mercoledì 7 ottobre 2015

Assenze per malattia e licenziamento


La disciplina del licenziamento del dipendente in caso di assenze per malattia è contenuta nell’art. 2110 del codice civile. Questa norma stabilisce – in un modo che almeno fino ad oggi è risultato oggettivo e insindacabile – il periodo in cui vige il diritto alla conservazione del posto di lavoro (c.d. periodo di comporto) e l’impossibilità di licenziare in ragione della malattia. E lo stabilisce attraverso il richiamo alle specifiche disposizioni contenute nei contratti collettivi, che fissano il tetto massimo di assenze.

Oltre tale limite il lavoratore è immediatamente licenziabile, senza che il datore di lavoro debba fornire alcuna ulteriore ragione o prova: è sufficiente elencare nella lettera di licenziamento i giorni di assenza e la durata complessiva della stessa.

Queste sicurezze sono mutate dopo la sentenza della Corte di Cassazione n. 18678 del 2014, seguita da successivi e recenti provvedimenti del Tribunale di Milano, che stanno aprendo un dinamico dibattito sul tema delle assenze per malattia e del licenziamento per scarso rendimento (Trib. Milano, ordinanze n. 1341, del 19 gennaio 2015 e n. 26212, del 19 settembre 2015).

In questi casi la "giusta causa" e il "giustificato motivo" del licenziamento costituiscono qualificazioni giuridiche di comportamenti ugualmente idonei a legittimare la cessazione del rapporto di lavoro, l'uno con effetto immediato e l'altro con preavviso, fermo restando il principio dell'immutabilità della contestazione e persistendo la volontà del datore di lavoro di risolvere il rapporto. Nel fatto tipico, l’azienda ha correttamente applicato il licenziamento per giustificato motivo.

L’azienda ha denunciato il comportamento del lavoratore, con licenziamento per giustificato motivo oggettivo, applicando la pronuncia della Corte di Cassazione, n. 18678 del 2014 , la quale considera legittimo il licenziamento intimato al lavoratore per scarso rendimento, dovuto ad una eccessiva morbilità, qualora sia verificata, sulla scorta della valutazione complessiva dell'attività resa dal lavoratore stesso ed in base agli elementi dimostrati dal datore di lavoro, una evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente - ed a lui imputabile - in conseguenza dell'enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavoratore e quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento, tenuto conto della media di attività tra i vari dipendenti ed indipendentemente dal conseguimento di una soglia minima di produzione. Quindi è legittimo il licenziamento intimato al lavoratore per scarso rendimento.

Il Tribunale di Milano ha precisato però che il licenziamento non è stato intimato per superamento del periodo di comporto, ma per numerose assenze che hanno interferito con la prestazione lavorativa (nel caso specifico 808 assenze su 1500 giorni di lavoro). Inoltre, il tribunale ha precisato che il datore di lavoro può licenziare un dipendente per giustificato motivo oggettivo se le sue assenze danno luogo a un rendimento così inadeguato da rendere inutile la prestazione. Tuttavia, tale inutilità deve essere provata in concreto, nel senso che le assenze devono rendere inutile la prestazione lavorativa nelle giornate di presenza in azienda. Ciò non è accaduto, in quanto l’azienda non ha provato che l’attività lavorativa svolta dal lavoratore nei giorni di presenza in azienda sia inutile per l’azienda.

Vale a dire la Corte ha affermato la legittimità del licenziamento di un dipendente, decretato in ragione di ripetute assenze “agganciate” ai giorni di riposo e comunicate all’ultimo momento (senza superamento del periodo di comporto), in quanto avrebbero determinato scarso rendimento ed una prestazione lavorativa non proficuamente utilizzabile per il datore di lavoro, incidendo negativamente sulla produzione aziendale.

La seconda ordinanza del Tribunale di Milano ha invece accolto il ricorso del lavoratore licenziato, senza tuttavia disporne la reintegra (stabilendo soltanto il pagamento di un’indennità risarcitoria), avendo ritenuto la non manifesta insussistenza dello scarso rendimento, sulla scorta della seguente considerazione: la società avrebbe dimostrato che l’elevato numero di assenze e le modalità di fruizione delle stesse avrebbero generato un impatto negativo per l’organizzazione aziendale.

La Corte ha chiarito che mentre lo scarso rendimento è caratterizzato da colpa del lavoratore, non altrettanto può dirsi per le assenze dovute a malattia, e quasi a voler rimettere ordine su un tema tanto delicato, ha stabilito: “E poiché è stato intimato per scarso rendimento dovuto essenzialmente all’elevato numero di assenze, ma non tali da esaurire il periodo di comporto, il recesso in oggetto si rivela ingiustificato”.

Come trovare lavoro su LinkedIn


Se state cercando lavoro sul web, non trascurate i social network. Soprattutto quelli professionali. In rete ce ne sono molti, anche se tra i più utilizzati - e frequentati da chi si occupa di selezione delle risorse umane - c'è senz'altro LinkedIn.

Su LinkedIn è possibile stringere nuovi rapporti professionali, mettere in evidenza le proprie competenze, implementare le proprie conoscenze e restare in contatto con le aziende che assumono.

Le relazioni – anche quelle professionali – si spostano sempre più sul filo del web. E il web, di rimando, può aiutare le relazioni che costruiamo a diffondere il nostro nome e il nostro apprezzamento fino a farci trovare il lavoro dei sogni.

Ma bisogna usarlo con consapevolezza ed evitare alcuni errori tanto comuni quanto deleteri.
Dalla creazione del proprio profilo alla costruzione di una rete di relazioni, dalla partecipazione ai gruppi ai contatti con le aziende, il social network offre infatti molte possibilità: la prima cosa da tenere presente è che LinkedIn, a differenza di altri social network, è focalizzato sullo specifico tema del lavoro.

Si dovrà dunque creare un profilo che abbia caratteristiche professionali, che sia sintetico, ma ricco di informazioni, preciso e conciso Altra regola fondamentale è quella di creare una rete di contatti e poi curarla: non lasciare cadere nel vuoto gli inviti che si sono inviati, leggere e commentare ciò che scrivono i propri contatti, proporre temi e argomenti di discussione.

Quindi è importante curare e, soprattutto, aggiornare con costanza il proprio profilo all'interno di questa piattaforma è ormai indispensabile per ricercare opportunità di lavoro e carriera.

Coltivare il proprio network. Per questo è utile collegarsi con i propri colleghi o con persone che lavorano nello stesso settore. Coltivare la rete di contatti significa anche aggiornare periodicamente il proprio profilo e interagire attraverso post e commenti con la propria rete.

Partecipare alle discussioni. Frequentando attivamente i gruppi di Linkedin ponendo domande o commentando gli interventi degli altri non solo si acquisiscono nuove competenze, ma è anche più facile entrare in contatto con potenziali datori di lavoro e collaboratori.

Ottenere segnalazioni. Linkedin, come tutti i social network è uno strumento che si basa sulla collaborazione e la reciprocità. È buona prassi scrivere una segnalazione sulle persone con cui si è lavorato, senza limitarsi soltanto a colleghi e collaboratori, o confermarne le qualità e le competenze secondo il meccanismo di riconoscimento recentemente introdotto sulla piattaforma. È il modo migliore per ottenere segnalazioni.

Il social network professionale da 8 milioni di utenti in Italia ha appena registrato un esordio-boom al primo settembre 2015: +61% degli accessi rispetto all'ultima settimana d'agosto. Marcello Albergoni, head of Italy di LinkedIn, ha spiegato che è solo un segnale di un «grande fermento da entrambe le parti»: le aziende fanno più ingressi e i candidati rinfrescano il curriculum con tutto quello che attira l'attenzione dei datori di lavoro”.

Quali sono i trucchi per aumentare l'efficacia di LinkedIn?

Iniziamo dal riepilogo, il biglietto da visita che riassume in poche righe chi siete, cosa fate e per chi. Albergoni (LinkedIn) consiglia di evitare frasi fatte e termini abusati nel linguaggio delle auto-presentazioni. Una ricerca a firma della stessa LinkedIn, risalente al 2014, ha stilato una top 10 dei termini più inflazionati sul web. Nell'ordine: i candidati italiani amano qualificarsi come «esperti», «creativi», «specializzati», «appassionati» e «motivati». Hanno lavorato o vogliono lavorare in «multinazionali», senza specificare dove e in che ruolo. Pensano in maniera «strategica», sono esperti (appunto…) in «problem solving» e gestiscono la vita con spirito «dinamico».

Albergoni consiglia di rimpiazzare i luoghi comuni con quello che è registrato e dimostrabile, le esperienze. Ad esempio, se si parla di «motivazione», bisognerebbe «provare a inserire alcuni esempi che dimostrino chiaramente la propria motivazione». Come? «Semplicemente caricando nel curriculum esempi significativi a dimostrazione dei risultati ottenuti con il proprio lavoro». «La descrizione personale o meglio il riepilogo, che non deve superare le 400 parole, deve essere come i paragrafi introduttivi della miglior lettera di presentazione mai scritta: deve essere concisa ma al tempo stesso estremamente chiara sulle qualifiche e gli obiettivi».

Per i nuovi ingressi. Non è frequente, per un neolaureato, vantare trascorsi diversi da tirocini low cost, borse di studio o soggiorni all'estero. Secondo Francesca Contardi, managing director di Page Personnel Italia, la soluzione sta nel dare peso a tutto quello che forma le competenze extra-professionali: da una tesi di laurea sperimentale a un campo estivo di volontariato. «Se è un neolaureato si può concentrare sul percorso di studi fatto, il tipo di tesi che si è svolta, esperienze di studio all'estero. Tendono a essere tenuti in ombra, quando sono competenze che indicano un carattere intraprendente e stimolante per un datore di lavoro».

In ogni caso, dagli universitari agli ingegneri senior, le regole sono due: precisione e chiarezza. Un binomio che si incrocia spesso, viste le “concessioni” che diversi utenti fanno alla propria carriera: «Ci sono quelli che, da direttore commerciale, si trasformano in country manager sul web – fa notare la Contardi -. Il punto è che le informazioni sono online e alla portata di tutti, quindi informazioni parziali o fittizie rischiano di ritorcersi contro chi le ha pubblicate».

Lo stesso principio vale per le competenze, la griglia di capacità che salta all'occhio quando si clicca su un profilo. Lorenzo Selmi, senior manager di Technical Hunters consiglia di essere «il più specifici possibile», con una descrizione realistica delle proprie abilità. A cominciare dalle lingue: meglio non parlare di «conoscenza professionale completa» dell'inglese se si è digiuni del gergo tecnico. «Conoscenza professionale completa dell'inglese non significa saper andare al bar, significa sapersi muovere in un contesto lavorativo con confidenza. Bisogna essere chiari ed esprimere il proprio livello, cosa che è anche più interessante per un recruiter» dice Contardi, di Page Personnel.

LinkedIn stima che la presenza delle skill online moltiplichi di 13 volte tanto la possibilità di essere notati, oltre a rappresentare un «brand professionale» di sé. Il trucco sta nell'usare termini chiave, utili per essere rintracciati dalle aziende a seconda di posizione aperta e area geografica. «È importante individuare le parole e gli slogan più accattivanti nelle offerte di lavoro che potrebbero interessarti e nei profili degli utenti che ricoprono posizioni simili a quelle a cui aspiri» dice Albergoni.

Legittimo controllare il lavoratore tramite un’agenzia investigativa


Il datore di lavoro ha il potere / dovere di controllare l'attività del dipendente sia in riferimento all'attività lavorativa che alla salvaguardia del patrimonio aziendale.

Questo gli è consentito quale capo dell'impresa e titolare del predetto potere e si manifesta nella facoltà di impartire disposizioni al lavoratore per la corretta esecuzione dell'obbligazione e la disciplina del lavoro nonché, più in generale, sull'esatto adempimento dell'obbligazione lavorativa.

Il potere di controllo è una delle modalità con le quali si realizza il potere direttivo. Non si tratta solo di impartire disposizioni, ma più in generale, di controllare l'esatto adempimento dell'obbligazione di lavoro anche con riferimento alla diligenza richiesta dalla natura della prestazione e di tutelare la proprietà aziendale contro eventuali furti o danni.

Si tratta, tuttavia, di un campo nel quale si contrappongono interessi diversi: da un lato quello del datore di lavoro di poter verificare la puntualità dell'adempimento e di salvaguardare l'apparato strumentale mediante il quale il lavoro viene reso e, dall'altro, i valori di riservatezza, libertà e dignità del lavoratore.

Il potere di controllo del datore di lavoro è riconosciuto e tuttora regolato nel titolo primo dello Statuto dei Lavoratori che legittima, peraltro, non solo il controllo avente ad oggetto la prestazione lavorativa in sé considerata, ma ammette anche un potere di controllo che è stato chiamato para od extra contrattuale in quanto privo di connessione diretta e immediata con l'obbligazione di lavorare.

Quando facciamo riferimento allo Statuto dei Lavoratori, l'attenzione va immediatamente agli articoli dello stesso che regolamentano il divieto di utilizzare, a scopo di vigilanza, guardie giurate e personale occulto, nonché il divieto di uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza.

Nella pratica quotidiana, e qui sta l'equivoco, accade che l'imprenditore tenda a considerare molto ristretto il campo del suo potere di controllo, ovvero quale sia il confine tra quello che può e non può fare, fino a dove si può spingere. Ovviamente non è così, il campo non è affatto ristretto. Ce lo conferma la Suprema Corte con una pluralità di pronunce, recenti ed anche meno.

Un dipendente già licenziato per giusta causa dopo  esser stato raggiunto da contestazione disciplinare, faceva opposizione all’ordinanza di rigetto del ricorso precedentemente proposto per vedere riconosciuta l’illegittimità del licenziamento. Il tribunale di Milano accoglieva l’istanza del lavoratore subordinato, rilevando un eccesso di mezzi rispetto allo scopo che più interessava e sostenendo che, pur non essendo impedito alcun controllo circa la corretta esecuzione della prestazione lavorativa del dipendente che svolga all’esterno dell’azienda  la propria attività, il datore di lavoro deve comunque rivolgersi ad agenzie investigative solo a fronte di un principio giustificativo, con modalità di controllo il meno invasive possibile e solo ed esclusivamente quando non sono consentiti altri strumenti di controllo. Nel caso di specie, il giudice ritiene dunque illegittimo il controllo del dipendente da parte del datore, tramite un’agenzia investigativa, rilevando violazione dell’Art. 8 dello Statuto dei Lavoratori, nonché della privacy del dipendente. Con la sentenza  del 23 aprile 2014, il tribunale annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro al reintegro e ad un risarcimento del danno. Il datore di lavoro propone reclamo in base alla legge n. 92 del 2012.

La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 4 agosto 2015, n. 755,ha stabilito che è legittimo da parte del datore di lavoro utilizzare i servizi di una agenzia investigativa per controllare l’attività del lavoratore. Nel caso di tipico tale scelta aveva come scopo quello di verificare la correttezza del dipendente nell’esecuzione della prestazione lavorativa, che spesso si svolgeva al di fuori della sede aziendale, l’unico mezzo per accertare la correttezza dell’attività svolta e sincerarsi che non venissero commessi illeciti, era il ricorso ad una agenzia investigativa in possesso di regolare licenza.
Il principio di diritto è quello oramai consolidato: è il riconoscimento della legittimità di tutti i controlli che mirino ad accertare eventuali illeciti commessi dal lavoratore. Deve trattarsi, in buona sostanza, di un controllo non sugli inadempimenti contrattuali, ma su eventuali illeciti che pongano in pericolo il patrimonio aziendale o siano in sé tanto gravi da giustificare una sanzione disciplinare, anche la più grave. Una volta verificato l'illecito con le dovute cautele l'agenzia investigativa redigerà e consegnerà al datore di lavoro un proprio elaborato con le conclusioni alle quali è giunta


Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...
BlogItalia - La directory italiana dei blog