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martedì 6 settembre 2016

Legge stabilità 2017: le riforma delle pensioni le ipotesi al vaglio






Parliamo dei possibili variazioni che potrebbero essere introdotti con la prossima legge di stabilità 2017 e che riguarda la riforma delle pensioni 2017, come sappiamo il cantiere delle Pensioni è sempre aperto e non chiude mai, infatti Governo e Sindacati s’incontrano quasi tutti i giorni per mettere a punto la manovra sulle pensioni del prossimo anno, da questi incontri qualcosa filtra e in questo proponiamo una panoramica generale su tutti i temi che sono oggetto di dibattito e che subiranno con tutta probabilità delle modifiche.

La riforma pensioni che sarà presentata il 21 settembre ai sindacati si basa in primis sull’APE (il prestito pensionistico che prevede un anticipo sugli attuali requisiti anagrafici per il pensionamento grazie all’intermediazione di banche e assicurazioni e che il contribuente è tenuto a rimborsare in 20 anni).

Focus anche su precoci e lavoratori che compiono attività usuranti, due categorie che necessitano di tutela particolare e che, dalle precedenti riforme previdenziali, sono state ignorate o trascurate. L’idea per chi ha iniziato a lavorare prima di compiere 18 anni, è quella di riconoscere una maggiore convenzionale dell’anzianità contributiva dai tre ai sei mesi per ogni anno. Un bonus che, secondo i calcoli, nella migliore delle ipotesi potrebbe garantire una pensione anticipata di ben due anni.

Allargamento della platea dei pensionati destinatari della quattordicesima oppure un assegno più alto per chi già la percepisce, mentre alle misure per la flessibilità in uscita, il governo studia anche una serie di nuovi strumenti a favore delle pensioni minime

Un’opzione numero uno per rafforzare le pensioni più basse resta quella di un’estensione della platea di chi oggi prende la cosiddetta “quattordicesima” Inps.

Sulle pensioni minime, l’ipotesi che continua ad essere indicata come più probabile è quella di un’estensione della platea di pensionati che attualmente prende la la quattordicesima (il nome vero è in realtà “somma aggiuntiva”, è pagata a luglio e al momento, secondo dati Inps, è erogata a circa 2,2 milioni di pensionati con un reddito personale complessivo non superiore ai 750 euro, cioè 1,5 volte la minima). L’operazione potrebbe consistere nell’aumento a 2 volte il minimo del limite di reddito per incassare l’assegno extra. Il reddito del quale si tiene conto è quello pensionistico.

Estendendo il limite di reddito a circa 1.000 euro al mese otterrebbero il beneficio, secondo elaborazioni della Uil su dati Inps, altri 1,15 milioni di pensionati. Nel complesso le risorse da stanziare per le misure previdenziali dovrebbero aggirarsi sui 2 miliardi, con 5-600 milioni destinati al finanziamento dell’Ape, l’anticipo pensionistico sostenuto da un finanziamento bancario assicurato rimborsabile (per chi lo richiede volontariamente) con un rateo ventennale.

Il capitolo quattordicesima: al momento, è riconosciuta ai pensionati over 64enni, con reddito inferiore a 9mila 786,86 euro lordi (1,5 volte il trattamento minimo) e una pensione intorno ai 750 euro al mese. Due gli interventi allo studio: alzare la soglia di reddito entro la quale sussiste il diritto alla quattordicesima, portandola a quota 12-13mila euro l’anno oppure raddoppiandola a 15-16mila euro.

In questo modo, verrebbe estesa la platea dei beneficiari: al momento, secondo i dati INPS, sono circa 2,2 milioni di pensionati, a cui se ne aggiungerebbe almeno un milione portando il limite di reddito a mille euro al mese.

La seconda ipotesi è invece quella di aumentare la quattordicesima per coloro che già la percepiscono. In questo caso, si punta a raddoppiare il valore del bonus, che arriverebbe quindi intorno ai mille euro. Attualmente la quattordicesima oscilla tra 336 e 504 euro: 336 euro fino a 15 anni di contributi, 420 tra i 15 e i 25 anni, 504 auro sopra questa soglia (tutti limiti contributivi elevati di tre anni per i lavoratori autonomi).

Ma non c'è solo l'anticipo pensionistico. Il Governo ha infatti ventilato anche le seguenti ipotesi:

rendere più economica la ricongiunzione di contributi versati a casse diverse,

benefici contributivi per il lavoratori precoci  (6 mesi di contributi figurativi garantiti per ogni anno di lavoro in minore età)

agevolazioni anche per i cosiddetti lavori usuranti (che potrebbero ricomprendere operai edili e inferimeri di sala operatoria)

aumenti per le pensioni "minime" attraverso innalzamento della no tax area o ampliamento dell'assegno di quattordicesima

giovedì 11 agosto 2016

Riforma pensioni 2016: tutte le novità e le anticipazioni


I requisiti per la pensione anticipata oggi. La legge 214 2011 (Monti - Fornero) ha aumentato gradualmente  l’età pensionabile agganciandola alla speranza di vita e  prevedendo di arrivare a 70 anni nel 2050 con un minimo di 20 anni di contributi; di conseguenza  ha modificato  il requisito  contributivo per la pensione di vecchiaia  anticipata :

Nel 2016 ,con il sistema di calcolo misto retributivo-contributivo è pari a 42 anni e 10 mesi per gli uomini , e 41 anni e 10 mesi per le donne. Esso  continuerà ad aumentare arrivando nel 2050 a 46 anni e tre mesi per gli uomini e 45 e 3 mesi per le donne.

Per chi applica il sistema contributivo (ossia chi ha iniziato a lavorare dopo il 1.1.1996 ) si può optare per la pensione , con gli stessi requisiti oppure  con   età non inferiore a 63 anni e 7 mesi e un assegno pensionistico  non inferiore a 2,8 volte la pensione minima  (oggi circa 1250 euro).

Sono molte le novità che si prevedono in ambito pensionistico. Nel recente Documento di Programmazione Economico Finanziaria 2016,è stato confermata la volontà di modificare parzialmente il sistema pensionistico  ridefinito nel 2012 dalla Riforma Fornero con l'innalzamento dell'età per andare in pensione, ora non più fisso ma agganciato alla speranza di vita.

In particolare si pensa di introdurre misure per permettere maggiore flessibilità in uscita, ovvero la possibilità di anticipare il momento della pensione, con requisiti particolari e  una parziale  penalizzazione economica.

Si sta studiando alcune ipotesi che dovrebbero trovare realizzazione forse già nella prossima Legge di stabilità per il 2017.  Si inserisce in quest’ottica il confronto con i sindacati, in cui il ministro Poletti ha incontrato  i leader di CGIL, CISL e UIL  per discutere delle possibili soluzioni. E’ il secondo incontro sul tema tra Governo e parti sociali.

L’intento, come dichiarato appunto del DPEF dello scorso aprile è  di garantire “nell'ambito delle politiche previdenziali, la fattibilità di interventi volti a favorire una maggiore flessibilità nelle scelte individuali, salvaguardando la sostenibilità finanziaria e il corretto equilibrio nei rapporti tra generazioni, peraltro già garantiti dagli interventi di riforma che si sono susseguiti dal 1995 ad oggi". Il nodo delle risorse finanziarie infatti è il problema centrale.

L’Inps ha già pubblicato con la Circolare 92/2016 i nuovi importi di reddito per ottenere l'assegno, questo è il sostegno per le famiglie dei lavoratori dipendenti e dei pensionati da lavoro dipendente, i cui nuclei familiari siano composti da più persone e che abbiano redditi inferiori a quelli determinati ogni anno dalla Legge.

Per quest'anno il limite reddituale minimo nei nuclei familiari con entrambi i genitori e almeno un figlio minore in cui non siano presenti componenti inabili, resta lo stesso dello scorso anno e pari a 14.383,37 euro.

La legge n. 153/88 stabilisce, infatti, che i livelli di reddito familiare ai fini della corresponsione dell'assegno per il nucleo familiare sono rivalutati annualmente, con effetto dal 1° luglio di ciascun anno, in misura pari alla variazione dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, calcolato dall'Istat, intervenuta tra l'anno di riferimento dei redditi per la corresponsione dell'assegno e l'anno immediatamente precedente. Dato che la variazione percentuale dell'indice dei prezzi al consumo è risultata negativa tra il 2014 ed il 2015 l'Inps ha confermato i medesimi livelli di reddito dello scorso anno.

Entriamo quindi nel merito dell'ennesimo aggiornamento sulla situazione degli esodati, un dossier che appare fondamentale per l'approvazione dell'8va e ultima salvaguardia in preparazione presso il Parlamento. Secondo i dati riportati dall'Inps, le salvaguardie finanziate sono state 172466, a cui però corrispondono tutele approvate per 128079 pensionandi, mentre le certificazioni non accolte sono 54509. In merito invece alle istanze in istruttoria, queste sono 1949, mentre il totale dei posti occupati corrisponde a 130028. Ne consegue che il totale dei posti rimanenti in favore dell'8va salvaguardia parlamentare corrisponde a 42438. Per quanto riguarda invece l'ultima salvaguardia (cioè la 7ma azione inserita all'interno  della legge di stabilità 2016), il totale delle domande accolte è stimato a 11525, mentre le non accolte sono 13875. Le pensioni liquidate finora con quest'ultimo provvedimento normativo corrispondono invece a 5466.

Possibilità di anticipare il pensionamento e incremento dei redditi disponibili per i pensionati meno ricchi. È verso questi obiettivi che si sta muovendo da mesi il governo nella messa punto di un piano, frutto di confronto con i sindacati, che vuole superare sostanzialmente due nodi dell’attuale sistema previdenziale-assistenziale: l’incremento dei requisiti per andare in pensione e l’adeguatezza dei trattamenti.

Lo scalino è quello che si è determinato dai requisiti previsti ante e post riforma previdenziale messa a punto d’urgenza nel 2011 dal governo Monti. Ci sono lavoratori che si sono visti posticipare la prima uscita utile di 4-5 anni. Per le situazioni più evidenti si è intervenuti con sette provvedimenti di salvaguardia che potenzialmente coinvolgeranno 172.466 persone e forse ce ne sarà un ottavo con la prossima legge di Stabilità. Per tutti gli altri, invece, si sta ragionando su come intervenire.

L’Ape (anticipo pensionistico) dovrebbe essere l’intervento principale, almeno in termini di platea potenziale di interessati, in quanto riguarda tutti i lavoratori dipendenti. L’impianto generale è chiaro: chi esce dal lavoro prima (fino a 3 anni e 7 mesi rispetto al requisito di vecchiaia) dovrà pagarsi la flessibilità tramite un prestito erogato dalle banche e da rimborsare in venti anni. Per le persone più in difficoltà è previsto un intervento compensativo dello Stato sotto forma di detrazioni fiscali. I dettagli, però, sono ancora da svelare e potranno fare la differenza. Perché sulle pensioni gli italiani sono sensibili e un costo troppo elevato, ma anche procedure complesse, potrebbero affondare lo strumento.Dal punto di vista tecnico, l’Ape, acronimo di anticipo pensionistico, che dovrebbe debuttare nel 2017, ruota intorno a un finanziamento che sarà erogato dalle banche a vantaggio del neo-pensionato e che servirà a pagare gli assegni nel periodo che precede il raggiungimento del requisito anagrafico standard per la pensione di vecchiaia. Successivamente tale somma verrà rimborsata dal pensionato in un arco temporale di vent’anni.

Il finanziamento sarà erogato dalle banche, ma per semplificare le procedure, è previsto un intervento dell’Inps che dovrebbe fare da “interlocutore” tra lavoratore e istituto di credito. L’intervento, e i costi, a carico dello Stato, saranno determinati dagli aiuti sotto forma di detrazioni, riconosciuti alle persone più in difficoltà, quali i disoccupati di lungo corso. Chi vorrà anticipare la pensione e avrà redditi medio-alti, invece, dovrebbe vedere l’operazione interamente a suo carico. Alcuni dettagli dell’operazione, però, non sono ancora stati definiti in attesa degli ulteriori incontri con i sindacati che si svolgeranno in settembre.





sabato 25 giugno 2016

Riforma pensioni: pensione anticipata torna la penalizzazione



Torna, a partire dal 2018, la penalizzazione sull'assegno previdenziale per i lavoratori che escono in anticipo dal mondo del lavoro, ovvero con meno di 62 anni di età. Per i lavoratori che maturino i requisiti per l’accesso alla pensione anticipata entro il 31 dicembre 2017, invece, non sono previste penalizzazioni anche se la prestazione previdenziale ha decorrenza successiva a tale data.

L’Anticipo pensionistico o l’Ape, la misura che dovrebbe garantire maggiore flessibilità in uscita ai lavoratori, e allo studio del governo e dei sindacati e rappresenta, al momento, una delle misure per smussare la rigidità della riforma Fornero e  sarà disponibile per tutti i lavoratori, sia autonomi che dipendenti, sia privati che statali. E’ quanto afferma il ministro Poletti intervenendo in ambito riforma pensioni. . A partire dal prossimo anno, quindi, potrebbe partire il progetto sperimentale dell’Ape, una sperimentazione che durerà soltanto 3 anni, fino al 2019 e che coinvolgerò i lavoratori nati tra il 1951 e il 1953,

La Legge di Stabilità 2015 (articolo 1, comma 113 della legge 190/2014) aveva infatti previsto un congelamento della decurtazione sulla pensione anticipata , introdotta della Riforma del 2011 Monti-Fornero, ma solo fino al 31 dicembre 2017. Così, dall’1 gennaio 2015, è stata eliminata per coloro che maturano il requisito contributivo pieno entro la fine del 2017 la decurtazione alla pensione anticipata, che era stata prevista dalla Riforma delle Pensioni Fornero, pari all’1% per ogni anno di anticipo rispetto all’età minima di 62 anni e del 2% per ogni anno prima dei 60 anni.

Per ora non sono in vista nuove proroghe alla misura temporanea che era stata pensata per compensare, almeno in parte il taglio delle quote retributive dell’assegno per i lavoratori che accedono alla pensione con la massima anzianità contributiva – 42 anni e sei mesi per gli uomini e 41 anni e sei mesi per le donne – prima dei 62 anni di età.

Dunque, a meno di nuovi interventi normativi, dal 1° gennaio 2018 scatterà la decurtazione che però, ricordiamo, vede coinvolte le sole quote dell’assegno calcolate con il sistema retributivo.
Ricordiamo infine che la Legge di Stabilità 2016 ha reso retroattiva l’abolizione del taglio previsto dalla Riforma Fornero sulla pensione anticipata, riconoscendo il trattamento pieno anche ai lavoratori che ritiratisi prima dal lavoro nel periodo 2012-2014. Dal 2016 questi pensionati percepiranno un assegno più alto (non più decurtato in base all’età in cui si sono ritirati) ottenendo anche un rimborso di quanto finora trattenuto. La misura riguarda circa 25mila assegni, che dal 2016 avranno una pensione più alta fino al 10%.

Per le donne dipendenti che hanno maturato 57 anni e 3 mesi di età e 35 di contributi (58 anni e 3 mesi per le autonome) entro il 2015, è ancora aperta l'opzione donna, cioè la possibilità di andare in pensione trascorsi la finestra mobile o anche successivamente a fronte però del calcolo dell'assegno con il metodo contributivo che comporta in media una penalizzazione del 25-30% rispetto al sistema misto a cui avrebbero diritto.

Il meccanismo di cui si discute prevede un anticipo pensionistico, APE, per ritirarsi fino a tre anni prima della pensione di vecchiaia (quindi, a 63 anni e sette mesi): il lavoratore percepisce un trattamento che restituirà poi con la pensione. L’anticipo pensionistico è finanziato dalle banche, che vengono coperte dal rischio (ad esempio, di decesso del pensionato prima della fine della restituzione del prestito, che tendenzialmente avviene in 20 anni), attraverso un’assicurazione (non si prevede intervento pubblico). Si discute in particolare sulla decurtazione della pensione, intorno al 2% per ogni anno di anticipo. Si pensa anche a un meccanismo che consenta di diminuire l’importo del prestito pensionistico riscattando periodi versati alla previdenza complementare. Sono poi previste regole diverse per i disoccupati (anch’essi beneficiari di un trattamento che li accompagni alla pensione, ma a carico dello stato).

Sul tavolo anche altre questioni:
Opzione Donna (pensione anticipata per le lavoratrici a 58 anni), esodati, lavori usuranti, lavoratori precoci, flessibilità contributiva. Tanto che Poletti così sintetizza: «la prossima Legge di Stabilità avrà un forte segno sul versante delle politiche sociali: dopo il Jobs Act serve un Social Act», che sappia coniugare flessibilità e produttività.

Comunque sono previsti dei percorsi alternativi, anche se non sempre facilmente attuabili, alla pensione di vecchiaia ordinaria, i cui requisiti anagrafici per il 2016 sono di 66 anni e 7 mesi per gli uomini indipendentemente dal settore lavorativo e per le donne dipendenti della pubblica amministrazione, di 65 anni e 7 mesi per le dipendenti del settore privato e di 66 anni e 1 mese per le autonome e le iscritte alla gestione separata dell'Inps.

Ai lavoratori cui mancano meno di 3 anni per accedere alla pensione sarà permesso, quindi, di richiedere all’Inps la certificazione del requisito per poter accedere al beneficio che permetterebbe di anticipare la pensione grazie a prestiti concessi dalle banche ma erogati dall’Inps che sarebbero poi restituiti al raggiungimento dei requisiti per accedere alla pensione di vecchiaia con micro prelievi sull’assegno pensionistico.

A garantire l’importo dell’assegno sarà il montante contributivo raggiunto al momento della richiesta dell’anticipo pensionistico ma il coefficiente di trasformazione con il quale si calcolerà la pensione futura sarà quello al momento in cui si raggiungeranno i requisiti per accedere alle pensione di vecchiaia. In questo modo il lavoratore potrà incrementare la quota C della pro prima pensione a garanzia dell’importo dell’assegno.

Il prestito erogato dalle banche non avrà una garanzia reale poiché se colui che ne beneficia dovesse morire non ci sarà possibilità di rivalsa sugli eredi.  La restituzione del prestito dovrà avvenire in 20 anni anche se riguardo all’Ape sono molti i lati oscuri ancora da chiarire, come ad esempio quali sarebbero i ruoli delle banche che finanzieranno l’uscita anticipata e quale garanzia fornirà loro lo Stato.




lunedì 21 settembre 2015

Riforma pensioni: flessibilità in uscita, opzione donna, opzione uomo e blocca il turn over


L’ipotesi allo studio del governo. Giuliano Poletti riaccende le speranze  per chi spera nella flessibilità pensionistica:” Stiamo lavorando sulle riforma delle pensioni. Sappiamo che c'è un aspetto da risolvere legato a uno scalino alto che blocca il turn over introdotto dalla Legge Fornero.

Il Governo lavora all'uscita anticipata delle donne dal lavoro dal 2016 a 62-63 anni con 35 di contributi: si tratta di una nuova opzione donna - spiegano tecnici dell'Esecutivo - che prevedrebbe, invece del ricalcolo contributivo, una riduzione dell'assegno legata alla speranza di vita e pari a circa il 10% per tre anni di anticipo rispetto all'età di vecchiaia. Senza interventi sulla riforma Fornero le donne del settore privato l’anno prossimo si troveranno di fronte a un nuovo scalino con il passaggio dell’età di vecchiaia da 63 anni e 9 mesi a 65 anni e 7 mesi (1 anno e 10 mesi in più rispetto al 2015).

La penalizzazione sarebbe meno pesante perché non sarebbe previsto il ricalcolo contributivo sull'intera vita lavorativa (come nell’opzione donna che scade quest’anno) ma solo un sistema legato alla speranza di vita. In pratica chi decide di uscire prima avrà un assegno decurtato.

Si studia anche un meccanismo di flessibilità per gli uomini guardando però solo a coloro che hanno perso il lavoro a pochi anni dalla pensione. Si lavora a una sorta di opzione uomo (sempre con decurtazione legata alla speranza di vita) ovvero la possibilità di accedervi con 3 anni di anticipo rispetto all'età di vecchiaia (66 anni e 7 mesi dal 2016) con un taglio dell'assegno legato non al ricalcolo contributivo, ma all'equità attuariale, cioè al tempo più lungo di percezione dell'assegno. Il Governo - spiegano tecnici dell'Esecutivo - studia anche il prestito pensionistico e una sorta di assegno di solidarietà per le situazioni di maggiore disagio, ossia all'anticipo di una parte della prestazione da restituire una volta che si raggiungono i requisiti per la pensione. Per le situazioni di maggiore disagio si ipotizza una ''pensione di solidarietà'', ovvero una sorta di ammortizzatore sociale di accompagnamento alla pensione.

Vediamo le proposte di Cesare Damiano

Pensione anticipata. Tra le varie idee è quella che è risultata a lungo la più gradita ai pensionandi. La soluzione vedrebbe l’uscita dal lavoro esattamente come avveniva nella pensione di anzianità soppressa dalla Fornero ma con qualche anno di ritardo. Età minima 62 anni a cui aggiungere 38 anni di contributi, con 63 anni servirebbero invece 37 anni di versamenti e così via (nella formulazione originaria occorrevano 60 anni di età più 40 di contributi).  Oggi servono 42 anni e 6 mesi per gli uomini e 41 anni e 6 mesi per le donne per accedere alla pensione anticipata (che è il nome dell’istituto, sebbene molti intendono il termine come mera anticipazione della pensione). E’ una delle soluzioni più “difficili” da attuare a causa degli elevati costi: si stima una spesa superiore ai 10 miliardi.

Pensione flessibile con penalizzazioni decrescenti. Età minima 62 anni con 35 anni di contributi: si percepirebbe inizialmente un assegno decurtato dell’8% che andrebbe a scalare fino a raggiungere lo zero (quindi fine della penalizzazione) a 66 anni. Con 41 anni di contributi si conseguirebbe la pensione di vecchiaia indipendentemente dall’età, come accadeva quando era in vigore la pensione di anzianità (all'epoca bastavano 40 anni di contributi).

Sul tema dei pensionamenti flessibili, si potrebbe individuare una strada che si potrebbe tradursi in realtà un nuovo meccanismo di flessibilità, prendendo in esame l'ipotesi Damiano del pensionamento anticipato con la quota 97, seppur con una maggiore percentuale di penalizzazione per ogni anno mancante dal raggiungimento dei termini di pensionamento. Al posto del 2% iniziale, si potrebbe passare ad un 3 o 4%, con l'effetto di arrivare a toccare un tetto massimo attorno al 15% per coloro che decidessero di uscire dal lavoro attorno ai 62 anni di età.

L'intervento per rendere flessibile l'uscita in pensione ci sarà. Ma dovrà essere compatibile con il quadro dei conti pubblici e degli obiettivi definiti dal Def, il Documento di Economia e Finanza con il quale il governo ha definito le stime per il Paese nel prossimo futuro. E quindi non potrà che essere minimo, focalizzato sulle categorie con maggiori problemi. "Sono possibili correttivi per chi è vicino ai requisiti ma in difficoltà con il lavoro", ha spiegato il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan.

domenica 5 luglio 2015

Pensione anticipata si pensa al sistema contributivo



Le ultime notizie sulla riforma delle pensioni 2015 vertono sul progetto per la pensione anticipata presentato da Tito Boeri, presidente INPS.

Il piano presentato da Tito Boeri al governo per la riforma delle pensioni ha lo scopo di consentire una maggiore flessibilità in uscita per permettere l’accesso alla pensione anticipata più facilmente.

I progetti di riforma pensioni vedono nuove forme di prepensionamento incentrate sulla flessibilità in uscita, così da smorzare le problematiche relative alla pensione dei lavoratori precoci e al prepensionamento in generale, moltiplicatesi con l'implementazione della Legge Fornero. Ma ovviamente il tutto ruota sui costi per lo Stato, la tenuta dei conti pubblici e il bilancio dell'INPS, in particolar modo dopo la sentenza della Corte Costituzionale sul blocco della rivalutazione delle pensioni per il biennio 2012/23, ritenuto illegittimo e che ha quindi costretto l'esecutivo a intervenire e a concedere rimborsi parziali ai pensionati. Illustriamo dunque i punti principali del piano di Tito Boeri sul prepensionamento con uscita anticipata e flessibile.

L’obiettivo della riforma è di consentire una maggiore flessibilità in uscita trova tutti d’accordo in linea di principio, nel governo e nell’Inps, ma il punto da definire è quello delle risorse. Tutti d’accordo anche sul testo normativo in cui il nuovo intervento va emanato con la prossima legge di stabilità.

Boeri ha già bocciato, oltre all’ipotesi di staffetta generazionale, la proposta Damiano-Baretta per uscire dal lavoro a 62 anni di età e 35 di contributi con una penalizzazione dell’assegno del 2% l’anno fino ad un massimo dell’8% in quanto ritenuta troppo costosa per la finanza pubblica(8,5 miliardi a regime nel 2030). Così come ha fatto per la “quota 100”, ovvero la possibilità di uscire con un mix tra età e contributi, considerata ugualmente troppo pesante per le casse (costo stimato nel 2019 di 10,6 miliardi).

Il presidente dell’Inps ha indicato come «condivisibile» l’estensione della cosiddetta “opzione donna” anche agli uomini: l’assegno dato in anticipo rispetto all’età di vecchiaia è, in questo caso, calcolato tutto con il metodo contributivo. Probabilmente saranno però rivisti sia l’età anagrafica, sia il minimo di contributi necessari (57 e 58 anni, rispettivamente per le dipendenti e per le autonome, oltre a 35 anni anni di contributi).

Altro punto più volte rimarcato dal presidente dell’Istituto è quello di offrire un aiuto contro la povertà in particolare per i lavoratori tra i 55 e i 65 anni che restano disoccupati e che non hanno ancora i requisiti per andare in pensione. Ma, anche in questo caso, non irrilevante resta la questione risorse.

In ogni caso il cardine di tutto è la flessibilità in uscita con penalità, o meglio uscita anticipata con ricalcolo della pensione col contributivo. In sostanza sarà possibile la pensione anticipata con almeno 35 anni di contributi e con un'età minima compresa tra 57 e 62 anni (qualcosina in più per gli autonomi), e la penalità sarà appunto dovuta al ricalcolo della pensione col sistema contributivo per tutti quei lavoratori che sono nel regime misto retributivo-contributivo. Dunque a quanto pare sarà una scelta degli interessati al prepensionamento, come già accade con l'Opzione Donna, a questo punto estesa anche agli uomini.

Un parziale ricalcolo della pensione col contributivo nel progetto di riforma proposto da Boeri dovrebbe anche riguardare i pensionati che, grazie al retributivo, prendono ora un assegno elevato e potrebbero subire una riduzione come "contributo di solidarietà".

Infatti, come affermato dal presidente dell'INPS, una riduzione delle pensioni calcolate col retributivo è inevitabile perché se si decide di dare l'opportunità della pensione anticipata "le pensioni devono essere più basse (se no il maggiore costo) graverà sui giovani".

Infine, Boeri propone anche una sorta di prestito pensionistico per i lavoratori ultra 55enni che restano disoccupati a pochi anni dalla pensione e senza possibilità di trovare in tempi utili un nuovo impiego.

Insomma, purtroppo per i tanti lavoratori pensionandi in attesa di aggiornamenti, le notizie non sembrano affatto positive perchè è chiaro che nei palazzi romani ci si stia sempre più orientando a progetti che porteranno a importanti riduzioni, che forse toccheranno anche chi la pensione già la sta prendendo.

La soluzione che sembra più accessibile per quel che riguarda il lato economico della manovra e la sua sostenibilità sembra essere quella del sistema contributivo: permettere un pensionamento anticipato fronte di un assegno ridotto ricalcolato interamente con il sistema contributivo.

La soluzione che sembra più accessibile per quel che riguarda il lato economico della manovra e la sua sostenibilità sembra essere quella del sistema contributivo: permettere un pensionamento anticipato fronte di un assegno ridotto ricalcolato interamente con il sistema contributivo.



giovedì 21 maggio 2015

Tito Boeri: ipotesi pensione anticipata, ma con penalizzazioni



In pensione anticipata anche a 60 o 62 anni rinunciando al 20-30 per cento dell’assegno: alzi la mano chi non ci penserebbe almeno un minuto. Sulla carta è la soluzione che fa tutti felici. Più libertà per il lavoratore, meno complicazioni per chi governa (vedi esodati), un’occasione per le imprese che possono assumere persone giovani e più produttive.

La proposta di riforma del sistema pensionistico e assistenziale che prenderà corpo nei prossimi mesi troverà spazio nella prossima Legge di Stabilità.

Diverse le opzioni allo studio del Governo, tutte comunque improntate ad una maggiore flessibilità nell'uscita a fronte di penalizzazioni nella misura dell'assegno.

Cercando di tracciare un possibile scenario dei vari interventi che potrebbe essere adottati (e che dovrebbero trovare una collocazione nella prossima legge di Stabilità), emerge quanto segue :

- Si conferma l'intenzione di superare le rigidità attuali che oggi -salvo eccezioni specifiche - obbligano un lavoratore che vuole andare in pensione ad avere 66 anni e 3 mesi e almeno 20 anni di contributi; oppure di aver maturato almeno 42 anni e oltre di contributi indipendentemente dall’età anagrafica;

- Prospettata l'ipotesi di poter andare in pensione prima delle soglie attuali di età; con una penalizzazione minima sul trattamento di pensione.

Diversi sono gli scenari che si aprono: accanto alla formula dell’uscita flessibile con penalizzazioni”, imperniata sulla pensione con 62 anni e tre mesi di età in presenza di un’anzianità minima di 35 anni e riduzione della pensione, si colloca l'ipotesi della “quota cento”, dove cento rappresenta la somma di età anagrafica e anzianità contributiva (35 anni di anzianità contributiva e almeno 60 anni e tre mesi di età anagrafica). Terza strada: l'opzione per tutti di aderire al metodo contributivo per la liquidazione della pensione.

Costi della flessibilità in uscita

Il pensiero corre, tuttavia, al nodo delle risorse. La flessibilità, infatti, costa (anche se l'azione di rimborso ai pensionati imposta dalla Corte Costituzionale sulla mancata rivalutazione delle pensioni non fermerà la riforma).

I tagli sulla pensione, in caso di esercizio di una uscita flessibile, sarebbero di pochi euro. Stando alle parole del premier, si tratterebbe di un taglio di 20 -40 euro al mese. Devono tornare i conti sia con la Ragioneria dello Stato che con la contabilità dell'Unione Europea.

Completerebbe il quadro della riforma la soluzione di adottare un intervento di questo tipo: erogare un assegno temporaneo al lavoratore che decida di lasciare il lavoro fino alla maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia; somma che dovrebbe poi essere restituita dal pensionato operando dei piccoli prelievi sulla pensione finale.

Nello schema del governo c’è una ulteriore variabile: far pagare di più a chi è andato in pensione almeno in parte con il vecchio sistema retributivo, più generoso del contributivo perché concede più di quanto effettivamente versato nella vita lavorativa. Il presidente dell’Inps Tito Boeri propone di finanziare così parte della riforma: ai redditi più alti potrebbe essere chiesto una sorta di contributo di solidarietà.

In caso di uscita a 62 anni invece che a 66 - spiegano all’Inps - il signor Rossi G verrebbe ridursi l’assegno di circa il 20-30%. Il numero è frutto di una complessa operazione in cui, alla penalizzazione prevista per la parte di pensione calcolata con il contributivo, se ne somma una parte (per almeno il 12 per cento) sulla quota di assegno retributivo. Non è chiaro se l’ipotesi prevede un minimo di contribuzione per l’uscita, ma le indiscrezioni dicono che potrebbe essere concessa anche a 60 anni. Lo schema prevede una opzione ulteriore: usare il sistema in vigore per la cosiddetta «opzione donna» che oggi permette di uscire con 57 anni di età e 35 di contributi.


martedì 4 novembre 2014

Pensione anticipata: Opzione Donna contro INPS su contributivo donne



Con l’avvicinarsi della scadenza, molte lavoratrici riunitesi nel Comitato Opzione Donne hanno annunciato battaglia al’INPS tramite una serie di ricorsi. Intanto, in Parlamento sono approdate diverse proposte per ammorbidire l’interpretazione INPS o prorogare la misura di qualche anno.

Il Comitato Opzione donna ha promosso una Class action contro l'Inps per due sue circolari del 2012, che hanno modificato l'applicazione della legge Maroni del 2004, la quale permetteva in via sperimentale alle donne con 57 anni e 35 di contributi, di andare in pensione con il sistema retributivo fino al 2015. L'iniziativa è stata presentata a Montecitorio dalla presidente del Comitato, Dianella Maroni. Le circolari dell'Inps contestate dal Comitato, sono state emanate dall'istituto nel marzo del 2012, introducendo dei requisiti diversi da quelli dalla legge del 2004, che taglia fuori tutte le donne che maturano i requisiti nel 2015.

Il Comitato protesta contro questa interpretazione, che di fatto pone dei paletti a una legge dello Stato, utilizzando lo strumento della class action, chiedendo all’INPS di ritirare le due circolari del 2012 che inseriscono i limiti sopra descritti, che diffida l'Inps a riformare le due circolare entro 90 giorni.

Innanzitutto che cosa è la class action, possiamo definirla come è il procedimento disciplinato dall’art. 140-bis del Codice del consumo (d.lgs. 206 del 2005) sotto la rubrica “azione di classe” o azione giudiziaria collettiva. Il processo può essere attivato da ciascun soggetto danneggiato, anche mediante associazioni cui dà mandato o comitati cui partecipa.

Si tratta di uno strumento di tutela collettiva risarcitoria idoneo ad ottenere il risarcimento del danno subito da un gruppo di cittadini a causa dell’illecito seriale prodotto da un soggetto professionale. Tale azione si rivela particolarmente utile in tutte quelle situazioni nelle quali si controverte per importi di valore contenuto e dunque il consumatore tende generalmente a rinunciare alla difesa dei propri diritti.

Il fine e chiedere di togliere i paletti posti alla cosiddetta Opzione Donna: l’istituto di previdenza ha di fatto limitato la possibilità per le lavoratrici di ritirarsi in anticipo accettando in cambio di calcolare l’assegno previdenziale interamente con il metodo contributivo. La legge (Riforma Maroni sulle Pensioni: legge 243/2004, articolo 1, comma 9) concede questa possibilità di pensione anticipata fino a fine 2015, mentre le regole INPS la limitano al novembre per le dipendenti e a maggio per le autonome. La class action mira a risolvere la questione, aperta con le circolari INPS n.35 e n.37 del 2012.

Ricordiamo che la Riforma delle Pensioni Maroni prevedeva che le lavoratrici potessero andare in pensione a 57 anni se dipendenti e a 58 anni se autonome, in entrambi i casi con almeno 35 anni di contributi, e applicando l’adeguamento alle speranze di vita (tre mesi in più dal primo gennaio 2013). In cambio del ritiro anticipato, la lavoratrice accetta una decurtazione della pensione, che viene calcolata interamente con il metodo contributivo.

La legge prevede che quest’opzione sia esercitabile fino alla fine del 2015, ma l’INPS con le due circolari sopra citate ha inserito dei paletti, prevedendo anche che entro la fine del 2015 la lavoratrice dovesse aver maturato i requisiti per la decorrenza del trattamento pensionistico. In pratica, in questo modo ha anticipato la scadenza alla fine di maggio 2014 per le autonome e a fine novembre 2014 per le dipendenti. Questo, perché le finestre mobili prevedono appunto rispettivamente 18 e 12 mesi per ottenere l’assegno previdenziale dopo aver maturato i contributi per la pensione.

Dianella Maroni ha spiegato, in base a una tabella dell'Inps, che l'applicazione della cosiddetta Opzione Donna costa 554 milioni fino al 2019, ma che ne fa poi risparmiare 1.729 fino al 2041 (l'anno fino al quale, in base alle aspettative di vita, le beneficiarie percepirebbero l'assegno), perché le pensioni sono più basse essendo calcolate con metodo contributivo puro.

"Oltre a questo risparmio - ha osservato - c'e' anche un vantaggio sociale ed uno economico: noi donne portiamo nelle nostre famiglie un welfare naturale, e inoltre, andando in pensione, liberiamo dei posti di lavoro". Sono circa 6.000 le donne che potenziali beneficiarie di questa Opzione, molte delle quali per di più hanno ora perso il lavoro, e sono così prive di reddito.

L’opzione contributiva (legge 243/2004, articolo 1, comma 9) consente alle donne con 35 anni di contributi versati di andare in pensione anticipata a 57 anni e tre mesi di età se dipendenti e a 58 anni se autonome, rinunciando alla parte retributiva dell’assegno previdenziale (decurtazione media del 25-30%). Dopo i drammatici effetti della Riforma Fornero, le lavoratrici hanno scelto in massa questa possibilità pur di salvare il salvabile: aspettare la pensione di vecchiaia significa infatti lavorare anni in più e magari vedersi cambiare per l’ennesima volta le regole retroattivamente, con tanto di crisi alimenta che l’incertezza economica e lavorativa.

In teoria questo diritto è previsto fino al 31 dicembre 2015 ma nella pratica la situazione è più complessa. Perché? Il motivo è contenuto nella Circolare 35/2012dell’INPS, secondo la cui interpretazione della norma la data va intesa come scadenza per l’accesso alla pensione tenendo conto della finestra mobile. Quindi, contando 18 mesi + 1, per le autonome il termine è comunque scaduto ma per le dipendenti private (12 mesi + 1) si arriva a novembre e per quelle pubbliche a fine dicembre.
I requisiti per la pensione anticipata E indicizzazioni Almeno un anno di lavoro in più per le donne che inseguono la pensione di vecchiaia, mentre solo un mese in più per chi aspira alla pensione anticipata: sono i primi cambiamenti sulle pensioni dal 2014, in base ai vari scatti previsti da precedenti normative alla Legge di Stabilità, che ha introdotto anche un ritorno all’indicizzazione (parziale) per assegni tre volte sopra il minimo ed un nuovo contributo di solidarietà sulle pensioni d’oro.
Innalzamento dei requisiti pensionistici delle donne (dipendenti private e lavoratrici autonome), in base alla Riforma Fornero (Legge 214/2011, il Salva Italia), con incremento a scaglioni dei requisiti per andare in pensione di vecchiaia ed equiparazione uomo-donna dal 2018. Il calendario:

2014: 63 anni e nove mesi (nel 2013 bastavano 62 anni e tre mesi) per le dipendenti private; 64 anni e nove mesi per le autonome (12 mesi in più rispetto allo scorso anno).

2016: 65 anni più l’adeguamento alle aspettative di vita per le lavoratrici del privato, 65,6 più l’adeguamento alle aspettative di vita per le autonome;

2018: 66 anni per tutti, più l’adeguamento alle aspettative di vita.


domenica 8 settembre 2013

L'esodo incentivato sì ai prepensionamenti

Ancora nessuna novità per quanto riguarda i Quota 96 del comparto scuola, mentre arriva il si definitivo per i pensionamenti statali anticipati dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche.

È previsto, secondo quanto contenuto nel decreto legge 101 del 31 agosto 2013 che detta le disposizioni urgenti per il proseguimento degli obiettivi di razionalizzazione nella pubblica amministrazione, l'allungamento per i dipendenti pubblici, dei requisiti in vigore prima dell'approvazione della Riforma Fornero fino al 2015.

Il recente decreto sui precari della pubblica amministrazione ha diramato alcune istruzioni chiave per favorire l’uscita dal lavoro di quei dipendenti prossimi alla pensione e, insieme, raggiungere le quote di esuberi introdotte con le leggi recenti, su tutte la spending review 2012 di montiana memoria.

Ha trovato quindi tutte le regole applicative la procedura di esodo incentivato di lavoratori dipendenti prevista dalla legge 92/2012, che può essere usata da qualsiasi datore di lavoro con più di 15 dipendenti. Il ministero del Lavoro ha diffuso infatti le circolari 24/2013 e 33/2013, alle quali l'Inps ha fatto seguire la circolare 119 del 1° agosto 2013. A questo punto, le imprese hanno la concreta possibilità di valutare se sia conveniente sostenere il costo di un sostanziale pensionamento anticipato dei lavoratori più anziani, dirigenti compresi.

L'esodo incentivato può essere utilizzato nel quadro di una ristrutturazione aziendale coerente con l'obiettivo di concentrare l'attività in particolari settori. O ancora, nel medio termine, può rendere possibile, attraverso un ricambio generazionale, un più efficace utilizzo del personale.

Una serie di accordi collettivi tra le parti produce la cessazione del rapporto per i lavoratori che matureranno i requisiti minimi di pensione entro 48 mesi. Questi lavoratori, a partire dal mese successivo all'ultima retribuzione e fino alla data della pensione, riceveranno dall'Inps, ma con onere a carico del datore di lavoro, una indennità mensile e l'accredito della contribuzione figurativa fino alla data della pensione. Al maturare della pensione, la persona interessata incasserà una rata di pensione che rispetto alla prestazione prima a carico del datore di lavoro, risulterà più alta, per i contributi figurativi accreditati nel frattempo.

Il primo passo da fare, per le aziende, è la stesura degli accordi. Questi possono essere di tre tipi.

Il datore di lavoro può trovare un'intesa preliminare con le maggiori sigle sindacali aziendali per operai, impiegati e quadri, ovvero per il personale dirigente, con uno dei sindacati che hanno firmato il Ccnl. Questi due tipi di accordi sulla riduzione del personale sono la premessa dell'accordo individuale tra datore di lavoro e lavoratore, con cui si ha la risoluzione consensuale del contratto di lavoro e l'esodo volontario del lavoratore dipendente. Se un lavoratore decide di non firmare o non ha i requisiti di pensionabilità, l'accordo collettivo è senza effetto nei suoi confronti, ma resta valido per i lavoratori aderenti.

Il terzo tipo di accordo, che dà luogo a un esodo obbligatorio, è inserito nella procedura di licenziamento collettivo con le regole della mobilità, in base agli articoli 4 e 24 della legge 223/91. Questa procedura seguirà il suo iter naturale, con l'unica differenza che il licenziamento non darà luogo alla mobilità, ma alla corresponsione della prestazione di importo pari al trattamento di pensione maturato fino a quel momento. Va segnalato, tra l'altro, che se il singolo lavoratore non ha i requisiti di pensionabilità, l'accordo ex mobilità, che in teoria dovrebbe decadere, resta in vita per quanti sono in possesso dei requisiti (si esprime in questo senso la circolare del ministero del Lavoro 33/2013). L'incentivo all'esodo risulta alternativo anche all' Aspi e il datore di lavoro, già soggetto all'onere dell'esodo, non deve versare all'Inps il contributo di licenziamento.

L'incentivo è composto da due parti. La prima è quella che la legge e le circolari chiamano «prestazione»: sul piano fiscale, è una indennità sostitutiva della retribuzione che viene meno per la cessazione del rapporto di lavoro. Come tale, questa prestazione ha natura retributiva ed è soggetta a tassazione ordinaria (in base all'articolo 2, comma 6 del Tuir); non è reversibile, ma genera una pensione indiretta per i superstiti. Di fatto, invece, la «prestazione» è una pensione anticipata, perché il suo ammontare è pari al trattamento di pensione che sarebbe maturato alla data di cessazione del rapporto di lavoro. La seconda componente dell'incentivo all'esodo è la contribuzione figurativa che il datore di lavoro, mese per mese e fino alla data in cui l'esodato consegue i requisiti minimi di pensione, versa all'Inps o al Fondo previdenziale di appartenenza. La base imponibile sulla quale sono calcolati i contributi, in base all'aliquota contributiva prevista (il 33%), è la media delle retribuzioni mensili degli ultimi due anni prima della cessazione del rapporto di lavoro: il calcolo considera gli elementi continuativi e non continuativi e le mensilità aggiuntive.

Le indicazioni della spending review sul personale in sovrannumero negli enti pubblici specificavano che il 20% dei dirigenti e il 10% del personale andasse inserito nelle liste in eccesso, alle quali potevano essere riconosciuti i vecchi requisiti in termini di età pensionabile.
La data limite di questo adempimento, era fissata, per tutti coloro che rientrassero nel computo del personale in oggetto, al 31 dicembre 2014. C’è, però, un aspetto da tenere in considerazione: quello della finestra di 12 mesi, che rende possibile il rinvio alla fine del 2014.
Secondo il decreto precari nella pubblica amministrazione, dunque, l’obbligo per gli enti in grado di dare vita ai piani di allontanamento dei lavoratori più longevi, è quello del licenziamento dei diretti interessati che siano in possesso dei requisiti ante riforma Fornero entro la fine, appunto, del 2014.

Un altro aspetto innovativo del decreto precari, in riferimento ai prepensionamenti, riguarda l’applicazione dei minimi per accedere alla pensione – sempre pre riforma – a coloro che avessero le credenziali in regola al 31 dicembre 2011.

domenica 25 novembre 2012

Contributi 2013 ricongiunzione da INPDAP a INPS

La ricongiunzione dei contributi è quell’istituto che permette, a chi ha posizioni assicurative in gestioni previdenziali diverse, di riunire, mediante trasferimento, tutti i periodi contributivi presso un’unica gestione, allo scopo di ottenere una sola pensione. In Italia i lavoratori, dal 1979 è possibile ricongiungere in un solo fondo i contributi versati a diverse casse previdenziali.

I contributi in questione possono riferirsi all’assicurazione generale obbligatoria o alle gestioni speciali per i lavoratori autonomi (gestite dall’Inps) o riferibili all’assicurazione generale vincolante per i lavoratori.

La manovra del governo ha dimenticato la ricongiunzione dei contributi, che rimangono a titolo oneroso. Il decreto legge tuttavia, prevede delle novità in materia di totalizzazione, abolendo il requisito minimo dei tre anni di contributi, prima necessari per effettuare questa operazione nella singola gestione. In questo modo, la totalizzazione risulta più accessibile rispetto alla ricongiunzione. Se questa opzione non comporta oneri diretti, va ricordato che l'assegno di norma è più leggero. In generale, poi, non ci sono limiti: ciascun lavoratore può accedere all'una o all'altra opzione.

Stabilito che, tutti i periodi contribuitivi valgono ai fini del raggiungimento dei requisiti minimi per la pensione, resta inteso, che, in molti casi, può risultare conveniente riunire la propria posizione contributiva presso un solo ente. I periodi ricongiunti verranno infatti adoperati come se provenissero dal fondo in cui sono stati unificati e pertanto, daranno diritto alla pensione in funzione dei requisiti previsti dal fondo medesimo.

Ricordiamo che questo procedimento era a carico delle gestioni, e quindi totalmente gratuita per gli iscritti, che avevano l’onere di trasferire nel Fondo i contributi riguardanti i periodi ricongiunti, oltre agli interessi (ad un tasso annuo pari al 4,50 per cento).

Dal 1 Luglio 2010 la legge è cambiata mentre prima prevedeva che la ricongiunzione dei contributi previdenziali da Inpdap (ente previdenziale dei dipendenti della pubblica amministrazione) a Inps divenisse onerosa. Onerosa sta a significare che chi vuole cumulare nell’Inps i propri contributi, avendo versato inizialmente a Inpdap e successivamente all’Inps, deve versarli nuovamente e con interessi.

In molti speravano che il decreto Salva Italia sanasse questa situazione di iniquità. La nuova manovra invece non ha affrontato il problema. Le uniche modifiche riguardano la soluzione alternativa alla ricongiunzione, ossia la totalizzazione. Per capire se sia conveniente una soluzione piuttosto che un'altra occorre valutare caso per caso. Con il passaggio dalla ricongiunzione a titolo gratuito a quella a pagamento si è voluto evitare che le lavoratrici dipendenti del settore pubblico aggirassero l'ostacolo dell'innalzamento dell'età pensionabile prevista per la loro categoria (61 anni dal 2010 e 65 anni dal 2012, ora divenuti 66 per effetto del decreto legge 201/2011, in legge 214) trasferendo i propri contributi all'Inps. Con questa mossa l'Istituto avrebbe pagato la pensione al compimento del 60esimo anno di età.

Quindi ai lavoratori che hanno versato i contributi previdenziali in diverse casse, gestioni o fondi previdenziali – e ai quali ora si chiedono migliaia di euro per la ricongiunzione contributiva - l’unica soluzione accettabile è quella di optare per la totalizzazione, acquisendo gratuitamente il diritto ad un’unica pensione di vecchiaia o di anzianità, seppure rinunciando ai vantaggi ai fini pensionistici che avrebbe comportato il ricongiungimento, gratuito fino al 2010 ma ormai un miraggio per tutti visti i costi stellari.

La ricongiunzione dei contributi previdenziali di casse diverse a pagamento è considerata uno scandalo da molti, ma non dal Ministro Elsa Fornero, che difende la legge 122/2010 sostenendo che «l’imposizione di un onere risponde a criteri di equità tra le categorie».

La totalizzazione rappresenta una soluzione diversa dalla ricongiunzione dei contributi, in primo luogo perché la totalizzazione risulta completamente gratuita, mentre la ricongiunzione può arrivare a costare anche molto caro. In questo caso, però, i contributi non possono essere ricongiunti ad altra cassa o fondo di previdenza.
Un'alternativa alla ricongiunzione è la totalizzazione (Dlgs 42/06) che con la manovra Monti è stata estesa a tutti i periodi contributivi compresi quelli inferiore a tre anni. Le gestioni previdenziali interessate dalla totalizzazione, ciascuna per la parte di propria competenza, determineranno il trattamento pensionistico pro quota in rapporto ai rispettivi periodi di iscrizione sulla base della disciplina del sistema contributivo puro (Dlgs 180/97). Come hanno spiegato Inps e Inpdap, se il lavoratore che effettua la totalizzazione ha già maturato in una delle gestioni previdenziali i requisiti minimi richiesti per il diritto a una pensione autonoma, questo pro quota di pensione sarà calcolato con il sistema di computo previsto nella gestione (retributivo o misto) e, pertanto, non necessariamente con il sistema contributivo.

Della cosiddetta totalizzazione dei contributi possono beneficiare lavoratori dipendenti, autonomi artigiani, commercianti e coltivatori diretti, liberi professionisti, ma soprattutto lavoratori parasubordinati iscritti alla gestione separata.

gli autonomi possono sommare i contributi versati nelle gestioni speciali dei lavoratori autonomi con quelli versati all’INPS come lavoratori dipendenti per attività lavorativa subordinata;

chi ha lavorato all’estero può sommare i contributi versati in paesi dell’Unione Europea o convenzionati con
quelli versati all’INPS;

gli occupati in data successiva al 31.12.1995 possono sommare i contributi INPS con quelli di due o più gestioni;

possono totalizzare i periodi assicurativi, per ottenere un’unica pensione i titolari di posizione assicurativa all’INPGI e all’INPS per altra attività lavorativa subordinata;

chi ha effettuato versamenti all’INPS e all’ENPAL può godere della totalizzatone prevista dalla convenzione stipulata tra i due Enti.

Comunque per richiedere la totalizzazione è necessario: un’anzianità contributiva pari ad almeno tre anni, tranne per i contributivi esteri che però devono rispettare il minimale di contribuzione previsto dalla normativa comunitaria (1 anno) o dalle singole Convenzioni bilaterali;

non aver richiesto e accettato la ricongiunzione dei periodi assicurativi ai sensi della legge 7 febbraio 1979, n. 29 e 5 marzo 1990, n. 45 in data successiva all’entrata in vigore del decreto legislativo n. 42 del 2 febbraio 2006;

non essere titolare di un trattamento pensionistico erogato da una delle gestioni destinatarie della normativa della totalizzazione.
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