Il trasferimento che comporta dequalificazione professionale. Non è sanzionabile con il licenziamento per giusta causa il rifiuto del lavoratore di eseguire la prestazione lavorativa dovuta a causa della ritenuta dequalificazione. A precisarlo è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 4709 del 23 marzo del 2012.
E’ bene ricordare che l’art. 2103 c.c. dispone che il trasferimento possa essere attuato solo in presenza di "comprovate ragioni tecniche organizzative o produttive".
Quindi lavoratore dipendente può essere trasferito solo a condizione che il datore di lavoro possa dimostrare:
l'inutilità di tale dipendente nella sede di provenienza;
la necessità della presenza di quel dipendente, con la sua particolare professionalità, nella sede di
destinazione;
la serietà delle ragioni che hanno fatto cadere la scelta proprio su quel dipendente e non su altri colleghi che svolgano analoghe mansioni.
Queste ragioni debbono essere portate a conoscenza del dipendente per iscritto, prima del trasferimento. Se la lettera non contiene l'indicazione delle ragioni è però necessario che il dipendente le richieda espressamente.
In mancanza delle condizioni sopra esposte, il trasferimento è illegittimo e può essere annullato dal pretore del lavoro, a cui l’interessato deve rivolgersi se ritiene che il provvedimento sia illegittimo.
Il trasferimento presuppone che, nonostante la modifica del luogo di esecuzione della prestazione lavorativa, resti invariato il datore di lavoro.
Resta chiaro dopo la sentenza n. 4709 che, il lavoratore può rifiutare di prestare la propria prestazione di lavoro se il provvedimento di trasferimento non è adeguatamente motivato.
La vicenda vede coinvolto un impiegato addetto all'ufficio commerciale che era stato trasferito ad altro stabilimento con la nuova qualifica di responsabile del magazzino materie prime. Il dipendente aveva aderito al trasferimento ma dopo un breve periodo di lavoro presso la nuova sede, si era messo a disposizione dell'azienda presso la propria abitazione.
L’azienda aveva contestato l’assenza ingiustificata e gli aveva quindi comunicato il licenziamento per giusta causa. Ad avviso del ricorrente il trasferimento ed il conseguente licenziamento erano da ritenersi illegittimi, considerato che il rifiuto di svolgere mansioni dequalificanti era del tutto giustificato, anche in considerazione della palese inconsistenza delle dedotte esigenze di riorganizzazione della gestione del magazzino.
Nei fatti, tuttavia, il dipendente aveva aderito al trasferimento ma dopo un breve periodo di lavoro presso la nuova sede, si era messo a disposizione dell'azienda presso la propria abitazione.
Ad avviso del ricorrente il trasferimento ed il conseguente licenziamento erano da ritenersi illegittimi, considerato che il rifiuto di svolgere mansioni dequalificanti era del tutto giustificato, anche in considerazione della palese inconsistenza delle dedotte esigenze di riorganizzazione della gestione del magazzino.
La sentenza ha ricordato la pronuncia n. 43 del 2007 sul trasferimento di dipendente divenuto invalido che non poteva più essere adibito alla sede originaria. La Cassazione aveva precisato che nella valutazione comparativa dei presunti inadempimenti reciproci, non si può prescindere dalla doverosa considerazione per cui il lavoratore non può rendersi totalmente inadempiente sospendendo ogni attività lavorativa, se il datore di lavoro assolve a tutti gli altri propri obblighi (pagamento della retribuzione, copertura previdenziale e assicurativa, assicurazione del posto di lavoro).
La Corte, nel fare riferimento all'art. 2103 del codice civile, sottolinea come il datore di lavoro abbia l'onere di provare in giudizio le ragioni fondate che hanno determinato il trasferimento, dimostrando le reali ragioni che giustificano il provvedimento. In assenza di ciò, il licenziamento viene annullato.