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giovedì 26 marzo 2020

Cura Italia: bonus ai dipendenti che lavorano in azienda



Stipendio di marzo più pesante per alcuni lavoratori costretti a continuare a lavorare nonostante l’epidemia dilagante di coronavirus. Infatti, per venire incontro ai lavoratori dipendenti che hanno continuato a prestare la propria attività lavorativa in sede, il governo ha introdotto nel Decreto-Legge 18/2020 del 17 marzo una misura ad hoc volta ad aiutare tale categoria di lavoratori.

L’aiuto, in particolare, è di tipo economico e consiste nell’erogazione di una somma una tantum pari a 100 euro netti. L’importo sarà corrisposto direttamente nella busta paga di marzo ed è da rapportare al numero di giorni di lavoro svolti nella propria sede di lavoro nel predetto mese in quanto non era possibile svolgere lo smart working. Ad esempio chi ha continuato a lavorare nel mese di marzo, ma ha preso 10 giorni di ferie riceverà circa 66 euro netti in più.

Il decreto Cura Italia prevede l’erogazione di un bonus di 100 euro per i lavoratori dipendenti che non possono utilizzare lo smart working durante l'emergenza Coronavirus

Il nuovo D.l. "Cura Italia" prevede per il mese di marzo 2020, a favore:

dei lavoratori dipendenti, pubblici e privati , purché con reddito complessivo non superiore a 40.000 euro,  che, durante il periodo di emergenza sanitaria per il Coronavirus, continuino a prestare servizio nella sede di lavoro.

Le misure di prevenzione del contagio da COVID 19 finora messe in campo dal Governo hanno infatti puntato sulla promozione dello smart working e sull'utilizzo di ferie, permessi o addirittura di chiusura dei reparti aziendali non a rischio , ma è chiaro che probabilmente un grandissimo numero di lavoratori dipendenti è comunque costretto a recarsi nella sede aziendale , con tutti i rischi che ne conseguono. Probabilmente nel confronto con i sindacati è stato deciso di dare questo riconoscimento ai lavoratori , in primis coloro che lavorano ai servizi essenziali:  sanita, trasporti, forze di polizia, commercio al dettaglio.

L'importo del bonus  di 100 euro è  mensile cioè riferito al mese di marzo 2020 e va   quindi ragguagliato ai giorni  effettivi di presenza al lavoro nella sede aziendale .

Il premio non concorre alla formazione della base imponibile, ai fini delle imposte dirette.

Il premio  sarà  attribuito in via automatica dal datore di lavoro, che lo eroga a partire dalla retribuzione corrisposta nel mese di aprile,  oppure,  comunque,  entro il termine di effettuazione delle operazioni di conguaglio di fine anno.

I sostituti di imposta recuperano il premio erogato attraverso l’istituto della compensazione, di cui all’art.17 del decreto legislativo n. 241 del 1997.

il bonus è una tantum e spetta, al momento, unicamente per il mese di marzo 2020. Da notare, inoltre, che l’aiuto economico spetta solamente per chi ha continuato a lavorare nonostante l’emergenza epidemiologica che sta colpendo l’Italia. Ma non solo: i 100 euro sono da rapportare anche al numero di giorni di lavoro svolti nella propria sede di lavoro nel predetto mese.

Dunque, l’importo intero spetta a tutti ma in base ai giorni di lavoro effettivamente svolti.

Quindi le 100 euro devono essere proporzionate ai giorni lavoratori svolti a marzo.
È importante specificare, altresì, che dal punto di vista fiscale il bonus non concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente, in quanto si tratta di un importo esentasse. Pertanto, possiamo affermare che il dipendente non deve pagarci l’IRPEF poiché è un importo netto e non lordo.

Per coloro che si chiedono come fare per ricevere il bonus 100 euro, la risposta è molto semplice: niente. Infatti, i sostituti d’imposta – ossia i datori di lavoro – riconoscono, in via automatica, l’incentivo a partire dalla retribuzione corrisposta nel mese di aprile e comunque entro il termine di effettuazione delle operazioni di conguaglio di fine anno.

Da notare che i 100 euro non gravano sulle tasche del datore di lavoro, il quale è chiamato soltanto a anticipare l’importo, così come accade per l’assegno per il nucleo familiare. Infatti, al co. 3 dell’art. 63 del Dl 18/2020 è previsto che i sostituti d’imposta possono compensare l’incentivo erogato in busta paga mediante l’istituto di cui all’art. 17 del D.Lgs. 241/1997.



sabato 5 gennaio 2019

Pensioni finestre di uscita con Quota 100 e la Isopensione



Per chi deciderà di utilizzare quota 100 non ci saranno penalizzazioni, salvo il fatto che l’assegno pensionistico sarà inferiore in virtù del minore numero di anni di contribuzione. La norma conterrà però una serie di paletti. In pratica, una volta raggiunta quota 100 il primo assegno con la pensione verrà percepito dopo tre mesi se il numero delle domande per anticipare l’uscita dal lavoro dovesse essere superiore alle stime. Nel caso dei dipendenti pubblici la finestra è comunque di sei mesi, per effetto del preavviso che è di tre mesi. Un ulteriore vincolo consiste nel divieto di cumulo, ossia l’impossibilità di sommare alla pensione altri redditi da lavoro che superino il valore di 5 mila euro lordi annui. Tale divieto avrà durata pari agli anni di anticipo rispetto alla pensione di vecchiaia a 67 anni.

La pensione Quota 100 prevede i seguenti requisiti: 62 anni di età e 38 anni di contributi, la domanda potrà essere inviata a febbraio 2019 e si prevede la prima finestra di uscita ad aprile 2019, per chi ha maturato i requisiti al 31 dicembre 2018. Sono state previste 4 finestre di uscita per i dipendenti del settore privato, una ogni tre mesi, mentre per i dipendenti pubblici sono state previste due finestre di uscita una ogni sei mesi. Quindi, se la misura, per il momento ancora allo studio, dovesse mantenere queste ipotesi di finestre di uscita, in base al suo settore lavorativo (pubblico o privato), non potrà aderire alla prima finestra con uscita il 1° aprile 2019, in quanto matura i requisiti nel 2019. Bisogna attendere, che la riforma pensioni diventi ufficiale per sapere esattamente quando e come si potrà aderire alla nuova misura pensionistica.

La quota 100 per anticipare la pensione e avviare il superamento della legge Fornero si avvicina. L’apposito decreto dovrebbe essere approvato tra il 10 e il 12 gennaio: sarà quindi quella la data in cui avremo informazioni precise sulle norme per l’accesso alla quota 100. Nel frattempo, il vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini, cerca di mettere a tacere le polemiche sulla parziale indicizzazione delle pensioni sopra i 1.522 euro, assicurando che “nessun pensionato italiano prenderà di meno nel 2019 rispetto al 2018”. Non ci saranno effettivamente riduzioni, ma un mancato – in realtà parziale – aumento rispetto all'inflazione sì.

Il decreto per le regole sull'anticipo pensionistico arriverà quindi a gennaio. Ma per l’introduzione della quota 100 i lavoratori che hanno almeno 62 anni di età e 38 di contributi dovranno aspettare ancora: la pensione non dovrebbe arrivare prima di marzo-aprile. Si potrebbe quindi anticipare o posticipare di qualche giorno l’entrata in vigore rispetto al 1° aprile, ma in linea di massima i tempi non cambiano. Ciò che si dovrà invece capire riguarda le finestre temporali che permetteranno effettivamente ai lavoratori di andare in pensione. Una delle certezze della quota 100 è che verrà erogata sulla base di finestre diverse per i dipendenti statali e per i lavoratori nel settore privato. Per questi ultimi le finestre dovrebbero essere trimestrali. Ogni tre mesi, dunque, ma solamente se le domande ricevute non saranno troppe. Il governo ipotizza per il 2019 una platea di 315mila potenziali beneficiari. Se le richieste in un determinato periodo dovessero essere più del previsto, però, la finestra potrebbe diventare semestrale. Facendo così slittare la pensione per alcuni dei lavoratori di tre mesi. Ma anche su questo punto di certezze ce ne sono poche e bisognerà aspettare quanto meno il decreto.

Per i dipendenti statali le regole saranno sicuramente diverse. Le finestre sono semestrali e l’uscita anticipata verrà quindi rinviata di qualche mese. Una decisione presa per garantire la continuità amministrativa e permettere alla pubblica amministrazione di bandire nuovi concorsi e trovare i sostituti di chi lascerà il lavoro.

Sono previsti fondi di solidarietà aziendali, ovvero incentivi per le imprese che assumono al posto di chi va in pensione anticipata. Questi fondi, con finanziamenti ad hoc delle aziende interessate alla staffetta generazionale, potranno erogare un assegno previdenziale ai lavoratori cui manchino non più di tre anni al raggiungimento di quota 100, che abbiano cioè almeno 59 anni di età e 35 di contributi, a patto che ciò avvenga con accordi sindacali che prevedano l’assunzione d lavoratori in sostituzione di quelli prepensionati.

Questa tecnicamente si chiama Isopensione e riguarda le imprese private con più di 15 dipendenti che hanno lavoratori in esubero: con un accordo sindacale si può prevedere l’accesso alla pensione fino a 7 anni di anticipo rispetto ai normali requisiti per la pensione di vecchiaia (67 anni d’età con 20 di contributi) e per quella d’anzianità (43 anni e 3 mesi di contributi, uno in meno per le donne, indipendentemente dall'età).I lavoratori ricevono un assegno equivalente alla pensione per l’intero periodo di anticipo.


domenica 18 marzo 2018

Visite mediche fiscali: i casi di esonero dalla reperibilità



In caso di malattia il dipendente pubblico o privato deve farsi rilasciare il certificato medico e rendersi reperibile presso l’indirizzo indicato per la visita fiscale.

Sarà poi obbligo del medico curante inviare, in modo telematico, l’attestato medico all’Istituto di Previdenza.

Solo nel caso in cui la trasmissione per via telematica non sarà possibile il certificato medico sarà rilasciato in modalità cartacea.

Il dipendente avrà quindi due giorni di tempo, dal verificarsi della malattia, per presentare il certificato medico all'ufficio INPS di competenza e una copia al datore di lavoro.

Per visita fiscale si intende l’accertamento sanitario, cioè una visita medica, che viene effettuata da parte di un medico dell’Inps nei confronti del lavoratore, quando è assente per malattia.

La visita fiscale può essere effettuata:

su richiesta del datore di lavoro pubblico, fin dal primo giorno di assenza dal servizio attraverso il canale telematico messo a disposizione dall’INPS;

su disposizione dell’INPS.

La richiesta può essere presentata fin dal primo giorno di assenza del lavoratore.

Il lavoratore è tenuto a rendersi reperibile, per la visita fiscale, in determinati orari; in particolare, le fasce di reperibilità per la visita fiscale sono le seguenti: dipendenti statali e degli enti locali devono essere reperibili per l’intera settimana, festivi compresi, nelle fasce orarie dalle 9 alle 13, e dalle 15 alle 18.

Anche i lavoratori del settore privato devono essere reperibili tutta la settimana, compresi sabati e domeniche, ma le fasce orarie sono differenti e vanno dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle 19.

Durante le fasce di reperibilità, sin dal primo giorno in cui si ammala, il lavoratore in malattia deve restare a disposizione del medico fiscale. Al verificarsi della malattia, il dipendente è tenuto a comunicare la malattia al datore di lavoro e a recarsi dal proprio medico curante perché rediga ed invii all’Inps in tempo reale il certificato telematico.

Se il lavoratore si reca dal medico il giorno successivo alla malattia e la visita è ambulatoriale, perde il primo giorno di malattia; lo stesso accade nel caso in cui la visita non sia ambulatoriale, ma il lavoratore si presenti alla visita medica con oltre un giorno di ritardo dal verificarsi della patologia. Dunque il dipendente in malattia dovrà  dimostrare che queste prestazioni non potevano essere effettuate in un momento diverso, in modo da poter essere presente nel proprio domicilio di malattia durante le fasce orarie di reperibilità.

L’INPS ha fornito chiarimenti in merito al campo di applicazione della normativa che prevede le esclusioni dall’obbligo di reperibilità per i lavoratori dipendenti del settore privato.

Si ricorda che, sono esclusi dall’obbligo di rispettare le fasce di reperibilità i lavoratori subordinati la cui assenza sia connessa con:

patologie gravi che richiedono terapie salvavita, comprovate da idonea documentazione della Struttura sanitaria;

stati patologici sottesi o connessi a situazioni di invalidità riconosciuta, in misura pari o superiore al 67%.

I lavoratori interessati dall’esenzione, sono quelli con contratto di lavoro subordinato appartenenti al settore privato, sono esclusi quindi i lavoratori iscritti alla gestione separata dell’Inps.

In base al nuovo art. 4 del DM 206/17:
Sono esclusi dall’obbligo di rispettare le fasce di reperibilità i dipendenti per i quali l’assenza è riconducibile ad una delle seguenti cause di esclusione:

patologie gravi che richiedono terapie salvavita;

causa di servizio riconosciuta che abbia dato luogo all’ascrivibilità della menomazione unica o plurima alle prime tre categorie della Tabella A allegata al decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1981, n. 834, ovvero a patologie rientranti nella Tabella E del medesimo decreto: la novità riguarda il riferimento ad una norma ed a tabelle specifiche. Per leggere il decreto: Tabella causa di servizio 2018 esclusione visite fiscali.

stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità riconosciuta, pari o superiore al 67%: la novità introdotta riguarda solo la precisazione che la percentuale minima di invalidità che dà diritto all'esenzione dalle visite fiscali, è un'invalidità pari o superiore al 67%.

Per cui nelle patologie gravi che richiedono terapie salvavita, rientrano malattia molto gravi come per esempio tumori con terapie chemioterapiche o dialisi per il malfunzionamento dei reni, per malattie professionali INAIL e infortunio già accertate dall'amministrazione e comprovate dall'istituto come malattia causa di servizio.

Riassumendo, le esclusioni dall'obbligo di reperibilità per la visita fiscale, vi sono solo se la malattia è connessa ad una delle condizioni sopra elencate e solo se l'amministrazione si già in possesso della documentazione formale sanitaria che certifichi la patologia che causa l'esclusione dal suddetto obbligo, pertanto, nel caso in cui il dipendente che rientra nel regime di esenzione non fosse trovato presso il proprio domicilio in occasione della visita fiscale, non andrebbe incontro a responsabilità e all'applicazione di alcuna sanzioni.





domenica 5 febbraio 2017

Statali: cambiano le visite fiscali controlli mirati





Le nuove regole per i lavoratori statali: previsti controlli anche a ripetizione. Si va verso l'armonizzazione delle fasce orarie tra pubblico e privato.

La visita fiscale è un accertamento medico previsto dallo Statuto dei Lavoratori, e predisposto dall’INPS o dal datore di lavoro per verificare l’effettivo stato di malattia del dipendente assente per motivi di salute. La visita fiscale, infatti, non si limita a un mero controllo della presenza al proprio domicilio del lavoratore in malattia, bensì consiste in una vera e propria verifica della sussistenza degli impedimenti fisici al lavoro.

Un polo unico della medicina fiscale in capo all'Inps, che si occuperà di statali e non solo di privati. Nel decreto Madia sarà sancita la novità, con l'obiettivo di rafforzare l'efficacia degli accertamenti grazie al 'cervellone' informatico dell'Inps, che permette di fare verifiche mirate. Dovrebbe essere assicurata anche la continuità professionale per i medici iscritti alle liste speciali. Ci dovrebbe poi essere la possibilità di condurre accertamenti ripetuti. Dovrebbero inoltre essere armonizzate le fasce orarie di reperibilità.

Oggi per i dipendenti pubblici sono attive le Asl, ma qualcosa non ha funzionato. Ecco perché già la delega Madia, da cui discende il decreto in arrivo per metà febbraio, ha previsto un cambio. Risorse e competenze saranno trasferite all'Inps (e potrebbe anche esserci un piccolo potenziamento delle disponibilità).

Ci saranno nuovi criteri attraverso cui svolgere gli accertamenti sulle malattie, tra le novità la possibilità di tornare a controllare, con verifiche ripetute. Le fasce orarie di reperibilità, in cui farsi trovare a casa, dovranno essere armonizzate (attualmente le ore giornaliere sono 4 per il privato e 7 per il pubblico).

Sarà assicurata continuità professionale ai 1.300 medici inseriti nelle liste speciali per le visite fiscali, con un rafforzamento del regime di convenzione per i 'camici bianchi' deputati agli accertamenti, in modo da garantire maggiore specializzazione e l'attività in via esclusiva. Queste le novità in arrivo con il decreto che, attuando la riforma della Pa, realizzerà il polo unico della medicina fiscale, in capo all'Inps, competente sia per i dipendenti privati che pubblici.

Risorse e competenze saranno trasferite all'Inps (e potrebbe anche esserci un piccolo potenziamento delle disponibilità). Ci saranno nuovi criteri attraverso cui svolgere gli accertamenti sulle malattie, tra le novità la possibilità di tornare a controllare, con verifiche ripetute. Le fasce orarie di reperibilità, in cui farsi trovare a casa, dovranno essere armonizzate (attualmente le ore giornaliere sono 4 per il privato e 7 per il pubblico). L'obiettivo è quello di controlli mirati ed efficaci, tentando di massimizzare il 'tasso di rendimento' delle visite. Ma non saranno questi i soli cambiamenti, si cercherà di rendere tutta la materia più ordinata così da rendere il controllo più facile. Ad esempio, con i rinnovi contrattuali, si potrebbe intervenire su alcune modalità di fruizione dei permessi, come quelli della legge 104 del 1992, rivedendo le regole sui preavvisi.

Per consentire il controllo dello stato di malattia, il lavoratore ha l’obbligo di essere reperibile presso l’indirizzo abituale o il domicilio occasionale comunicato al datore di lavoro:
tutti i giorni durante la durata della malattia comprese le domeniche ed i giorni festivi nelle seguenti fasce orarie giornaliere stabilite:

Alcune sentenze ritengono che il lavoratore debba sempre rendersi reperibile nelle fasce orarie, anche nel caso in cui il controllo medico sia già avvenuto, in quanto il datore di lavoro ha diritto alla reiterazione delle visite nei limiti in cui ciò non abbia lo scopo di molestare o danneggiare il lavoratore senza un valido motivo.



mercoledì 1 febbraio 2017

Per il 2017 l'età per andare in pensione



Importanti novità sull'età per andare in pensione , prima fra tutte le possibilità di anticipare fino a un massimo di tre anni e 7 mesi l'uscita dal mondo del lavoro, rispetto all'età prevista normalmente per la pensione di vecchiaia.

Nel 2017 tutte le prestazioni pensionistiche saranno pagate il 1° giorno bancabile del mese, con la sola eccezione della rata di gennaio, il cui pagamento è stabilito al 2° giorno bancabile del mese).

Gli interessati al nuovo meccanismo detto APE saranno i lavoratori che compiono 63 anni a partire da maggio 2017.

La norma riguarda sia i dipendenti pubblici che privati che i lavoratori autonomi.

Va fatta una premessa: attualmente per il 2017  l'età per andare in pensione e ricevere la pensione di vecchiaia è fissata a :

66 anni e sette mesi  per gli uomini ( sia autonomi che dipendenti , pubblici e privati) e le donne che lavorano nel settore pubblico;

65 anni e 7 mesi per le donne dipendenti del settore privato;

66 anni e 1 mese per le donne lavoratrici autonome.

Dal 2018,  per tutti , l'età è stata unificata dalla riforma Fornero e sarà  a 66 anni e 7 mesi

Da ricordare che alla pensione di vecchiaia hanno diritto tutti i lavoratori assicurati con la previdenza obbligatoria  e che all'età stabilita abbiano un anzianità contributiva di almeno 20 anni.

Per la pensione di anzianità , invece, cui si accedeva a prescindere dall'età  ma avendo un requisito contributivo piu alto,  la riforma Monti- Fornero ha alzato i paletti e, definendola " pensione anticipata"a partire dal 2012  sono necessari almeno:

41 anni e 10 mesi di contributi  per le donne e

42 anni e 10 mesi per gli uomini sia nel pubblico che nel privato  con almeno 35 anni di  contribuzione effettiva (questa ultima norma non vale per ex Inpdap ed Ipost ed ex FS).

Per chi sceglieva di andare in pensione prima era anche previsto un meccanismo di penalizzazione  dell'assegno . Per ogni anno mancante   dal momento in cui si sceglieva di andare in pensione e l'eta minima per la pensione di vecchiaia , il montante calcolato con il metodo retributivo era  ridotto dell'1 percento (2% per gli anni prima dei 60 di età).

Con la legge di bilancio appena approvata a partire da maggio 2017 , è stato introdotto un nuovo meccanismo per anticipare l'eta per andare in pensione detto "APE" , anticipo pensionistico , destinato a tutti i lavoratori  , con la  possibilità di anticipare  l'età della pensione   fino  ad un massimo di 3 anni e sette mesi.  Data le difficoltà della finanza pubblica  ovviamente  si potrà però incassare un assegno  ridotto rispetto a quello che  si sarebbe avuto alla fine della carriera.

La pensione viene infatti   pagata in anticipo grazie ad un prestito da istituti finanziari privati  e controllato/ gestito dall'INPS  sulla base della nuova legislazione.

Dall'assegno di pensione "regolare" viene detratta la rata di restituzione del prestito , della durata di vent'anni,  e con tassi controllati sempre dallo Stato .

Il taglio della pensione dovrebbe aggirarsi intorno al 4/5%  dell’importo mensile , per tutto il periodo del prestito. Si attende  su questa materia un accordo tra ABI e ministero dell'Economia e il conseguente decreto ministeriale  che definisca il tetto massimo dei tassi in interesse per tale prestito.

La norma specifica anche che potranno accedere i lavoratori con una pensione non inferiore a 1,4 volte la pensione minima,  conteggiando il taglio per la restituzione del prestito. L'importo dell'a pensione  al netto della rata del prestito, dovrà dunque essere superiore a 702,65 euro .

Avrà diritto all'APE anche chi soddisfa i requisiti tramite il cumulo contributivo,  ossia la ricongiunzione non onerosa dei contributi versati a casse diverse,  prevista sempre dalla legge di stabilità 2017.

L'età per la pensione nei lavori usuranti

Alle norme esposte sopra fanno eccezione i lavoratori che hanno svolto lavori detti usuranti (miniere, cave ,alte temperature,  settore vetro e dell'amianto, addetti alla catena di montaggio,  lavoro per turni, lavoro notturno, conducenti mezzi pubblici, come definiti dal d.lgs 67 2011)  che possono andare in pensione dal 1° gennaio 2016:

con una anzianità contributiva minima di 35 anni e  una età minima pari a 61 anni e 7 mesi  oppure con 41 anni di contributi versati , indipendentemente dall'età .

Con la Legge di stabilità 2017 tali lavoratori non devono più attendere 12 mesi (18 mesi per i lavoratori autonomi) per la cd."finestra" di accesso  introdotta dalla riforma Fornero per le pensioni anticipate, ma potranno andare in pensione  il primo giorno del mese successivo al perfezionamento dei requisiti.

Inoltre la stessa norma ha sospeso , solo per questi lavoratori, i futuri adeguamenti al meccanismo della  speranza di vita sino al 31 dicembre 2027.

Quindi, l’età per la pensione di vecchiaia 2017 è pari a:

66 anni e 7 mesi per lavoratori dipendenti del privato,

66 anni e 7 mesi per lavoratori autonomi,

66 anni e 7 mesi per lavoratrici del pubblico impiego,

66 anni e 1 mese per le lavoratrici autonome,

65 anni e 7 mesi per lavoratrici del privato.

Per quanto riguarda la pensione anticipata, invece, il requisito 2017 è pari a 42 anni e dieci mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e dieci mesi per le donne.

C’è poi il caso particolare della pensione contributiva, applicabile sia ai trattamenti di vecchiaia sia alle pensioni anticipate. La pensione di vecchiaia contributiva riguarda lavoratori che quando raggiungono l’età pensionabile sopra riportata non hanno perfezionato i requisiti contributivi (20 anni di contributi versati, e un assegno pari ad almeno 1,5 volte il minimo). Se hanno cinque anni di contributivi versati, nel 2017 accedono comunque a una pensione di vecchiaia con 70 anni e sette mesi di età. La pensione anticipata contributiva è invece riservata a coloro che hanno 20 anni di contributi e un assegno pari ad almeno 2,8 volte il minimo: il requisito anagrafico 2017 è pari a 63 anni e sette mesi.

E veniamo alle tipologie per le quali la manovra 2017 ha eliminato l’aspettativa di vita. Aboliti del tutto per la pensione anticipata lavori usuranti.

Per quanto riguarda i lavoratori precoci (con almeno un anno di contributi entro i 19 anni), sono stati eliminati gli adeguamenti 2013 e 2016, e il requisito 2017 per la pensione anticipata è stato fissato in 41 anni di contributi (bisogna comunque rientrare in una serie di categorie, elencate dalla legge). I prossimi adeguamenti alle aspettative di vita però, dal 2019 in poi saranno calcolati.

L’adeguamento alle speranze di vita si applica anche all’Opzione Donna, forma di pensione anticipata su cui la Legge di Stabilità 2017 ha introdotto nuove forme di flessibilità, aprendo alle lavoratrici nate nell'ultimo trimestre dell’anno. Accedono all’Opzione Donna le lavoratrici che hanno almeno 35 anni di contributi. L’età anagrafica comprensiva di aspettativa di vita, è pari a 57 anni e sette mesi per le dipendenti e 58 anni e sette mesi per le autonome.

Infine, ricordiamo che gli adeguamenti alle aspettative di vita non riguardano gli autonomi iscritti alla gestione separata e alle casse previdenziali dei professionisti. Per quanto riguarda i prossimi adeguamenti, sono previsti nel 2019 e poi ogni due anni (quindi 2021, 2023, 2025 e così via). L’entità degli aumenti è decisa di volta in volta, in base ai dati Istat. L’adeguamento 2019 sarà stabilito alla fine del 2017: secondo l’analisi della Ragioneria Generale dello Stato, l’adeguamento potrebbe essere inferiore a quelli precedenti, e non si esclude che sia pari a zero, nel qual caso, i requisiti resterebbero immutati fino al 2021.



martedì 23 agosto 2016

Rinnovo contratto statali quanto deve spettare al dipendente pubblico




La vicenda degli stipendi degli statali risale ormai dal 2010, quando si impose per decreto il blocco delle buste paga di circa 3,3 milioni di dipendenti pubblici per gli anni 2011-2012-2013. poi non più revocato.

Sul rinnovo dei contratti del pubblico impiego si è partiti col il passo inopportuno, infatti sono fermi da sei anni, in seguito  la Corte costituzionale, con la sentenza n. 178 del luglio 2015, ha stabilito che il blocco doveva cessare, e bisognava rinnovare i contratti. Di qui all'ultimo giorno in cui la legge di stabilità 2017 uscirà dal parlamento  sarà  aperto lo scontro su quante risorse destinare al rinnovo dei contratti degli statali. Ovvero i dipendenti statali, circa tre milioni di dipendenti pubblici. Subiscono il blocco dei contratti di lavoro da sei -sette anni, e hanno diritto, non fosse altro che per la sentenza sopra menzionata, al rinnovo del contratto di lavoro.

Vediamo gli effetti dello stop retributivo pubblico. È ovvio che i sindacati del pubblico impiego considerino molto grave che, fatta 100 la base retributiva pubblica del 2010, essa sia la stessa a giugno 2016, sicché in termini reali i dipendenti pubblici hanno perso potere d'acquisto.

Mentre le retribuzioni del settore privato sono passate da 100 del 2010 a 109,9. Bisogna però equilibrare questo dato con un altro, più di lungo periodo. Le retribuzioni pubbliche conoscevano da decenni andamenti nel complesso superiori rispetto a quelle private. Nel solo periodo 2001-2009, cioè prima dello stop, l'incremento complessivo nominale delle retribuzioni di fatto pubbliche è stato secondo l'Istat del 31,9%, a fronte del 27% nell'industria privata e del 23,% nei servizi di mercato.

Il rinnovo del contratto degli statali sembra che stia entrando nel vivo, appena qualche giorno fa la UilPa ha piazzato l’asticella delle risorse che il governo dovrebbe mettere sul tavolo del rinnovo del contratto degli statali a 7 miliardi a regime, al di sotto di questa cifra non avrebbe senso neanche sedersi al tavolo della trattativa per discuterne, le altre sigle sindacali come Cgil e la Cisl sono quasi sulla stessa lunghezza d’onda della UilPA.

La CGIL ha chiesto un’aumento di stipendio per i 3 milioni di dipendenti statali di circa 220 euro lordi al mese, che al netto delle tasse fanno 132 euro, mentre la Cisl ha chiesto un’incremento in busta paga di 150 euro, cifre molto distanti di quelle fornite dal Governo che ad oggi sarebbe disposto a stanziare circa 300 milioni di euro che divisi per tutti i dipendenti statali sarebbero non più di 10 € di aumento a testa, una vera e propria presa in giro.

Il governo in queste ultime settimane si è reso conto che i 300 milioni di euro sono davvero irrisori ed i fondi da destinare ai dipendenti pubblici devono essere aumentati.

Tra le soluzioni al momento in discussione c’è l’idea di un’aumento di 80 € come è accaduto appena qualche anno fa per i redditi più bassi in questo modo non si andrebbe al di sotto del bonus 80 euro ed allo stesso tempo si tratterebbe di un aumento contrattuale qualche gradino al di sotto di 110 euro mediamente ottenuto dai dipendenti privati nei contratti rinnovati fino ad ora.

Poniamoci delle domande Hanno diritto ad un aumento salariale?

Già, ma quanto? Quanti euro fa questo diritto? Subito dopo la sentenza il governo pro forma mise a bilancio trecento milioni per gli statali: faceva 5/6 euro al mese lordi per lavoratore.

Appena iniziate le trattative reali il governo ha subito spiegato che non sarà trecento milioni la sua disponibilità, sarà di più. Ma quanto di più il governo non ha detto. Hanno detto invece i sindacati: sette miliardi.

Che fa più o meno 150 euro lordi al mese di aumento per dipendente pubblico. Come li calcolano i sindacati questi sette miliardi?

Più o meno così: moltiplicando per tutti gli anni di blocco contrattuale l’inflazione più un totale inerente alla per loro naturale e doverosa progressione delle retribuzioni. Ci provano, è il loro mestiere.

Ma il diritto, come espresso sopra agli statali spetta da sentenza della Corte Costituzionale non sono 150 euro lordi di aumento al mese.

Quel che spetta agli statali, sentenza alla mano è 20/40 euro lori al mese a seconda del grado e qualifica del lavoratore.

La sentenza non impone il recupero del passato, anzi di fatto fissa da quando si ricomincia ad avere contratti non bloccati. E quel quando è il 30 luglio 2015. Quindi agli statali spetta il recupero dei soldi perduti da quella data, dal 30 luglio 2015.

Il recupero da quella data fa 1,2 miliardi di euro e significa appunto 20/40 euro al mese di aumento per dipendente pubblico. Fin qui quel che loro spetta da sentenza, liberissimi di chiedere di più. Ma non in nome di una sentenza che esclude il recupero integrale del blocco contrattuale. Quanto poi alla richiesta del recupero integrale di quanto perso nei sette anni e passa della crisi economica, una domanda impertinente ma assolutamente pertinente. I sindacati, non solo degli statali, quasi sempre si ingegnano a calcolare l’ammontare degli aumenti non avuti se fosse andata come prima della crisi. Fanno al cifra e la dichiarano “soldi persi dai lavoratori”.

Nel calendario della P.A. prima dei contratti viene però la riforma della dirigenza, con la creazione del ruolo unico, la determinazione della durata degli incarichi (quattro anni), l'accesso per concorso con esame di conferma dopo tre anni (altrimenti si retrocede). In linea di principio le novità trovano il favore dei sindacati, che però lanciano l'allarme su eventuali discriminazioni. «In una riforma che già non comprende tutta la dirigenza della Repubblica, perché esclude prefetti e diplomatici, professori universitari e presidi, vogliamo creare ulteriori divisioni?», si chiede Barbara Casagrande, segretario generale di Unadis e Confedir.


lunedì 25 luglio 2016

INPS: domanda di pensione unificato il servizio online


L'Inps ha informato che è stato unificato il servizio online per la domanda di pensione diretta per dipendenti pubblici e privati (pensione di vecchiaia o anticipata o di anzianità per i casi eccezionali attualmente previsti quali le pensioni in salvaguardia). Nel messaggio si sottolinea che anche i dipendenti pubblici dovranno inviare all'Istituto la domanda di pensione diretta utilizzando il servizio “Domanda di Prestazioni Previdenziali: Pensione, Ricostituzione, Ratei ecc.".

E’ stata unificata la procedura online per dipendenti pubblici e privati per la presentazione della domanda di pensione. Il servizio online riguarda la presentazione delle domande di pensione dirette.

In particolare, anche i dipendenti pubblici dovranno inviare all'Istituto la domanda di pensione diretta utilizzando il servizio “Domanda di Prestazioni Previdenziali: Pensione, Ricostituzione, Ratei ecc.” accessibile dal percorso Servizi OnLine > Accedi ai servizi>Servizi per il Cittadino.

L’INPS ha spiegato  inoltre che dopo la procedura di compilazione del pannello Anagrafica è possibile selezionare il tipo pensione (vecchiaia, anticipata, di anzianità per i casi eccezionali attualmente previsti quali le pensioni in salvaguardia) e scegliere la gestione e il fondo di appartenenza.

La procedura prevede poi la compilazione delle dichiarazioni di responsabilità relative a:


l’ultimo datore di lavoro

la data di cessazione del rapporto di lavoro

l’eventuale titolarità di altre prestazioni pensionistiche e/o assistenziali.

Il servizio consente ai lavoratori iscritti alle gestioni private amministrate dall’Inps di inviare online la domanda per richiedere le prestazioni previdenziali sotto elencate.

Con questo servizio il lavoratore in possesso dei requisiti previsti dalla legge può compilare e inviare online la domanda di prestazione alla quale ha diritto tra le seguenti:

pensione di vecchiaia (anche per gli iscritti alle gestioni pubbliche);

pensione anticipata (anche per gli iscritti alle gestioni pubbliche);

pensione di inabilità;

assegno di invalidità;

pensione ai superstiti (reversibilità/indirette);

pensione di anzianità (anche per gli iscritti alle gestioni pubbliche);

ricostituzione della pensione;

ratei maturati e non riscossi (anche per gli iscritti alle gestioni pubbliche);

estratto conto certificativo (anche per gli iscritti alle gestioni pubbliche).

Nel caso in cui venga richiesto, unitamente alla pensione, anche l’Assegno al Nucleo Familiare, è necessario indicare il reddito presunto.


Per altri servizi online dell’INPS si consiglia di visitare la seguente pagina del blog.




venerdì 22 gennaio 2016

Pa: licenziamenti in 30 giorni per gli assenteisti



I dipendenti pubblici sorpresi in flagranza nella falsa attestazione della presenza in servizio dovranno essere sospesi in via cautelativa dal servizio entro 48 ore.

I truffatori del cartellino presenze per poi non lavorare o quelli che vengono sorpresi a compiere altri illeciti di carattere disciplinare saranno sospesi dal lavoro e dalla retribuzioni entro due giorni. Ma non solo: allo stesso tempo prenderanno avvio sia la  procedure per il licenziamento  che l’esame della Corte dei Conti per valutare il possibile danno erariale.

Quindi per i tuffatori del cartellino oltre al licenziamento sono previste anche delle multe piuttosto costose che arrivano fino a sei mesi di stipendi nel caso in cui il loro comportamento arrechi danni all'immagine dell’amministrazione per cui lavorano. Confermato il licenziamento e la sospensione della paga entro 48 ore per chi timbra e poi se ne va, inoltre rischia il licenziamento anche il dirigente che non denuncia l’illecito compiuto da un dipendente. Il procedimento per il licenziamento dovrà chiudersi entro un mese al massimo, al contrario di quanto avviene oggi che può arrivare a durarne quattro di mesi.

Lo schema di decreto legislativo sul licenziamento disciplinare presenta aspetti di significativa novità rispetto alla disciplina vigente, che pure non manca di specifiche disposizioni volte a reprimere condotte abusive da parte dei lavoratori pubblici sul rispetto dell'orario di lavoro.

Sospensione cautelare senza stipendio e contraddittorio entro 48 ore da quando viene accertata la falsa attestazione della presenza in servizio; e contestuale avvio del procedimento disciplinare, che dovrà concludersi entro 30 giorni.

La condotta della «falsa attestazione» sul luogo di lavoro rileverà anche davanti alla Corte dei conti, con l'introduzione dell'azione di responsabilità «per danno d'immagine» della Pa nei confronti del dipendente assenteista (che se condannato dai magistrati contabili dovrà corrispondere all'erario minimo sei mensilità di stipendio, oltre interessi e spese di giustizia).

La attestazione della presenza verrà accertata, dal dirigente o dall'Ufficio procedimenti disciplinari, in caso di flagranza o mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi.

Le nuove norme contro gli “assenteisti” contengono pure una stretta sul dirigente responsabile dell'ufficio del dipendente infedele. Il capo struttura o l'Ufficio procedimenti disciplinari dovranno sospendere immediatamente il “travet” entro 48 ore. Contestualmente dovranno avviare il procedimento disciplinare “accelerato”.

Le nuove norme prevedono che la mancata sospensione cautelare e la mancata attivazione del procedimento disciplinare tramite segnalazione all'Upd possono essere causa di licenziamento per lo stesso dirigente. Oggi i dirigenti hanno l'obbligo di attivare un procedimento disciplinare, dopo aver compiuto la valutazione del caso. Se non lo fanno, però, senza motivo fondato e ragionevole, al massimo sono soggetti a una sospensione fino a tre mesi e alla perdita della retribuzione di risultato. Oltre al rischio licenziamento, la bozza di Dlgs definisce l'inerzia del capo struttura espressamente come «omissione di atti di ufficio», richiamando una fattispecie penale.

E se c定 gi・chi ha posto il problema del diritto alla difesa del lavoratore, dal ministero non si scompongono: la sospensione cautelare avviene entro le 48 ore, ma poi ci sarà un mese di tempo per difendersi  e trovare buona spiegazione alla propria assenza. Altrimenti, dopo trenta giorni si ・fuori.

Le polemiche arrivano dopo che la Cassazione ha stabilito che lo Statuto dei lavoratori, comprese le successive modifiche, si applica interamente agli statali . Vale a dire che, essendo stato abolito l’articolo 18, se licenziati avranno diritto al reintegro nel posto di lavoro solo in casi eccezionali. Un effetto collaterale che Marianna Madia, ministro della Pubblica amministrazione, ha sempre negato sostenendo che quella parte del Jobs Act non si applica al pubblico impiego in quanto è una differenza sostanziale che ・il tipo di datore di lavoro・

Si introduce, infatti un termine,  30 giorni  dalla trasmissione della notizia della condotta fraudolenta del dipendente all'ufficio preposto, entro il quale il procedimento si deve concludere e di un termine,  15 giorni  dall'avvio del procedimento disciplinare, per  la denuncia al pubblico ministero e la segnalazione alla competente procura regionale della Corte dei conti per la valutazione dell'entità del danno risarcibile. L'azione di responsabilità esercitata, entro in centoventi giorni  successivi alla denuncia, senza possibilità di proroga.

Si prevede inoltre che l'ammontare del danno risarcibile sia rimesso alla valutazione equitativa del giudice anche in relazione alla rilevanza del fatto per i mezzi di informazione e comunque l'eventuale condanna non può essere inferiore a  sei mensilità dell'ultimo stipendio in godimento, oltre interessi e spese di giustizia.

Contro l'inerzia dei dirigenti nell'attivazione della sospensione dei dipendenti in flagranza e dell'avvio del procedimento disciplinare il decreto introduce inoltre una  fattispecie disciplinare  punibile con il  licenziamento  oltre a divenire una omissione di atti di ufficio con fonti di ulteriori responsabilità・degli interessati.



mercoledì 26 agosto 2015

Stipendi dirigenti pubblici: circolare INPS agosto 2015



L'INPS interviene con la circolare 153 del 24 agosto 2015 con le istruzioni operative sulle pensioni dei dipendenti pubblici interessati dal limite degli stipendi.

L’art. 13, comma 1, del decreto legge 24 aprile 2014, n. 66 convertito con modificazioni dalla legge 23 luglio 2014, n. 89 “Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale” ha fissato in 240.000 euro annui il limite retributivo riferito al primo presidente della Corte di cassazione da far valere, a decorrere dal 1° maggio 2014, quale livello remunerativo massimo onnicomprensivo annuo per chiunque riceve emolumenti o retribuzioni a carico delle finanze pubbliche, secondo quanto previsto dagli articoli 23-bis e 23-ter del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201.

Nello stesso articolo 13 convertito con modificazioni dalla legge n. 89/2014 si dispone, inoltre, che la riduzione dei trattamenti economici, operata a seguito dell’applicazione del predetto limite, ha effetto, ai fini dei trattamenti previdenziali, con riferimento alle anzianità contributive maturate dal 1° maggio 2014.

Con la circolare n. 153 del 24 agosto 2015 l'INPS fornisce chiarimenti sugli effetti della norma sul calcolo dei trattamenti di quiescenza e di fine servizio e fine rapporto degli iscritti alla gestione dipendenti pubblici dell’Inps.

Il documento analizza innanzitutto la normativa vigente sul livello remunerativo massimo annuo dei dipendenti pubblici e  ne chiarisce poi gli effetti  del limite ai fini previdenziali.  Infine viene illustrato l'adeguamento delle procedure di liquidazione delle prestazioni.

Con riferimento ai Tfr si rileva che la salvaguardia introdotta non modifica i meccanismi di computo in quanto già insita nelle regole di calcolo della prestazione. La riduzione della retribuzione utile che interviene dal 1° maggio 2014 determina, infatti, una proporzionale riduzione solo degli accantonamenti di Tfr maturati a partire dalla stessa data i quali si aggiungono a quelli maturati precedentemente e commisurati alla retribuzione utile prima della riduzione stessa.

Diverso, invece, è l’effetto delle disposizioni suddette sui trattamenti di fine servizio, in quanto modificano, esclusivamente per le categorie di cui al punto 2.1, le regole di calcolo della prestazione, che risulta così determinata dalla somma di due importi parziali:

il primo importo, calcolato tenendo conto delle anzianità utili e della retribuzione contributiva utile (in ogni caso non superiore al precedente limite di € 311.658,53) alla data del 30 aprile 2014;

il secondo importo, calcolato tenendo conto della retribuzione contributiva utile alla cessazione del rapporto di lavoro (in ogni caso non superiore al limite di € 240.000 annui) e delle anzianità utili maturate a partire dal 1° maggio 2014.

Sempre con riferimento ai trattamenti di fine servizio si precisa che gli effetti dei benefici di legge (che determinano incrementi convenzionali della base di calcolo o delle anzianità utili) continuano ad operare  alla cessazione del rapporto di lavoro; si precisa altresì che gli incrementi convenzionali della base di calcolo non contribuiscono alla individuazione del limite retributivo.

Gli effetti degli incrementi dell’anzianità utile conseguenti al riscatto di periodi operano, invece, per quell'importo della prestazione nel cui arco temporale di riferimento è stata prodotta la domanda.

Pertanto, poiché la retribuzione utile presa a base del calcolo del contributo di riscatto è quella spettante all'atto della domanda, se quest’ultima è stata presentata entro il 30 aprile 2014 gli effetti dell’incremento dell’anzianità utile sono considerati con riferimento al primo importo; diversamente, l’effetto dell’incremento dell’anzianità utile opera sul secondo importo se la domanda di riscatto è stata presentata a partire dal 1° maggio 2014.

Qualora le amministrazioni dovessero rappresentare, in sede di comunicazione dei dati utili per il calcolo delle previste prestazioni, cifre superiori, gli operatori effettueranno la riduzione entro il limite delle voci che concorrono a determinare le basi di calcolo. Tenuto conto delle indicazioni contenute nella circolare del Dipartimento della funzione pubblica n. 8 del 3 agosto 2012, tale riduzione deve essere effettuata, nell'ordine, sugli emolumenti dovuti per lo svolgimento di incarichi aggiuntivi, sul trattamento accessorio variabile, trattamento accessorio fisso e continuativo, sul trattamento fondamentale.

domenica 31 maggio 2015

Assegni familiari 2015 – 2016 casi particolari



Gli Assegni Nucleo Familiari INPS Anf 2015 sono una forma di prestazione a sostegno del reddito delle famiglie di lavoratori dipendenti e pensionati a carico dell’INPS che hanno un reddito complessivo al di sotto di determinate fasce stabilite ogni anno per legge. Il diritto e l’importo dell’assegno dipendono dal numero dei componenti, dal reddito e dalla tipologia del nucleo familiare.

Vediamo alcuni casi particolari:

Lavoratori a tempo pieno
L’ANF, in generale spetta ai lavoratori dipendenti in misura intera, se svolgono 104 ore lavorative se operai o 130 ore se impiegati. Se il lavoratore viene retribuito con paghe settimanali, quattordicinali o quindicinali, l’assegno spetta interamente rispettivamente se sono state lavorate almeno 24, 48, 52 ore per gli operai, o 30, 60, 65 ore lavorative se impiegati.

Per i lavoratori pagati a giornata verranno corrisposti tanti assegni giornalieri quante sono le giornate di lavoro effettivamente prestate, a prescindere dal numero di ore lavorate in ciascuna di esse.

Gli ANF, per i lavoratori con contratto a tempo parziale, spettano nella misura settimanale intera solo se hanno lavorato almeno 24 ore nella settimana, se al di sotto spettano tanti assegni giornalieri quante sono le giornate di lavoro effettivamente prestate, indipendentemente dal numero delle ore lavorate in ciascuna delle giornate stesse.

Assegni Familiari INPS Colf, agricoli e insegnanti scuole private:

Gli assegni familiari INPS per colf e lavoratori domestici in generale, spettano tanti assegni giornalieri quanti ne risultano dal quoziente che si ottiene dividendo per quattro il numero delle ore di lavoro risultanti dalla contribuzione complessivamente versata nel trimestre, da uno o più datori di lavoro, e per un massimo di 6 assegni giornalieri per ogni settimana.

Agli operai agricoli a tempo determinato, O.T.D., iscritti negli elenchi nominativi per almeno 101 giornate di lavoro annue, l’Anf, spetta per tutto l’anno, se invece le giornate sono al di sotto, spetta l’assegno per le giornate effettivamente lavorate, maggiorate della percentuale delle giornate spettanti a titolo di ferie e festività (13,78%) e spetta, inoltre, per tutte le giornate di disoccupazione coperte da contribuzione figurativa.

Gli Assegni al Nucleo Familiare spettano agli insegnanti che hanno un contratto da dipendenti in scuole private, e che svolgono un’attività lavorativa pari a 18 ore per le scuole medie di primo e secondo grado, 24 ore per le scuole elementari; la misura dell’assegno spetta nella misura intera, anche per periodi in cui viene sospesa l’attività per vacanze natalizie, pasquali ed estive, sarà invece inferiore e calcolato sulle effettive giornate di lavoro nel caso in cui non venisse superata la soglia delle ore lavorate.

Assegni Familiari per Ditte Cessate o Fallite:
Per i lavoratori Dipendenti di Ditte cessate o fallite, la domanda degli assegni per nucleo familiare deve essere effettuata mediante il modello ANF/PREST e presentata direttamente all’INPS via telematica o Patronato. A tale modello, deve essere allegata apposita dichiarazione della ditta da cui risulti:

data di cessazione attività della ditta

n° delle giornate effettivamente lavorate dal richiedente ed ogni altro elemento utile a determinare l’importo dell’ANF

versamento a favore del richiedente, per il periodo richiesto, dei contributi

motivi della mancata erogazione, nei periodi indicati, dell’ANF al richiedente
impegno a non effettuare il pagamento della prestazione successivamente al rilascio della dichiarazione.

Domanda ANF per i lavoratori di ditte fallite:
dichiarazione del curatore fallimentare attestante gli estremi del fallimento, l’esistenza del rapporto di lavoro ed ogni altro elemento utile a determinare l’importo dell’ANF
dichiarazione del lavoratore che attesti il mancato ricevimento dell’assegno e l’impegno a non insinuare nel passivo fallimentare i crediti per la prestazione che viene richiesta con pagamento diretto.

Tabelle Assegni Familiari 2015 per calcolo fasce reddito:
L’INPS con propria circolare ha pubblicato le nuove tabelle per la corresponsione assegni familiari ANF da valere per il periodo dal 30 giugno 2015 al 1° luglio 2016.
Le Tabelle importi assegni familiari 2015 per il calcolo fasce e limiti di reddito familiare, vanno applicate ai fini della cessazione o riduzione della corresponsione degli assegni familiari  e delle quote di maggiorazione di pensione da lavoro autonomo, i limiti di reddito familiare da considerare sono rivalutati ogni anno in ragione del tasso d’inflazione programmato con arrotondamento ai centesimi di euro. Tabelle ANF nuovi importi assegni familiari 2015.

ANF famiglie numerose:
La legge prevede l’erogazione di un assegno a favore dei nuclei familiari che si compongono di almeno tre figli minori. La domanda per l’Assegno per i nuclei familiari numerosi, relativo all’anno 2015 per assegno terzo figlio INPS, per il nucleo familiare numeroso (almeno 3 figli minori di 18 anni) composto da cittadini italiani o comunitari residenti in Italia, deve essere presentata entro il 31 gennaio 2016. Per maggiori approfondimenti o per vedere le novità introdotte per i nuclei familiari rimandiamo ai nostri articoli su: aiuti famiglie a basso reddito 2015 e bonus famiglie numerose 2015.

Assegni familiari 2015 dipendenti pubblici scuola:
Il sistema NoiPA con il messaggio n. 39 7 maggio 2015 domanda ANF 2015/2016 ha provveduto a comunicare che la domanda assegno al nucleo familiare 2015/2016 dovrà essere presentata dal dipendente pubblico solo dopo aver aggiornato il reddito 2014 utilizzando il modello di domanda scaricabile dalla sezione moduli sul portale NoiPA. Pertanto, a partire dal mese di maggio, i dipendenti pubblici scuola, riceveranno un messaggio nell'area riservata del portale, al fine di presentare la nuova domanda ANF valida dal 1° luglio 2015 fino al 30 giugno 2016.




sabato 16 maggio 2015

INPS: dati importi pensione media donne e uomini



L'importo per le donne è pari, in media, al 68,3% di quella degli uomini. La spesa complessiva per le pensioni dei dipendenti pubblici ammonta a quasi 65 miliardi di euro Tweet13 Inps, la proposta di Boeri: "Reddito minimo per gli over 55" Pensioni il primo del mese e reddito minimo agli over 55: le proposte del presidente dell'Inps Pensioni, i dati dell'Inps: più al sud che al nord, due su tre sotto i 750 euro 15 maggio 2015 La pensione media lorda mensile dei dipendenti pubblici è al primo gennaio 2015 di 1.772,9 euro, 10 euro in più rispetto allo scorso anno. L'importo medio, calcola l'Inps, è più alto per gli uomini, 2.175,1 euro contro i 1.486 euro delle donne. Queste ultime rappresentano il 58,4% del totale dei pensionati ma l'importo è pari, in media, al 68,3% di quella degli uomini.

La pensione media lorda mensile dei dipendenti pubblici è al primo gennaio 2015 di 1.772,9 euro, 10 euro in più rispetto allo scorso anno. L'importo medio, calcola l'Inps, è più alto per gli uomini, 2.175,1 euro contro i 1.486 euro delle donne. Queste ultime rappresentano il 58,4% del totale dei pensionati ma l'importo è pari, in media, al 68,3% di quella dei maschi. Sono alcuni dei dati che si leggono sull'Osservatorio della Gestione dipendenti pubblici, pubblicato sul sito istituzionale dell'Inps. Le pensioni erogate dall'Inps Gestione Dipendenti Pubblici al 1 gennaio 2015 sono 2.818.300, lo 0,16% in più rispetto a quelle vigenti al 1 gennaio 2014. La spesa complessiva ammonta a quasi 65 miliardi di euro, in aumento dello 0,75% rispetto all'anno precedente.

L'importo medio lordo mensile delle pensioni erogate è di 1.772,9 euro. Una media che è più alta per gli uomini, 2.175,1 euro contro i 1.486 euro delle donne. Queste ultime rappresentano il 58,4% del totale dei pensionati ma percepiscono, in media, una pensione di importo pari al 68,3% di quella dei maschi.

Le pensioni vigenti dei dipendenti pubblici nel 2015 valgono in media 1.772 euro al mese, circa il 72% in più rispetto a quelle medie dei lavoratori dipendenti del settore privato (1.026 euro). Sulle pensioni liquidate nel 2015 la differenza è tra 1.872 euro per i pensionati pubblici e 1.012 euro per i privati. La spiegazione in questa grande differenza tra gli importi degli assegni è nelle carriere meno discontinue e più lunghe dei lavoratori pubblici e nelle retribuzioni medie più alte rispetto al settore privato. Se si guarda alle pensioni liquidate nel 2014 dei pubblici, la media per le pensioni di vecchiaia è di 2.228 euro (con un picco di oltre 5.600 euro per le pensioni dei sanitari) mentre per i trattamenti di anzianità contributiva l'importo medio raggiunge i 1.949 euro. Per i lavoratori del settore privato le pensioni di vecchiaia liquidate nel 2015 raggiungono i 1.469 euro medi, importo che scende a 1.388 se si escludono i fondi a contabilità separata come i telefonici (2.233 l'importo medio) e i dirigenti d'azienda (4.282 l'importo medio).

Dall'analisi dei dati relativi alle singole Casse emerge che il maggior numero di pensioni, 1.677.746, è a carico della Cassa trattamenti pensionistici dipendenti statali, seguita dalla Cassa pensioni dipendenti Enti locali, con 1.054.013 pensioni erogate, dalla Cassa pensioni sanitari, con 68.540, dalla Cassa pensioni insegnanti, con 15.095, e dalla Cassa pensioni ufficiali giudiziari con 2.906 trattamenti pensionistici. La spesa per le pensioni erogate dalla Cassa trattamenti pensionistici dipendenti statali è di 40,8 miliardi, pari a circa il 63% del totale, mentre quella per la Cassa pensioni dipendenti Enti locali di 21,1 miliardi (31%). Il restante 6% della spesa, pari a quasi 4 miliardi, risulta suddivisa fra le altre tre Casse.

Il numero delle nuove pensioni liquidate nell'anno 2014 è stato di 100.806 unità, di cui circa il 60% nella Cassa trattamenti pensionistici dipendenti statali, il 36% nella Cassa pensioni dipendenti Enti locali e il restante 4% nelle altre tre Casse. La ripartizione secondo la tipologia delle pensioni mostra che il 41% del totale sono pensioni di anzianità/anticipate, il 13,4% pensioni di vecchiaia, il 7,3% di inabilità ed il 38,2% ai superstiti. La spesa per le nuove pensioni liquidate è stata di quasi 2,5 miliardi di euro, pari a circa il 4% della spesa totale.

L'importo medio mensile delle pensioni liquidate nel 2014 ammonta a 1.872,8 euro, il 6% in più rispetto all'importo medio riferito all'intero complesso delle pensioni vigenti.





domenica 22 febbraio 2015

Lavoro: congedi e permessi per cure termali



Hanno diritto ai permessi per cure termali i lavoratori (dipendenti ed autonomi) iscritti all'INPS, eccetto i titolari di pensione in via definitiva e i familiari a carico. I permessi per cure termali spettano solitamente ai lavoratori durante il periodo di ferie fatta eccezione per i casi in cui tali cure sono necessarie a fini terapeutici o per la riabilitazione di affezioni o stati patologici per la cui risoluzione sia giudicato determinante, un tempestivo trattamento termale.

Il periodo di cure termali deve essere fruito dal lavoratore entro 30 giorni dalla richiesta medica e tra la concessione del periodo per cure termali e il godimento di un periodo di ferie deve obbligatoriamente trascorrere un periodo di almeno 15 giorni.

Le cure termali possono essere effettuate solo in relazione a malattie individuate appositamente dal ministro del Lavoro relativamente a patologie:

reumatiche;

delle vie respiratorie;

dermatologiche;

ginecologiche;

dell'apparato urinario;

vascolari;

dell'apparato gastroenterico;

Rientrano nel novero delle cure termali le terapie per il trattamento di determinate patologie effettuate mediante: bagni in acque termali, fanghi,inalazioni di vapori, sabbiature, ecc.

I periodi di cure, per essere retribuiti, non possono superare i 15 giorni l'anno e tra i periodi concessi a qualsiasi titolo per le cure termali e le ferie annuali deve trascorrere un intervallo di almeno quindici giorni.

Per avere diritto al trattamento economico di malattia il lavoratore deve:

presentare all'ASL di residenza la proposta-richiesta del medico curante, entro cinque giorni dal rilascio;

sottoporsi alla visita del medico specialista dell'ASL, che rilascia l'autorizzazione comunicare al datore di lavoro il periodo prescelto per le cure, trasmettendo la proposta-richiesta del medico curante;

farsi rilasciare dal datore di lavoro una dichiarazione da cui risulti che durante il periodo suddetto, non possono essere fruite ferie o congedi ordinari, in quanto sono già state programmate ferie collettive in altro periodo, ovvero non residua nell'anno un numero di giorni di ferie sufficiente per il completamento del ciclo di cure;

inviare all'INPS entro due giorni dall'inizio delle cure da effettuare al di fuori dei periodi di ferie, la copia della proposta-richiesta del medico curante e copia della dichiarazione di cui sopra del datore di lavoro;

inviare al datore di lavoro, sempre entro due giorni dall'inizio delle cure, copia della documentazione in possesso;

effettuare le cure prescritte senza interruzioni presso uno stabilimento termale convenzionato con il SSN;

inviare all'INPS e al datore di lavoro, al termine delle cure, l'apposito modello compilato dallo stabilimento termale.

I permessi per cure termali fruiti durante il periodo di ferie sono invece una prestazione facoltativa dell'INPS, erogata solo in presenza di malattie reumo-artropatiche e bronco-catarrali, la cui concessione è finalizzata ad evitare, ritardare o rimuovere uno stato d'invalidità.

La fruizione delle prestazioni da parte degli assicurati dell'Istituto può dunque avvenire solo in periodo feriale.

L'INPS concede le cure termali ai lavoratori che possiedono almeno 5 anni di anzianità assicurativa e almeno 3 anni di contribuzione nei 5 anni precedenti la domanda: i lavoratori non devono aver usufruito nello stesso anno di altre prestazioni termali.

Per quanto riguarda le spese, le cure termali sono a carico del servizio sanitario nazionale, mentre le spese di soggiorno sono a carico dell'INPS. L'assicurato è invece tenuto al pagamento del ticket nella misura prevista dalla legge

Durante il congedo per le cure, il lavoratore invalido ha diritto ad un trattamento calcolato secondo il regime economico delle assenze per malattia. I giorni di congedo, però, non si calcolano ai fini del periodo di comporto (cioè il termine di conservazione del posto di lavoro per i lavoratori in malattia, stabilito dai singoli contratti collettivi).

In via ordinaria, il trattamento termale non contempla una prestazione a favore del lavoratore, dovendo la cura essere effettuata durante i periodi di ferie o di congedi. I permessi per cure termali fruiti durante tali periodi sono una prestazione facoltativa dell’Inps, erogata in presenza di malattie reumo-artropatiche e bronco-catarrali, volta ad evitare/ritardare uno stato d’invalidità.

Tuttavia, in casi straordinari – motivi di urgenza, esaurimento delle ferie – si attiva una specifica tutela: la legislazione prevede che i lavoratori dipendenti, nel pubblico o nel privato, possano usufruire di trattamenti idrotermali a carico dell’Inps fuori dai periodi di congedo ordinario e di ferie annuali, per effettive esigenze terapeutiche o riabilitative, su richiesta del medico curante dell’Inail.

Al fine di usufruire dei trattamenti termali “straordinari” è necessario essere in possesso di alcuni requisiti quali l’aver perfezionato almeno 5 anni di anzianità assicurativa, 3 anni di contributi nei 5 anni precedenti la domanda (che – giova ricordarlo – va trasmessa unitamente al correlato referto medico in modalità telematica) e non devono inoltre essere state effettuate prestazioni termali a carico della Asl o di altro Ente nello stesso anno.

Per avere diritto al trattamento economico di malattia il lavoratore deve effettuare alcune operazioni quali presentare all’Asl di appartenenza la richiesta medica entro cinque giorni dal rilascio, sottoporsi alla visita del medico dell’Asl, la cui autorizzazione rilasciata deve essere comunicata al proprio datore, il quale a sua volta rilascerà una dichiarazione, da inviare, insieme alla prescrizione del medico curante, all’Inps entro due giorni dall’inizio delle cure. Le cure devono essere praticate entro 30 giorni dalla proposta medica. Per quanto attiene la durata delle cure termali, essa non può essere superiore a 15 giorni all’anno (con i primi 3 giorni indennizzati come carenza) e tra i periodi di cure ed i congedi/le ferie deve intercorrere un intervallo di almeno 15 giorni.



giovedì 19 febbraio 2015

Dipendenti Pa, è arrivata la circolare sul pensionamento obbligatorio



Governo fortemente inflessibile sul pensionamento obbligatorio dei dipendenti pubblici: chi snatura il diritto dovrà essere messo subito a riposo. Obbligati alla pensione i dipendenti pubblici. Nei loro confronti non opera l'incentivo della permanenza al lavoro fino a 70 anni d'età e non opera più neppure la facoltà di rimanere in servizio oltre i limiti d'età per conseguire il massimo della pensione.

Obbligo i dipendenti della Pa ad andare in pensione quando sono stati raggiunti i requisiti ovvero chi ha raggiunto i requisiti per il pensionamento. È quanto stabilisce una circolare firmata dal ministro Marianna Madia.

Il provvedimento prevede la risoluzione del rapporto di lavoro "obbligatoria, per coloro che hanno maturato i requisiti per la pensione di vecchiaia ovvero il diritto alla pensione anticipata, avendo raggiunto l'età limite ordinamentale".

«Soppressione del trattenimento in servizio e modifica della disciplina della risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro» - per la circolare del ministero della Pa che conferma e regola l'uscita obbligatoria (con poche eccezioni) dalla Pubblica amministrazione per chi abbia raggiunto l'età della pensione e ridefinisce la disciplina della risoluzione unilaterale. Il documento, appena firmato dalla ministra Marianna Madia, è in attesa di registrazione da parte della Corte dei conti, ma il ricambio generazionale dei dipendenti pubblici si può dire definitivamente avviato.

ll decreto legge Madia, entrato in vigore quest’estate, prevedeva dopo il 31 ottobre 2014 l’abolizione del trattenimento in servizio, che consentiva di continuare a lavorare dopo il raggiungimento dei requisiti per la messa a riposo. Ma per i magistrati il termine è stato, già nel dl, esteso al 31 dicembre 2015. "Essendo già scaduto" il termine del 31 ottobre 2014, "i trattenimenti non possono proseguire", si legge nel testo della circolare pubblicata sul sito della Funzione pubblica. "A tal fine, si considerano in essere i trattenimenti già disposti ed efficaci. I trattenimenti già accordati ma non ancora efficaci al 25 giugno 2014 (data di entrata in vigore del decreto-legge) si intendono revocati ex lege".

Quanto alla disciplina speciale, si precisa, «la data limite per l'efficacia dei trattenimenti in servizio, seppure ancora non disposti, per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari è il 31 dicembre 2015, data oltre la quale coloro che ne stiano fruendo devono essere collocati a riposo. Per tali categorie di personale, pertanto, è ancora possibile disporre il trattenimento, che non potrà avere durata tale da superare la predetta data». Quanto al personale della scuola, il regime «ha esaurito i suoi effetti il 31 agosto 2014. Nessun dipendente del comparto scuola, quindi, può trovarsi ancora in servizio in virtù del trattenimento eventualmente operato».

Quanto alla disciplina speciale, si precisa, "la data limite per l’efficacia dei trattenimenti in servizio, seppure ancora non disposti, per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari è il 31 dicembre 2015, data oltre la quale coloro che ne stiano fruendo devono essere collocati a riposo". Per tali categorie di personale, pertanto, è ancora possibile "disporre il trattenimento, che non potrà avere durata tale da superare la predetta data". Riguardo al personale della scuola, il regime "ha esaurito i suoi effetti il 31 agosto 2014. Nessun dipendente del comparto scuola, quindi, può trovarsi ancora in servizio in virtù del trattenimento eventualmente operato". "L’intervento legislativo - spiega il Ministero - è volto a favorire il ricambio e il ringiovanimento del personale nelle pubbliche amministrazioni".

Innanzitutto, la circolare illustra i nuovi requisiti di età e contribuzione per maturare il diritto alla pensione, nelle due nuove alternative di pensione di vecchiaia e pensione anticipata; ricorda, tra l'altro, l'abrogazione delle finestre che fissavano la decorrenza della pensione e l'estensione del sistema contributivo, con il pro-rata, alle anzianità successive al 2011. Le nuove norme non si applicano, tuttavia, nei confronti dei lavoratori che hanno maturato i requisiti per la pensione entro il 31 dicembre 2011, i quali potranno conseguire la pensione in qualsiasi momento secondo il vecchio regime (ante riforma). Da questa deroga, la circolare fa scaturire un preciso obbligo per le p.a., ossia quello di dover collocare a riposo nel 2012 o negli anni successivi al compimento dei 65 anni quei dipendenti che nel 2011 erano già in possesso della massima anzianità contributiva (40 anni) o della «quota» (era 96) o comunque dei requisiti per la pensione.

"L'intervento legislativo - spiega il Ministero - è volto a favorire il ricambio e il ringiovanimento del personale nelle pubbliche amministrazioni". La risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro con la Pa continua a non applicarsi per i magistrati e i professori universitari cui si aggiungono anche i dirigenti di struttura complessa del Servizio sanitario nazionale.

L'amministrazione è però tenuta a proseguire il rapporto di lavoro quando il dipendente "non matura alcun diritto a pensione al compimento dell'età limite ordinamentale o al compimento del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia". In questi casi l'amministrazione "deve proseguire il rapporto di lavoro con il dipendente oltre il raggiungimento del limite per permettergli di maturare i requisiti minimi previsti per l'accesso a pensione non oltre il raggiungimento dei 70 anni di età".

Rimane invariato il termine di preavviso per il recesso, che anche la nuova disposizione stabilisce in 6 mesi.




giovedì 22 gennaio 2015

Lavoratori pubblici: come evitare i licenziamenti a pioggia


Innanzitutto bisogna assicurarsi di avere a portata di mano:

certificazione necessaria al fine di impugnare il licenziamento;

consulenza legale (facoltativa);

modulistica per i ricorsi.

Nel caso in cui un lavoratore dipendente ritenga di aver subito un ingiusto licenziamento deve rivolgersi ad un Avvocato del Lavoro per esercitare il diritto al ricorso e veder riconosciute le proprie ragioni.

La prima fase viene svolta davanti ad una commissione di conciliazione presso la direzione provinciale del lavoro a cui il licenziamento deve comunque essere comunicato in breve tempo dal datore di lavoro. In tale fase il lavoratore può farsi assistere da un legale, essa è di preparazione alla seconda fase, eventuale, davanti al giudice del lavoro e tende ad evitare l’ingorgo giudiziale e allo stesso tempo a fornire una tutela adeguata al lavoratore. Solo dopo aver esperito questa fase, se le parti non accettano la proposta del conciliatore, si può passare alla fase giudiziale vera e propria.

Se il licenziamento resta il grande svantaggio per i neoassunti del settore privato con il contratto a tutele crescenti previsto dal Jobs Act, poiché sarà più facile rispetto al vecchio contratto a tempo indeterminato, nel settore pubblico gli statali attendono per capire quali saranno le loro regole a riguardo.

Il Ministro Madia ha già rassicurato gli animi di molti: gli statali godranno sempre e comunque del reintegro nei casi di licenziamento illegittimo, perché "si licenzia con i soldi di tutti".

La Madia ha dichiarato che tra il settore pubblico e privato esistono delle differenze oggettive, ma è giusto scavare un solco così profondo tra le due categorie di dipendenti?

Un altro esempio: per il dipendente pubblico, a differenza del privato, non può essere previsto il licenziamento individuale per motivi economici, al massimo possono configurarsi modalità di esubero collettive, come il caso delle Province.

La spina nel fianco dei dipendenti pubblici sarà invece il licenziamento per scarso rendimento.

Il licenziamento per i cosiddetti «fannulloni» esiste già dal 2009, in base a quanto disposto dalla Riforma Brunetta, per cui un dipendente pubblico può essere licenziato, tra le altre cose, per:

assenza ingiustificata per oltre 3 giorni nell'arco di 2 anni o per una settimana negli ultimi 10 anni;

presentazione di un certificato medico falso;

scarso rendimento, secondo i criteri stabiliti dalla legge;

falsa attestazione della presenza in servizio.

Quanto vengono applicate queste regole? Quasi per niente, poiché nel caso di un licenziamento illegittimo di un dipendente pubblico, sarebbe il dirigente il responsabile del danno erariale, dunque la persona su cui graverebbe l’onere del risarcimento.

E’ difficile che un dirigente sia disposto a rischiare i risparmi di famiglia per licenziare un dipendente: meglio il consueto patto di reciproco riconoscimento del diritto all’inefficienza, per cui il dirigente non mette sotto stress i dipendenti e questi non mettono sotto stress lui.

La prassi è dimostrata dai numeri riportati: ogni anno vengono licenziati poco più di 100 dipendenti pubblici l’anno, su 3,5 milioni, contro i 40.000 dipendenti privati, su 11.000, sulla questione tecnica è intervenuto Ichino, da giuslavorista d’esperienza, è entrato nei dettagli:

«Il testo unico dell’impiego pubblico stabilisce che, salve le materie delle assunzioni e delle promozioni, che sono soggette al principio costituzionale del concorso, per ogni altro aspetto il rapporto di impiego pubblico è soggetto alle stesse regole che si applicano nel settore privato».

Ma c’è chi, come il ministro per la Pubblica amministrazione Marianna Madia sostiene che gli statali sono esclusi, perché entrano per concorso e quindi seguono regole diverse: «Qualche volta anche i ministri sbagliano, concorso non significa inamovibilità. E sbaglia chi voleva l’espressa esclusione dei dipendenti pubblici. Non si rendono conto che il contratto a tutele crescenti costituisce l’unica soluzione possibile per il problema del precariato, anche nel settore pubblico.

Il dipendente statale è uguale al dipendente privato. In realtà in Italia non è così,dipendente privato e dipendente pubblico non hanno le stesse difese, quest’ultimo può essere licenziato solo in casi eccezionali, estremi direi: omicidio del capoufficio e successivo stupro della di lui moglie così, per ulteriore sfregio.

Nel pubblico c’è una clamorosa zona grigia che nessun governo negli anni è riuscito a rischiarare (solo la Fornero all’epoca disse qualcosa di impegnativo sull’argomento). Il punto è questo: una delle ragioni più diffuse per cui l’imprenditore privato lascia a casa un dipendente, sono i conti dell’azienda che non vanno bene. Qui s’impone una prima riflessione, che riguarda le responsabilità dello stato (inteso come struttura sociale che comprende politica e magistratura).

Compito dello stato è vigilare perché gli imprenditori non licenzino ingiustificato, con la scusa di conti in disordine che in realtà nascondono ben altro. E questo compito non è affatto semplice, non è facile trovare un punto di sintesi virtuosa tra esigenze così diverse, se non opposte. (È del tutto inutile sottolineare che gli imprenditori seri non si privano dei dipendenti che lavorano seriamente).

Adesso ribaltiamo la prospettiva e trasferiamo la ragione principale di licenziamento nel campo privato all'interno del campo statale. La domanda che ne sorge è una sola: come si fa stabilire che “i conti sono in disordine” se un ministero, un ente parco, insomma queste robe mesozoiche qui, non producono una mazza, non vendono nulla, non esportano alcunché?

Come si fa a stabilire che un ministero dovrebbe dimagrire in termini di personale? È necessario trovare una chiave diversa, quindi, che non sia la produttività privata, decisamente più facile da riconoscere. E la chiave è compresa nella storia italiana, in quella storia che ci racconta come il mezzo secolo democristiano abbia gonfiato a dismisura quella burocrazia, ingozzandone furiosamente le fila di amici degli amici, di parenti, di cugini, di raccomandati dal prete del paese e chi più ne ha più ne metta. Un’eterna implosione.

In caso di licenziamento ingiusto dobbiamo ora distinguere diverse ipotesi e le stesse hanno una diversa conseguenza. Se si stratta di licenziamento discriminatorio ovvero basato su opinioni politiche, religiose, razza o sesso, il giudice dichiarerà nullo il licenziamento e disporrà il reintegro del lavoratore nel posto di lavoro e potrà essere riconosciuto il diritto al risarcimento e ciò a prescindere dal numero di lavoratori dipendenti.

Nel caso invece di licenziamento per giusta causa rivelatosi però illegittimo perché il fatto contestato non sussiste o non poteva essere punito con il licenziamento, il giudice può reintegrare il lavoratore nel suo posto se si tratta di un’azienda con più di 15 lavoratori o 5 lavoratori nel caso di azienda di tipo agricolo. Può inoltre disporre la condanna al risarcimento danni il cui ammontare può arrivare alla cifra corrispondente a 12 mensilità.

Nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ovvero nel caso in cui il datore di lavoro motivi il licenziamento con problemi economici dell’azienda, se il giudice ritiene che il licenziamento è illegittimo, non potrà condannare il datore a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro, ma dovrà pronunciare l’illegittimità dello stesso e condannare il datore di lavoro al risarcimento in forma pecuniaria per un ammontare massimo corrispondente a 24 mensilità. Il datore di lavoro può comunque procedere al reintegro.

Poniamo una domanda se le norme del Jobs Act si applicano ai dipendenti pubblici?. Come ricorda un recente studio Adapt sui decreti attuativi del Jobs Act , le fattispecie di licenziamento per giustificato motivo soggettivo e oggettivo per il dipendente pubblico – ovvero per scarso rendimento e situazione finanziaria dell’ente – sono già presenti nella normativa (decreti legislativi 165 del 2001 e 150 del 2009).

Il problema, a parte il licenziamento discriminatorio, sarebbe il licenziamento illegittimo, sulle cui conseguenze è intervenuto il Jobs Act e che, per il pubblico, sostiene il Ministro Madia, richiederebbe il reintegro in luogo della semplice indennità. Il punto, quindi, non è la maggiore o minore facilità nel licenziare, ma della tipologia di rimedi successivi al licenziamento.



domenica 4 gennaio 2015

Inps: malattie per i dipendenti pubblici e privati, pronto il ruolo di controllore unico




Ricordiamo che I lavoratori statali della PA, sono soggetti a controlli medici da parte delle singole Asl, mentre quelli del privato vengono monitorati da camici bianchi contrattualizzati dall'INPS. Mentre per evitare che i primi (3,5 milioni il loro totale) facciano i «furbetti» si spendono circa 70 milioni all'anno, l'istituto di previdenza sociale destina solo 13 milioni ai controlli di oltre 22 milioni di dipendenti privati. La differenza di costo non deve sorprendere: le Asl, si sa, sono più care e gli statali ne escogitano una più del diavolo per stare a casa (il profluvio di certificati dei pizzardoni romani lo testimonia). Nel privato l'assenteismo, prima o poi, viene punito e, dunque, i lavoratori tendono ad autolimitarsi.

Dopo la bufera di Capodanno sui presunti assenteisti del pubblico impiego, le polemiche rilanciano il piano del governo per l'aggiornamento del sistema dei controlli sulle assenze per malattia nella Pa. Accertamenti affidati alle Asl, ma che presto potrebbe passare nelle mani dell'INPS. L'istituto è pronto, assicurano fonti interne: «Per i controlli nell'ambito del pubblico impiego il sistema delle Asl ha a bilancio 70 milioni, noi siamo pronti a farlo alla metà del costo». Risparmio garantito, grazie «ad un sistema di data mining e all'archivio dei certificati online di cui l'Istituto ha la gestione».

In tempi di revisione della spesa, la posta in gioco fa evidentemente gola all'istituto nazionale di previdenza. Ma poter “scippare” le visite fiscali alla Sanità pubblica che potrebbe avvenire nell'ambito del ddl Madia di riforma della Pubblica amministrazione, spiega la fonte interna, «occorre una modifica anche delle altre regole, per omogeneizzare il sistema di controlli nel pubblico e nel privato», dando spazio al know how Inps che già oggi si occupa delle assenze nel settore privato. L'adozione di un sistema di “data mining” (letteralmente estrazione di informazioni da una banca dati) permette di ottenere la scelta dei soggetti da sottoporre a visita di controllo attraverso un “sistema informatico esperto”, che garantisce oggettività, conservazione e riproducibilità delle azioni effettuate.

«I tempi sembrano ormai maturi - si legge nella relazione conclusiva dell'indagine conoscitiva «sull'organizzazione dell'attività dei medici che svolgono gli accertamenti sanitari per verificare lo stato di salute del dipendente assente per malattia» - per l'individuazione di un solo soggetto cui affidare lo svolgimento della funzione di controllo in merito alle assenze per motivi di salute, da individuarsi necessariamente nell'Inps. Tale scelta richiede alcune modifiche della normativa vigente che andranno meglio precisate con appositi atti».

Il costo del servizio reso dall'Inps nel settore del pubblico impiego «potrebbe trovare risposta nelle cifre già ora stanziate per il medesimo scopo. Si potrebbe valutare un budget annuo complessivo e tale da coprire una quota predefinita di visite di controllo per la Pa, lasciando ad ogni amministrazione la possibilità di integrare tale quota ove risultasse necessario procedere ad un numero maggiore di controlli», prosegue il documento della Camera. «Tale ipotesi consentirebbe di evitare che ragioni di risparmio immediato con conseguente riduzione del numero dei controlli lasci trasparire l'idea di un rallentamento della lotta all'assenteismo», conclude il documento.

Ad oggi non si può chiudere gli occhi dinanzi alla spending review dell'INPS che, per quadrare i bilanci, ha tagliato un pò su tutto. A partire dalle visite «d'ufficio» (quelle richieste dalle aziende sono pagate dalle medesime) scese dalle 789mila del 2009 alle 345mila del 2013 il cui costo si è ridotto a 12 milioni. Inoltre dei 1.400 medici impiegati dall'Inps, solo 300 hanno un rapporto di esclusiva con l'istituto. Se il regime cambiasse, lo Stato sarebbe solerte come un'azienda nell'effettuare i controlli? E i 1.100 medici senza esclusiva sarebbero inflessibili? In Italia dubitare è un obbligo.



sabato 13 settembre 2014

Ferie solidali a favore dei genitori in difficoltà



L'idea è semplice e a costo zero per lo Stato: permettere ai dipendenti pubblici e privati di cedere, compatibilmente con il diritto ai riposi settimanali e alle ferie annuali retribuite, «tutti o parte dei giorni di riposo aggiuntivi spettanti in base al contratto collettivo nazionale in favore del lavoratore genitore di figlio minore che necessita di presenza fisica e cure costanti per le particolari condizioni di salute».

"Ferie solidali” ovvero la possibilità di cedere parte delle proprie ferie a colleghi con figli minori malati. Il testo dell'emendamento prevede il "riconoscimento, compatibilmente con il diritto ai riposi settimanali e alle ferie annuali retribuite, della possibilità di cessione fra lavoratori dipendenti dello stesso datore di lavoro di tutti o parte dei giorni di riposo aggiuntivi spettanti in base al contratto collettivo nazionale in favore del lavoratore genitore di figlio minore con necessità di presenza fisica e cure costanti per le particolari condizioni di salute".

"Una bella pagina di condivisione, un'opportunità di solidarietà per i lavoratori - dicono gli autori della proposta. Ora lavoriamo per tutelare anche i lavoratori malati gravi che oggi, a causa delle loro condizioni di salute, rischiano di perdere il lavoro. In Francia l'esperienza della cessione delle ferie ha dato ottimi risultati. Siamo sicuri che nelle fabbriche e nelle aziende i nostri lavoratori non mancheranno di mostrare, con gesti concreti, la propria vicinanza ai colleghi con figli malati".

Quindi il collega potrà cedere i giorni di riposo in più (eccedenti quelle previste dal contratto nazionale) al collega - mamma o papà - che ha un figlio minore che "necessita di presenza fisica e cure costanti per le particolari condizioni di salute".

La norma è ispirata alla Legge Mathis, approvata a maggio dal Senato francese dopo la morte di un bambino malato di tumore, Mathis Germain, il cui padre ha ottenuto in dono dai colleghi giorni di permesso retribuito per potergli stare vicino fino alla fine. A maggio un caso simile, come raccontato da Il Tirreno, si è verificato in Toscana,nell’azienda di trasporto pubblico delle province di Pisa, Livorno e Lucca Ctt Nord.

Le giornate potranno per esempio essere cedute al genitore con un figlio affetto da grave patologia o handicap, si legge nel testo dell’emendamento. La norma vale per dipendenti pubblici e privati.


domenica 1 dicembre 2013

Lavoratori pubblici: 5mila dipendenti denunciati



Tre miliardi rubati allo Stato. Il rapporto della Guardia di Finanza per il 2013 parla di oltre 5mila dipendenti pubblici denunciati per corruzione e truffa (dai falsi poveri ai finti consulenti). Due cifre su tutte: i danni erariali provocati da funzionari e i danni erariali provocati da funzionari e impiegati infedeli fino allo scorso ottobre ammontano a 2 miliardi e 22 milioni di euro; quelli per le truffe sono pari a un miliardo e 358 milioni di euro. I dipendenti pubblici denunciati nei primi dieci mesi dell’anno sono stati 5.073, ma numerose indagini sono tuttora in corso.

Ammontano a due miliardi e 22 milioni di euro i danni erariali provocati dai finti poveri, mentre quelli per le truffe sono pari a un miliardo e 358 milioni di euro. I dipendenti pubblici denunciati da gennaio a ottobre sono stati 5.073. Come ricostruisce il "Corriere della Sera", anche la galassia dei falsi poveri è molto popolata. Decine di migliaia di persone riescono a ottenere benefici senza averne i requisiti.

Su 8mila controlli effettuati, sono stati trovati 2.500 soggetti che hanno indebitamente beneficiato di prestazioni sociali agevolate. Le persone finite nel mirino della Finanza avevano ottenuto benefici come l’accesso in corsia preferenziale ad asili nido ed altri servizi per l’infanzia, la riduzione del costo delle mense scolastiche, i “buoni libro” per studenti e le borse di studio, i servizi socio sanitari domiciliari, le agevolazioni per i servizi di pubblica utilità, quali luce o gas.

Saccheggiano i funzionari, ma non sono gli unici. Perché sfruttando i mancati controlli interni ai vari enti, decine di migliaia di persone riescono ad ottenere benefici senza averne i requisiti. Scrivono nella relazione gli specialisti della Finanza: «Nell’ambito delle verifiche imposte dai processi di spending review sono state predisposte campagne massive di controllo su forme diffuse di irregolarità, relativamente alla fruizione dei ticket sanitari e delle prestazioni sociali agevolate, per incrementare i livelli di compliance tra i potenziali beneficiari di tali agevolazioni».

Parliamo anche di consulenze inutili. Le solite quella dei cosiddetti «esperti» assoldati dalla pubblica amministrazione continua ad essere una vera e propria piaga sociale Perché serve a moltiplicare gli incarichi, nella maggior parte dei casi, inutili. E a provocare una vera e propria emorragia di fondi. È solo uno dei casi contestati. Tra gennaio e ottobre 2013 la Guardia di Finanza ha denunciato alla Corte dei Conti 150 casi di consulenze non necessarie, calcolando un esborso illecito pari a 8 milioni e 454 mila euro. Ben più alte sono le altre spese causate dalla mala gestione delle istituzioni.

Il settore della salute pubblica è certamente uno dei più «saccheggiati». Sono 626 i dipendenti pubblici che dovranno rendere conto dei propri illeciti e di aver provocato un danno di ben 233 milioni di euro. E sono migliaia i cittadini che hanno truffato lo Stato riuscendo ad ottenere prestazioni pur non avendone i requisiti o comunque rimborsi non dovuti. Le denunce finora presentate nel 2013 sono state 5.300 con un danno calcolato di oltre 9 milioni di euro.

Vicenda simbolo - molte altre analoghe sono state verificate in numerose parti d’Italia - è stato scoperta dai finanzieri di Caserta dove la Asl non aveva aggiornato da anni gli iscritti nelle liste dei medici di base. Sfruttando sia pur inconsapevolmente queste omissioni circa 400 dottori di tutta la provincia hanno continuato a percepire compensi relativi a «1.215 soggetti deceduti, 2.010 emigrati all’estero e 2.763 emigrati fuori provincia». Danno accertato: 1,5 milioni di euro.

Le case e i buoni scuola. Sono migliaia i casi di «falsi poveri» scoperti dai finanzieri. E’ stata denunciata una pensionata settantenne che abitava in una villa con piscina, aveva altri 14 immobili di proprietà affittati «in nero» per un canone mensile che oscillava tra i fino a 4.600 e i 5.000 euro al mese. Non solo non aveva denunciato introiti per oltre 220 mila euro, ma negli anni scorsi aveva ottenuto il rimborso delle tasse universitarie sostenute per il figlio e chiesto al Comune le prestazioni economiche assistenziali, dichiarando di appartenere a un nucleo familiare indigente.

martedì 27 agosto 2013

Cdm del 26 agosto 2013. Novità sul lavoro: precari, assunzioni e contratti a termine




Il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto legge "con le norme che hanno una funzione fondamentale per riorganizzazione e la modernizzazione della Pubblica Amministrazione".

Il Consiglio dei ministri, accogliendo la proposta del Ministro della Salute Lorenzin di introdurre una specifica disciplina per la stabilizzazione del personale medico e del ruolo sanitario, ha introdotto lo strumento idoneo per affrontare il tema del precariato, che nel Servizio Sanitario Nazionale ha assunto dimensioni tali da mettere in crisi la qualità delle prestazioni erogate, specie nelle Regioni in piano di rientro. Tra medici, personale infermieristico, tecnici e altri 11 profili professionali, sarà possibile stabilizzare le circa 35.000 persone del settore sanitario, tramite concorso pubblico riservato.

Con il decreto legge, ha detto il premier Enrico Letta, "si decide di dare una soluzione strutturale" al precariato e si intende "tipizzare e ridurre le forme di lavoro flessibile" e mettere "barriere" per evitare "scorciatoie per le assunzioni". Via libera all'assunzione di oltre 1.000 Vigili del Fuoco.

Come fine strettamente operativo per la stabilizzazione degli attuali precari viene istituita una riserva del 50% nei concorsi, riservata a chi ha lavorato 3 anni nei 5 anni. Prevista, inoltre, "una norma che obbliga ad assumere tutti i vincitori di concorso". In parte questo "riguarderà anche gli idonei, ma solo per le graduatorie più recenti". Assunzione nella P.A. per i collaboratori di giustizia.

«Quelli da stabilizzare saranno scelti con procedure altamente selettive». Via libera all’Agenzia per la coesione: dovrà spendere meglio i fondi europei.

Una corsia preferenziale per la stabilizzazione di alcune decine di migliaia di lavoratori pubblici precari. Ma anche nuove regole per la mobilità in particolare nelle società partecipate, l’assunzione di 1.000 Vigili del Fuoco e - per un numero limitato di dipendenti pubblici - una scorciatoia per la pensione con i criteri precedenti alla riforma Fornero.

Sul tema dei precari sia Letta sia il Ministro della Funzione pubblica D’Alia hanno sottolineato che la graduale immissione dei dipendenti pubblici che hanno lavorato almeno tre anni avverrà secondo procedure «altamente selettive», in modo da far entrare «i migliori».

L’effettiva assunzione degli interessati è condizionata dalle disponibilità di bilancio delle amministrazioni e ancora di più dai vincoli sulle assunzioni. Non è un caso che in questo stesso decreto venga previsto l’obbligo di autorizzazione da parte della Presidenza del Consiglio per poter bandire nuovi concorsi. Le nuove procedure dovrebbero partire all’inizio del 2014.

Contemporaneamente, si vuole far sì che d’ora in poi il ricorso a forme contrattuali a tempo sia limitato a casi veramente eccezionali e temporanei: le assunzioni che non avranno queste caratteristiche saranno automaticamente nulle.

Ma oltre ai dipendenti con contratto a termine, c’è un’altra categoria che attendeva novità da questo decreto: è quella di coloro che hanno già vinto concorsi pubblici o sono comunque risultati idonei ma poi sono rimasti fuori. Il testo prevede la proroga della validità delle graduatorie fino alla fine del 2015.

Un’ulteriore novità inserita nel decreto riguarda la Civit, commissione il cui lavoro sarà concentrato sulla lotta alla corruzione nelle amministrazioni pubbliche. Non è invece entrata nel disegno di legge la norma che avrebbe in qualche modo privatizzato gli incidenti stradali, affidando ad ausiliari il compito di intervenire nei casi non gravi.

«Norma per assumere tutti i vincitori di concorso». «E' prevista anche una norma che obbliga ad assumere tutti i vincitori di concorso. Il precariato non sarà più una scorciatoia rispetto al concorso pubblico- ha detto D'Alia - Saranno previste, inoltre, procedure selettive per scegliere i migliori tra coloro che negli ultimi cinque anni sono stati sotto contratto a termine per tre anni. Per questi è prevista una riserva del 50% dei posti messi a concorso. Assunzione garantita anche per i testimoni di giustizia: è un fatto di giustizia».

«Non possiamo più permetterci 1,2 miliardi di consulenze» - ha detto D'Alia, parlando del via libera a nuovi tagli - Non solo interveniamo riducendo i costi ma obblighiamo le amministrazioni a fornire i dati per un ulteriore intervento selettivo rispetto alle auto di servizio e per il ricorso a prestazioni qualificate esterne. In più si introducono sanzioni per chi viola le norme: chi le viola paga di tasca sua».

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