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mercoledì 18 maggio 2016

Lavoro: i criteri dei premi produttività 2016


Operativa la norma sui premi produttività 2016, con aliquota agevolata al 10% anche per partecipazione agli utili, detassazione totale per chi sceglie voucher e benefit.

Con decreto interministeriale del 25 marzo 2016, pubblicato in avviso nella Gazzetta Ufficiale n. 112 del 14 maggio 2016, sono stati disciplinati i criteri di misurazione degli incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione ai quali i contratti aziendali o territoriali legano la corresponsione di premi di risultato di ammontare variabile nonché i criteri di individuazione delle somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell'impresa.

Aumento della produzione, risparmio nei fattori produttivi, miglioramento della qualità di prodotti e processi, anche attraverso la riorganizzazione dell’orario di lavoro non straordinario o il ricorso al lavoro agile: sono le tipologie di aumenti di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione per cui le imprese possono riconoscere i premi di produttività 2016, in base a criteri di misurazione che devono essere previsti dal contratto collettivo o da accordi sindacali territoriali o aziendali.

Le regole operative per i premi produttività 2016 realizzano le novità sui premi di risultato previste dalla Legge di Stabilità. La regola generale è la seguente: i premi di produttività hanno una tassazione agevolata, con aliquota al 10%, per una somma fino a 2mila euro lordi annui, che possono salire a 2500 nel caso di aziende che coinvolgono i lavoratori nell’organizzazione del lavoro.

I contratti, nella determinazione dei criteri attraverso i quali misurare l’aumento di produttività, devono prevedere indicatori numerici o di altro genere che consentano il raggiungimento dei risultati in modo obiettivo e misurabile. La detassazione si applica anche alle somme erogate a titolo di partecipazione agli utili dell’impresa.

L’imposta sostitutiva si applica per i premi riconosciuti nel 2016, previo deposito del contratto collettivo che ne definisce i criteri di misurazione che effettuato entro 30 giorni dalla firma, utilizzando l’apposito modello allegato al decreto ministeriale.

Se l’azienda distribuisce nel 2016 somme relative a premi di risultato o partecipazioni agli utili che si riferiscono al 2015, il deposito dei relativi contratti territoriali o aziendali deve avvenire entro 30 giorni dalla pubblicazione del decreto ministeriale in Gazzetta Ufficiale (entro il 13 giugno).

C’è una novità rilevante che riguarda la possibilità, per il lavoratore destinatario di premi di produttività, di sostituire le relative somme con i voucher o servizi di welfare , (buoni pasto, contributi previdenziali, borse di studio per i familiari, e via dicendo). In questo caso, non si applica nemmeno la tassazione del 10%, trattandosi di somme che non concorrono a formare il reddito del lavoratore. Questi servizi possono essere erogati attraverso buoni cartacei o elettronici, che non possono essere utilizzati da persona diversa dal titolare.

Per poter fruire dell’agevolazione, è necessario che l’erogazione avvenga in esecuzione di contratti aziendali o territoriali (contratti collettivi di “secondo livello”) sottoscritti dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o dalle loro rappresentanze sindacali aziendali o dalle RSU. Il contratto sottoscritto dalle parti deve necessariamente essere depositato entro trenta giorni preso la Direzione Territoriale del Lavoro competente, pena l’inapplicabilità del regime di tassazione agevolata o detassazione.

I criteri di misurazione degli incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione nonché le modalità attuative della nuova disposizione, compresi gli strumenti e le modalità di partecipazione all’organizzazione del lavoro sono stati stabiliti con decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze.

Come specificato dal decreto interministeriale, il premio di risultato consiste nelle somme di ammontare variabile la cui erogazione è legata ad una serie di incrementi:
produttività;

redditività;

qualità;

efficienza;

innovazione.


domenica 27 dicembre 2015

Apprendistato: i criteri per il 2016


Il Decreto del Ministero del Lavoro del  12 ottobre 2015, è stato pubblicato nella G.U. 21 dicembre 2015, n. 296,. Con il documento si definiscono ai sensi dell'art. 46, comma 1, del decreto legislativo n. 81 del 2015, gli standard formativi che costituiscono livelli essenziali delle prestazioni ai sensi dell'art. 16 del decreto legislativo n. 226 del 2005 e i criteri generali delle seguenti tipologie di apprendistato:

apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore, di cui all'art. 43 del decreto legislativo n. 81 del 2015;

apprendistato di alta formazione e di ricerca, di cui all'art. 45 del decreto legislativo n. 81 del 2015.

Ai fini della stipula dei contratti di apprendistato, il datore di lavoro deve possedere i seguenti requisiti:

capacità strutturali, ossia spazi per consentire lo svolgimento della formazione interna e in caso di studenti con disabilità, il superamento o abbattimento delle barriere architettoniche;

capacità tecniche, ossia una disponibilità strumentale per lo svolgimento della formazione interna, in regola con le norme vigenti in materia di verifica e collaudo tecnico, anche reperita all'esterno dell'unità produttiva;

capacità formative, garantendo la disponibilità di uno o più tutor aziendali.

Nel dettaglio, il decreto definisce gli standard formativi che costituiscono livelli essenziali delle prestazioni e i criteri generali delle tipologie di apprendistato quali:

- l’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore;

- l’apprendistato di alta formazione e di ricerca.

Ai fini dell’attivazione del contratto di apprendistato, l’istituzione formativa e il datore di lavoro devono sottoscrivere un protocollo secondo lo schema allegato al decreto stesso, nel quale sono stabiliti:
- i requisiti del datore di lavoro;
- la durata dei contratti di apprendistato che non può essere di durata inferiore a sei mesi e la cui durata massima varia in relazione al tipo di diploma e di qualifica che si intende conseguire;
- gli standard formativi, il piano formativo individuale e la formazione interna ed esterna;
- i diritti e i doveri degli apprendisti;
- la funzione tutoriale che è finalizzata a promuovere il successo formativo degli apprendisti;
- la valutazione e certificazione delle competenze.

Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano recepiscono con propri atti le disposizioni di cui al presente decreto.
Trascorso tale termine, in assenza di regolamentazione regionale, l’attivazione dei percorsi di apprendistato è disciplinata attraverso l’applicazione diretta delle disposizioni del presente decreto.

La durata del contratto di apprendistato
La durata del contratto di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, non può essere inferiore a sei mesi e non può, in ogni caso, essere superiore a:
a) tre anni per il conseguimento della qualifica di istruzione e formazione professionale;
b) quattro anni per il conseguimento del diploma di istruzione e formazione professionale;
c) quattro anni per il conseguimento del diploma di istruzione secondaria superiore;
d) due anni per la frequenza del corso annuale integrativo per l’ammissione all’esame di Stato di cui all’art. 15, comma 6, del decreto legislativo n. 226 del 2005;
e) un anno per il conseguimento del diploma di istruzione e formazione professionale per coloro che sono in possesso della qualifica di istruzione e formazione professionale nell’ambito dell’indirizzo professionale corrispondente;
f) un anno per il conseguimento del certificato di specializzazione tecnica superiore.

La durata dei contratti di apprendistato di alta formazione non può essere inferiore a sei mesi ed è pari nel massimo alla durata ordinamentale dei relativi percorsi.

La durata dei contratti di apprendistato per attività di ricerca non può essere inferiore a sei mesi ed è definita in rapporto alla durata del progetto di ricerca e non può essere superiore a tre anni, salva la facoltà delle regioni e delle province autonome di prevedere ipotesi di proroga del contratto fino ad un anno in presenza di particolari esigenze legate al progetto di ricerca.

La durata dei contratti di apprendistato per il praticantato per l’accesso alle professioni ordinistiche non può essere inferiore a sei mesi ed è definita, quanto alla durata massima, in rapporto al conseguimento dell’attestato di compiuta pratica per l’ammissione all’esame di Stato.
Standard formativi, piano formativo individuale e formazione interna ed esterna

L’organizzazione didattica dei percorsi di formazione in apprendistato si articola in periodi di formazione interna ed esterna.

Il piano formativo individuale, redatto dall’istituzione formativa con il coinvolgimento del datore di lavoro secondo il modello di cui all’allegato deve contenere i seguenti elementi:
a) i dati relativi all’apprendista, al datore di lavoro, al tutor formativo e al tutor aziendale;
b) ove previsto, la qualificazione da acquisire al termine del percorso;
c) il livello di inquadramento contrattuale dell’apprendista;
d) la durata del contratto di apprendistato e l’orario di lavoro;
e) i risultati di apprendimento, in termini di competenze della formazione interna ed esterna, i criteri e le modalità della valutazione iniziale, intermedia e finale degli apprendimenti e, ove previsto, dei comportamenti, nonché le eventuali misure di riallineamento, sostegno e recupero, anche nei casi di sospensione del giudizio.

Il piano formativo individuale può essere modificato nel corso del rapporto, ferma restando la qualificazione da acquisire al termine del percorso.

I periodi di formazione interna ed esterna sono articolati anche secondo le esigenze formative e professionali dell’impresa e le competenze tecniche e professionali correlate agli apprendimenti ordinamentali che possono essere acquisiti in impresa.

Valutazione e certificazione delle competenze
L’istituzione formativa anche avvalendosi del datore di lavoro, per la parte di formazione interna, effettua il monitoraggio e la valutazione degli apprendimenti, anche ai fini dell’ammissione agli esami conclusivi dei percorsi in apprendistato, ne dà evidenza nel dossier individuale dell’apprendista e ne comunica i risultati all’apprendista e, nel caso di minorenni, ai titolari della responsabilità genitoriale.

Agli apprendisti è garantito il diritto alla validazione delle competenze anche nei casi di abbandono o risoluzione anticipata del contratto, a partire da un periodo minimo di lavoro di tre mesi.

Per averne diritto l’apprendista, al termine del percorso, deve aver frequentato almeno i tre quarti sia della formazione interna che della formazione esterna di cui al piano formativo individuale.

Laddove previsto nell’ambito dei rispettivi ordinamenti, la frequenza dei tre quarti del monte ore sia di formazione interna sia di formazione esterna di cui al piano formativo individuale costituisce requisito minimo anche al termine di ciascuna annualità, ai fini dell’ammissione all’annualità successiva.
Gli esami conclusivi dei percorsi in apprendistato si effettuano, laddove previsti, in applicazione delle vigenti norme relative ai rispettivi percorsi ordinamentali, anche tenendo conto delle valutazioni espresse dal tutor formativo e dal tutor aziendale nel dossier individuale e in funzione dei risultati di apprendimento definiti nel piano formativo individuale.

In esito al superamento dell’esame finale e al conseguimento della qualificazione, l’ente titolare rilascia un certificato di competenze o, laddove previsto, un supplemento al certificato che deve comunque contenere:

a) gli elementi minimi riguardante gli standard minimi di attestazione del decreto legislativo n. 13 del 2013;

b) i dati che consentano la registrazione dei documenti nel sistema informativo dell’ente titolare in conformità al formato del Libretto formativo del cittadino.


venerdì 28 agosto 2015

Licenziamento del dipendente con familiari a carico



La scelta dei lavoratori da licenziare non è libera. L’impresa infatti deve attenersi ai criteri stabiliti dalla contrattazione collettiva.

Se i contratti collettivi nello specifico non prevedono nulla la legge n. 223/1991 stabilisce dei criteri generali in base ai quali l’individuazione dei lavoratori da licenziare deve avvenire considerando:

i carichi di famiglia (ovverosia l’impatto che un eventuale licenziamento può avere in relazione alla presenza di un coniuge a carico e del numero dei figli);

l’anzianità del lavoratore (tenendo conto del principio per il quale un lavoratore molto anziano trova maggiori difficoltà a reinserirsi nel mondo del lavoro);

le esigenze tecniche, produttive e organizzative dell’impresa.

Il licenziamento mai come in questi anni è uno degli argomenti maggiormente temuti dai lavoratori, il rischio che l’Azienda per la quale si lavori improvvisamente chiuda mandando per strada tanti lavoratori è sempre dietro l’angolo.

Segnaliamo una recente Sentenza emessa dal Tribunale di Firenze in materia di licenziamenti.

Quando un’Azienda è costretta ad effettuare dei licenziamenti per ragioni legate all’attività produttiva o l’organizzazione del lavoro, ci sono dei criteri da tenere in considerazione come:

anzianità maturata del lavoratore all’interno dell’Azienda;

età del lavoratore, infatti una lavoratore più giovane ha più possibilità di trovare un nuovo impiego rispetto ad un collega più anziano, infatti come è noto le Aziende che assumono cercano sempre giovani che non superino i 30/35 anni.

Il Tribunale di Firenze con la sentenza. n. 4/2015 ha stabilito che in caso di licenziamento di un lavoratore, oltre ai criteri  che abbiamo visto deve tener conto anche dei carichi familiari del dipendente.

Quindi a parità di anzianità di servizio il datore di lavoro deve “salvaguardare” il lavoratore che ha moglie e i figli a carico, la sentenza quindi ha come obiettivo quello di tutelare tutti i lavoratori dipendenti che si trovano in una posizione di maggiore debolezza sociale in caso di licenziamento.

Esistono, alcune specificità del licenziamento:

innanzitutto affermiamo che il diritto di libertà dell’attività economica privata è sancito dall’articolo 41 della Costituzione: quando il datore di lavoro ritiene, che per attuare delle modifiche, sia necessario licenziare un dipendente, ha facoltà di farlo, ma in caso di contestazione dovrà dimostrare il giustificato motivo oggettivo (ad esempio, il reale riassetto dell’azienda). Quindi l’azienda deve dimostrare la sussistenza delle ragioni del licenziamento, il nesso di causalità con il recesso dal rapporto di  lavoro, l’impossibilità di ricollocare il dipendente presso un reparto diverso o spostarlo a mansioni diverse rispetto a quelle precedentemente svolte.

In caso di ricorso il  giudice ha l’obbligo di controllare la veridicità delle ragioni addotte ma non può entrare nel merito delle scelte del datore di lavoro, ossia non può opporsi al ridimensionamento o alla riorganizzazione aziendale. Se in sede di contestazione il lavoratore si  trova nella possibilità di indicare mansioni che avrebbe potuto ricoprire, spetta al datore di lavoro motivare il mancato riposizionamento.

Il datore di lavoro deve prima tener conto dei carichi familiari del lavoratore, quindi della sua anzianità anagrafica e, infine, delle esigenze tecnico-produttive dell’azienda».

Ricapitolando: quando un’azienda si trova costretta ad effettuare delle riduzioni di personale, il datore di lavoro, rispettando i canoni di correttezze e buona fede, ha l’obbligo di:

privilegiare quel lavoratore con moglie e figli a carico rispetto ad un dipendente senza carichi familiari oppure con la sola moglie a carico;

salvaguardare quei lavoratori più anziani rispetto a quelli più giovani, per il semplice fatto che quest’ultimi hanno maggiori possibilità di reinserirsi nel mondo del lavoro rispetto ai colleghi più anziani;

tener conto delle reali esigenze dell’impresa, sia dal punto di vista tecnico al fine di non far mancare le figure professionali adeguate per la continuazione dell’attività aziendale e sia dal punto di vista economico, per un miglioramento prettamente produttivo.

Tuttavia all’interno degli accordi tra impresa e sindacati raggiunti al termine del procedimento di cui abbiamo parlato al paragrafo precedente, è possibile che le parti stabiliscano dei criteri diversi da quelli previsti dalla legge.

Nel derogare ai principi di legge, tuttavia, le parti devono comunque rispettare i principi:
di non discriminazione (sindacale, religiosa, politica, sessuale, linguistica ecc);
di razionalità (in particolare i criteri adottati devono essere coerenti con le ragioni aziendali che sono alla base della richiesta di mobilità).

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