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domenica 27 aprile 2014
Evoluzione della clausola star del credere
Tutti i tipi di contratto possono essere promossi da un agente (contratto di compravendita, contratto di locazione, contratto di appalto etc.) fermi restando alcuni elementi essenziali: promozione di contratti, zona, stabilità e continuità dell’attività dell’agente, onerosità.
Il requisito della stabilità obbliga l’agente ad attivarsi in modo continuativo per eseguire il contratto. L’ambito di attività dell’agente è delimitato in senso geografico e in relazione ai soggetti da contattare, individuati nominativamente o per categorie (ad esempio: grande distribuzione).
La clausola dello star del credere è stata eliminata per effetto della L. 21.12.1999, n. 526 che ha aggiunto il c. 3 all’art. 1746 del Codice Civile, che così recita: “È vietato il patto che ponga a carico dell’Agente la responsabilità, anche solo parziale, per l’inadempimento del terzo. È però consentito eccezionalmente alle parti di concordare di volta in volta la con¬cessione di una apposita garanzia da parte dell’Agente, purché ciò avvenga con riferimen¬to a singoli affari, di particolare natura e importo, individualmente determinati; l’obbligo di garanzia assunto dall’Agente non sia di ammontare più elevato della provvigione che per quell’affare l’Agente medesimo avrebbe diritto a percepire; sia previsto per l’Agente un apposito corrispettivo”.
Elementi naturali del contratto, anche in mancanza di espressa previsione: sopportazione delle spese per l’esecuzione del contratto da parte dell’agente, divieto di riscossione, esclusiva.
La sentenza n. 3902, pronunciata dalla Corte di cassazione il 20/4/99, si è occupata del patto dello star per credere (che, talvolta, viene inserito nei contratti di agenzia), introducendo alcuni limiti a tutela dell'agente.
Cosa sia un contratto di agenzia è abbastanza noto: una parte (l'agente) assume stabilmente l'incarico di promuovere, per conto dell'altra (il preponente) e verso una retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata. La retribuzione dell'agente è normalmente commisurata a provvigioni, cioè a percentuali sul fatturato procurato al preponente mediante la stipulazione dei contratti promossi dall'agente. Tuttavia, la legge stabilisce che il diritto dell'agente alla provvigione si configura solo con riguardo agli affari che hanno avuto regolare esecuzione; se l'affare ha avuto esecuzione parziale, la provvigione spetta all'agente in proporzione alla parte eseguita; dunque, nulla spetta all'agente per il caso in cui l'affare da lui promosso non abbia avuto alcuna esecuzione.
Il patto dello star per credere prevede invece che, nel caso di affari non andati a buon fine, l'agente non solo non percepisca alcuna provvigione; ma, in questo caso, l'agente è tenuto a sopportare in parte le perdite conseguentemente subite dal preponente, e ciò a prescindere dal fatto che la mancata esecuzione dell'affare dipenda, oppure no, da dolo o colpa dell'agente. Si vede, dunque, che tramite questo patto il preponente trasferisce, almeno in parte, il rischio d'impresa in capo all'agente.
Al fine di limitare tale trasferimento (che, il ripetersi, prescinde dal dolo o dalla colpa dell'agente), l'art. 6 dell'accordo collettivo 20/6/56 ha disposto che l'agente possa essere obbligato a rispondere delle perdite subite dal preponente per gli affari non andati a buon fine solo fino al 20% del danno subito dal preponente stesso. Il DPR 16/1/61 n. 145 ha conferito al citato accordo collettivo efficacia erga omnes, attribuendo dunque a tale accordo una efficacia simile a quella della legge.
Questo è il quadro normativo di riferimento, che la citata sentenza della Corte di cassazione ha dovuto tener presente per risolvere il caso di un agente che aveva sottoscritto un patto dello star per credere che prevedeva una limitazione superiore a quella consentita dall'accordo collettivo sopra richiamato. La Corte di cassazione ha dichiarato la nullità parziale di tale patto, nella parte in cui era appunto prevista la responsabilità dell'agente in misura superiore al 20%. La suprema Corte ha anche precisato che la parziale nullità del patto deve essere affermata qualunque sia lo strumento negoziale utilizzato dalle parti per stipulare il patto dello star per credere. Inoltre, è stato affermato che a diverse conclusioni non si potrebbe pervenire neppure qualora il patto fosse correlato alla generica violazione degli obblighi imposti all'agente dall'art. 1746 c.c..
Infatti, tale norma prevede genericamente che l'agente è tenuto ad adempiere l'incarico affidatogli in conformità alle istruzioni ricevute, oltre a dover fornire al preponente ogni informazione utile per valutare la convenienza di ciascun affare e, in particolare, le informazioni relative alle condizioni del mercato nella zona assegnatagli. Evidentemente, la Corte ha considerato che tali obblighi sono troppo generici per fondare su di essi la responsabilità dell'agente per gli affari non andati a buon fine. In altre parole, la violazione di questi obblighi non può legittimare il risarcimento dei danni conseguentemente subiti dal preponente in misura superiore a quella consentita dal citato accordo collettivo.
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