Visualizzazione post con etichetta riforma pensione. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta riforma pensione. Mostra tutti i post

sabato 13 agosto 2016

Riforma pensioni: i requisiti per la pensione anticipata






Torna, a partire dal 2018, la penalizzazione sull'assegno previdenziale per i lavoratori che escono in anticipo dal mondo del lavoro, ovvero con meno di 62 anni di età. Per i lavoratori che maturino i requisiti per l’accesso alla pensione anticipata entro il 31 dicembre 2017, invece, non sono previste penalizzazioni anche se la prestazione previdenziale ha decorrenza successiva a tale data.

Il meccanismo di cui si discute prevede un anticipo pensionistico, APE, per ritirarsi fino a tre anni prima della pensione di vecchiaia (quindi, a 63 anni e sette mesi): il lavoratore percepisce un trattamento che restituirà poi con la pensione. L’anticipo pensionistico è finanziato dalle banche, che vengono coperte dal rischio (ad esempio, di decesso del pensionato prima della fine della restituzione del prestito, che tendenzialmente avviene in 20 anni), attraverso un’assicurazione (non si prevede intervento pubblico). Si discute in particolare sulla decurtazione della pensione, intorno al 2% per ogni anno di anticipo. Si pensa anche a un meccanismo che consenta di diminuire l’importo del prestito pensionistico riscattando periodi versati alla previdenza complementare. Sono poi previste regole diverse per i disoccupati (anch’essi beneficiari di un trattamento che li accompagni alla pensione, ma a carico dello stato).

La legge 214 2011 (Monti - Fornero) ha aumentato gradualmente  l’età pensionabile agganciandola alla speranza di vita e  prevedendo di arrivare a 70 anni nel 2050 con un minimo di 20 anni di contributi; di conseguenza  ha modificato  il requisito  contributivo per la pensione di vecchiaia  anticipata:

Nel 2016 ,con il sistema di calcolo misto retributivo-contributivo è pari a 42 anni e 10 mesi per gli uomini , e 41 anni e 10 mesi per le donne. Esso  continuerà ad aumentare arrivando nel 2050 a 46 anni e tre mesi per gli uomini e 45 e 3 mesi per le donne.

Per chi applica il sistema contributivo (ossia chi ha iniziato a lavorare dopo il 1.1.1996 ) si può optare per la pensione , con gli stessi requisiti oppure  con   età non inferiore a 63 anni e 7 mesi e un assegno pensionistico  non inferiore a 2,8 volte la pensione minima  (oggi circa 1250 euro).

Per far fronte agli inevitabili maggiori costi  sulla finanza pubblica al Ministero del lavoro è stata messa a punto  una soluzione che coinvolge gli istituti bancari e le assicurazioni   chiamata  prestito pensionistico, anch'essa figlia di una proposta di parlamentari democratici . In origine il  progetto consisteva in un sostegno economico esclusivamente per i lavoratori disoccupati in condizioni  di bisogno e di età prossima alla pensione  che non possono più contare sulle indennità di disoccupazione attualmente in vigore.

Nell'incontro con i sindacati del 14 giugno 2016  il Ministro Poletti ha confermato che è proprio questa la via che il Governo intenderebbe percorrere  per garantire la flessibilità in uscita  limitando al massimo i costi per lo Stato  .  Si tratta dell'  anticipo pensionistico  affiancato dal prestito previdenziale  ventennale;  in pratica il lavoratore  che esce in anticipo percepisce si la pensione  dall'INPS ma  deve  contemporaneamente restituire la rata di mutuo stipulato dall'INPS con gli istituti di credito,   per cui l'assegno sarà comunque decurtato.

Si parla di un incidenza che potrebbe arrivare al 15% per gli assegni più alti, o forse , per i lavoratori che scelgono volontariamente l'uscita dal mondo del lavoro. Questo sistema consente di limitare i costi per le casse dello Stato a 500-600 milioni di euro.

Sono allo studio però i sistemi per limitare al massimo l'incidenza dei costi finanziari , grazie ad agevolazioni e interventi statali, riservati a:

i lavoratori in difficoltà  come i disoccupati di lungo periodo e prossimi alla pensione;

le donne e

i soggetti che svolgono lavoro usurante.

Chi non rientra in queste categorie ma, avendo i requisiti anagrafici e contributivi visti sopra,  sceglie di uscire prima volontariamente, potrebbe essere maggiormente penalizzato dal costo del prestito .

Il Ministero del lavoro ha annunciato per l'ultima settimana di giugno 2016, due ulteriori incontri con i sindacati per individuare appunto  le fasce di lavoratori e i  requisiti per le agevolazioni finanziarie  che rendano accettabile il meccanismo dell'APE ad un pubblico più ampio .

Va ricordato comunque che la misura  allo studio , è sperimentale.




martedì 22 settembre 2015

Pensione anticipata e il part-time (staffetta generazionale)


Se tra i vantaggi di un sistema previdenziale più flessibile (che offra maggiori possibilità ai lavoratori di scegliere la pensione anticipata) c’è quello di garantire il passaggio generazionale agevolando l’occupazione giovanile ed esonerando le imprese dal mantenere lavoratori in esubero, tra gli svantaggi ci sono i maggiori costi per lo Stato: secondo il centro studi di Unimpresa, da qui al 2019 la spesa per le pensioni crescerà dell’11,9%, pari a 39,1 miliardi di euro.

È stato riproposto anche il part time come soluzione di pensione anticipata, collegata al lavoro, che non solo permetterebbe ai lavoratori più anziani di andare in pensione prima, ma darebbe la conseguente possibilità di liberare posti di lavoro per l'assunzione di nuovi giovani. In questo caso l’azienda, a fronte del passaggio al part-time del pensionando, si impegnerebbe ad assumere a tempo indeterminato lavoratori più giovani. Ma in quel caso però lo Stato dovrebbe farsi carico, in tutto o in parte, della riduzione di stipendio non superiore al 30 per cento della retribuzione piena.

I dipendenti che si troveranno vicini, più o meno di due anni all’età per la pensione, potranno richiedere volontariamente il regime del part-time con una diminuzione sia dell’orario di lavoro che dello stipendio e così consentire l’assunzione di un altro giovane. Coloro che sceglieranno questa opzione comunque oltre alla riduzione dello stipendio dovranno compensare i contributi tra part-time e tempo pieno.

Il passaggio chiave è un accordo che, come hanno spiegato i tecnici, che non è un meccanismo generale di flessibilità ma un sistema rivolto a platee particolari di lavoratori. La priorità, ovviamente, sono i dipendenti anziani, per esempio con più di 62 o 63 anni (si tenga conto che dal prossimo gennaio l’età per accedere alla pensione di vecchiaia sale a 66 anni e 7 mesi) che perso il lavoro non riescano a trovarne un altro. A loro potrebbe essere data la possibilità di accedere a un pensionamento anticipato con l’importo della pensione più basso perché ricalcolato alla luce del fatto che verrebbe pagato per più anni. Ci si perderebbe in media il 3-3,5% per ogni anno di anticipo.

Questo modello potrebbe essere esteso consentendo alle aziende di favorire pensionamenti anticipati all’interno di processi di ristrutturazione che potrebbero prevedere anche l’ingresso di giovani (staffetta generazionale), a patto che la stessa azienda si accolli parte del costo di questi prepensionamenti, magari versando, come propone l’ex ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, contributi esentasse per il raggiungimento della pensione. Sul tavolo, dicono ancora i tecnici, c’è anche l’ipotesi del «prestito pensionistico» o «assegno di solidarietà», altra forma per consentire le uscite anticipate a un costo basso per il bilancio pubblico.

C’è da mettere in evidenza che un anno di lavoro part-time vale quanto un anno di lavoro a tempo pieno ai fini del conseguimento del diritto alle prestazioni previdenziali? E’ questa una delle principali domande che si pongono tanti lavoratori part-time nella speranza di agguantare prima la pensione.

Vediamo dunque di chiarire rapidamente quali sono gli effetti ai fini della pensione dei lavori svolti in part-time.

Per conseguire il diritto alla pensione anticipata, lavorando in regime di part-time, il tempo lavorativo fissato non è diverso da quello richiesto per il tempo pieno: infatti, un anno di part-time, viene conteggiato come un anno di lavoro svolto a tempo pieno, a patto, però, che il lavoratore abbia ottenuto una retribuzione pari almeno al minimale previsto annualmente dall’INPS.

Il minimale fissato per l’anno 2014 è di 10.418 euro l’anno, pari a 867 euro al mese e pari a 200,35 euro a settimana. Se il lavoratore part-time, in ogni settimana dell’anno non è sceso sotto tale livello, significherà che si sarà comunque garantito la copertura contributiva delle 52 settimane e che avrà aggiunto alla sua posizione previdenziale un altro anno di contributi utili per conseguire il diritto alla pensione.

Ne segue che, se la retribuzione dovesse risultare inferiore e, proporzionalmente, il relativo versamento previdenziale, il diritto alla pensione non risulterà ancora maturato.

Ad esempio se un lavoratore nel corso del 2014 ha lavorato per 12 mesi a 1050 euro al mese con contratti part-time avrà diritto all’accredito di tutte le 52 settimane ai fini dell’accesso alla pensione anticipata o alla pensione di vecchiaia. Qualora invece abbia conseguito solo 100 euro a settimana per 52 settimane il medesimo lavoratore vedrà riconosciute ai fini del diritto alla pensione solo 6 mesi di anzianità contributiva. E in tal caso, dunque, la pensione si allontanerà.


Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...
BlogItalia - La directory italiana dei blog