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domenica 18 marzo 2018

Visite mediche fiscali: i casi di esonero dalla reperibilità



In caso di malattia il dipendente pubblico o privato deve farsi rilasciare il certificato medico e rendersi reperibile presso l’indirizzo indicato per la visita fiscale.

Sarà poi obbligo del medico curante inviare, in modo telematico, l’attestato medico all’Istituto di Previdenza.

Solo nel caso in cui la trasmissione per via telematica non sarà possibile il certificato medico sarà rilasciato in modalità cartacea.

Il dipendente avrà quindi due giorni di tempo, dal verificarsi della malattia, per presentare il certificato medico all'ufficio INPS di competenza e una copia al datore di lavoro.

Per visita fiscale si intende l’accertamento sanitario, cioè una visita medica, che viene effettuata da parte di un medico dell’Inps nei confronti del lavoratore, quando è assente per malattia.

La visita fiscale può essere effettuata:

su richiesta del datore di lavoro pubblico, fin dal primo giorno di assenza dal servizio attraverso il canale telematico messo a disposizione dall’INPS;

su disposizione dell’INPS.

La richiesta può essere presentata fin dal primo giorno di assenza del lavoratore.

Il lavoratore è tenuto a rendersi reperibile, per la visita fiscale, in determinati orari; in particolare, le fasce di reperibilità per la visita fiscale sono le seguenti: dipendenti statali e degli enti locali devono essere reperibili per l’intera settimana, festivi compresi, nelle fasce orarie dalle 9 alle 13, e dalle 15 alle 18.

Anche i lavoratori del settore privato devono essere reperibili tutta la settimana, compresi sabati e domeniche, ma le fasce orarie sono differenti e vanno dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle 19.

Durante le fasce di reperibilità, sin dal primo giorno in cui si ammala, il lavoratore in malattia deve restare a disposizione del medico fiscale. Al verificarsi della malattia, il dipendente è tenuto a comunicare la malattia al datore di lavoro e a recarsi dal proprio medico curante perché rediga ed invii all’Inps in tempo reale il certificato telematico.

Se il lavoratore si reca dal medico il giorno successivo alla malattia e la visita è ambulatoriale, perde il primo giorno di malattia; lo stesso accade nel caso in cui la visita non sia ambulatoriale, ma il lavoratore si presenti alla visita medica con oltre un giorno di ritardo dal verificarsi della patologia. Dunque il dipendente in malattia dovrà  dimostrare che queste prestazioni non potevano essere effettuate in un momento diverso, in modo da poter essere presente nel proprio domicilio di malattia durante le fasce orarie di reperibilità.

L’INPS ha fornito chiarimenti in merito al campo di applicazione della normativa che prevede le esclusioni dall’obbligo di reperibilità per i lavoratori dipendenti del settore privato.

Si ricorda che, sono esclusi dall’obbligo di rispettare le fasce di reperibilità i lavoratori subordinati la cui assenza sia connessa con:

patologie gravi che richiedono terapie salvavita, comprovate da idonea documentazione della Struttura sanitaria;

stati patologici sottesi o connessi a situazioni di invalidità riconosciuta, in misura pari o superiore al 67%.

I lavoratori interessati dall’esenzione, sono quelli con contratto di lavoro subordinato appartenenti al settore privato, sono esclusi quindi i lavoratori iscritti alla gestione separata dell’Inps.

In base al nuovo art. 4 del DM 206/17:
Sono esclusi dall’obbligo di rispettare le fasce di reperibilità i dipendenti per i quali l’assenza è riconducibile ad una delle seguenti cause di esclusione:

patologie gravi che richiedono terapie salvavita;

causa di servizio riconosciuta che abbia dato luogo all’ascrivibilità della menomazione unica o plurima alle prime tre categorie della Tabella A allegata al decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1981, n. 834, ovvero a patologie rientranti nella Tabella E del medesimo decreto: la novità riguarda il riferimento ad una norma ed a tabelle specifiche. Per leggere il decreto: Tabella causa di servizio 2018 esclusione visite fiscali.

stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità riconosciuta, pari o superiore al 67%: la novità introdotta riguarda solo la precisazione che la percentuale minima di invalidità che dà diritto all'esenzione dalle visite fiscali, è un'invalidità pari o superiore al 67%.

Per cui nelle patologie gravi che richiedono terapie salvavita, rientrano malattia molto gravi come per esempio tumori con terapie chemioterapiche o dialisi per il malfunzionamento dei reni, per malattie professionali INAIL e infortunio già accertate dall'amministrazione e comprovate dall'istituto come malattia causa di servizio.

Riassumendo, le esclusioni dall'obbligo di reperibilità per la visita fiscale, vi sono solo se la malattia è connessa ad una delle condizioni sopra elencate e solo se l'amministrazione si già in possesso della documentazione formale sanitaria che certifichi la patologia che causa l'esclusione dal suddetto obbligo, pertanto, nel caso in cui il dipendente che rientra nel regime di esenzione non fosse trovato presso il proprio domicilio in occasione della visita fiscale, non andrebbe incontro a responsabilità e all'applicazione di alcuna sanzioni.





venerdì 18 agosto 2017

Nessun esonero dall'orario notturno per la hostess affidataria di minori



Con sentenza n. 7185/2013, depositata il 12 novembre 2013, la Corte di appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale di Civitavecchia, che aveva respinto la domanda di una dipendente con mansioni di assistente di volo, diretta ad ottenere - in virtù delle disposizioni di cui all'art. 53, comma 2, lett. b) del d.lgs. n. 151/2001 - l'inserimento in turni tali da consentirle l'attività lavorativa tra le ore 6.00 e le ore 24.00 quanto meno nei quindici giorni mensili di affidamento dei figli minori.

La Corte osservava, a sostegno della propria decisione, come il decreto legislativo n. 66 del 2003, in materia di orario di lavoro l'esenzione dall'obbligo di prestare lavoro notturno per la lavoratrice o il lavoratore che sia unico affidatario di un figlio convivente di età inferiore a dodici anni, non trovi applicazione al personale di volo nell'aviazione civile e come, d'altra parte, tale causa di esonero dal lavoro notturno non sia prevista dal d.lgs. n. 185 del 2005, contenente, in attuazione della Direttiva 2000/79/CE, la speciale disciplina dell'organizzazione dell'orario di lavoro per detto personale: ciò che, ad avviso della Corte, indicava la chiara volontà del legislatore (anche comunitario) di escludere il personale di volo dall'applicazione della normativa generale sull'orario di lavoro, stante la necessità di realizzare un contemperamento dell'interesse dei lavoratori con il peculiare carattere del lavoro del personale di volo.

Quindi non è esonerata dal lavoro notturno la hostess affidataria di minori. L'attività di assistente di volo è infatti strutturalmente articolata su avvicendamenti che comportano anche il pernottamento fuori sede, dai quali l'operatore può essere esentato soltanto per motivi di salute. E’ quanto ha chiarito la Cassazione, con la sentenza 18285, depositata ieri, 25 luglio. Nessuna chance, dunque, per una hostess di Civitavecchia affidataria di due minori che - in virtù di tale condizione - aveva preteso dalla compagnia di bandiera di cui è dipendente, di vedersi riconosciuto uno status speciale: quello di poter lavorare tra le 6 e le 24, quantomeno nei 15 giorni mensili di affidamento dei bambini.

Il ricorso si sofferma in particolare sulla direttiva 2000/79/Ce (che in Italia è stato recepito attraverso il Dlgs 185/2005) e che regolamenta l'orario di lavoro del personale di volo. Da una a parte la ricorrente, la quale fa leva sull'articolo 7, che contiene un particolare esonero per le fasce orarie più critiche, dall'altro la Corte di cassazione, che di questo articolo fornisce una lettura circoscritta, limitandone il campo di applicazione ai soli casi in cui sia dimostrato che il lavoratore abbia dei problemi di salute correlati al lavoro notturno.

«L'esonero contenuto all'articolo 7 - si legge nella sentenza - non contempla in alcun modo le causali rivendicate dalla lavoratrice».

In sostanza, la ricorrente ha lamentato che la Corte di appello abbia erroneamente ritenuto abrogate (dall'art. 19, comma 2, d.lgs. n. 66/2003), per il personale di volo dell'aviazione civile, anche le disposizioni di cui all'art. 53 d.lgs. n. 151/2001, in tema di limitazioni al lavoro notturno dettate a tutela della maternità e paternità, in luogo di quelle soltanto aventi specificamente ad oggetto la disciplina dell'organizzazione dell'orario di lavoro; nella parte in cui esclude dal campo di applicazione della nuova disciplina il personale di volo dell'aviazione civile; osserva che la Direttiva 2000/79/CE, relativa all'attuazione dell'accordo europeo sull'organizzazione dell'orario di lavoro del suddetto personale, contiene una clausola di non regresso, così che la disciplina introdotta con il d.lgs. n. 185/2005, che tale Direttiva aveva attuato, non avrebbe potuto comportare una riduzione del livello generale di protezione dei lavoratori negli ambiti dalla stessa trattati; deduce infine come il CCNL di settore rinviasse.

La sentenza impugnata rileva che "la materia della organizzazione dell'orario di lavoro del personale di volo dell'aviazione civile ... ha trovato una specifica disciplina legislativa in virtù dell'emanazione del D.L.vo n. 185 del 2005", concernente l'attuazione della Direttiva 2000/79/CE relativa all'Accordo europeo sull'organizzazione dell'orario di lavoro del personale di volo dell'aviazione civile; rileva poi che tale decreto legislativo "contiene", all'art. 7, "una peculiare disciplina dell'esonero dal lavoro notturno, che non contempla in alcun modo le causali rivendicate" dalla lavoratrice, "bensì solo l'esonero nei casi in cui il personale di volo abbia problemi di salute aventi nesso riconosciuto con il fatto che presta anche lavoro notturno, secondo quanto analogamente previsto dall'art. 15 del D.L.vo n. 66/03"; osserva infine "come il mancato richiamo da parte del D.L.vo 185/05 alle altre disposizioni in tema di limitazioni di lavoro notturno, contenute invece nell'art. 11 del D.L.vo 66/03, evidenzia la chiara volontà del legislatore (anche comunitario) di escludere il personale di volo dall'applicazione della direttiva generale sull'orario di lavoro", per esso risultando "emanata una apposita direttiva, la quale reca una disciplina di carattere speciale, al fine di contemperare l'interesse dei lavoratori con il peculiare carattere del lavoro del personale di volo".

Da tale rilievi, che esattamente identificano in quella del d.lgs. n. 185/2005 la disciplina esclusiva dell'organizzazione dell'orario di lavoro del personale di volo dell'aviazione civile, discende, in primo luogo, il difetto di rilevanza della questione di legittimità costituzionale, così come posta dalla ricorrente e cioè con riferimento agli artt. 2 e 19 d.lgs. n. 66/2003, la costituzionalità di tali norme di legge non venendo a incidere sulla decisione che il giudice deve assumere.

D'altra parte, è del tutto condivisibile l'ulteriore rilievo della Corte di merito, là dove, individuando come baricentro della normativa speciale (comunitaria e nazionale) il fine di un contemperamento dell'interesse dei lavoratori con il peculiare carattere del lavoro svolto dal personale di volo, sottolinea come tale specifico lavoro sia "strutturalmente articolato su avvicendamenti che comportano anche il pernottamento fuori sede".

Tale circostanza, che costituisce un tratto caratteristico e necessario del lavoro del personale di volo, è da ritenersi già di per sé sufficiente a giustificarne la particolare disciplina, che si è realizzata sia nella direzione della positiva adozione di misure di tutela della salute (in tal senso, e in particolare, la previsione contenuta nell'art. 7, comma 2, d.lgs. n. 185/2005, per la quale Il personale di volo "che abbia problemi di salute aventi nesso riconosciuto con il fatto che presta anche lavoro notturno" ha diritto, previa valutazione da parte degli organismi medici competenti, ad essere "assegnato ad un lavoro diurno in volo o a terra per cui è idoneo"); sia nella direzione di una mancata riproduzione, nell'ambito complessivo delle misure di protezione, delle norme già presenti nel d.lgs. n. 66/2003, in materia di tutela della maternità e della paternità.

Né potrebbe ipotizzarsi, da un lato, un vuoto di tutela normativa da parte del legislatore nazionale chiamato ad attuare la Direttiva 2000/79/CE, la quale individua come propri obiettivi "la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori", perfettamente in linea, del resto, con l'Accordo sottoscritto dalle parti sociali a livello comunitario, di cui la Direttiva in esame dà attuazione, accordo che all'art. 4 prevede le stesse misure di protezione poi trasfuse nell'art. 7 d.lgs. n. 185/2005; dall'altro, ipotizzarsi una violazione della clausola di non regresso), posto che già il d.lgs. n. 66 del 2003 aveva escluso dal proprio campo di applicazione, insieme ad altre categorie di lavoratori, il "personale di volo nell'aviazione civile di cui alla direttiva 2000/79/CE".

Quanto, poi, alla dedotta violazione o falsa applicazione dell'art. 21 CCNL per il personale dipendente si osserva come la ricorrente si limiti a riprodurre parte del testo della norma di fonte collettiva, e cioè la parte di esso in cui viene precisato che le parti rinviano alle disposizioni di cui al d.lgs. n. 151/2001 e successive modifiche ed integrazioni, senza peraltro fare oggetto di specifica censura il rilievo del giudice di merito, che ha chiaramente affermato "il carattere dinamico" del rinvio, tale da comprendere fatti e vicende, posteriori al suddetto decreto, di natura e con effetto abrogativo.



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