, la misura che dovrebbe garantire maggiore flessibilità in uscita ai lavoratori, e allo studio del governo e dei sindacati e rappresenta, al momento, una delle misure per smussare la rigidità della riforma Fornero e  sarà disponibile per tutti i lavoratori, sia autonomi che dipendenti, sia privati che statali. E’ quanto afferma il ministro Poletti intervenendo in ambito riforma pensioni. . A partire dal prossimo anno, quindi, potrebbe partire il progetto sperimentale dell’Ape, una sperimentazione che durerà soltanto 3 anni, fino al 2019 e che coinvolgerò i lavoratori nati tra il 1951 e il 1953,

La Legge di Stabilità 2015 (articolo 1, comma 113 della legge 190/2014) aveva infatti previsto un congelamento della decurtazione sulla pensione anticipata , introdotta della Riforma del 2011 Monti-Fornero, ma solo fino al 31 dicembre 2017. Così, dall’1 gennaio 2015, è stata eliminata per coloro che maturano il requisito contributivo pieno entro la fine del 2017 la decurtazione alla pensione anticipata, che era stata prevista dalla Riforma delle Pensioni Fornero, pari all’1% per ogni anno di anticipo rispetto all’età minima di 62 anni e del 2% per ogni anno prima dei 60 anni.

Per ora non sono in vista nuove proroghe alla misura temporanea che era stata pensata per compensare, almeno in parte il taglio delle quote retributive dell’assegno per i lavoratori che accedono alla pensione con la massima anzianità contributiva – 42 anni e sei mesi per gli uomini e 41 anni e sei mesi per le donne – prima dei 62 anni di età.

Dunque, a meno di nuovi interventi normativi, dal 1° gennaio 2018 scatterà la decurtazione che però, ricordiamo, vede coinvolte le sole quote dell’assegno calcolate con il sistema retributivo.
Ricordiamo infine che la Legge di Stabilità 2016 ha reso retroattiva l’abolizione del taglio previsto dalla Riforma Fornero sulla pensione anticipata, riconoscendo il trattamento pieno anche ai lavoratori che ritiratisi prima dal lavoro nel periodo 2012-2014. Dal 2016 questi pensionati percepiranno un assegno più alto (non più decurtato in base all’età in cui si sono ritirati) ottenendo anche un rimborso di quanto finora trattenuto. La misura riguarda circa 25mila assegni, che dal 2016 avranno una pensione più alta fino al 10%.

Per le donne dipendenti che hanno maturato 57 anni e 3 mesi di età e 35 di contributi (58 anni e 3 mesi per le autonome) entro il 2015, è ancora aperta l'opzione donna, cioè la possibilità di andare in pensione trascorsi la finestra mobile o anche successivamente a fronte però del calcolo dell'assegno con il metodo contributivo che comporta in media una penalizzazione del 25-30% rispetto al sistema misto a cui avrebbero diritto.

Il meccanismo di cui si discute prevede un anticipo pensionistico, APE, per ritirarsi fino a tre anni prima della pensione di vecchiaia (quindi, a 63 anni e sette mesi): il lavoratore percepisce un trattamento che restituirà poi con la pensione. L’anticipo pensionistico è finanziato dalle banche, che vengono coperte dal rischio (ad esempio, di decesso del pensionato prima della fine della restituzione del prestito, che tendenzialmente avviene in 20 anni), attraverso un’assicurazione (non si prevede intervento pubblico). Si discute in particolare sulla decurtazione della pensione, intorno al 2% per ogni anno di anticipo. Si pensa anche a un meccanismo che consenta di diminuire l’importo del prestito pensionistico riscattando periodi versati alla previdenza complementare. Sono poi previste regole diverse per i disoccupati (anch’essi beneficiari di un trattamento che li accompagni alla pensione, ma a carico dello stato).

Sul tavolo anche altre questioni:
Opzione Donna (pensione anticipata per le lavoratrici a 58 anni), esodati, lavori usuranti, lavoratori precoci, flessibilità contributiva. Tanto che Poletti così sintetizza: «la prossima Legge di Stabilità avrà un forte segno sul versante delle politiche sociali: dopo il Jobs Act serve un Social Act», che sappia coniugare flessibilità e produttività.

Comunque sono previsti dei percorsi alternativi, anche se non sempre facilmente attuabili, alla pensione di vecchiaia ordinaria, i cui requisiti anagrafici per il 2016 sono di 66 anni e 7 mesi per gli uomini indipendentemente dal settore lavorativo e per le donne dipendenti della pubblica amministrazione, di 65 anni e 7 mesi per le dipendenti del settore privato e di 66 anni e 1 mese per le autonome e le iscritte alla gestione separata dell'Inps.

Ai lavoratori cui mancano meno di 3 anni per accedere alla pensione sarà permesso, quindi, di richiedere all’Inps la certificazione del requisito per poter accedere al beneficio che permetterebbe di anticipare la pensione grazie a prestiti concessi dalle banche ma erogati dall’Inps che sarebbero poi restituiti al raggiungimento dei requisiti per accedere alla pensione di vecchiaia con micro prelievi sull’assegno pensionistico.

A garantire l’importo dell’assegno sarà il montante contributivo raggiunto al momento della richiesta dell’anticipo pensionistico ma il coefficiente di trasformazione con il quale si calcolerà la pensione futura sarà quello al momento in cui si raggiungeranno i requisiti per accedere alle pensione di vecchiaia. In questo modo il lavoratore potrà incrementare la quota C della pro prima pensione a garanzia dell’importo dell’assegno.

Il prestito erogato dalle banche non avrà una garanzia reale poiché se colui che ne beneficia dovesse morire non ci sarà possibilità di rivalsa sugli eredi.  La restituzione del prestito dovrà avvenire in 20 anni anche se riguardo all’Ape sono molti i lati oscuri ancora da chiarire, come ad esempio quali sarebbero i ruoli delle banche che finanzieranno l’uscita anticipata e quale garanzia fornirà loro lo Stato.




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