sabato 9 novembre 2013

Ministro Carrozza sull’Università: in pensione i professori di settant’anni



«A 70 anni i professori universitari, se fossero generosi e onesti, dovrebbero andare in pensione, e offrirsi di fare gratuitamente seminari, seguire laureandi, o offrire le proprie biblioteche all’università», con queste parole il ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza ha sentenziato la situazione della docenza universitaria.

Risultato: fuga dei cervelli e baronie universitarie al centro di un’intervista a Radio24. Il ministro ha usato toni aspri con i «baroni»: «chi vuole rimanere in ruolo oltre i 70 anni offende la propria università e offende i giovani. Sono sempre stata per un pensionamento rapido, magari non uguale per tutti. Ma non si può tenere il posto e pretendere di rimanere, solo perché è un diritto. Prima di tutto bisogna pensare ai propri doveri. In un momento di sacrifici per tutti, a maggior ragione li devono fare le persone che hanno 70 anni, e che hanno avuto tanto da questo mondo».

Il ministro ha attaccato anche il blocco del turnover negli atenei: «abbiamo pensato di risparmiare, bloccando il turnover per anni, il che significa la morte nell’università e nella ricerca», ha poi continuato, spiegando che «risparmiare sul turnover significa chiudere le porte a ciò che è fondamentale per l’università: il ricambio generazionale».

Quindi le parole d’ordine del ministro sono: pensionamento rapido, blocco del turnover, provvedimenti per invogliare i talenti in fuga all'estero a rientrare in Italia, offrendo loro una cattedra "da professori". E non un contratto da semplici ricercatori.

Il ministro, potrebbe proporre una disciplina delle pensioni dei professori universitari diversa dall'attuale. "Sono stata sempre per un pensionamento rapido - prosegue la Carrozza - magari non uguale per tutti. Ma non si può tenere il posto e pretendere di rimanere solo perché è un diritto".

Piano d'azione generale per contrastare la fuga dei cervelli all'estero. Un progetto in tre punti: portare il turnover oltre il 50% (proposito già avviato nei primi mesi di governo), utilizzare le poche risorse a disposizione tutte su un programma per giovani ricercatori, premiare gli atenei che scelgano giovani ricercatori come responsabili dei team.

Il lavoro preparatorio ruota attorno a quali incentivi introdurre per favorire il rientro dei ricercatori italiani dall'estero. "Non si può fare l'attrazione con i contratti a termine – ha sottolineato Carrozza - ma occorre rendere 'professore' chi rientra, con una posizione decorosa e degna dello sforzo che ha fatto per tornare in Italia". Portando, come esempio, la sua esperienza di giovane ricercatrice: "Io ho potuto fare la carriera che ho fatto solo perché mi trovavo in un luogo dove si privilegiava l'indipendenza, l'autonomia e la capacità di leadership".

Sul recente varo dell'aggiornamento del programma di rientro dei cervelli 'Rita Levi Montalcini', il ministro ha dichiarato: ''A differenza del passato, stavolta garantiremo il consolidamento dei ricercatori in arrivo dall'estero all'interno del sistema universitario. Non si può fare l'attrazione con i contratti a termine, occorre rendere chi rientra professore, con una posizione decorosa e degna dello sforzo che ha fatto per tornare in Italia''.



domenica 3 novembre 2013

Parlamento italiano gli stipendi in tempi di crisi



Crisi economica, stipendi ridotti, concordati preventivi e fallimenti ? Per molti, ma non per tutti. Certamente non, per i parlamentari, che il loro ricco stipendio se lo trovano in ogni caso accreditato sul proprio conto corrente ogni mese, puntualmente. Ma a guardar bene non sono soltanto deputati e senatori a godere di ottimi ingressi: anche chi a Montecitorio ci lavora, pur non essendo un eletto, se la passa “egregiamente”.

I risultati secondo la «United for a fair economy», organizzazione che da Boston si batte contro la diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza. Dice una loro ricerca che se nel 1940 un amministratore delegato guadagnava 14 volte un lavoratore medio, oggi la proporzione è salita a 531 contro 1. E ci sono casi dove la distanza tra la base e il vertice di un’azienda è ancora maggiore: come per la Fiat, dove Sergio Marchionne guadagna 1.037 volte il suo dipendente medio. Un’esagerazione, la naturale evoluzione del capitalismo, oppure la giusta distanza? In ogni caso l’esatto opposto di quello che viene fuori sfogliando le tabelle allegate al bilancio della Camera dei deputati, in questi giorni all’esame dall’Aula. La distanza fra base e vertice è minima, la piramide delle busta paga si schiaccia come nemmeno negli Stati Uniti del 1940. E non perché la retribuzione dei vertici sia bassa, ma perché quella della base è molto elevata.

Il vertice di Montecitorio, il segretario generale, ha stipendio e responsabilità analoghe a quelle dell’amministratore delegato di una grande azienda: entra con uno stipendio di poco superiore ai 400 mila euro lordi l’anno, ai quali si aggiunge l’indennità di funzione.

Ma è scendendo verso la base nella piramide che cresce vertiginosamente la distanza delle retribuzioni dal mercato. Gli operatori tecnici - categoria nella quale rientrano i centralinisti, gli elettricisti e pure il barbiere di Montecitorio - vengono assunti con uno stipendio che supera di poco i 30 mila euro lordi l’anno. Ma già dopo 10 anni la loro busta paga è quasi raddoppiata, superando quota 50 mila, e a fine carriera può arrivare a 136 mila euro l’anno. Tradotto: un elettricista, un centralinista e un barbiere della Camera, anche se a fine carriera, messi insieme guadagnano quanto il segretario generale, che è pur sempre a capo di 1.500 persone.

E una fotografia che ha davvero poco a che fare con le busta paga dei lavoratori “normali”, sia del settore privato che di quello pubblico. Per capire: il reddito medio degli italiani, al netto della nostra evasione fiscale record, si ferma di poco sotto i 20 mila euro lordi l’anno. Quasi la metà di un centralinista della Camera dei deputati ad inizio carriera. E di esempi possibili ce ne sono altri ancora. Gli oltre 400 assistenti parlamentari, cioè i commessi di Montecitorio, guadagnano in media come il direttore di una filiale di banca, eppure in generale non svolgono compiti molto diversi dagli uscieri di altri simili uffici pubblici. Inoltre, sono numerosissimi: 0,7 per ogni deputato, dopo il taglio voluto dall’attuale segretario generale, mentre dieci anni fa il rapporto era addirittura 1 a 1.

La busta paga degli oltre 170 «consiglieri parlamentari» ha in media lo stesso peso di quella di un primario ospedaliero, ma a fine carriera supera i 350 mila euro l’anno. Mentre il primario ha la responsabilità di un reparto, i consiglieri si limitano a svolgere attività di studio e ricerca, o di assistenza giuridico legale e amministrativa.

In realtà a complicare i calcoli c’è anche quella moltitudine di indennità che si aggiungono allo stipendio minimo e che riguardano tutti i livelli dell’amministrazione: dai 662 euro netti mensili riservati al segretario generale giù fino ai 108,97 euro, sempre netti e al mese, per gli autisti parcheggiatori, passando per gli 85 riservati a chi lavora in cucina e per i 108 incassati dagli addetti al recapito della corrispondenza.

In Italia le imprese chiudono, gli imprenditori si ammazzano, le famiglie non ce la fanno più a pagare le tasse. Ma che lavoro in Parlamento problemi di soldi non ne ha: è il bello che tutti quegli stipendi d’oro glieli paghiamo noi cittadini.


Osservatorio Mercer 2013 stipendi neolaureati in UE



Primo contratto in Francia: 35mila euro. Primo contratto in Germania: 40mila euro. E in Italia? Lo scarto si allarga: addirittura 15mila euro.

Una recente ricerca dell'Osservatorio Mercer 2013 sul costo del lavoro, a messo in evidenza che i neolaureati assunti nel nostro paese percepiscono mediamente una retribuzione annua lorda di 25mila euro. Nulla a che vedere con i colleghi di Berlino che sempre secondo i dati forniti dalla ricerca ne incasserebbero almeno 10mila in più.

L'indagine condotta dall'Osservatorio Mercer è stata redatta su un campione di 340 aziende italiane o stanziate in Italia, con fatturato medio sopra ai 128 milioni di euro e con un organico di circa 260 dipendenti. Nello specifico la ricerca racconta che un disegnatore meccanico in Italia, con un anno e mezzo di esperienza in curriculum può ambire a un massimo di 24mila euro annui, diversamente da quanto potrebbe attingere da Londra, ovviamente considerando anche il cambio in sterline, la sua parcella salirebbe di circa 41mila. Senza dimenticare benefit e scatti di carriera, con il doppio criterio di competenze specifiche e anni di esperienza: più competenze hai, maggiore è il premio salariale, più anni di produzione accumuli, maggiore è il fisso netto.

Secondo Elena Oriani, direttrice di Mercer Italia: "I neolaureati italiani costano poco rispetto a francesi, tedeschi e inglesi. Questa è un'opportunità per le multinazionali del nostro paese, che potrebbero reclutare giovani italiani e inserirli in un sistema di rotazione cross-countries, accrescendo così la cultura internazionale dell'azienda, prima che il giovane italiano si rivolga autonomamente all'estero per avviare la propria carriera".

I bonus erogati nel 2013 sono scesi fino al 20%: incentivi alleggeriti di 20mila euro rispetto al target prefissato.

Sempre secondo la ricerca le donne percepiscono uno stipendio dell'8% più basso rispetto ai colleghi uomini, nulla di nuovo in questo senso, anche se la forbice si restringerebbe scalando le gerarchie aziendali fino alla posizione di direttore generale o direttore di prima linea. La forbice si restringe nelle posizione di direzione. O meglio, si restringerebbe: scalando le gerarchie aziendali fino alla posizione di direttore generale o direttore di prima linea, le "quota rosa" aziendali tendono allo zero.

I numeri sono confermati dalla ricerca. Che avanza una proposta: piani per intercettare i talenti in fuga, inserendoli in schemi di formazione internazionale. Il ragionamento è lineare, soprattutto per colossi con una fatturazione sopra i 200 milioni: «I neolaureati italiani costano poco rispetto a francesi, tedeschi e inglesi - spiega Elena Oriani, direttrice di Mercer Italia -. Questa è un'opportunità per le multinazionali del nostro paese, che potrebbero reclutare giovani italiani e inserirli in un sistema di rotazione "cross-countries", accrescendo così la cultura internazionale dell'azienda, prima che il giovane italiano si rivolga autonomamente all'estero per avviare la propria carriera».


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