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giovedì 19 dicembre 2013

Confindustria. Lavoro e crisi economica, la recessione è finita ma danni di una guerra



"La profonda recessione, la seconda in 6 anni, è finita. I suoi effetti no", avverte il centro studi di Confindustria. Parlare di ripresa e' "per molti versi improprio"; suona "derisorio". Il "Paese ha subito un grave arretramento ed è diventato più fragile, anche sul fronte sociale". Danni "commisurabili solo con quelli di una guerra". In questo momento non si può dire che la recessione è finita e che c'è la ripresa. Vediamo cosa succede nei prossimi mesi". Così il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi: "Io vedo molto ottimismo" ma l'arresto della caduta del Pil in un trimestre non si può interpretare come "un segnale di decisa ripartenza o di fine della recessione.

L'impatto sulla crescita della Legge di Stabilità all'esame del Parlamento sarà "molto piccolo", dello "0,1 o 0,2" punti sul Pil del 2014. Lo indica il direttore del centro Studi di Confindustria, Luca Paolazzi. Poi, nel 2015 la manovra avrà "un effetto restrittivo della stessa entità di quello espansivo del 2014".

Dall'inizio della crisi (fine 2007) si sono persi 1 milione e 810 mila Ula (Unità di lavoro equivalenti a tempo pieno). L'occupazione è rimasta ferma nella seconda metà del 2013 e ripartirà dal 2014. Si arresta così "l'emorragia occupazionale": per l'anno prossimo il Centro studi di Confindustria prevede un +0,1%, per il 2015 un +0,5%.

Il 2013 si chiuderà peggio delle attese stima il Csc che ha rivisto dal -1,6% al -1,8% le stime per il Pil. Resta invariata al +0,7% la previsione di crescita per il 2014. Mentre gli economisti di via dell'Astronomia nella prima stima sul 2015 prevedono una crescita dell'1,2%.

"Le persone a cui manca il lavoro, totalmente o parzialmente, sono 7,3 milioni, due volte la cifra di sei anni fa. Anche i poveri sono raddoppiati a 4,8 milioni". E' il bilancio di sei anni di crisi. "Le famiglie hanno tagliato sette settimane di consumi, ossia 5.037 euro in media l'anno".

Il centro studi di Confindustria prevede ''traiettorie economiche ad alta incertezza", e affianca così alle previsioni sugli scenari economici anche "una simulazione che ingloba una evoluzione meno benigna", nella quale "la debolezza dell'economia impone una manovra da un punto di Pil per rispettare gli impegni europei". In questo scenario B, "il credit crunch si protrae nel 2015, l'aumento del commercio mondiale è più contenuto, lo spread non si restringe"; ed "il risultato è che l'Italia si blocca nuovamente".

A novembre le retribuzioni contrattali orarie restano ferme su ottobre mentre salgono solo dell'1,3% nel confronto con lo scorso anno. Lo rileva l'Istat, spiegando come la crescita annua torni così a toccare i minimi. Il rialzo dell'1,3%, già registrato in passato, risulta infatti il più basso almeno dal 1992, ovvero da 21 anni.

Le retribuzioni, poco, ma continuano comunque a crescere più dei prezzi, visto che nello stesso mese il tasso d'inflazione annuo è risultato pari allo 0,7%, un rialzo quindi pressoché dimezzato a confronto con i salari. Il merito, però, va tutto al raffreddamento dei prezzi.

Complessivamente, calcola l'Istat, nei primi undici mesi del 2013 la retribuzione oraria media è cresciuta dell'1,4% rispetto al corrispondente periodo del 2012. Quest'anno, con tutta probabilità, potrebbe quindi chiudere peggio del precedente, che aveva visto le retribuzioni orarie salire appena dell'1,5%. Tornando a novembre, i settori che presentano gli aumenti tendenziali maggiori sono: telecomunicazioni (4,0%); agricoltura (3,3%); chimica e metalmeccanica (entrambi 2,3%). Si registra invece una crescita zero in tutti i comparti della pubblica amministrazione, dove pesa il blocco che ormai si protrae da lungo tempo.

A novembre i contratti in attesa di rinnovo sono 47, di cui 15 appartenenti alla pubblica amministrazione, relativi a circa 6,3 milioni di dipendenti (2,9 milioni solo nel pubblico impiego). Lo rileva l'Istat, spiegando che la quota di lavoratori che aspettano il rinnovo è del 48,9%, in lieve diminuzione rispetto a ottobre (49,4%). Ecco che, fa sapere sempre l'Istat, i mesi di attesa per i lavoratori con il contratto scaduto sono in media 31,2, in diminuzione rispetto allo stesso mese del 2012 (35,6).

Una occasione mancata". Così il rapporto di Confindustria bolla la Legge di Stabilità all'esame del Parlamento. Secondo le quantificazioni del governo, evidenzia il rapporto, "comporterebbe un peggioramento dell'indebitamento netto nel 2014 per circa 2,6 miliardi, un miglioramento nel 2015 di 3,5 miliardi e nel 2016 di 7,3" "Complessivamente si tratta di intervento modesto sul 2014 che ritocca marginalmente il deficit: in termini di Pil si tratta di qualche decimale (0,2%). E "per il 2015 e 2016 la correzione del disavanzo coincide sostanzialmente con le dimensioni delle clausole di salvaguardia". "L'Intervento principale proposto è quello sul cuneo fiscale - rilevano ancora gli economisti di via dell'Astronomia - ma le risorse stanziate non sono in grado di incidere significativamente".




giovedì 1 novembre 2012

Confidustria: la crisi del lavoro


Secondo Confindustria "la principale fonte di instabilità rimane l'Eurozona, dove gli indicatori qualitativi mostrano un peggioramento della recessione nel trimestre in corso; i passi avanti istituzionali compiuti hanno nettamente ridotto il rischio di dissolvimento della moneta unica, ma non bastano a rompere il circolo vizioso “recessione-restrizione di bilancio-banche selettive"

"Le turbolenze non sono finite" e "il quadro resta, da tempo ormai, condizionato dalle incognite sulla composizione del Parlamento che uscirà tra pochi mesi dalle elezioni". E' quanto ha  affermato il Centro studi di Confindustria nell'analisi mensile.

"Le statistiche in agosto hanno sorpreso all'insù, ma il clima di fiducia rimane ai minimi e il 'meno peggio' estivo – ha spiegato il Centro studi nella congiuntura flash - può tradursi in una flessione più' marcata in autunno, complice il deterioramento nel resto della Ue. Tuttavia, la caduta della domanda interna è stata così violenta da creare spazi per un rimbalzo e l'indice anticipatore Ocse predice la graduale attenuazione della riduzione del Pil nei prossimi trimestri".

Secondo i dati prodotti dalla Cgia Mestre: nel 2012 chiudono 1000 imprese al giorno. Anche se quelle nate sono più numerose di quelle cessate, nei primi 9 mesi di quest'anno sono poco più di 279.000 le imprese che hanno chiuso i battenti: praticamente 1.033 al giorno. E' quanto segnala l'Ufficio studi della Cgia di Mestre secondo il quale "a impensierire" è il fatto che, nonostante il saldo sia positivo e pari a quasi a 20.000 imprese, "ad aprire siano aziende con dimensioni occupazionali molto contenute, mentre quelle che chiudono sono quasi sempre delle attività strutturate con diversi lavoratori alle loro dipendenze. Prova ne sia che il tasso di disoccupazione sta crescendo in maniera preoccupante".

"Nonostante il saldo della nati-mortalità delle aziende sia positivo – ha commentato Giuseppe Bortolussi segretario della Cgia di Mestre - dobbiamo ricordare che molte persone hanno aperto un'attività in questi ultimi anni di crisi, non perché' in possesso di una spiccata vocazione imprenditoriale, bensì dalla necessità di costruirsi un futuro occupazionale dopo esser stati allontanati dalle aziende in cui prestavano servizio come lavoratori dipendenti. Questa dinamicità del sistema è un segnale positivo, ma non sufficiente a tranquillizzarci. Se entro i primi 5 anni di vita il 50% delle aziende muore per mancanza di credito, per un fisco troppo esoso e per una burocrazia che spesso non lascia respiro, c'è il pericolo che la tenuta di buona parte di questi nuovi imprenditori, figli della difficoltà economica che stiamo vivendo, sia inferiore a quella di coloro che hanno avviato un'attività prima dell'avvento della crisi".

"In passato – ha proseguito Bortolussi  - la decisione di aprire la partita iva maturava dopo molti anni di esperienza lavorativa come dipendente: non a caso oltre il 50% dei piccoli imprenditori proviene da una esperienza come lavoratore subordinato e spesso gli investimenti realizzati per aprire una impresa erano il frutto dei risparmi. Ora, difficilmente ciò avviene: si apre per necessità, perché magari il posto di lavoro non c'è più e quindi bisogna inventarsi una nuova opportunità lavorativa a scapito delle motivazioni, della preparazione professionale e della capacita' organizzativa".

E poi i dati riferiti all'artigianato sono ancor più preoccupanti: negli ultimi tre anni il saldo nazionale della mortalità delle aziende di questo settore ha sempre segno negativo: -15.914 nel 2009, -5.064 nel 2010 e -6.317 nel 2011. Nei primi tre mesi del 2012 (ultimo dato disponibile) il saldo ha toccato la punta massima di -15.226: i settori più in difficoltà sono quelli delle costruzioni, le attività manifatturiere e i servizi alla persona.

lunedì 9 luglio 2012

Laureati: lavoro di basso profilo?



Per i laureati la corsa al posto di lavoro è sempre più in salita. Il titolo di studio, la laurea non aiuta a trovare un impiego e, quando viene conquistato, in un caso su quattro non è all'altezza del curriculum e del percorso di studi professionali.
Questa è la fotografia scattata dal centro studi Datagiovani, che ha registrato una proporzione doppia - 26,8% contro 13,4% - di laureati che lavora in mansioni con bassa specializzazione rispetto al destino di chi si ferma alla maturità. Restringendo l'obiettivo sugli indirizzi emerge, che mentre solo l'8% dei medici in attività è iperqualificato,  il vero gap riguarda le discipline umanistiche, dove il 36% dei laureati è sottoccupato.
Quindi faticano a trovare un lavoro e, quando ce la fanno, in un caso su quattro il posto conquistato non è all'altezza del loro curriculum. Ossia gli anni spesi sui banchi per studiare non danno i frutti e i risultarti sperati.
L'indagine del centro studi Datagiovani mostra che i più "sovraistruiti" tra i dottori: una quota doppia - 26,8% contro 13,4% - che svolge mansioni a bassa specializzazione rispetto a quanto avviene per chi si ferma alla maturità.
«Il fenomeno è abbastanza omogeneo sul territorio -ha spiegato Michele Pasqualotto, ricercatore di Datagiovani -, sebbene si riscontrino tendenze più ampie nel Centro Italia e nel Nord-Est». Balzano agli occhi i dati del Lazio (quasi un laureato su tre è sovra istruito) e quelli di Friuli-Venezia Giulia e Veneto (circa 3 su 10). La crisi ha appesantito il trend, con un aumento della quota di overeducated tra i laureati del 5,6% rispetto al 2007, senza contare che il tasso di disoccupazione, per questa categoria, è salito al 16 per cento (sette punti in più rispetto alla media europea). «È indubbio che le nuove generazioni - commenta Stefano Manzocchi, direttore Luiss Lab of European Economics - siano state più penalizzate in questi ultimi 15 anni, dovendosi spesso adattare a occupazioni di ripiego rispetto ai più anziani. Si è inoltre instaurato un circolo vizioso tra bassa domanda e bassa offerta di alte qualifiche, con pochi laureati "scientifici" che hanno disincentivato le imprese a investire su queste specializzazioni. È sulla composizione della forza lavoro che occorre cambiare qualcosa: nei curricula c'è troppo liceo classico e poca preparazione scientifica, troppe lauree generaliste e poche tecniche».
Restringendo l'obiettivo emerge che mentre solo l'8% dei medici occupati è iperqualificato e si sale al 14,5% nel caso di ingegneria e architettura, la vera differenza riguarda le discipline umanistiche, con il 36% dei laureati che svolge un lavoro di basso profilo (con un aumento del 9,5% rispetto al pre-crisi).
La fotografia di Datagiovani rileva, infine, come in media il fenomeno della sottoccupazione sia più consistente tra le giovani laureate, che nel 30% appaiono troppo istruite rispetto agli sbocchi professionali, circa dieci punti percentuali in più degli uomini, con un divario pressoché costante in tutte le discipline e con l'unica eccezione di quelle umanistiche, in cui è leggera la prevalenza maschile.

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