sabato 28 settembre 2013

Le statistiche di Gidp, i profili professionali più richiesti



I profili più richiesti dai grandi gruppi, da Techint a Eni Un’impresa su due pronta a nuove assunzioni.

Tra i titoli di studio più graditi resta al top il diploma (48%), in particolare a indirizzo amministrativo-commerciale, meccanico, turistico-alberghiero e informatico. La laurea è richiesta nel 15,4% dei casi, soprattutto in economia, ingegneria o medicina. Per il 10% delle assunzioni è addirittura sufficiente una qualifica professionale.

«L'ennesima conferma che in Italia conseguire livelli più elevati di istruzione non comporta un vantaggio per i giovani. Da un lato l'università, che è la principale responsabile della formazione del capitale umano, non è in grado di formare adeguatamente figure utili alle aziende. Dall'altro, il sistema produttivo italiano, basato su un modello di sviluppo molto tradizionale, non è in grado di assorbire profili altamente qualificati. Questo ha implicazioni pesanti in termini di bassa crescita della produttività e della competitività nel medio-lungo periodo».

Un mercato delle assunzioni a luci ed ombre. E' quanto emerge dall'annuale indagine Gidp, l'associazione che raggruppa i direttori del personale - dedicata a Neolaureati & Stage. Il 45% delle aziende intervistate, in larga parte multinazionali, dichiara di aver assunto neolaureati negli ultimi dodici mesi, dopo l'ormai consueto, ineludibile periodo di stage. Ed oltre il 50% sottolinea che nel prossimo semestre assumerà altri stagisti. Tra i canali più efficaci di recruiting ci sono dunque i portali delle Università, affiancati ovviamente dai career day e dall'attività degli uffici di placement che forniscono alle imprese le liste dei propri laureati. In sede di colloquio giocano invece a favore del candidato soprattutto la motivazione e la conoscenza delle lingue. Oltre all'inglese: il tedesco, il francese e il cinese. Mentre la funzione più richiesta rimane quella del marketing, seguita a ruota dal commerciale e dalla progettazione. «Quest'anno il dato più evidente è il calo delle retribuzioni dei neolaureati un po' in tutti i settori», commenta Paolo Citterio, presidente di Gidp. «Il salario d'ingresso più alto spetta ai chimici farmaceutici, con oscillazioni che vanno dai 26 a 31 mila euro, quello più basso al commercio e servizi. Mentre per quel che riguarda lo stage l'emolumento è pari mediamente a 500 euro netti al mese con punte massime di 800».

I fattori su cui le aziende puntano per avere maggiore potenzialità, sono l'internazionalità (24%), la qualità dell'ambiente di lavoro (17%) ed infine la forza e l'importanza del brand (un altro 15%). Interessante invece, in tempi di globalizzazione, scoprire che il 5% dei neolaureati lascia il proprio posto di lavoro per ricercare nuove opportunità fuori dai confini nazionali. Per il 62% l'idea prevalente è che un'esperienza all'estero arricchisca il curriculum, per il 12% la scelta di andare via è dovuta alla contingente situazione economica ed infine per il 25 % è legata a motivazioni personali.

«L'andare all'estero è un investimento per la carriera ma soprattutto un regalo per la propria vita», sostiene Christina Anagnostopolulou, direttore training, development e recruiting di Techint. «Un'esperienza che rimane per sempre - aggiunge -. Negli ultimi due anni in Italia abbiamo assunto 84 persone tutte attraverso stage. Attualmente cerchiamo ingegneri, meccanici, elettronici, gestionali da inserire nelle aree in crescita, India, Sud Africa, Germania. Figure junior, neolaureati o con poca esperienza, che abbiano passione per le tecnologie». E per esempio anche il colosso Eni, che conta un migliaio di inserimenti l'anno, di cui un 70% di nazionalità italiana, tende a mandare i neoassunti all'estero.

Tuttavia bisogna precisare ch e i più ricercati sono gli economisti gli statistici e gli ingeneri ingegneri ed elettronici.

Lavoro e giovani le strade che portano verso l’estero



Se si possiede una discreta conoscenza della lingua del Paese scelto e un minimo di esperienza lavorativa, la ricerca del lavoro può iniziare anche dall’Italia, rispondendo agli annunci da internet e inviando il proprio CV.

Sui numerosi siti che si occupano di lavoro all’estero si moltiplicano le offerte rivolte a giovani italiani qualificati. Oltre a Eures, il portale europeo della mobilità professionale, fra i siti più seguiti ci sono il sito Lavoro Estero e Vivi all’estero che oltre a raccogliere le offerte di lavoro, forniscono consigli per la ricerca di alloggio o per l’ottenimento di visti, permessi e cittadinanza.

Ricordiamo che l'Unione Europea promuove la mobilità transnazionale in materia di istruzione e formazione attraverso una serie di Programmi rivolti a favorire: maggiori opportunità professionali, l'apprendimento di una lingua straniera, la conoscenze di culture diverse, lo scambio e il confronto di esperienze.

Il sogno di molti giovani laureati, soprattutto in questo periodo di crisi, è di fare un’esperienza di lavoro all’estero dopo o anche durante l’Università. E molti decidono di trasferirsi anche per diversi anni o per tutta la vita in un Paese che offra una reale opportunità di carriera.

Proponiamo di leggere l’articolo Formazione e lavoro: le vie d’uscita dalla crisi con i programmi dell’Unione Europea.

Ma quali sono le strade migliori per cercare di uscire dall’Italia. La scelta avviene generalmente tra le chance offerte dalle Università o dalle scuole specializzate, le proposte sui siti Web o direttamente le soluzioni proposte dalle aziende.

Sono per esempio sei gli stage in Europa, messi in palio da Poli.design, consorzio del Politecnico di Milano, con rimborso spese, destinati a giovani designer, lombardi, con età compresa tra i 23 e i 30 anni inoccupati o disoccupati che dovranno sviluppare progetti innovativi sul tema delle Smart Communities. Un’iniziativa che si inserisce nell’ambito del progetto MOV.IN. (Design MOVing INnovation), finanziato dalla Regione Lombardia, con Fondazione Cariplo, tramite il Fondo Sociale Europeo. L’obiettivo è proprio quello di creare chance di occupazione internazionale per giovani professionisti in aziende, studi, atenei in Belgio, Olanda, Spagna e Germania (http://www.polidesign.net/it/DesignMovIn).

Ogni anno la Fondazione Banca del Monte di Lombardia, nell’ambito del Progetto Professionalità Ivano Becchi, sostiene un massimo di 25 progetti personalizzati di formazione, da svolgere presso imprese, associazioni, istituti universitari o di ricerca, scuole e pubbliche amministrazioni, in Italia o altri Paesi. La durata del percorso può essere al massimo di sei mesi. Le domande vanno presentate entro il 15 novembre. Ma quali sono i requisiti per essere ammessi? La cittadinanza italiana, comunitaria, della zona Schengen, straniera (con permesso di soggiorno CE per lungo periodo), residenza o luogo di lavoro in Italia da almeno un anno, esperienza lavorativa, età compresa tra i 18 e i 36 anni (per informazioni: professionalita@fbml.it, Daniela Ruffino o Elisabetta Bonforte). Richiesta la conoscenza della lingua inglese per il soggiorno all’estero.

EURES (European Employment Services - Servizi europei per l'impiego) è una rete creata per facilitare la libera circolazione dei lavoratori all'interno dello Spazio economico europeo, a cui partecipa anche la Svizzera. La rete è coordinata dalla Commissione europea, Eures che è un portale finanziato dall’Unione Europea che funziona come una vera e propria banca dati per chi cerca una occupazione all’estero. cliccando sulla finestra Cercare un lavoro è possibile avere accesso a offerte di lavoro. Gli annunci si lavoro sono aggiornati in tempo reale e arrivano da ben trentuno Paesi. Oltre all’Unione Europea, infatti, hanno aderito al progetto anche Norvegia, Liechtenstein, Islanda e Svizzera. Inoltre registrandosi gratuitamente su My EURES per i candidati alla ricerca di un lavoro all’estero è possibile creare il proprio CV e renderlo disponibile ai datori di lavoro registrati e ai consulenti EURES, aiutando i datori di lavoro a trovare candidati idonei. E con un account personale il portale permette di pubblicare annunci e Cv, fornire informazioni sul proprio profilo e ricevere risposte via email. Eures, che ha nel suo database anche «job vacancy» per profili più senior,  che possono andare dagli specialisti nell’insegnamento, nelle scienze fisiche, matematiche e tecniche, nelle scienze della vita e della salute fino ai direttori di società, agli imprenditori e ai membri dell’esecutivo e dei corpi legislativi. Un altro sito Web che dà utili consigli per chi vuole «fuggire» è Italiansinfuga.com, realizzato e gestito da Aldo Mencaraglia, direttamente dall’Australia, che racconta inoltre storie di successo e pubblica alcune opportunità di occupazione. Tra i suggerimenti c’è anche quello di visitare il motore di ricerca Jobijoba.it, specializzato proprio in annunci di lavoro e presente in Francia, Spagna, Belgio, Regno Unito, Germania, Svizzera, Messico, Russia e presto in Turchia.





mercoledì 25 settembre 2013

Quote rosa: il rispetto delle norme in azienda è ancora distante



Sono solo tre i mesi che restano ai consigli d’amministrazione per adeguarsi alle quote rosa. In caso di inadempienza sono previste multe (dai centomila al milione di euro per i CdA e dai ventimila ai 200 mila euro per i collegi sindacali), qualora i richiami non dovessero bastare.

Dopo la legge n.120 del 12 luglio 2011 le poltrone occupate da donne sono salite, secondo i dati Consob, del 17,2 %, “un record” per Alessia Mosca,  l’entrata in vigore, nell’agosto 2012, della legge n.120 del 12 luglio 2011. Per adeguarsi alle quote rosa nei Consigli di Amministrazione restano solo tre mesi. In caso contrario, le aziende riceveranno multe dai centomila al milione di euro per i CdA e dai ventimila ai 200 mila euro per i collegi sindacali. Non bastassero i richiami, la pena prevista è l’annullamento degli organismi di controllo.

La legge in effetti parla chiaro. Entro la fine del 2013, tutti i CdA e le spa quotate dovranno avere almeno un quinto di rappresentanti donna ed entro il 2015 almeno un terzo.

Secondo la Consob, “solo” il 18 per cento dei CdA è composto esclusivamente da uomini, ma la percentuale di società in cui almeno una donna è presente è maggiore tra le società a più elevata capitalizzazione, ovvero tra quelle incluse negli indici Ftse Mib e Mid Cap, dove le donne sono presenti rispettivamente nel 73 e nel 74,4 per cento delle società quotate.

In tutto si tratta di oltre mille consigliere alle quali si sommeranno, a breve, le circa novemila donne impegnate nelle società partecipate dallo Stato e dagli enti pubblici. I loro organi – grazie al regolamento di attuazione dell’articolo 3 della legge – in caso di sordità a diffida formale che riguardi il rispetto della legge, decadranno immediatamente. 

“Lo consideriamo un grande successo – continua Mosca – anche perché l’osservatorio istituito presso la presidenza del Consiglio dei Ministri sta monitorando tutte le circa seimila società a partecipazione pubblica del Paese, non solo quelle che di solito catturano l’attenzione dei giornali”. 


Nonostante le donne rappresentino ancora una quota irrisoria nei board d’amministrazione di tutto il mondo, non mancano gli studi che dimostrano come la presenza femminile nei posti di comando delle aziende migliori le loro prestazioni effettive. Uno di questi è la ricerca, dal nome “Gender Interactions within the Family Firm” condotta dal team di economisti Alessandro Minichilli e Mario Daniele Amore dell’università Bocconi e Orsola Garofalo della Universitat Autonoma de Barcelona, che si basa sui risultati delle analisi effettuate, dal 2000 al 2010, su 2400 imprese italiane a controllo familiare, con un fatturato al di sopra dei 50 milioni di euro. Qui si è visto che le aziende il cui cda conta almeno due donne, hanno avuto un aumento medio del profitto del 18 per cento. Un risultato sorprendente, che si ha però solo in quelle aziende in cui c’è più di una donna al timone, forse per la possibilità che hanno i componenti femminili di fare squadra, legittimandosi a vicenda. Al contrario, se la manager si ritrova da sola in un board di uomini, i risultati sono meno incoraggianti. Il fenomeno si rivela comunque più marcato nel nord Italia, in aziende più piccole e in cui le donne al comando non appartengono alla famiglia proprietaria. Secondo un’altra analisi, realizzata dal 2008 al 2009 da Cerved su un campione di duemila imprese con un fatturato di 100 milioni all’anno, le aziende con il 30 per cento di donne nel cda, hanno anche meno possibilità (il 6 per cento contro il 7,1 per cento delle imprese con un management totalmente maschile) di incorrere in default. Se l’amministratore delegato è donna poi il rischio default addirittura si dimezza: si passa da un 6,7 per cento di rischio con un a.d. maschile a un 3,8 nel caso di un amministratore donna. 


Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...
BlogItalia - La directory italiana dei blog