mercoledì 28 settembre 2016

Lavoro accessorio e voucher: comunicazione preventiva e sanzioni



Con lavoro accessorio si è intende quelle prestazioni lavorative non riconducibili alle tipologie contrattuali tipiche del lavoro subordinato o del lavoro autonomo, ma caratterizzate da un limite prettamente economico e dal pagamento attraverso dei buoni lavoro o voucher.

Nuove regole per l’utilizzo dei buoni lavoro voucher Inps. In relazione a ciascun lavoratore per cui è stata omessa la nuova comunicazione preventiva di avvio della prestazione è prevista l’applicazione di una sanzione amministrativa per la quale non sarà possibile avvalersi dell’istituto della diffida. Non è prevista, invece, alcuna riduzione della sanzione qualora la comunicazione sia stata effettuata tardivamente.

Ricordiamo che le prestazioni di lavoro accessorio sono le attività lavorative di natura occasionale che  possono essere retribuite con i cosiddetti voucher lavoro per un totale massimo di 7.000 euro (netti per il lavoratore)  nel corso di un anno solare (annualmente rivalutati), con riferimento a tutti i datori di lavoro.

Ma attenzione: il limite di retribuzione tramite voucher che ogni lavoratore può ricevere da un impresa commerciale o da professionista, è di 2mila euro netti.

Il limite di compensi per i soggetti percettori di indennità di mobilità o cassa integrazione nel 2016 è invece pari a 3mila euro.

Ciascun buono lavoro, che viene emesso telematicamente dall'INPS, ha un valore netto in favore del lavoratore di 7,50 euro e corrisponde al compenso minimo di un’ora di prestazione, al costo di 10 euro per il datore di lavoro (salvo che per il settore agricolo, dove si fa riferimento al contratto specifico).

Con tali buoni lavoro vengono quindi garantiti:

il compenso per il lavoratore,

la copertura previdenziale INPS (pensione)

quella assicurativa presso l'INAIL.

Il voucher per il lavoro accessorio non dà invece diritto alle prestazioni a sostegno del reddito dell'INPS (disoccupazione, maternità, malattia, assegni familiari ecc.).

Comunicazione preventiva

Per contrastare gli abusi, l’intervento del legislatore ha riguardato sia i tempi che i contenuti della comunicazione ed è. stato approvato il sistema di tracciabilità, per evitare l'uso illegale di questo strumento, che spesso veniva attivato per retribuire più ore di quanto dichiarato o  in caso di emergenza .

Si tratta dell’obbligo, per i committenti, imprenditori non agricoli o professionisti, che ricorrono a prestazioni di lavoro accessorio, di comunicare all’Ispettorato nazionale del lavoro, mediante sms o posta elettronica, almeno 60 minuti prima dell'inizio della prestazione di lavoro accessorio, i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, il luogo e la durata della prestazione.

I committenti imprenditori agricoli sono tenuti a comunicare, nello stesso termine e con le stesse modalità di cui al primo periodo, i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, il luogo e la durata della prestazione con riferimento ad un arco temporale non superiore a 7 giorni.

Per quanto concerne i tempi non sarà più possibile procedere effettuare la comunicazione a ridosso dell’avvio della prestazione. E’ infatti necessario che la comunicazione venga effettuata almeno 60 minuti prima dell'inizio della prestazione.

Il destinatario è la sede territoriale competente dell’Ispettorato nazionale del lavoro e potrà avvenire mediante sms o posta elettronica.

L’altra importante novità riguarda l’eliminazione della possibilità di indicare l’arco temporale all'interno della quale collocare la prestazione in quanto dall'entrata in vigore del decreto occorre dare contezza, oltre che del luogo, soprattutto del giorno e dell’ora di inizio e di fine della prestazione.

La previsione della indicazione dell’orario di inizio e fine della prestazione riconduce così nell’alveo della genuinità l’utilizzo del voucher che non potrà pertanto che coprire che un numero limitato di giornate di prestazioni.

Se si considera, infatti, che ogni lavoratore potrà svolgere circa 2.000 euro nette di prestazione lavorativa, il numero di ore di lavoro non potrà evidentemente superare nell’arco dell’anno civile (1 gennaio – 31 dicembre) poco meno di 270 ore.

Le predette modifiche riguardano esclusivamente i committenti imprenditori non agricoli o professionisti.

Regime sanzionatorio

L’altra novità riguarda la previsione di una sanzione nel caso di omessa comunicazione della prestazione del lavoratore.

In relazione a ciascun lavoratore per cui è stata omessa la comunicazione, è prevista l’applicazione di una sanzione amministrativa da euro 400 ad euro 2.400 per la quale non sarà possibile avvalersi dell’istituto della diffida.

Non sono previste esenzioni o riduzioni per comunicazioni tardive ma, così come gli illeciti amministrativi, entro 60 giorni dalla notifica si può procedere con il pagamento in misura ridotta, pari cioè ad 1/3 della sanzione (800 euro).



martedì 27 settembre 2016

Reintegra nel posto di lavoro per licenziamento illegittimo



La Corte di Cassazione estende oltre i confini tracciati dal Jobs Act l’ambito di applicazione della reintegra in caso di licenziamento in senso favorevole al lavoratore. La condotta tenuta dal lavoratore, seppure debitamente comprovata, non giustifica il licenziamento disciplinare qualora i fatti contestati non siano da ritenere illeciti. Ovvero, la Cassazione di fatto equipara la fattispecie di manifesta insussistenza del fatto all'ipotesi in cui il fatto, seppure compiuto dal lavoratore, risulta essere privo di una intrinseca rilevanza giuridica, poiché non illecito.

La vicenda riguarda un lavoratore licenziato per aver tenuto un comportamento litigioso, offensivo e maleducato con il personale che lui stesso aveva il compito di formare. Secondo la Suprema Corte, tale comportamento può essere punito solo con le sanzioni conservative previste dal CCNL ma non essere considerato causa di licenziamento.

Di assoluta rilevanza la sentenza n. 18418 del 20 settembre 2016, con cui la Cassazione estende le ipotesi di reintegra sul posto di lavoro previste dal Jobs Act a seguito di licenziamento disciplinare, non solo ai casi in cui il fatto contestato sia insussistente, ma anche a quelli in cui esso pur essendo vero non sia da considerare illecito, ossia non suscettibile di alcuna sanzione”. In sostanza, ha proseguito la Corte, l’assenza di illiceità di un fatto materiale pur sussistente, deve essere ricondotto all'ipotesi, che prevede la reintegra nel posto di lavoro, dell’insussistenza del fatto contestato, mentre la minore o maggiore gravità (o lievità) del fatto contestato e ritenuto sussistente, implicando un giudizio di proporzionalità, non consente l’applicazione della tutela cd reale.

In tema di licenziamento disciplinare, ai fini dell’applicabilità della tutela reintegratoria prevista dall'articolo 18 della legge 300/1970, nel testo modificato dalla legge 92/2012, all’ipotesi del fatto contestato insussistente va equiparata quella del fatto che, benché materialmente prodottosi, è privo di una intrinseca rilevanza giuridica.

In questi termini si è espressa la Cassazione osservando che la reintegrazione sul posto di lavoro non può essere esclusa per il solo fatto che il comportamento oggetto di contestazione si è effettivamente realizzato, in quanto è necessario verificare, a prescindere da un giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità della condotta oggetto di addebito disciplinare, che il fatto non sia privo del carattere di illiceità.

Aggiunge la Corte, in questo senso, che la completa irrilevanza giuridica del fatto posto alla base dell’azione disciplinare sfociata nell’irrogazione di un provvedimento espulsivo deve essere posta sullo stesso piano dell’insussistenza materiale della condotta ascritta al lavoratore. In un caso come nell’altro, alla luce di quanto previsto dal nuovo articolo 18, il datore di lavoro è condannato alla reintegrazione in servizio e al versamento al dipendente di una indennità risarcitoria pari alle retribuzioni ricomprese tra il giorno del licenziamento e quello della effettiva ricostituzione del vincolo (nei limiti di un importo massimo di 12 mensilità).

Nel caso affrontato dalla Suprema corte, il licenziamento è stato intimato sul presupposto che il lavoratore avesse tenuto un comportamento maleducato con il personale che lui stesso aveva il compito di formare e avesse, quindi, rifiutato di rinegoziare il superminimo con l’impresa, contestando a quest’ultima di essere stato esposto a pratiche di demansionamento. Nei due gradi di merito il licenziamento è stato ritenuto illegittimo e il lavoratore reintegrato in servizio. Ciò ha indotto l’impresa a proporre ricorso per Cassazione sul presupposto che, una volta dimostrata l’effettiva sussistenza dei fatti contestati, sarebbe stata riconosciuta al dipendente unicamente una tutela risarcitoria, così come previsto dal riformulato articolo 18 della legge 300/1970.

La Cassazione respinge questa lettura e, dopo aver dato atto che l’ipotesi contemplata dall’articolo 18, comma 4, dello statuto dei lavoratori si riferisce alla «insussistenza del fatto» nella sua dimensione materiale e non include un giudizio di merito sulla portata disciplinare degli addebiti, conclude per l’assimilabilità a detta fattispecie del fatto sussistente ma privo dei connotati di illiceità.

Conclude la Cassazione, alla luce di questa ricostruzione, che non può essere relegato a una valutazione di proporzionalità qualunque comportamento accertato ma privo, in concreto, di una sua consistenza antigiuridica, in quanto tale argomentazione porterebbe ad ammettere che ricade nella sola tutela indennitaria un licenziamento basato su fatti che, quantunque esistenti, sono privi di qualsivoglia rilievo disciplinare.

La sentenza, per la specificità del tema affrontato, è destinata ad esprimere effetti anche in relazione al nuovo regime sanzionatorio dei licenziamenti intimati in relazione al contratto di lavoro a tutele crescenti introdotto dal Jobs act.



lunedì 26 settembre 2016

Inps: pensione anticipata, ecco per chi andrà gratis




Anticipo della pensione di vecchiaia gratuito per diverse categorie di lavoratori, dai disoccupati agli addetti a mansioni rischiose, dagli esuberi agli addetti a lavori faticosi. Sono queste le ultime novità in uscita col nuovo 'pacchetto-previdenza', che dovrebbe entrare in vigore con la Legge di Stabilità 2017.

L'Inps sarà al centro di molti flussi finanziari e di praticamente tutti i flussi informativi fra lavoratori, imprese, banche e assicurazioni. Il compito più importante e gravoso sarà proprio quello di informare adeguatamente i lavoratori sulle implicazioni della eventuale scelta di un anticipo pensionistico. Ci baseremo sull'esperienza de “la mia pensione” e delle buste arancioni e avremo un ruolo di consulenza ancor prima che di erogatore di pensioni o rate di ammortamento dei prestiti pensionistici. Per questo la riorganizzazione in atto all'Inps è così importante: ci serve a rafforzare la nostra presenza sul territorio e a trattare i problemi di chi si rivolge a noi in modo integrato, guardando alle singole persone anziché alle singole prestazioni.

L’Ape  sigla che sta appunto per anticipo pensionistico, sarà comunque aperta a tutti gli altri lavoratori, ma a titolo oneroso, con penalizzazioni sulla pensione intorno al 5-6% per ogni anno di anticipo.

pensionistico consentirà di uscire dal lavoro a 63 anni di età, grazie a un prestito bancario, con una penalizzazione media del 5-6% per ogni anno di anticipo. Questo tipo di pensione non eliminerà la pensione anticipata, in quanto si tratta di un anticipo della pensione di vecchiaia; per la pensione anticipata resteranno dunque gli attuali requisiti contributivi, pari a 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini ed a 41 anni e 10 mesi per le donne.

La penalizzazione, a ogni modo, non si applicherà a tutti i lavoratori, ma soltanto a coloro che non rientrano nella cosiddetta Ape social, cioè tra le categorie di lavoratori beneficiari di un bonus fiscale che azzera i tagli determinati dalla restituzione delle rate del prestito. In particolare, l’Ape social sarà destinata: ai lavoratori disoccupati di lungo corso; agli addetti a mansioni rischiose (ad alto rischio infortuni); probabilmente anche agli addetti a mansioni faticose e pesanti (tra i quali dovrebbero rientrare anche gli infermieri e gli insegnanti della scuola dell’infanzia e della scuola primaria); agli invalidi; ai lavoratori che assistono un disabile (portatori di handicap grave), cioè ai cosiddetti beneficiari della Legge 104.

Dovrebbero rientrare tra i beneficiari anche i lavoratori in esubero a seguito di ristrutturazioni aziendali: in questo caso, tuttavia, gli esuberi non fruiranno dell’Ape social ma di contributi aziendali volti, se non ad azzerare, almeno a limitare le penalizzazioni dell’Ape. Inoltre, beneficerebbero dell’Ape social soltanto gli aventi diritto a una pensione mensile lorda inferiore a 1500 euro (anche se i sindacati chiedono che la soglia sia innalzata a 1.650 euro).

È attualmente allo studio un’ulteriore misura volta a diminuire le decurtazioni della pensione: si tratta della Rita, la cosiddetta rendita integrativa anticipata. Grazie alla Rita, chi aderisce a una forma di previdenza complementare potrebbe chiedere al fondo integrativo un anticipo della rendita, finalizzato a ridurre o a coprire il prestito contratto con l’Ape. Per incentivare questa forma di uscita dal lavoro e ridurre al minimo l’impatto economico, sono peraltro allo studio dei provvedimenti volti ad agevolare l’adesione alla previdenza complementare, come la destinazione di una sola quota del Tfr.

Per diminuire il peso del taglio degli assegni operato dal prestito per l’Ape, è previsto sia un aumento della no tax area (cioè della soglia di reddito annuo al di sotto della quale non sono dovute imposte per effetto delle detrazioni) che un’estensione della quattordicesima (una somma extra percepita dai pensionati una volta l’anno, se si rientra entro determinate soglie di reddito). Infine, per facilitare l’accesso alla pensione, si pensa di rendere gratuite tutte le operazioni di ricongiunzione (cioè di unione, in un’unica gestione, dei contributi versati in fondi diversi) che riguardano fondi interni all’Inps.

L’anticipo pensionistico consentirà di uscire dal lavoro a 63 anni di età, grazie a un prestito bancario, con una penalizzazione media del 5-6% per ogni anno di anticipo. Va tenuto comunque presente che per la pensione anticipata resteranno dunque gli attuali requisiti contributivi, pari a 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini ed a 41 anni e 10 mesi per le donne.

La penalizzazione, a ogni modo, non si applicherà a tutti i lavoratori, ma soltanto a coloro che non rientrano nella cosiddetta Ape social.

Tra questi rientrano le categorie di lavoratori beneficiari di un bonus fiscale che azzera i tagli determinati dalla restituzione delle rate del prestito: ovvero i lavoratori disoccupati di lungo corso; agli addetti a mansioni rischiose (ad alto rischio infortuni); probabilmente anche agli addetti a mansioni faticose e pesanti (tra i quali dovrebbero rientrare anche gli infermieri e gli insegnanti della scuola dell’infanzia e della scuola primaria); agli invalidi; ai lavoratori che assistono un disabile (portatori di handicap grave), cioè ai cosiddetti beneficiari della Legge 104.

Inoltre, beneficerebbero dell’Ape social soltanto gli aventi diritto a una pensione mensile lorda inferiore a 1500 euro (anche se i sindacati chiedono che la soglia sia innalzata a 1.650 euro).



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