domenica 3 settembre 2017

Indennità di malattia, calcolo e importi




Com’è disciplinata la malattia e le differenti tutele in caso di contratto a tempo determinato e indeterminato.

Il lavoratore che intende usufruire dell’astensione dal lavoro per malattia deve avvisare tempestivamente il proprio datore e il medico di famiglia e deve sottoporsi, preferibilmente sin dal primo giorno di malattia, ad un accertamento sanitario da parte del proprio medico curante, che produce un’apposita certificazione. La disciplina cambia caso a seconda che l’assenza per malattia sia di durata pari o inferiore a 10 giorni, oppure sia superiore a 10 giorni:

– per le assenze da malattia pari o inferiori a 10 giorni, nonché per le assenze fino al secondo evento nel corso dell’anno solare, il lavoratore può rivolgersi anche al medico curante non appartenente al SSN (o con esso convenzionato);

– se invece l’assenza supera i 10 giorni o nei casi di eventi di malattia successivi al secondo nel corso dell’anno, la certificazione deve essere rilasciata esclusivamente dal medico del SSN (o con esso convenzionato).


Sia i lavoratori a termine che i lavoratori a tempo indeterminato, hanno diritto all’indennità di malattia a carico dell’Inps, ma con alcune differenze.

Malattia e tempo determinato
Il contratto a tempo determinato, infatti, prevede alcune tutele per il lavoratore tra le quali l’indennità di malattia a carico dell’INPS, che però segue regole diverse rispetto al contratto a tempo indeterminato.

In particolare, l’indennità di malattia è proporzionata ai periodi lavorati e non è più dovuta, né dall’INPS né dal datore di lavoro, una volta scaduto il termine del contratto, che non può essere spostato alla fine della malattia, a meno di diverso accordo delle parti. In più l’indennità di malattia può essere corrisposta ai lavoratori a termine:

per un periodo non superiore alla durata dell’attività lavorativa prestata nei 12 mesi precedenti alla malattia, comunque fino ad un massimo di 180 giorni nell’anno solare;

per un periodo non inferiore a 30 giorni, se il lavoratore, nei 12 mesi precedenti alla malattia, ha lavorato per meno di un mese;

Il periodo di comporto, durante il quale il dipendente ha diritto alla conservazione del posto di lavoro, nel contratto a tempo determinato non può andare oltre la durata del contratto, né superare il comporto previsto dal contratto collettivo applicato per i dipendenti a tempo indeterminato.

Il termine periodo di comporto sta ad indicare la somma di tutte le assenze per malattia avvenute in un determinato arco temporale. La normativa prevede che durante tale periodo di comporto (malattia) viene conservato il posto di lavoro. Allorquando si supera il periodo di comporto, si può procedere al licenziamento del dipendente.


In caso di lavoratori a termine impiegati nel settore dell’agricoltura, l’indennità di malattia spetta per tutti i giorni di durata della malattia, purché il lavoratore possa far valere almeno 51 giornate di lavoro in agricoltura nell’anno precedente (anche se a tempo indeterminato), o nell’anno in corso e prima dell’inizio della malattia. In ogni caso il periodo indennizzabile non può essere superiore al numero di giorni di iscrizione negli elenchi dei lavoratori agricoli e non può superare i 180 giorni nell’anno solare.

Calcolo indennità
L’ammontare dell’indennità si calcola con le stesse modalità per entrambe le tipologie di lavoratori, secondo quanto stabilito dal contratto collettivo applicato: si moltiplica la retribuzione media giornaliera (calcolata in modo differente per operai e impiegati) per la percentuale pagata dall’INPS e per il numero di giornate.

I contratti collettivi quasi sempre prevedono un’integrazione a carico del datore in modo da raggiungere il 100% della retribuzione del lavoratore. L’indennità relativa ai primi tre giorni di malattia è normalmente a carico del datore di lavoro.

Durante il periodo di malattia il lavoratore avrà diritto alle normali scadenze dei periodi di paga:

ad una indennità pari al cinquanta per cento della retribuzione giornaliera per i giorni di malattia dal quarto al ventesimo e pari a due terzi della retribuzione stessa per i giorni di malattia dal ventunesimo in poi, posta a carico dell’INPS, secondo le modalità stabilite, e anticipata dal datore di lavoro.

L’importo anticipato dal datore di lavoro è posto a conguaglio con i contributi dovuti all’INPS;

ad una integrazione dell’indennità a carico dell’INPS da corrispondersi dal datore di lavoro, a suo carico, in modo da raggiungere complessivamente le seguenti misure:

100% (cento per cento) per primi tre giorni (periodo di carenza)

75% (settantacinque per cento) per i giorni dal 4° al 20

100% (cento per cento) per i giorni dal 21° in poi della retribuzione giornaliera netta cui il lavoratore avrebbe avuto diritto in caso di normale svolgimento del rapporto.





lunedì 21 agosto 2017

Reinserimento lavorativo assunzioni disabili con sostegno INAIL



Con la circolare n. 30/2017 l’INAIL ha reso note le novità del Regolamento per il reinserimento e l’integrazione lavorativa delle persone con disabilità da lavoro, introducendo in via sperimentale il sostegno INAIL anche per i casi di nuova occupazione, finora destinato a sostenere le imprese solo negli interventi di conservazione del posto di lavoro delle persone con disabilità da lavoro.

Le disposizioni previste dal Regolamento si applicano, anche in favore di assistiti INAIL con disabilità da lavoro causata da un infortunio o da una malattia professionale nei casi di inserimento in nuova occupazione, per lo svolgimento di un’attività non necessariamente soggetta a obbligo assicurativo con l’Istituto.

In particolare, la circolare precisa che:

qualsiasi datore di lavoro che intenda assumere una persona con disabilità da lavoro tutelata dall’INAIL, potrà fruire del sostegno dell’Istituto per la realizzazione degli accomodamenti ragionevoli, funzionali allo svolgimento della mansione oggetto del contratto di lavoro che lo stesso deve porre in essere a garanzia del principio della parità di trattamento delle persone con disabilità e della piena uguaglianza con gli altri lavoratori, ai sensi dell’art.3 comma 3-bis del D.Lgs. 216/2003;

il datore di lavoro dovrà predisporre un dettagliato progetto di inserimento, indicando la mansione specifica alla quale dovrebbe essere destinato il disabile, la tipologia di contratto che intende attivare, la sua durata, la sede di lavoro e la relativa unità produttiva;

presupposto indispensabile per l’elaborazione del progetto è che il disabile sia stato sottoposto a visita medica preventiva in fase preassuntiva da parte del medico competente;

relativamente alle tipologie di contratto, mentre non si ravvisano problemi di applicabilità per i contratti di lavoro a tempo indeterminato, per quanto invece concerne quelli a tempo determinato o flessibili, sarà necessario effettuare, caso per caso, una valutazione costi/benefici che tenga conto delle diverse tipologie di interventi da realizzare in funzione del l’inserimento in nuova occupazione , in relazione alla durata del rapporto di lavoro;

le strutture territoriali INAIL potranno rimborsare al datore di lavoro i costi sostenuti per gli accomodamenti riferiti agli interventi necessari per lo svolgimento della mansione specifica per cui lo stesso datore di lavoro ha assunto la persona con disabilità da lavoro. Ai fini del rimborso è necessario che tali costi siano stati sostenuti successivamente al provvedimento dell’INAIL di autorizzazione a realizzare gli interventi.

Il sostegno all’impresa aderente consiste in un rimborso da parte dell’INAIL, entro i limiti degli importi stanziati ogni anno e fino a un massimo di 150mila euro per ciascun progetto personalizzato, per la realizzazione degli accomodamenti ragionevoli previsti a garanzia dei principi di parità di trattamento delle persone con disabilità e di piena uguaglianza con gli altri lavoratori, ai sensi dell’articolo 3 comma 3-bis del decreto legislativo n. 216 del 9 luglio 2003 e delle successive modifiche e integrazioni.

L’entità del rimborso dipende dal progetto realizzato:

fino a 95mila euro per il superamento e l’abbattimento delle barriere architettoniche, con interventi edilizi, impiantistici e domotici;

fino a 40mila euro per l’adeguamento e l’adattamento delle postazioni di lavoro, con arredi, ausili e dispositivi tecnologici, informatici e di automazione;

fino a 15mila euro per la formazione.

È prevista la possibilità di richiedere un’anticipazione fino al 75%. Il sostegno dell’INAIL si applica ai contratti di lavoro subordinato o parasubordinato, anche flessibili o a tempo determinato. È escluso invece il lavoro di tipo autonomo, previsto solo per gli interventi di conservazione del posto di lavoro.

L’obiettivo è proseguire nell’attuazione delle disposizioni della legge di Stabilità 2015, che ha attribuito all’Istituto nuove funzioni in questo ambito, in attesa della piena attuazione delle disposizioni in materia di politiche attive e servizi per il lavoro, rimodulate dai decreti legislativi n. 150 e n. 151 del 14 settembre 2015.

Entro i limiti degli importi stanziati ogni anno, l’INAIL rimborsa ai datori di lavoro fino a un massimo di 150mila euro per ciascun progetto personalizzato per la realizzazione degli accomodamenti ragionevoli previsti a garanzia dei principi di parità di trattamento delle persone con disabilità e di piena uguaglianza con gli altri lavoratori, ai sensi dell’articolo 3 comma 3-bis del decreto legislativo n. 216 del 9 luglio 2003 e delle successive modifiche e integrazioni.

Nel dettaglio, il rimborso può arrivare fino a 95mila euro per il superamento e l’abbattimento delle barriere architettoniche, con interventi edilizi, impiantistici e domotici, fino a 40mila euro per l’adeguamento e l’adattamento delle postazioni di lavoro, con arredi, ausili e dispositivi tecnologici, informatici e di automazione, e fino a 15mila euro per la formazione. È prevista la possibilità di richiedere una anticipazione fino al 75%.

Nei casi in cui un datore di lavoro intenda assumere una persona con disabilità da lavoro tutelata dall’Istituto, la circolare specifica che il sostegno dell’ INAIL si applica ai contratti di lavoro subordinato o parasubordinato, anche flessibili o a tempo determinato. È escluso, pertanto, il lavoro di tipo autonomo previsto, invece, per gli interventi di conservazione del posto di lavoro.

La circolare illustra, inoltre, le modalità di predisposizione del progetto di reinserimento lavorativo personalizzato da parte delle equipe multidisciplinari territoriali dell’Istituto, con il coinvolgimento del lavoratore e la partecipazione attiva del datore di lavoro.


venerdì 18 agosto 2017

Nessun esonero dall'orario notturno per la hostess affidataria di minori



Con sentenza n. 7185/2013, depositata il 12 novembre 2013, la Corte di appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale di Civitavecchia, che aveva respinto la domanda di una dipendente con mansioni di assistente di volo, diretta ad ottenere - in virtù delle disposizioni di cui all'art. 53, comma 2, lett. b) del d.lgs. n. 151/2001 - l'inserimento in turni tali da consentirle l'attività lavorativa tra le ore 6.00 e le ore 24.00 quanto meno nei quindici giorni mensili di affidamento dei figli minori.

La Corte osservava, a sostegno della propria decisione, come il decreto legislativo n. 66 del 2003, in materia di orario di lavoro l'esenzione dall'obbligo di prestare lavoro notturno per la lavoratrice o il lavoratore che sia unico affidatario di un figlio convivente di età inferiore a dodici anni, non trovi applicazione al personale di volo nell'aviazione civile e come, d'altra parte, tale causa di esonero dal lavoro notturno non sia prevista dal d.lgs. n. 185 del 2005, contenente, in attuazione della Direttiva 2000/79/CE, la speciale disciplina dell'organizzazione dell'orario di lavoro per detto personale: ciò che, ad avviso della Corte, indicava la chiara volontà del legislatore (anche comunitario) di escludere il personale di volo dall'applicazione della normativa generale sull'orario di lavoro, stante la necessità di realizzare un contemperamento dell'interesse dei lavoratori con il peculiare carattere del lavoro del personale di volo.

Quindi non è esonerata dal lavoro notturno la hostess affidataria di minori. L'attività di assistente di volo è infatti strutturalmente articolata su avvicendamenti che comportano anche il pernottamento fuori sede, dai quali l'operatore può essere esentato soltanto per motivi di salute. E’ quanto ha chiarito la Cassazione, con la sentenza 18285, depositata ieri, 25 luglio. Nessuna chance, dunque, per una hostess di Civitavecchia affidataria di due minori che - in virtù di tale condizione - aveva preteso dalla compagnia di bandiera di cui è dipendente, di vedersi riconosciuto uno status speciale: quello di poter lavorare tra le 6 e le 24, quantomeno nei 15 giorni mensili di affidamento dei bambini.

Il ricorso si sofferma in particolare sulla direttiva 2000/79/Ce (che in Italia è stato recepito attraverso il Dlgs 185/2005) e che regolamenta l'orario di lavoro del personale di volo. Da una a parte la ricorrente, la quale fa leva sull'articolo 7, che contiene un particolare esonero per le fasce orarie più critiche, dall'altro la Corte di cassazione, che di questo articolo fornisce una lettura circoscritta, limitandone il campo di applicazione ai soli casi in cui sia dimostrato che il lavoratore abbia dei problemi di salute correlati al lavoro notturno.

«L'esonero contenuto all'articolo 7 - si legge nella sentenza - non contempla in alcun modo le causali rivendicate dalla lavoratrice».

In sostanza, la ricorrente ha lamentato che la Corte di appello abbia erroneamente ritenuto abrogate (dall'art. 19, comma 2, d.lgs. n. 66/2003), per il personale di volo dell'aviazione civile, anche le disposizioni di cui all'art. 53 d.lgs. n. 151/2001, in tema di limitazioni al lavoro notturno dettate a tutela della maternità e paternità, in luogo di quelle soltanto aventi specificamente ad oggetto la disciplina dell'organizzazione dell'orario di lavoro; nella parte in cui esclude dal campo di applicazione della nuova disciplina il personale di volo dell'aviazione civile; osserva che la Direttiva 2000/79/CE, relativa all'attuazione dell'accordo europeo sull'organizzazione dell'orario di lavoro del suddetto personale, contiene una clausola di non regresso, così che la disciplina introdotta con il d.lgs. n. 185/2005, che tale Direttiva aveva attuato, non avrebbe potuto comportare una riduzione del livello generale di protezione dei lavoratori negli ambiti dalla stessa trattati; deduce infine come il CCNL di settore rinviasse.

La sentenza impugnata rileva che "la materia della organizzazione dell'orario di lavoro del personale di volo dell'aviazione civile ... ha trovato una specifica disciplina legislativa in virtù dell'emanazione del D.L.vo n. 185 del 2005", concernente l'attuazione della Direttiva 2000/79/CE relativa all'Accordo europeo sull'organizzazione dell'orario di lavoro del personale di volo dell'aviazione civile; rileva poi che tale decreto legislativo "contiene", all'art. 7, "una peculiare disciplina dell'esonero dal lavoro notturno, che non contempla in alcun modo le causali rivendicate" dalla lavoratrice, "bensì solo l'esonero nei casi in cui il personale di volo abbia problemi di salute aventi nesso riconosciuto con il fatto che presta anche lavoro notturno, secondo quanto analogamente previsto dall'art. 15 del D.L.vo n. 66/03"; osserva infine "come il mancato richiamo da parte del D.L.vo 185/05 alle altre disposizioni in tema di limitazioni di lavoro notturno, contenute invece nell'art. 11 del D.L.vo 66/03, evidenzia la chiara volontà del legislatore (anche comunitario) di escludere il personale di volo dall'applicazione della direttiva generale sull'orario di lavoro", per esso risultando "emanata una apposita direttiva, la quale reca una disciplina di carattere speciale, al fine di contemperare l'interesse dei lavoratori con il peculiare carattere del lavoro del personale di volo".

Da tale rilievi, che esattamente identificano in quella del d.lgs. n. 185/2005 la disciplina esclusiva dell'organizzazione dell'orario di lavoro del personale di volo dell'aviazione civile, discende, in primo luogo, il difetto di rilevanza della questione di legittimità costituzionale, così come posta dalla ricorrente e cioè con riferimento agli artt. 2 e 19 d.lgs. n. 66/2003, la costituzionalità di tali norme di legge non venendo a incidere sulla decisione che il giudice deve assumere.

D'altra parte, è del tutto condivisibile l'ulteriore rilievo della Corte di merito, là dove, individuando come baricentro della normativa speciale (comunitaria e nazionale) il fine di un contemperamento dell'interesse dei lavoratori con il peculiare carattere del lavoro svolto dal personale di volo, sottolinea come tale specifico lavoro sia "strutturalmente articolato su avvicendamenti che comportano anche il pernottamento fuori sede".

Tale circostanza, che costituisce un tratto caratteristico e necessario del lavoro del personale di volo, è da ritenersi già di per sé sufficiente a giustificarne la particolare disciplina, che si è realizzata sia nella direzione della positiva adozione di misure di tutela della salute (in tal senso, e in particolare, la previsione contenuta nell'art. 7, comma 2, d.lgs. n. 185/2005, per la quale Il personale di volo "che abbia problemi di salute aventi nesso riconosciuto con il fatto che presta anche lavoro notturno" ha diritto, previa valutazione da parte degli organismi medici competenti, ad essere "assegnato ad un lavoro diurno in volo o a terra per cui è idoneo"); sia nella direzione di una mancata riproduzione, nell'ambito complessivo delle misure di protezione, delle norme già presenti nel d.lgs. n. 66/2003, in materia di tutela della maternità e della paternità.

Né potrebbe ipotizzarsi, da un lato, un vuoto di tutela normativa da parte del legislatore nazionale chiamato ad attuare la Direttiva 2000/79/CE, la quale individua come propri obiettivi "la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori", perfettamente in linea, del resto, con l'Accordo sottoscritto dalle parti sociali a livello comunitario, di cui la Direttiva in esame dà attuazione, accordo che all'art. 4 prevede le stesse misure di protezione poi trasfuse nell'art. 7 d.lgs. n. 185/2005; dall'altro, ipotizzarsi una violazione della clausola di non regresso), posto che già il d.lgs. n. 66 del 2003 aveva escluso dal proprio campo di applicazione, insieme ad altre categorie di lavoratori, il "personale di volo nell'aviazione civile di cui alla direttiva 2000/79/CE".

Quanto, poi, alla dedotta violazione o falsa applicazione dell'art. 21 CCNL per il personale dipendente si osserva come la ricorrente si limiti a riprodurre parte del testo della norma di fonte collettiva, e cioè la parte di esso in cui viene precisato che le parti rinviano alle disposizioni di cui al d.lgs. n. 151/2001 e successive modifiche ed integrazioni, senza peraltro fare oggetto di specifica censura il rilievo del giudice di merito, che ha chiaramente affermato "il carattere dinamico" del rinvio, tale da comprendere fatti e vicende, posteriori al suddetto decreto, di natura e con effetto abrogativo.



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