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martedì 18 ottobre 2016

Lavoro: i voucher, cosa sono e cosa succede in Europa



Con lavoro accessorio si è intende quelle prestazioni lavorative non riconducibili alle tipologie contrattuali tipiche del lavoro subordinato o del lavoro autonomo, ma caratterizzate da un limite prettamente economico e dal pagamento attraverso dei voucher.

Le prestazioni di lavoro accessorio sono le attività lavorative di natura occasionale che possono essere retribuite con i cosiddetti voucher lavoro per un totale massimo di 7.000 euro (netti per il lavoratore) nel corso di un anno solare (annualmente rivalutati), con riferimento a tutti i datori di lavoro.

I buoni lavoro o voucher sono un sistema di pagamento che si può utilizzare per il lavoro occasionale di tipo accessorio. Nati nel 2003 con l'intento di far emergere il lavoro nero, sono entrati in vigore nel 2008 e la riforma Fornero nel 2012 ne ha esteso l'uso a tutti i settori. Il Jobs Act e il successivo decreto correttivo ne hanno reso più trasparente l'utilizzo e meno facile l'abuso, con il via libero definitivo alla loro tranciabilità: per attivarli i committenti devono inviare un email o un sms 60 minuti prima dell'uso con tutti i dati anagrafici e il codice fiscale del lavoratore. La mancata comunicazione prevede sanzioni da 400 a 2.400 euro. Il valore di un voucher è di 10 euro (7,50 al netto) ma esistono anche buoni da 20 e da 50 euro. I buoni lavoro in Italia sono impiegati per lo più nel settore agricolo, ma sono diffusi anche nel commercio e nei servizi. Questo tipo di meccanismo è già usato dal 2004 da altri paesi come Belgio, Francia e Regno Unito soprattutto nel campo dei servizi di assistenza alla persona e familiari.

Un voucher vale 10 euro. E' inoltre disponibile un buono 'multiplo', del valore di 50 euro equivalente a cinque buoni non separabili e un buono da 20 euro equivalente a due non separabili. Il periodo di validità di quelli cartacei è fissato in 24 mesi. Il valore nominale è comprensivo della contribuzione (pari al 13%) a favore della gestione separata Inps che viene accreditata sulla posizione individuale contributiva del prestatore, di quella in favore dell'Inail per l'assicurazione anti-infortuni (7%) e di un compenso al concessionario (Inps) per la gestione del servizio pari al 5%. Il valore netto del voucher da 10 euro è dunque pari a 7,50 euro e corrisponde al compenso minimo di un'ora di prestazione, salvo che per il settore agricolo dove si considera il contratto di riferimento. Il valore netto del buono 'multiplo' da 50 euro, cioè il corrispettivo netto della prestazione, in favore del lavoratore, è pari a 37,50 euro; quello del buono da 20 euro è pari a 15 euro.

Il Jobs act aveva riservato l'acquisto in posta solo ai privati. In pratica, i datori di lavoro privati possono tornare ad acquistare i voucher negli uffici postali, per importi da 10 a 200 euro. L’ufficio può stampare il voucher telematico richiesto, oppure emettere un voucher cartaceo postale. Con un’unica transazione è possibile acquistare un numero massimo di cinque voucher pagando una commissione di acquisto pari a 1,50 euro più IVA. Per poter effettuare l’acquisto alle Poste, il datore di lavoro deve essere registrato sul sito dell’INPS.

E' bene ricordarlo che ai voucher acquistati alle Poste si applicano le stesse regole degli altri buoni lavoro relative alla preventiva attivazione con l’indicazione dei dati anagrafici del prestatore e del luogo di esecuzione della prestazione. Ricordiamo molto brevemente che il voucher contiene tutti gli elementi della retribuzione, compreso il 13% a favore della gestione separata INPS e il 7% all’INAIL. Il valore netto di un voucher normale da 10 euro, è pari a 7,50 euro, quello di un voucher da 20 euro è di 15 euro, il netto di un buono da 50 euro è pari a 37,50 euro.

I committenti imprenditori non agricoli o professionisti, che ricorrono a prestazioni di lavoro accessorio sono tenuti, almeno 60 minuti prima dell'inizio della prestazione di lavoro accessorio, a comunicare alla sede territoriale dell'Ispettorato nazionale del lavoro - mediante sms o posta elettronica - i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, il luogo, il giorno e l'ora di inizio e di fine della prestazione. Allo stesso obbligo, e con le stesse modalità, ma con riferimento ad un arco temporale non superiore a tre giorni, sono tenuti anche i committenti agricoli. Per chi non rispetta questo obbligo, si applica una sanzione amministrativa da 400 a 2.400 euro, moltiplicata per ciascun lavoratore per cui è stata omessa la comunicazione. Con la circolare n. 1/2016 del 17 ottobre, l'Ispettorato Nazionale del Lavoro fornisce le indicazioni operative per adempiere ai nuovi obblighi, allegando una lista di indirizzi di posta elettronica dove far pervenire le comunicazioni. Verrà successivamente emanato un apposito decreto con cui il ministero del Lavoro potrà definire l'uso del sistema di comunicazione tramite sms.

Per prestazioni di lavoro accessorio si intendono, con riferimento alla totalità dei committenti, attività lavorative che non danno luogo a compensi superiori a 7mila euro netti (9.333 euro lordi), da rivalutare annualmente. Fermo restando il limite complessivo di 7mila euro, queste attività non possono eccedere compensi annui di 2mila euro netti (rivalutati per il 2015 a 2.020 euro netti, 2.693 euro lordi) per ciascun singolo committente se imprenditore o professionista. I soggetti che percepiscono prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito (ammortizzatori sociali) possono svolgere lavoro accessorio in tutti i settori produttivi nel limite complessivo di 3mila euro netti (4mila euro lordi) di compenso per anno civile, da rivalutare annualmente.

Per il settore agricolo esistono particolari limiti. I voucher possono essere utilizzati con riferimento: a) alle attività lavorative di natura occasionale rese nell'ambito delle attività agricole di carattere stagionale effettuate da pensionati e da giovani con meno di 25 anni di età se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado, compatibilmente con gli impegni scolastici, ovvero in qualunque periodo dell'anno se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso l'università; b) alle attività agricole svolte a favore di piccoli imprenditori agricoli (reddito non superiore a 7.000 euro) che non possono, tuttavia, essere svolte da soggetti iscritti l'anno precedente negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli.

Da tempo il meccanismo dei voucher è stato sperimentato con successo in Belgio, Francia e Regno Unito soprattutto nel campo dei servizi di assistenza alla persona e familiari. Belgio: introdotti nel 2004 i titres-services permettono all'individuo di comprare servizi forniti da una società  Regno Unito: dal 2005 esistono i childcare vouchers, buoni per i servizi all'infanzia. Francia: introdotti nel 2006, combinando due sistemi di voucher preesistenti, i Cheque emploi service universel (Cesu), sono una forma di pagamento per lavori domestici e servizi di assistenza ai bambini. Nel 2009 sono stati introdotti i Titre emploi service entreprise (Tese): utilizzabile da piccole imprese per assumere e retribuire lavoratori occasionali. Austria in vigore dal 2006 i Dienstleistungscheck, una forma di pagamento per lavori.

Si precisa che lo svolgimento di prestazioni di lavoro accessorio non dà diritto alle prestazioni a sostegno del reddito dell'INPS (disoccupazione, maternità, malattia, assegni familiari ecc.), ma è riconosciuto ai fini del diritto alla pensione.

E' vietato ricorrere al lavoro accessorio per l’esecuzione di appalti di opere o servizi. In un prossimo decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali da emanarsi entro il 25 dicembre 2015, saranno individuate specifiche deroghe.

Per i buoni già richiesti alla data del 25 giugno 2015 si applicheranno fino al 31 dicembre 2015 le previgenti disposizioni che prevedevano un ricorso al lavoro accessorio nel limite dei € 5000 (5060 netti) per la totalità dei committenti e di € 2.000 per ciascun singolo committente.


martedì 23 febbraio 2016

Pensioni cosa cambia dal 2016



Aumentano dal 2016 i requisiti per andare in pensione, in attuazione dell’adeguamento alle speranze di vita, con quattro mesi in più di età e un adeguamento di 0,3 punti per chi ancora si ritira con il sistema delle quote: la circolare INPS 63 del 20 marzo 2015 spiega nel dettaglio tutti i requisiti per le pensioni delle varie categorie di lavoratori (uomini o donne, dipendenti o autonomi). Vediamo con precisione come si alza dal primo gennaio 2016 l’età pensionabile per le pensioni di vecchiaia, di anzianità, e per la pensione anticipata.

Quattro mesi in più per una «aspettativa di vita» che si va naturalmente allungando. E che fa salire di quattro mesi, appunto, il tempo per andare in pensione: non più i 66 anni e tre mesi di età fissati fino al 2015, ma 66 anni e sette mesi che saranno invece necessari dal primo gennaio prossimo per lasciare il lavoro. Prolungamento imposto più che consigliato dalla crescita della cosiddetta «aspettativa media di vita», che è diventata parametro fondamentale del sistema previdenziale Inps. Attenzione, i quattro mesi in più si sommano sia al minimo di età richiesto per l'assegno di vecchiaia che al minimo di anni di contributi per la pensione anticipata.

Comunque il risultato finale, come spiega una circolare dell'Inps, è che tra il 2016 e il 2018 gli uomini andranno in pensione di vecchiaia a 66 anni e sette mesi (minimo venti anni di contributi). Le donne del settore privato dovranno avere 65 anni e sette mesi (66 anni e sette mesi nel 2018), mentre le lavoratrici autonome dovranno aver raggiunto un'età di 66 anni e un mese (66 anni e sette mesi nel 2018). Per le dipendenti pubbliche l'assegno di vecchiaia è fissato con i tempi degli uomini: 66 anni e sette mesi. Cresce sempre di fatidici quattro mesi anche il massimo di età in base al quale il lavoratore dipendente può chiedere di restare sul posto di lavoro: a partire dal 2016 sarà di 70 anni e sette mesi. Serviranno ancora quattro mesi in più per acquisire la pensione di vecchiaia prevista per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1995, cioè con l'avvio del sistema contributivo. Si va da 63 anni e tre mesi a 63 anni e sette mesi. Comunque e sempre in presenza di almeno 20 anni di contributi già versati.

Un sistema che fissa anche altri principi. Per esempio, quello riguardante le regole della pensione anticipata. Per lasciare il lavoro, rispetto all'assegno di vecchiaia, gli uomini devono avere attualmente almeno 42 anni e sei mesi di contributi mentre per le donne sono sufficienti 41 anni e sei mesi. Regole che resteranno sino alla fine di quest'anno. Poi, dall'anno prossimo, il requisito sarà innalzato a 42 anni e dieci mesi per gli uomini e 41 anni e dieci mesi per le donne. Cioè queste ultime potranno contare su uno sconto di un anno.La riforma Fornero oltre a fissare una serie di penalizzazioni rispetto alla pensione anticipata, è alla base delle tabelle elaborate dalla Ragioneria generale dello Stato che fotografano il progressivo status del sistema fino al 2050 tenendo conto naturalmente dell'ormai imprescindibile parametro della «speranza di vita». In base a queste stime l'età per la pensione di vecchiaia salirà progressivamente fino a 70 anni nel 2050, quando gli anni di contributi necessari per raggiungere la pensione anticipata saranno arrivati a quota 46 e tre mesi. Intanto ieri il presidente dell'Inps Tito Boeri ha annunciato entro giugno una proposta di riforma per introdurre più flessibilità nell'età.

Ciò significa che dal 1° gennaio 2016 verranno rivisti i requisiti per il conseguimento della pensione di anzianità, quello per la maturazione della pensione di vecchiaia (ovvero 65 anni per gli uomini e per le donne del pubblico impiego e 60 anni per le donne del privato), il requisito anagrafico dei 65 anni per la pensione con il sistema contributivo e il requisito dei 40 anni di contributi ai fini della maturazione del diritto all'accesso al pensionamento indipendentemente dall'età anagrafica.

In pratica età e anzianità contributiva sono aggiornate in funzione dell’incremento della speranza di vita – 65 anni – in rifermento alla media della popolazione residente in Italia, accertata dall’Istat in relazione al triennio di riferimento. L’emendamento prevede che, nella prima applicazione, l’aggiornamento non può essere in ogni caso superiore a tre mesi e che lo stesso non viene effettuato nel caso di diminuzione della speranza di vita.


martedì 16 febbraio 2016

Pensione di reversibilità 2016 che accadrà?



Ricordammo che in caso di morte di un pensionato viene erogata ai familiari di quest'ultimo (e su loro richiesta) una prestazione economica detta pensione di reversibilità (che invece prende il nome di pensione indiretta quando il decesso colpisce un lavoratore non pensionato).

L'importo della pensione di reversibilità viene stabilito in una percentuale della pensione a suo tempo goduta dal defunto.

L’avvertimento che è stato lanciato da Ivan Pedretti, segretario generale dello Spi-Cgil: in Commissione Lavoro alla Camera è arrivato un disegno di legge delega che contiene un punto gravissimo. In pratica, la pensione di reversibilità verrà considerata una prestazione assistenziale e non previdenziale, il governo prevede un intervento sulle pensioni di reversibilità. Sono le prestazioni di cui godono il coniuge o gli eredi alla morte del pensionato o del lavoratore che ha versato i contributi.

Con l’indicatore Isee possibili tagli ai nuovi assegni destinati a coniugi ed eredi in vita.

Leggendo le direttive del governo si capisce che le pensioni di reversibilità diventano «prestazione assistenziale», e che per poterne beneficiare in futuro bisognerà non superare certi parametri economici e si intende ancorare la reversibilità (ma anche assegno sociale, integrazione al minimo, maggiorazione sociale del minimo, assegno per il nucleo con tre figli minori) al reddito calcolato con il meccanismo dell’Isee.

L’Isee, l’“indicatore della situazione economica equivalente”, tiene conto anche di eventuali patrimoni finanziari e immobiliari. In altre parole, la vedova che ha fatto per una vita la casalinga - ma cui il coniuge ha lasciato in eredità qualche immobile e un pacchetto di Btp - rischia di dover dire addio all’assegno. In teoria: tutto deriverebbe da dove verrà posta l’asticella del parametro Isee. A sentire alcuni consulenti del governo, invece, non cambierebbe nulla, perché in questo caso non si considererebbe l’elemento patrimoniale dell’Isee. Vero è che nell'articolato due volte si parla di «razionalizzazione delle prestazioni», termine inquietante. Ed è vero anche che finora la pensione di reversibilità era appunto una misura «previdenziale», dovuta perché costruita con i contributi versati dal lavoratore nel corso degli anni; d’ora in poi sarà «assistenziale», e correlata ai mezzi di cui dispone il beneficiario.

Quindi rispetto al passato (l’assegno di reversibilità da strumento previdenziale diventa assistenziale), il disegno di legge introduce il concetto di “universalismo selettivo” per l’accesso alle prestazione che, dopo l’entrata in vigore delle nuove norme, saranno agganciate ai parametri Isee. Ed è qui che si è scatenata la polemica perché, attualmente, l’entità dell’assegno di reversibilità è legata soprattutto al numero dei superstiti e, in maniera minore, al loro reddito. Se le prestazioni saranno legate alla situazione economica complessiva, è probabile che la platea dei beneficiari delle pensioni di reversibilità possa ridursi. Non solo, collegando la pensione di reversibilità all’Isee, è prevedibile un taglio per tutti i nuovi assegni.

Cosa accadrà? La nuova normativa considera le reversibilità come prestazioni assistenziali e non più previdenziali e quindi lega la possibilità di accedervi o la percentuale dell'assegno all'Isee, l' indicatore della situazione economica equivalente. Il problema è che questo indicatore viene calcolato con riferimento al nucleo familiare del richiedente e non al reddito personale.

I beneficiari di pensioni di reversibilità sono più di 3 milioni (3.052.482) e la spesa totale nel 2015 è stata pari ad oltre 24,1 miliardi di euro (24.152.946.974). Quasi 3,5 milioni (3.469.254), per una spesa di oltre 20 miliardi di euro (20.500.376.967) sempre nel 2015, risultano invece i beneficiari di integrazione al minimo (quando la pensione derivante dai contributi versati è di importo molto basso, al di sotto del minimo 'vitale'). Sono i dati contenuti nell'analisi dell'impatto della regolamentazione che accompagna il ddl delega sulle norme di contrasto alla povertà, sul riordino delle prestazioni e sul sistema degli interventi e dei servizi sociali (collegato alla stabilità). Nel testo si fa riferimento alle "principali prestazioni di natura assistenziale, ovvero di natura previdenziale ma comunque sottoposte alla prova dei mezzi" che sono, oltre la pensione di reversibilità, "assegno sociale, integrazione al minimo, maggiorazione sociale del minimo, assegno per il nucleo con tre o più figli minori".

A fronte di queste decisioni a piangere saranno molte vedove, visto che numeri alla mano la reversibilità tocca soprattutto alle donne. Il provvedimento non è retroattivo, ma per dare un' idea di cosa stiamo parlando basterà ricordare che a oggi godono di questa prestazione 3 milioni 52 mila e 482 italiani.

Con l' Isee non si fa più riferimento al reddito personale ma a quello della famiglia: potrebbe succedere che una vedova con un reddito molto basso rischi di vedersi tagliare o addirittura di perdere il diritto alla pensione del marito solo perché vive ancora con il figlio che vanta una retribuzione minima da lavoro. Non solo. Perché c' è anche il discorso degli immobili. Nel calcolo del nuovo Isee, infatti, ha un peso fondamentale la casa di proprietà. Tanto che il rischio del paradosso non è affatto campato in aria: una vedova che ha un reddito minimo ma un tetto sicuro sotto il quale vivere si veda perdere la pensione.

Sul 2016 sappiamo che la soglia limite fissata per non subire la riduzione della prestazione è di 19.573 euro l' anno, e la speranza, a oggi decisamente meno solida rispetto a ieri, è che questi numeri e paletti resistano anche per gli anni a venire.



Lavoro accessorio per il 2016: precisazioni, limiti e casi particolari



Con lavoro accessorio si è intende quelle prestazioni lavorative non riconducibili alle tipologie contrattuali tipiche del lavoro subordinato o del lavoro autonomo, ma caratterizzate da un limite prettamente economico e dal pagamento attraverso dei voucher.

Le prestazioni di lavoro accessorio sono le attività lavorative di natura occasionale che possono essere retribuite con i cosiddetti voucher lavoro per un totale massimo di 7.000 euro (netti per il lavoratore) nel corso di un anno solare (annualmente rivalutati), con riferimento a tutti i datori di lavoro.

Il limite però che si può ricevere da ogni singolo committente, se impresa commerciale o professionista, è di 2mila euro netti. Il limite di compensi per i soggetti percettori di indennità di mobilità o cassa integrazione nel 2016 è pari a 3mila euro.

Ciascun 'buono lavoro' (voucher), che viene emesso telematicamente dall'INPS, ha un valore netto in favore del lavoratore di 7,50 euro e corrisponde al compenso minimo di un’ora di prestazione, al costo di 10 euro per il datore di lavoro (salvo che per il settore agricolo, dove si fa riferimento al contratto specifico). Con tali buoni lavoro vengono quindi garantiti :
· il compenso per il lavoratore,
· la copertura previdenziale INPS (pensione) e
· quella assicurativa presso l'INAIL.

Con un messaggio l'Inps è intervenuto con importanti precisazioni in materia di lavoro accessorio    specificando in particolare alcune categorie di soggetti committenti che non rientrano nella definizione di imprenditori commerciali. Per questi soggetti non vale il limite di 2000 euro annui con cui possono retribuire   ogni lavoratore   attraverso voucher lavoro.

In particolare il documento recita :" In linea generale, dunque, l'espressione "imprenditori"risulta comprensiva di tutte le categorie disciplinate dall'art. 2082 e segg. del codice civile, dalla cui lettura congiunta è possibile individuare una serie di soggetti che, pur operando con Partita IVA e/o codice fiscale numerico, non sono da considerare imprenditori e, dunque, non sono soggetti alle limitazioni suddette.

A titolo non completo si indicano i seguenti soggetti:
Committenti pubblici (nel rispetto dei vincoli previsti dalla normativa in materia di contenimento della spesa e, ove previsto, dal patto di stabilità interno);
Ambasciate;
Partiti e movimenti politici;
Gruppi parlamentari;
Associazioni sindacali;
Associazioni senza scopo di lucro;
Chiese o associazioni religiose;
Fondazioni che non svolgono attività d'impresa;
Condomini;
Associazioni e società sportive dilettantistiche;
Associazioni di volontariato e i Corpi volontari (Protezione civile, Vigili del Fuoco ecc.)
Comitati provinciali e locali della Croce Rossa, Gialla, Verde e Azzurra, AVIS, ecc..

Si ribadisce cosi che il limite di 2000   euro netti    trova dunque applicazione per ciascun lavoratore che svolge prestazioni   nei riguardi sia di iscritti agli ordini professionali, anche assicurati presso una cassa diversa da quella del settore specifico dell'ordine, sia di titolari di partita IVA, non iscritti alle casse, ed assicurati all'INPS   presso la Gestione Separata.

La specificazione nel testo sul fatto che l'elenco non "esaustivo   evoca la possibilità che   la materia lasci aperti altri dubbi sulla definizione dei soggetti   committenti interessati.

Saranno quanto mai utili chiarimenti generali su vari aspetti di questo particolare istituto, già annunciati da più parti . Va ricordato infatti che il lavoro accessorio non è regolato da uno specifico contratto di lavoro e il suo sempre maggiore utilizzo   porta molte storture   e qualche iniquità.

Sul fronte delle modalità di acquisto dei buoni lavoro, è stato introdotto l’obbligo per i committenti imprenditori o liberi professionisti di acquistare esclusivamente con modalità telematiche “uno o più carnet di buoni orari, numerati progressivamente e datati, per prestazioni di lavoro accessorio il cui valore nominale è fissato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, tenendo conto della media delle retribuzioni rilevate per le diverse attività lavorative e delle risultanze istruttorie del confronto con le parti sociali”.

L’acquisto dei buoni-lavoro (voucher) cartacei può avvenire presentando la propria tessera sanitaria o di codice fiscale o carta di identità elettronica presso i seguenti concessionari:

Uffici Postali del territorio nazionale, esclusivamente per i committenti non imprenditori né liberi professionisti ( ad es. privati) con una commissione di 2,5 euro + IVA per ogni emissione fino a 25 voucher ( ripetibile fino a 5mila euro giornalieri);

per tutti i committenti presso i rivenditori di generi di monopolio autorizzati (tabaccai) con un addebito di 1,70 euro per ogni acquisto fino a un massimo di mille euro per pagamenti in contanti ; fino a 5.000,00€ per pagamenti con carte di credito per singolo Codice Fiscale;

per tutti i committenti presso gli sportelli bancari abilitati con addebito di 1 euro di commissione, con un massimo di 5mila euro giornalieri.

Si precisa che lo svolgimento di prestazioni di lavoro accessorio non dà diritto alle prestazioni a sostegno del reddito dell'INPS (disoccupazione, maternità, malattia, assegni familiari ecc.), ma è riconosciuto ai fini del diritto alla pensione.

E' vietato ricorrere al lavoro accessorio per l’esecuzione di appalti di opere o servizi. In un prossimo decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali da emanarsi entro il 25 dicembre 2015, saranno individuate specifiche deroghe.

Per i buoni già richiesti alla data del 25 giugno 2015 si applicheranno fino al 31 dicembre 2015 le previgenti disposizioni che prevedevano un ricorso al lavoro accessorio nel limite dei € 5000 (5060 netti) per la totalità dei committenti e di € 2.000 per ciascun singolo committente.



mercoledì 3 febbraio 2016

INPS: pronta la domanda per il bonus 2016 per l' asilo nido e baby sitter



Dal 1 febbraio 2016 è disponibile sul sito dell’Inps la procedura telematica che permette la presentazione da parte delle madri lavoratrici della domanda di accesso al contributo economico utilizzabile, in alternativa al congedo parentale, per il servizio di baby-sitting oppure per far fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l’infanzia o dei servizi privati accreditati. Il fondo da cui attingere è dotato di 20 milioni di euro. Il contributo è di 600 euro per sei mesi (3.600 euro in totale).

L’INPS ha pubblicato l’avviso con le istruzioni per la domanda, che si può presentare fino al 31 dicembre. Si tratta di un contributo di 600 euro al mese, per un periodo massimo di sei mesi, da utilizzare per servizi di baby sitting o per l’infanzia (pubblici o strutture private accreditate). Introdotto in via sperimentale per gli anni 2012-2015 dalla riforma del Lavoro Fornero (articolo 4, comma 24, lettera b, legge 92/2012), il bonus è stato prorogato per il 2016 dalla Legge di Stabilità. L’INPS accoglierà le domande fino a esaurimento risorse, pari a 20 milioni di euro per quest’anno. Il criterio generale è l’ordine cronologico di presentazione delle domande.

Possono presentare la domanda le seguenti categorie di lavoratrici in costanza di rapporto di lavoro: dipendenti del settore pubblico o privato; parasubordinate o libere professioniste iscritte alla gestione separata Inps,  come alternativa al diritto di congedo parentale e da fruire negli 11 mesi successivi al termine del congedo di maternità obbligatorio. Nel caso in cui la lavoratrice abbia già usufruito in parte del congedo parentale, può chiedere il voucher per un numero di mesi pari al congedo non ancora utilizzato. Hanno diritto al voucher anche le lavoratrici in part-time: in questo caso, il contributo è proporzionato all’orario di lavoro, in base a specifica tabella INPS.

Non sono ammesse le lavoratrici autonome, per le quali la Legge di Stabilità ha comunque previsto un altro voucher, sempre di 600 euro al mese, per un periodo massimo di tre mesi.

La domanda va presentata all'Inps per via telematica, utilizzando i servizi del portale con accesso tramite PIN dispositivo accedendo al portale Internet dell'Istituto al seguente indirizzo: www.inps.it  - Servizi per il cittadino - Autenticazione con Pin - Invio domande di prestazioni a sostegno del reddito - Invio delle domande per l'assegnazione dei contributi per l'acquisto dei servizi per l'infanzia.  In alternativa, la domanda può essere presentata rivolgendosi ai patronati. Attenzione: le domande pervenute mediante canali diversi (email, PEC), non saranno prese in considerazione. E' bene ricordare che dal momento di presentazione della domanda e fino all'accoglimento della stessa, per la madre lavoratrice è sospesa la possibilità di fruire del periodo di congedo parentale cui si rinuncia nella domanda di beneficio, detta fruizione sarà nuovamente consentita solo nel caso di reiezione della domanda, ovvero in caso di rinuncia al beneficio.

Se si decide per il contributo baby sitting, gli appositi voucher vanno ritirati presso la sede INPS competente entro 120 giorni dall’accoglimento della domanda; se sceglie il voucher per l’iscrizione al nido, il contributo viene erogato dall’INPS direttamente alla struttura prescelta. E’ possibile cambiare la scelta della struttura per l’infanzia sempre fra quelle accreditate (elenco sul sito INPS) – accedendo alla procedura online o rivolgendosi a un patronato (rimangono dunque le consuete regole degli anni scorsi).

Le lavoratrici interessate, per la presentazione della domanda, dovranno: richiedere preventivamente il Pin online e convertirlo in tempo utile in Pin dispositivo; presentare preventivamente ed in tempo utile all’Inps la dichiarazione Isee (qualora non sia già presente nelle banche dati dell’Inps una dichiarazione Isee valida). Tale dichiarazione può essere presentata all'Istituto in via telematica o rivolgendosi ad un Caf convenzionato.

L’INPS, oltre alle istruzioni per la domanda, ha pubblicato il modello per dichiarare l’effettiva fruizione del beneficio (nel caso si scelga l’iscrizione al nido) e quello che le strutture per l’infanzia devono compilare per la liberatoria di pagamento.

Se la lavoratrice sceglie il voucher baby sitter, deve effettuare al comunicazione di inizio prestazione (indicando codice fiscale proprio e del prestatore/prestatrice, luogo di svolgimento della prestazione, date presunte di inizio e di fine dell’attività lavorativa), attraverso il contact center INPS/INAIL (803.164, gratuito da telefono fisso, oppure, da cellulare il numero 06164164, con tariffazione a carico dell’utenza chiamante), il numero di fax gratuito INAIL 800.657657 (utilizzando il modulo presente sul sito dell’INAIL), la sezione “Pronto cliente” del sito INAIL, la sede INPS. Il o la baby sitter deve incassare il corrispettivo del voucher, convalidato con la propria firma, entro 24 mesi. I voucher non sono rimborsabili in caso di mancato utilizzo.

Mentre le lavoratrici autonome e le imprenditrici è prevista una dotazione di 2 milioni di euro, ma  manca il decreto interministeriale per stabilirne modalità e criteri di accesso. Per ora si sa solo che il tempo massimo per cui si potrà richiedere è di soli tre mesi.

Una significativa attenzione va data al fattore tempo: non ce n'è molto a disposizione per pensare se tornare al lavoro per 600 euro al mese, lasciando il figlio al nido o a casa con la baby sitter, tra le possibili pressioni del datore di lavoro e il pensiero che con il congedo parentale si riceve solo il 30% dello stipendio. Cos・ anche se le domande possono essere presentate fino al 31 dicembre 2016, a poter spezzare le speranze delle mamme ・una clausola prevista: l筑esaurimento dei fondi a disposizione per finanziare il bonus. E per l'anno corrente ammontano a 20 milioni di euro.


domenica 24 gennaio 2016

Assunzioni agevolate per il 2016: guida ai nuovi incentivi


Le assunzioni agevolate sono state confermate anche per il 2016 ma solo in modo parziale. Infatti è stato prorogato lo sgravio contributivo per i datori di lavoro che intendono assumere nuovo personale nell'anno 2016 con una riduzione del 40% dell’agevolazione massima contributiva annua e una diminuzione della durata dell’incentivo, che passa da 36 mesi a 24 mesi.

Non possono accedere ai bonus previsti per le assunzioni agevolate i datori di lavoro che assumano per via di un obbligo preesistente stabilito dalla legge o dal contratto collettivo.

In caso di sospensioni dal lavoro in atto, connesse ad una crisi o riorganizzazione aziendale è possibile usufruire degli incentivi solo se i nuovi lavoratori sono inquadrati in un livello diverso rispetto ai lavoratori sospesi, o sono impiegati in diverse unità produttive. Esclusi dalle assunzioni agevolate anche i datori di lavoro con assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con quelli dell’azienda che ha licenziato il dipendente nei 6 mesi precedenti, oppure in rapporti di collegamento o controllo.

Per i datori di lavoro che assumano disoccupati da almeno 6 mesi lo sgravio contributivo è stato ridotto, rispetto al 2015, per effetto della Legge di Stabilità 2016, al 40% dei contributi a carico del datore, il tetto massimo è sceso a 3.250 euro annui e l’operatività del bonus a 2 anni.

Per chi assume apprendisti sono previsti vantaggi contributivi pari a:
all’11,61% a carico del datore di lavoro e il 5,84% a carico dell’apprendista;
al 100% per le imprese con meno di 9 dipendenti, ad essere dovuta è la sola aliquota NASpI dell’1,61%.

Nel caso si voglia formare un lavoratore questa rimane la tipologia di assunzione più conveniente per il datore di lavoro. Per l’apprendistato professionalizzante il datore di lavoro può godere dell’aliquota agevolata per i primi 3 anni pari al 11,61% ed al sotto delle 9 unità di organico, dal 01.01.2012 al 31.12.2016, lo sgravio contributivo è pari al 100% (si versa solo l’aliquota Aspi del 1,61%). Per le assunzioni di apprendisti per “la qualifica, il diploma e la specializzazione professionale” è stata prevista la riduzione dell’aliquota al 5% (prima era del 10%). Sarà possibile goderne per gli apprendisti assunti dal 24.09.2015 al 31.12.2016, anche se si attende comunque una circolare di istruzioni da parte dell’Inps sulle modalità di applicazione.

Donne e Over 50
E’ confermata per il 2016 lo sgravio contributivo del 50% per le seguenti casistiche di lavoratori: - Uomini o donne con almeno 50 anni di età disoccupati da oltre 12 mesi - Donne di qualsiasi età, disoccupate da almeno 6 mesi che devono risiedere in aree svantaggiate - Donne di qualsiasi età prive di impiego da almeno 24 mesi, ovunque residenti. Le assunzioni potranno avvenire: - a tempo indeterminato e si potrà godere dello sgravio per 18 mesi - a tempo determinato e si potrà godere dello sgravio per 12 mesi - in caso di trasformazione a tempo indeterminato lo sgravio è riconosciuto per totali 18 mesi. Lo stesso vale per le proroghe del tempo determinato fino al limite complessivo di sgravio di 12 mesi.

Per l’assunzione, anche con contratto a tempo determinato, di donne residenti in aree svantaggiate o operanti in settori con elevata disparità occupazionale uomo-donna disoccupate da oltre 6 mesi, donne ovunque residenti disoccupate da oltre 24 mesi e ultracinquantenni disoccupati da oltre 12 mesi sono previsti:

sgravi contributivi pari al 50% dei contributi INPS e INAIL, per un massimo di 12 mesi, in caso di assunzione a tempo determinato;

sgravi contributivi pari al 50% dei contributi INPS e INAI, per un massimo di 18 mesi, in caso di assunzione a tempo indeterminato, o di trasformazione del contratto.

Il tutto a patto che l’azienda, con la nuova assunzione, realizzi un effettivo incremento occupazionale.

Il programma Garanzia Giovani prevede vantaggi non solo per i giovani, ma anche per le aziende.

Nel dettaglio sono previsti i seguenti incentivi il bonus legato all'assunzione degli iscritti al programma prevede, a favore di aziende e professionisti, i seguenti incentivi::
• 2.000 euro per i giovani con profilazione molto alta assunti con contratto a tempo determinato di durata dai 6 ai 12 mesi;
• 1.500 euro per i giovani con profilazione alta assunti con contratto a tempo determinato di durata dai 6 ai 12 mesi;
• 4.000 euro per i giovani con profilazione molto alta assunti a tempo determinato oltre i 12 mesi;
• 3.000 euro per i giovani con profilazione alta assunti a tempo determinato oltre i 12 mesi;
• 6.000 euro per i giovani con profilazione molto alta assunti a tempo indeterminato;
• 4.500 euro per i giovani con profilazione alta assunti a tempo indeterminato;
• 3.000 euro per i giovani con profilazione media assunti a tempo indeterminato;
• 1.500 euro per i giovani con profilazione bassa assunti a tempo indeterminato.

Circa le assunzioni che verranno effettuate dal 1° marzo al 31 dicembre 2016, i bonus previsti risultano raddoppiati, solo però se i soggetti inseriti risultano aver svolto un tirocinio nell’ambito del programma Garanzia Giovani.

Questo perché, il raddoppio dei benefici è volto a tramutare la maggior parte dei tirocini svolti durante la prima fase del programma in posti di lavoro veri e propri.

Vantaggi che sono cumulabili con quelli previsti dalla normativa per i contratti di apprendistato e sono fruibili anche per i contratti part-time, purché l’orario sia superiore al 60%.
Cigs o in Mobilità
Agevolazioni sono previste anche caso di assunzione a tempo indeterminato di dipendenti con in seguenti requisiti:
• lavoratori collocati in Cigs per almeno 3 mesi, anche non continuativi;
• essere collocati in Cassa integrazione da un’azienda che si trovi in Cigs da almeno 6 mesi.

Gli incentivi si traducono in:
• uno sgravio contributivo pari a quello previsto per gli apprendisti (a favore del solo datore), per 12 mesi;
• un contributo mensile pari alla metà dell’indennità di mobilità che sarebbe spettata al lavoratore, sino ad un massimo di 36 mesi, per lavoratori over 50 residenti nel Sud Italia e nelle aree ad alto tasso di disoccupazione.

I datori di lavoro che assumono percettori di disoccupazione NASpI possono fruire di un incentivo pari al 20% dei sussidi ancora spettanti al neoassunto.

Chi assume disabili può fruire per 36 mesi di un contributo :

pari al 70% dell’imponibile previdenziale, se l’assunzione a tempo indeterminato riguarda un lavoratore con invalidità superiore al 79% o con minorazioni dalla prima alla terza categoria;

pari al 35% dell’imponibile previdenziale, per lavoratori con invalidità tra il 67% ed il 79% o con minorazioni comprese tra la quarta e la sesta categoria;

pari al 70% dell’imponibile per assunzioni di disabili intellettivi o psichici con una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45% (l’agevolazione in questo caso spetta per 60 mesi).

In caso di assunzioni a termine di durata pari ad almeno 12 mesi, le agevolazioni spettano per tutta la durata del contratto.

Per la sostituzione di lavoratrici in congedo di maternità obbligatorio, o di lavoratrici e lavoratori in congedo parentale, i datori di lavoro possono fruire di uno sgravio del 50% dei contributi INPS e INAIL per un massimo di 12 mesi.

domenica 27 dicembre 2015

Apprendistato: i criteri per il 2016


Il Decreto del Ministero del Lavoro del  12 ottobre 2015, è stato pubblicato nella G.U. 21 dicembre 2015, n. 296,. Con il documento si definiscono ai sensi dell'art. 46, comma 1, del decreto legislativo n. 81 del 2015, gli standard formativi che costituiscono livelli essenziali delle prestazioni ai sensi dell'art. 16 del decreto legislativo n. 226 del 2005 e i criteri generali delle seguenti tipologie di apprendistato:

apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore, di cui all'art. 43 del decreto legislativo n. 81 del 2015;

apprendistato di alta formazione e di ricerca, di cui all'art. 45 del decreto legislativo n. 81 del 2015.

Ai fini della stipula dei contratti di apprendistato, il datore di lavoro deve possedere i seguenti requisiti:

capacità strutturali, ossia spazi per consentire lo svolgimento della formazione interna e in caso di studenti con disabilità, il superamento o abbattimento delle barriere architettoniche;

capacità tecniche, ossia una disponibilità strumentale per lo svolgimento della formazione interna, in regola con le norme vigenti in materia di verifica e collaudo tecnico, anche reperita all'esterno dell'unità produttiva;

capacità formative, garantendo la disponibilità di uno o più tutor aziendali.

Nel dettaglio, il decreto definisce gli standard formativi che costituiscono livelli essenziali delle prestazioni e i criteri generali delle tipologie di apprendistato quali:

- l’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore;

- l’apprendistato di alta formazione e di ricerca.

Ai fini dell’attivazione del contratto di apprendistato, l’istituzione formativa e il datore di lavoro devono sottoscrivere un protocollo secondo lo schema allegato al decreto stesso, nel quale sono stabiliti:
- i requisiti del datore di lavoro;
- la durata dei contratti di apprendistato che non può essere di durata inferiore a sei mesi e la cui durata massima varia in relazione al tipo di diploma e di qualifica che si intende conseguire;
- gli standard formativi, il piano formativo individuale e la formazione interna ed esterna;
- i diritti e i doveri degli apprendisti;
- la funzione tutoriale che è finalizzata a promuovere il successo formativo degli apprendisti;
- la valutazione e certificazione delle competenze.

Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano recepiscono con propri atti le disposizioni di cui al presente decreto.
Trascorso tale termine, in assenza di regolamentazione regionale, l’attivazione dei percorsi di apprendistato è disciplinata attraverso l’applicazione diretta delle disposizioni del presente decreto.

La durata del contratto di apprendistato
La durata del contratto di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, non può essere inferiore a sei mesi e non può, in ogni caso, essere superiore a:
a) tre anni per il conseguimento della qualifica di istruzione e formazione professionale;
b) quattro anni per il conseguimento del diploma di istruzione e formazione professionale;
c) quattro anni per il conseguimento del diploma di istruzione secondaria superiore;
d) due anni per la frequenza del corso annuale integrativo per l’ammissione all’esame di Stato di cui all’art. 15, comma 6, del decreto legislativo n. 226 del 2005;
e) un anno per il conseguimento del diploma di istruzione e formazione professionale per coloro che sono in possesso della qualifica di istruzione e formazione professionale nell’ambito dell’indirizzo professionale corrispondente;
f) un anno per il conseguimento del certificato di specializzazione tecnica superiore.

La durata dei contratti di apprendistato di alta formazione non può essere inferiore a sei mesi ed è pari nel massimo alla durata ordinamentale dei relativi percorsi.

La durata dei contratti di apprendistato per attività di ricerca non può essere inferiore a sei mesi ed è definita in rapporto alla durata del progetto di ricerca e non può essere superiore a tre anni, salva la facoltà delle regioni e delle province autonome di prevedere ipotesi di proroga del contratto fino ad un anno in presenza di particolari esigenze legate al progetto di ricerca.

La durata dei contratti di apprendistato per il praticantato per l’accesso alle professioni ordinistiche non può essere inferiore a sei mesi ed è definita, quanto alla durata massima, in rapporto al conseguimento dell’attestato di compiuta pratica per l’ammissione all’esame di Stato.
Standard formativi, piano formativo individuale e formazione interna ed esterna

L’organizzazione didattica dei percorsi di formazione in apprendistato si articola in periodi di formazione interna ed esterna.

Il piano formativo individuale, redatto dall’istituzione formativa con il coinvolgimento del datore di lavoro secondo il modello di cui all’allegato deve contenere i seguenti elementi:
a) i dati relativi all’apprendista, al datore di lavoro, al tutor formativo e al tutor aziendale;
b) ove previsto, la qualificazione da acquisire al termine del percorso;
c) il livello di inquadramento contrattuale dell’apprendista;
d) la durata del contratto di apprendistato e l’orario di lavoro;
e) i risultati di apprendimento, in termini di competenze della formazione interna ed esterna, i criteri e le modalità della valutazione iniziale, intermedia e finale degli apprendimenti e, ove previsto, dei comportamenti, nonché le eventuali misure di riallineamento, sostegno e recupero, anche nei casi di sospensione del giudizio.

Il piano formativo individuale può essere modificato nel corso del rapporto, ferma restando la qualificazione da acquisire al termine del percorso.

I periodi di formazione interna ed esterna sono articolati anche secondo le esigenze formative e professionali dell’impresa e le competenze tecniche e professionali correlate agli apprendimenti ordinamentali che possono essere acquisiti in impresa.

Valutazione e certificazione delle competenze
L’istituzione formativa anche avvalendosi del datore di lavoro, per la parte di formazione interna, effettua il monitoraggio e la valutazione degli apprendimenti, anche ai fini dell’ammissione agli esami conclusivi dei percorsi in apprendistato, ne dà evidenza nel dossier individuale dell’apprendista e ne comunica i risultati all’apprendista e, nel caso di minorenni, ai titolari della responsabilità genitoriale.

Agli apprendisti è garantito il diritto alla validazione delle competenze anche nei casi di abbandono o risoluzione anticipata del contratto, a partire da un periodo minimo di lavoro di tre mesi.

Per averne diritto l’apprendista, al termine del percorso, deve aver frequentato almeno i tre quarti sia della formazione interna che della formazione esterna di cui al piano formativo individuale.

Laddove previsto nell’ambito dei rispettivi ordinamenti, la frequenza dei tre quarti del monte ore sia di formazione interna sia di formazione esterna di cui al piano formativo individuale costituisce requisito minimo anche al termine di ciascuna annualità, ai fini dell’ammissione all’annualità successiva.
Gli esami conclusivi dei percorsi in apprendistato si effettuano, laddove previsti, in applicazione delle vigenti norme relative ai rispettivi percorsi ordinamentali, anche tenendo conto delle valutazioni espresse dal tutor formativo e dal tutor aziendale nel dossier individuale e in funzione dei risultati di apprendimento definiti nel piano formativo individuale.

In esito al superamento dell’esame finale e al conseguimento della qualificazione, l’ente titolare rilascia un certificato di competenze o, laddove previsto, un supplemento al certificato che deve comunque contenere:

a) gli elementi minimi riguardante gli standard minimi di attestazione del decreto legislativo n. 13 del 2013;

b) i dati che consentano la registrazione dei documenti nel sistema informativo dell’ente titolare in conformità al formato del Libretto formativo del cittadino.


sabato 26 dicembre 2015

Opzione Donna cosa cambia dal 2016


Rimane aperta la possibilità di una proroga al regime speciale Opzione Donna: lo prevede un emendamento alla Legge di Stabilità 2016.

Un emendamento alla Legge di Stabilità 2016 che apre alla possibilità di accedere al regime sperimentale Opzione Donna anche dopo il 31 dicembre 2015, ma solo se avanzeranno fondi dalle risorse stanziate dal Governo. Si tratta della possibilità per lavoratrici con 57/58 anni di età (dipendenti/autonome) e 35 di contributi, di chiedere la pensione anticipata in cambio di un ricalcolo dell’assegno con il sistema contributivo, quindi meno conveniente.

La possibilità di optare per il regime sperimentale è riconosciuta alle lavoratrici iscritte all'assicurazione generale obbligatoria, ai fondi sostitutivi ed esclusivi della stessa (dipendenti del settore privato; pubblico impiego e lavoratrici autonome) in possesso di contribuzione alla data del 31 dicembre 1995. La facoltà di opzione non è invece esercitabile dalle lavoratrici iscritte alla gestione separata.

I Requisiti anagrafici e Contributivi
Per l'esercizio dell'opzione è necessario possedere 57 anni e 3 mesi di età (58 anni e 3 mesi le autonome) unitamente a 35 anni di contributi entro il 31 dicembre 2015 (articolo 1, comma 155 della legge di stabilità 2016). Con l'approvazione della legge di stabilità 2016 è venuta sostanzialmente meno la restrizione prevista dall'Inps con le Circolari 35 e 37 del 14 marzo 2012 che avevano interpretato la data del 31 dicembre 2015 come termine entro il quale si dovesse maturare la decorrenza della prestazione.

Si ricorda che per questa tipologia di prestazione resta infatti in vigore la cd. finestra mobile secondo la quale l'assegno viene erogato dopo 12 mesi per le dipendenti e 18 mesi per le autonome (cfr: Circolare Inps 53/2011) dopo la maturazione dei suddetti requisiti.

L'entità della riduzione dipende ovviamente dalle caratteristiche personali delle lavoratrici, in primo luogo, la loro evoluzione retributiva. In linea generale, più la lavoratrice vanta una carriera anticipata - con livelli retributivi molto elevati percepiti fin dai primi anni di iscrizione all'INPS - più la riduzione sarà minore; viceversa maggiore è l'anzianità contributiva al 31 dicembre 1995 - e quindi la prestazione teorica maturata avrebbe previsto una quota rilevante calcolata attraverso il sistema retributivo - più elevata sarà la riduzione dell'assegno pensionistico.

Proroga
Il testo approvato dalla Commissione Bilancio della Camera prevede un possibile proseguimento alla sperimentazione oltre il 2015, ma solo nel caso in cui le risorse risparmiate dai fondi stanziati dal Governo (2, 5 miliardi di euro) lo consentano. In particolare l’emendamento prevede che qualora dall’attività di monitoraggio INPS sull’attuazione della sperimentazione dovesse risultare un onere previdenziale inferiore rispetto alle previsioni di spesa, con successivo provvedimento legislativo verrà disposto l’utilizzo delle risorse non utilizzate per la prosecuzione della sperimentazione o per interventi con finalità analoghe.

Dunque, a conti fatti, bisognerà attendere fino al prossimo 30 settembre per conoscere se il regime speciale Opzione Donna verrà prorogato o meno.
Requisiti
Nel caso in cui la proroga all’Opzione Donna diventasse operativa, a poter accedere a tale regime speciale sarebbero tutte le lavoratrici in possesso di 57 anni e 3 mesi di età, ovvero 58 anni e 3 mesi le autonome, (si tratta delle donne nate nell’ultimo trimestre del 1958, o 1957 in caso di lavoratrici autonome) e 35 anni di contributi al 31 dicembre 2015, indipendentemente dalla data di decorrenza della pensione.

Il pensionamento anticipato delle lavoratrici con 57 anni e 35 di contributi (58 anni se autonome) verrà prorogato in caso di risparmi sulla spesa finora stimata: la previsione è contenuta in un emendamento alla Legge di Stabilità approvato martedì. In caso di minori spese certificate dai ministeri dell’Economia e del Lavoro i risparmi saranno utilizzati per interventi in materia previdenziale, compresa appunto la proroga della sperimentazione dell’opzione donna.

Oltre a ciò, il nuovo emendamento sulla previdenza approvato dal Governo contiene l’anticipo al 1° gennaio 2016 della no tax area estesa per le pensioni più leggere. L’ampliamento prevede che per gli under 75 la no tax area passerà da 7.500 a 7.750 euro, mentre per chi ha almeno 75 anni salirà da 7.750 a 8.000 euro.

Opzione donna
Potrebbe quindi non essere chiusa la partita della sperimentazione della cosiddetta “opzione donna”, che consente alle lavoratrici che maturano i requisiti (non la decorrenza) per un ritiro anticipato a 57
anni (58 se autonome) e 35 anni di contribuzione entro la fine dell’anno.

Il pacchetto delle correzioni si completa col finanziamento dei contratti di solidarietà, con 60 milioni nel 2016 per i lavoratori impiegati nelle aziende escluse dalla disciplina ordinaria, con la possibilità di includere i periodi di maternità nel conteggio delle presenze della lavoratrice in azienda per i premi di produttività e, infine, con la possibilità di cumulo del riscatto degli anni di laurea col periodo di maternità facoltativa fuori dal rapporto di lavoro.

Per concludere è stata riproposta l’estensione dell’Opzione Donna alle lavoratrici che compiono gli anni nell’ultimo trimestre del 2015: al momento, per questa norma di prepensionamento, ci vogliono oltre ai 35 anni di contributi anche 57 anni e tre mesi, o 58 anni e tre mesi, rispettivamente per lavoratrici dipendenti e autonome. In pratica, le donne nate nell’ultimo trimestre dell’anno non riescono a raggiungere il requisito entro il 2015, e quindi non possono chiedere la pensione anticipata. L’emendamento sana questa situazione estendendo l’Opzione Donna a tutte le lavoratrici che compiono 57 o 58 anni nel 2015 (di fatto, si eliminano i tre mesi legati all’incremento della speranze di vita).

domenica 22 novembre 2015

Jobs act: il nuovo contratto di collaborazione per il 2016


Collaborazioni organizzate dal committente, è il nome che il decreto utilizza per i contratti di collaborazione coordinata e continuativa (spesso noti come co.co.co.) nati nel 1997 con la cosiddetta legge Treu, poi modificati – in molti casi – in contratti a progetto (co.co.pro.) dal DLgs. 276/03.

Questi contratti erano e restano una categoria intermedia tra il lavoro autonomo e il lavoro subordinato, in cui c’è in teoria la piena autonomia operativa e non c’è vincolo di subordinazione, ma nel quadro di un rapporto unitario e continuativo con il committente all’interno dell’organizzazione aziendale. Per evitare che questi contratti mascherino in realtà lavoro subordinato con minori costi e tutele, il decreto introduce le caratteristiche per individuare i rapporti di collaborazione da ritenere invece subordinati, a partire dall’1 gennaio 2016: prestazioni esclusivamente personali e continuative, organizzate dal committente anche in riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.

La seconda indicazione – tempi e luogo – è quella più chiara e stringente, ma il decreto introduce comunque quattro possibilità di deroga, per le quali non vale quanto sopra indicato:

– collaborazioni realizzate sulla base di accordi collettivi nazionali stipulati dai sindacati in ragione di particolari esigenze produttive e organizzative di uno specifico settore;

– collaborazioni relative a professioni intellettuali per la quali è necessaria l’iscrizione agli albi professionali (ingegneri, giornalisti, avvocati, ecc.);

– attività specifiche di componenti di organi di amministrazione e controllo delle società e di partecipanti a collegi e commissioni;

– prestazioni per associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate a federazioni sportive nazionali, discipline sportive associate e enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI (allenatori e istruttori, principalmente).

Col decreto vengono abrogate tutte le norme esistenti al riguardo, che sopravvivono solo per i contratti ancora in essere, tuttavia le nuove indicazioni valgono a partire dal 2016: per circa sei mesi questo tipo di contratti non potranno essere quindi stipulati.

Con l’entrata in vigore del decreto attuativo del Jobs Act (dlgs 81/2015) sono cambiati i contratti di collaborazione: vediamo quali sono le principali caratteristiche delle nuove formule, a partire dall’autonomia gestionale limitata, che li distanzia sempre di più dal rapporto di lavoro autonomo, lasciando tuttavia, un certo grado di libertà, quel tanto che permette di farli discostare anche dalla subordinazione.

In pratica, la nuova normativa sul riordino dei contratti di lavoro ha profondamente modificato i contratti di collaborazione coordinata e continuativa (Co.co.co.): se l’intento dichiarato era quello di abolirli a vantaggio di formule contrattuali stabili, nella pratica sussistono numerose eccezioni che rendono tali collaborazioni ancora stipulabili, ma prive di gran parte delle garanzie e tutele finora previste, soprattutto quelle stabilite dal decreto legislativo 276/2003.

Normativa
Il riferimento normativo per la nuova disposizione legislativa in materia di collaborazioni è l’articolo 409 c.p.c., inserito in realtà nel “Titolo quarto” dedicato alle “Norme per le controversie in materia di lavoro”. A rendere possibili nuove forme di collaborazione è anche il Collegato Lavoro alla Legge di Stabilità 2016.

Entrando nel concreto, il decreto attuativo del Jobs Act ha:
abrogato tutti gli articoli della Riforma Biagi sulle collaborazioni coordinate e continuative anche a progetto;
abrogato le norme della Riforma del Lavoro Fornero che limitavano l’utilizzo delle collaborazioni rese da persone titolari di posizione fiscale ai fini IVA (le cosiddetta “partite IVA”).
Ecco come viene definita dalla norma la tipologia contrattuale in esame:
“Rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato”.

Nuova presunzione di subordinazione
Il decreto ha stabilito i parametri da utilizzare per un rapporto di collaborazione autentico (articolo 2). In sostanza, il contratto non deve contenere alcune modalità esplicative della prestazione. Nel caso in cui queste siano presenti, dal 1° gennaio 2016, ai rapporti di collaborazione interessati si applicherà la disciplina del rapporto di lavoro subordinato:

“A far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”.

Si tratta di elementi che devono essere presenti in contemporanea; la mancanza di uno solo di questi elementi non fa scattare la presunzione assoluta.

Perché i contratti di collaborazione vengano giudicati autentici devono essere:
collaborazioni continuative, svolte in maniera prevalentemente personale e autonomamente organizzate dal collaboratore;

collaborazioni disciplinate (trattamento economico e normativo), dai CCNL (stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale), in ragione delle particolari

esigenze produttive ed organizzative del relativo settore;

collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali;

collaborazioni rese in favore di associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate al C.O.N.I.;

collaborazioni certificate dalle Commissioni di Certificazione, in base all’art. 76 del D.L.vo n. 276/2003.


mercoledì 21 ottobre 2015

Lavoro: le nuove misure per l’occupazione per l’anno 2016


Ricordiamo che lo sgravio triennale sulle assunzioni previsto dal comma 118 dell’articolo 1 della legge 190/2014 riguarda le assunzioni effettuate fino al 31 dicembre 2015.

Dunque una agevolazione transitoria, per i contratti firmati nel 2016 la riduzione dei contributi al 40% avrà una durata massima di 24 mesi per una soglia di 3.250 euro;  ecco il motivo per il quale la Legge di Stabilità 2016 interviene nuovamente. Dimezzati gli sgravi contributivi per le imprese che assumono a tempo indeterminato rispetto all'attuale tetto dagli attuali 8.060 euro per 36 mesi di oggi.

Più in particolare:
dal 2017 la durata massima scende a 12 mesi, con una soglia di circa 1.600 euro.

Dal 2018 il meccanismo dovrebbe essere completamente azzerato. La misura porta, complessivamente, ad un alleggerimento pari a 834 milioni nel 2016 per salire a 1,5 miliardi nel 2017.

Bonus 80 euro trasformato in sgravio, dimezzati gli sgravi contributivi per le nuove assunzioni, ripristinata e ampliata la detassazione dei premi produttività: tutte le misure per l'occupazione della Legge di Stabilità 2016.

Diverse le misure contenute nella Legge di Stabilità 2016 a favore dell’occupazione in Italia, dal bonus di 80 euro in busta paga che cambia veste e viene trasformato in sgravio fiscale, al dimezzamento degli sgravi contributivi per le nuove assunzioni a tempo indeterminato, al ripristino e l’ampliamento della detassazione dei premi produttività.

Vediamoli nel dettaglio.
Cambia il bonus di 80 euro in busta paga per i dipendenti che guadagnano fino a 26mila euro annui: d’ora in poi non sarà più una “prestazione sociale” diventa uno sgravio fiscale che viene tolto dalla busta paga. Un modo per alleggerire la pressione fiscale perché in questo modo il bonus non figura più come maggior spesa per ben 10 miliardi l’anno e il peso del fisco scenderà il prossimo anno dall’attuale 43,1% al 42,6%. In parole povere il bonus non corrisponderà più ad un esborso di Stato ma ad un mancato introito per l’Erario. Cambia inoltre, seppur di pochi euro, l’ammontare della detrazione: lo sgravio sarà variabile a seconda del reddito.

Per il 2016 viene ripristinata la detassazione dei premi produttività, con uno stanziamento di 430 milioni nel 2016, che salgono a 589 milioni gli anni successivi. Tra le novità anche l’ampliamento della platea di beneficiari, includendo i redditi fino a 50mila euro lordi annui (non più i 30-40 mila euro ammessi finora): anche i quadri, oltre agli impiegati e agli operai, potranno godere dell’agevolazione fiscale. La Legge di Stabilità 2016 fissa l’asticella a 2.500 euro per l’importo del premio legato al raggiungimento di obiettivi legati a incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione, assoggettato alla tassazione del 10%. Le aziende potranno inoltre distribuire ai dipendenti gli utili fino a 2.500 euro sempre con tassazione al 10%. L’altra novità è che le somme incentivanti non concorrono alla formazione del reddito ai fine ISEE. In buona sostanza, le somme corrisposte ai lavoratori fini a 2.500 euro a seguito di accordi collettivi aziendali o territoriali sconteranno un’aliquota fiscale del 10% e sarà una imposta sostitutiva che non andrà a cumularsi con gli altri redditi del lavoratore.

Debutterà anche lo Statuto dei lavoratori autonomi finalizzato ad estendere nuove tutele e benefici fiscali sarà una misura organica su fisco e nuove tutele;

contrattazione decentrata, sulla quota di salario di produttività, di partecipazione agli utili dei
lavoratori o di welfare aziendale derivante dalla contrattazione aziendale si applica l’aliquota ridotta del 10% con uno sgravio fiscale complessivo di 430 milioni nel 2016 che sale a 589 negli anni successivi; il bonus avrà un tetto di 2.000 euro (estendibile a 2.500 se vengono contrattati anche istituti di partecipazione) e sarà utilizzabile per tutti i redditi fino a 50.000 euro;

pensionati, aumenta la “no tax area”, ossia la soglia di reddito entro la quale i pensionati non versano l’Irpef; per i soggetti sopra i 75 anni si passa dall'attuale soglia di 7.750 euro a 8.000 euro; per i pensionati di età inferiore ai 75 anni la “no tax area” aumenta da 7.500 euro a 7.750 euro;
previsto il part-time per gli over 63 che dal 2016 a fine 2018 maturano i requisiti per la pensione sulla base della Legge Fornero;

Opzione donna – il regime sperimentale per le donne che intendono lasciare il lavoro con 35 anni di contributi e 57-58 anni di età (e la pensione calcolata con il metodo contributivo) viene esteso al 2016, anno in cui devono essere maturati i requisiti.

Il decreto attuativo del Jobs Act tra le novità per il mondo del lavoro ha previsto una serie di incentivi volti a promuovere il ricorso ai contratti di apprendistato.

Così i datori di lavoro che concludano contratti di apprendistato per la qualifica, il diploma o la specializzazione tecnica superiore tra il 24 settembre 2015 e il 31 dicembre 2016 potranno contare su:

l’esenzione dal contributo di licenziamento di cui all'articolo 2, commi 31 e 32, della legge n. 92 del 2012;

la riduzione dell’aliquota contributiva del 10% di cui all'articolo 1, comma 773, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, al 5%;

lo sgravio totale dei contributi a carico del datore di lavoro di finanziamento dell’ASpI di cui dello 0,30 per cento, previsto dall’articolo 25 della legge n. 845 del 1978;

lo sgravio pari allo 0,30% delle aliquote contributive previste dall'articolo 25 della legge n. 845 del 1978, per favorire l’accesso al Fondo sociale europeo e al Fondo regionale europeo dei progetti realizzati dagli organismi dell’Unione Europea.
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