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venerdì 23 novembre 2018

Premi produttività: detassazione nuove regole ed importi



La detassazione dei premi di produttività, introdotta con la Legge di Stabilità 2016, L. n. 208/2015, ha introdotto un sistema di tassazione agevolata, con l’applicazione di un’imposta sostitutiva dell’IRPEF e delle addizionali regionali e comunali del 10% per l’erogazione di premi di produttività.

Tale agevolazione trova applicazione nei confronti dei lavoratori dipendenti appartenenti al settore privato, con la conseguente esclusione per:

dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001;

lavoratori assimilati ai lavoratori dipendenti, quali i titolari di reddito assimilato al lavoro dipendente (es. i collaboratori coordinati e continuativi) e i titolari di reddito di lavoro dipendente svolto all’estero.

È invece consentito il ricorso ai premi di produttività per i dipendenti del settore privato di enti che non svolgono attività commerciale.

La detassazione dei premi di risultato opera sono nel caso in cui i parametri fissati dall’accordo collettivo aziendale risultino incrementali rispetto al precedente periodo di misurazione. A chiarirlo è l’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 78 del 2018, la cui interpretazione, del tutto coerente con il dato normativo, rischia, però, di produrre effetti distorsivi in tutti quei casi in cui i valori oggetto di confronto siano alterati da circostanze eccezionali. Probabilmente la strada più facilmente percorribile è rappresentata dalla corretta individuazione all’interno degli accordi aziendali di indicatori che possano al meglio esprimere la realtà produttiva aziendale eventualmente procedendo con la strutturazione di correttivi che possano contribuire ad eliminare/attenuare le anzidette criticità.

Ma non tutti i dipendenti possono godere dei premi di produttività, infatti essi possono essere ammessi solamente nei confronti dei lavoratori che nel corso dell’anno raggiungano un limite massimo di reddito derivante da lavoro dipendente non superiore a 80mila euro: tale limite – che si applica a partire dal periodo d’imposta 2017 – viene calcolato computando i redditi da lavoro dipendente che siano assoggettati a tassazione ordinaria, compresa la quota di premio di risultato che è assoggettata a tassazione sostitutiva nell’anno precedente.

Così, non rientrano nel computo di tale somma i redditi assoggettati a tassazione separata, i redditi diversi da quelli di lavoro dipendente, i premi di risultato agevolabili convertiti in benefit non imponibili. Si ricorda che i redditi di lavoro dipendente sono soggetti a tassazione in base al criterio di cassa, ossia assoggettati secondo le regole fiscali vigenti nel periodo di imposta di percezione da parte del dipendente delle somme: ciò è stato ulteriormente ribadito anche dalla Circolare n. 5/E/2018 dell’Agenzia delle Entrate.

Le istruzioni INPS per la detassazione dei premi produttività per datori e lavoratori che prende il via da novembre 2018: requisiti, recupero degli arretrati, effetto sulla pensione e cumulabilità.
Al via da novembre la decontribuzione premi di produttività, che consente ai datori di lavoro del settore privato – imprese e professionisti – di ridurre del -20% i contributi dovuti sui premi fino a un massimo di 800 euro l’anno. Per i lavoratori dipendenti lo sconto della quota contributiva dovuta è del 100%, l’importo finirà dunque totalmente in busta paga. Con la circolare n. 104/2018 l’INPS fornisce importanti precisazioni in merito alla fruizione dello sgravio contributivo previsto dal DL n. 50/2017 e sui suoi effetti sulla pensione.

Requisiti e fruizione
La fruizione del beneficio è automatica, dunque non è necessario presentare domanda all’INPS, a partire dal flusso UniEmens di competenza di novembre 2018, a patto di rispettare le condizioni generali per accedere alle agevolazioni contributive secondo l’art. 1, comma 1175, della legge n. 296/2006, quali DURC regolare e rispetto dei contratti collettivi.
I lavoratori devono avere un reddito di lavoro dipendente che non supera gli 80 mila euro e lo sconto contributivo su calcola su un importo di premio annuo massimo di 3.000 euro, elevato a 4 mila in caso l’azienda coinvolga i lavoratori nell’organizzazione del lavoro.

Lo sgravio si applica inoltre solo sui premi di risultato erogati in esecuzione di contratti, aziendali o territoriali, stipulati dopo l’entrata in vigore del dl n. 50/2017 (24 aprile 2017), o ai vecchi accordi che dal 24 aprile 2017 siano stati modificati e/o integrati.

Il tetto degli 800 euro l’anno deve essere considerato nel complesso, anche se il lavoratore ha più di un datore di lavoro. In questo caso il lavoratore deve comunicare, a quello attuale, la quota di premio ricevuta dagli altri datori di lavoro. Lo sgravio spetta anche se il lavoratore decide di rinunciare al regime di detassazione per lo stesso premio di produttività (sconto fiscale).

Recupero arretrati
I datori di lavoro e i lavoratori che ne abbiano diritto, possono recuperare gli arretrati spettanti per i premi produttività erogati da maggio 2017 a ottobre 2018 mediante la procedura delle regolarizzazioni (UniEmens/vig).

Effetto sulle pensioni
L’Istituto precisa inoltre che lo sgravio influisce negativamente sulle pensioni dei lavoratori, perché i contributi non versati non valgono ai fini pensionistici non avendo altra copertura.

Cumulabilità
L’INPS ha precisato infine che lo sgravio contributivo è cumulabile con altri eventuali benefici, non avendo alcuna funzione d’incentivo all’assunzione.


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domenica 3 settembre 2017

Indennità di malattia, calcolo e importi




Com’è disciplinata la malattia e le differenti tutele in caso di contratto a tempo determinato e indeterminato.

Il lavoratore che intende usufruire dell’astensione dal lavoro per malattia deve avvisare tempestivamente il proprio datore e il medico di famiglia e deve sottoporsi, preferibilmente sin dal primo giorno di malattia, ad un accertamento sanitario da parte del proprio medico curante, che produce un’apposita certificazione. La disciplina cambia caso a seconda che l’assenza per malattia sia di durata pari o inferiore a 10 giorni, oppure sia superiore a 10 giorni:

– per le assenze da malattia pari o inferiori a 10 giorni, nonché per le assenze fino al secondo evento nel corso dell’anno solare, il lavoratore può rivolgersi anche al medico curante non appartenente al SSN (o con esso convenzionato);

– se invece l’assenza supera i 10 giorni o nei casi di eventi di malattia successivi al secondo nel corso dell’anno, la certificazione deve essere rilasciata esclusivamente dal medico del SSN (o con esso convenzionato).


Sia i lavoratori a termine che i lavoratori a tempo indeterminato, hanno diritto all’indennità di malattia a carico dell’Inps, ma con alcune differenze.

Malattia e tempo determinato
Il contratto a tempo determinato, infatti, prevede alcune tutele per il lavoratore tra le quali l’indennità di malattia a carico dell’INPS, che però segue regole diverse rispetto al contratto a tempo indeterminato.

In particolare, l’indennità di malattia è proporzionata ai periodi lavorati e non è più dovuta, né dall’INPS né dal datore di lavoro, una volta scaduto il termine del contratto, che non può essere spostato alla fine della malattia, a meno di diverso accordo delle parti. In più l’indennità di malattia può essere corrisposta ai lavoratori a termine:

per un periodo non superiore alla durata dell’attività lavorativa prestata nei 12 mesi precedenti alla malattia, comunque fino ad un massimo di 180 giorni nell’anno solare;

per un periodo non inferiore a 30 giorni, se il lavoratore, nei 12 mesi precedenti alla malattia, ha lavorato per meno di un mese;

Il periodo di comporto, durante il quale il dipendente ha diritto alla conservazione del posto di lavoro, nel contratto a tempo determinato non può andare oltre la durata del contratto, né superare il comporto previsto dal contratto collettivo applicato per i dipendenti a tempo indeterminato.

Il termine periodo di comporto sta ad indicare la somma di tutte le assenze per malattia avvenute in un determinato arco temporale. La normativa prevede che durante tale periodo di comporto (malattia) viene conservato il posto di lavoro. Allorquando si supera il periodo di comporto, si può procedere al licenziamento del dipendente.


In caso di lavoratori a termine impiegati nel settore dell’agricoltura, l’indennità di malattia spetta per tutti i giorni di durata della malattia, purché il lavoratore possa far valere almeno 51 giornate di lavoro in agricoltura nell’anno precedente (anche se a tempo indeterminato), o nell’anno in corso e prima dell’inizio della malattia. In ogni caso il periodo indennizzabile non può essere superiore al numero di giorni di iscrizione negli elenchi dei lavoratori agricoli e non può superare i 180 giorni nell’anno solare.

Calcolo indennità
L’ammontare dell’indennità si calcola con le stesse modalità per entrambe le tipologie di lavoratori, secondo quanto stabilito dal contratto collettivo applicato: si moltiplica la retribuzione media giornaliera (calcolata in modo differente per operai e impiegati) per la percentuale pagata dall’INPS e per il numero di giornate.

I contratti collettivi quasi sempre prevedono un’integrazione a carico del datore in modo da raggiungere il 100% della retribuzione del lavoratore. L’indennità relativa ai primi tre giorni di malattia è normalmente a carico del datore di lavoro.

Durante il periodo di malattia il lavoratore avrà diritto alle normali scadenze dei periodi di paga:

ad una indennità pari al cinquanta per cento della retribuzione giornaliera per i giorni di malattia dal quarto al ventesimo e pari a due terzi della retribuzione stessa per i giorni di malattia dal ventunesimo in poi, posta a carico dell’INPS, secondo le modalità stabilite, e anticipata dal datore di lavoro.

L’importo anticipato dal datore di lavoro è posto a conguaglio con i contributi dovuti all’INPS;

ad una integrazione dell’indennità a carico dell’INPS da corrispondersi dal datore di lavoro, a suo carico, in modo da raggiungere complessivamente le seguenti misure:

100% (cento per cento) per primi tre giorni (periodo di carenza)

75% (settantacinque per cento) per i giorni dal 4° al 20

100% (cento per cento) per i giorni dal 21° in poi della retribuzione giornaliera netta cui il lavoratore avrebbe avuto diritto in caso di normale svolgimento del rapporto.





domenica 5 marzo 2017

NASPI: una guida per il 2017



Requisiti, calcolo indennità, durata assegno, istruzioni di domanda: ecco una panoramica delle novità 2017 per l’accesso alla NASPI, l’assicurazione sociale per l’impiego introdotta dalla Riforma degli Ammortizzatori Sociali (Jobs Act) corrisposta a coloro che perdono il lavoro. E' un assegno che spetta ai lavoratori in disoccupazione involontaria, quindi chiunque ha perso il lavoro a partire dal 1° 2015, ha diritto ad un assegno di disoccupazione se ha lavorato almeno 3 mesi.

Requisiti NASPI

Ecco cosa serve per poter chiedere la NASPI:

disoccupazione involontaria: da licenziamento o dimissioni per giusta causa (es.: per mancato pagamento retribuzione, molestie sessuali sul lavoro, demansionamento ingiustificato, mobbing, variazione condizioni a seguito cessione azienda, ingiustificato spostamento sede, comportamento ingiurioso del superiore). E’ riconosciuto il diritto anche: in caso di dimissioni durante il periodo tutelato di maternità ex articolo 55 Dlgs 151/2001 ;

13 settimane di contributi nei 4 anni precedenti: valide tutte le settimane con retribuzione non inferiore ai minimali (anche non versata). Non vale per addetti ai servizi domestici e familiari, operai agricoli, apprendisti (continuano a valere le precedenti regole). Utili al diritto: contributi lavoro subordinato, contributi figurativi per maternità obbligatoria se all'inizio dell’astensione risulta già versata o dovuta contribuzione, periodi di congedo parentale purché indennizzati e in costanza di rapporto di lavoro, periodi di lavoro in paesi comunitari o convenzionati ove sia prevista la possibilità di totalizzazione, periodi di astensione per malattia figli fino agli otto anni di età nel limite di cinque giorni lavorativi nell’anno solare. I periodi nel settore agricolo sono cumulabili se nel quadriennio risulta prevalente la retribuzione non agricola.

Esclusi: malattia e infortunio sul lavoro senza integrazione della retribuzione, cassa integrazione straordinaria e ordinaria con sospensione dell’attività a zero ore, assenze per permessi e congedi fruiti dal lavoratore che sia coniuge convivente, genitore, figlio convivente, fratello o sorella convivente di soggetto con handicap in situazione di gravità;

30 giornate di lavoro effettivo nei 12 mesi precedenti: giornate di effettiva presenza a prescindere dalla durata oraria. I seguenti eventi determinano un allungamento dei 12 mesi (pari alla durata dell’evento stesso): malattia e infortunio sul lavoro senza integrazione della retribuzione, CIG straordinaria e ordinaria con sospensione dell’attività a zero ore, assenze per permessi e congedi fruiti dal lavoratore che sia coniuge convivente, genitore, figlio convivente, fratello o sorella convivente di soggetto con handicap in situazione di gravità, maternità, congedo parentale.

NASPI calcolo: la retribuzione mensile, ossia, la misura dell'importo dell'assegno di disoccupazione pagato dall'INPS ogni mese con bonifico bancario, si calcola sommando tutte le retribuzioni imponibili ai fini previdenziali, ricevute negli ultimi 4 anni e dividendo il risultato per il numero di settimane di contribuzione. Il quoziente ottenuto va infine moltiplicato per il numero 4,33. La base di calcolo è l’imponibile previdenziale degli ultimi 4 anni, divisa per le settimane di contribuzione e moltiplicata per il coefficiente 4,33. Per le frazioni di mese, il valore giornaliero dell’indennità si determina dividendo l’importo ottenuto con calcolo appena esposto per 30. Si considerano tutte le settimane, interamente o parzialmente retribuite.

Se la retribuzione mensile è inferiore a 1.195 euro mensili, l’indennità è pari al 75% della retribuzione. Per stipendi superiori, la NASPI è pari al 75% a cui si aggiunge il 25% del differenziale fra retribuzione mensile e 1.195. Dal quarto mese si riduce del 3% ogni mese. La prestazione è erogata per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi quattro anni (24 mesi).

NASPI importo: In base a tale calcolo, se la retribuzione mensile è pari o inferiore a 1195 euro mensili, l’importo della NASPI è pari al 75% della suddetta retribuzione mentre se è oltre a tale soglia, viene aggiunto al 75% un importo pari al 25% del differenziale tra la retribuzione mensile e il predetto importo. In ogni caso, l'importo massimo dell'indennità non può superare i 1300 euro al mese. Importo da rivalutare annualmente sulla base della variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo come il massimale di 1195 euro. L’importo massimo dell’indennità NASPI 2017 non può superare 1.300 euro al mese.

Domanda NASPI
E’ il lavoratore che deve presentare domanda all’INPS, in via telematica, entro 68 giorni dalla cessazione del rapporto. Tramite sito INPS (con PIN dispositivo), patronati, contact center integrato INPS INAIL (803164 da rete fissa e 06 164 164 da rete mobile). In caso di licenziamento per giusta causa, i 68 giorni per presentare la domanda decorrono dal 30esimo giorno successivo alla cessazione del rapporto.

Per presentare la domanda di disoccupazione  i lavoratori devono:
Compilare e inviare il modulo domanda di disoccupazione NASPI Inps direttamente online, se dispongono del PIN dispositivo INPS, al seguente percorso: Home > Servizi Online > Elenco di tutti i Servizi  > Servizi per il cittadino> Invio domande prestazioni a sostegno del reddito (Sportello virtuale per i servizi di informazione e richiesta di prestazione) > NASPI.

Far compilare e inviare il modello di domanda a Patronati o Intermediari autorizzati ad inviare le richieste INPS per via telematica.

L’indennità è riconosciuta a partire dall’ottavo giorno successivo alla cessazione se la domanda è presentata entro otto giorni, o dal primo giorno successivo alla domanda se è presentata dopo. Questo, anche nei casi di maternità, malattia, infortunio sul lavoro, mancato preavviso.



lunedì 4 luglio 2016

CCNL sale cinematografiche 2016: novità sui contratti a termine


Per i dipendenti dagli esercizi cinematografici e cinema-teatrali, Anec con Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom-Uil hanno siglato l’ipotesi di accordo di rinnovo del CCNL. I contenuti sono identici a quelli dell'ipotesi di accordo 9 marzo 2016 siglata da Anem e Agis, eccetto che per la decorrenza degli importi per vacanza contrattuale.

Per i dipendenti dagli esercizi cinematografici e cinema-teatrali. L'accordo decorre dal 1° gennaio 2017 e prevede nel 2016 un anno di sperimentazione durante il quale le Parti monitoreranno l'andamento degli istituti rinnovati e revisioneranno le altre norme contrattuali.

Il 15 giugno 2016 è stato rinnovato il CCNL che disciplina i rapporti di lavoro tra le aziende che gestiscono sale cinematografiche ed il relativo personale dipendente. Tra le novità in tema di contratto a termine si prevede che la durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale e indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l'altro, non possa  superare i trentasei mesi. II limite può essere superato solo nei seguenti casi:

- sostituzione di lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto;

- ulteriori casi individuati al livello della contrattazione collettiva aziendale.

In ogni singolo cinema e relative sedi amministrative è consentita l'assunzione di un numero complessivo di lavoratori a tempo determinato fino ad un massimo del 40% dei lavoratori a tempo indeterminato, con arrotondamento all'unita superiore. Percentuali superiori, ma sempre entro la percentuale massima del 50%, saranno accordate dal tavolo tecnico paritetico dietro motivata richiesta. È consentita senza limitazioni però la stipulazione di contratti di lavoro a tempo determinato per la sostituzione di lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto. Inoltre sono esenti da limitazioni quantitative i contratti di lavoro a tempo determinato conclusi nella fase di avvio di nuove attività apertura di nuovi cinema e/o sedi amministrative) per un periodo di tredici mesi continuativi a decorrere dalla data di apertura al pubblico.

Vacanza contrattuale e sperimentazione
L’erogazione di € 120,00 a titolo di vacanza contrattuale per l'anno 2015 e di € 120,00 a titolo di sperimentazione per l'anno 2016, ai lavoratori in forza al 1° gennaio 2015 e in servizio alla data di stipulazione dell'ipotesi di accordo in tre tranche (1° aprile 2016, 1° agosto 2016 e 1° dicembre 2016).

Ai lavoratori in forza al 1° gennaio 2015 e in servizio alla data di stipulazione dell'ipotesi di accordo, saranno corrisposti € 120,00 a titolo di vacanza contrattuale per l'anno 2015 ed € 120,00 a titolo di sperimentazione per l'anno 2016, con le seguenti modalità, riferite al 4° livello di monosale e multisale:
- € 80,00 il 1° luglio 2016;
- € 80,00 il 1° ottobre 2016;
- € 80,00 il 1° dicembre 2016.

Gli importi saranno ridotti per i lavoratori assunti dopo il 1° gennaio 2015 ed in forza alle aziende, non in prova, alla data di stipulazione dell'ipotesi di accordo, nonché per i lavoratori con orario e retribuzione inferiori a quelli normali contrattuali.

Gli importi non sono utili ai fini dei vari istituti legali e contrattuali né per il calcolo del TFR.


lunedì 23 maggio 2016

Assegno nucleo familiare 2016- 2017 :gli importi dell’INPS



Gli  Assegni Familiari 2016 sono una forma di prestazione a sostegno  del reddito delle famiglie di lavoratori dipendenti e pensionati a carico dell’INPS  che hanno un reddito complessivo al di sotto di determinate fasce stabilite ogni anno per legge.  Il diritto e l’importo dell’assegno dipendono dal numero dei componenti, dal reddito e dalla tipologia del nucleo familiare.

L’Assegno per il nucleo familiare spetta ai lavoratori dipendenti, ai lavoratori dipendenti agricoli, ai lavoratori domestici, ai lavoratori iscritti alla gestione separata, ai titolari di pensioni (a carico del fondo pensioni lavoratori dipendenti, fondi speciali ed Enpals), ai titolari di prestazioni previdenziali ed ai lavoratori in altre situazioni di pagamento diretto.

Gli ANF spettano per nucleo familiare che può essere composto da:

il richiedente lavoratore o il titolare della pensione;

il coniuge che non sia legalmente ed effettivamente separato, anche se non convivente, o che non abbia abbandonato la famiglia (gli stranieri poligami nel loro paese possono includere nel proprio nucleo familiare solo una moglie);

i figli ed equiparati di età inferiore a 18 anni, conviventi o meno;

i figli ed equiparati maggiorenni inabili, purché non coniugati, previa autorizzazione. Sono considerati inabili i soggetti che, per difetto fisico o mentale, si trovano nell’assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi a proficuo lavoro;

i figli ed equiparati, studenti o apprendisti, di età superiore ai 18 anni compiuti ed inferiore ai 21 anni compiuti, purché facenti parte di "nuclei numerosi", cioè nuclei familiari con almeno 4 figli tutti di età inferiore ai 26 anni, previa autorizzazione;

i fratelli, le sorelle del richiedente e i nipoti (collaterali o in linea retta non a carico dell'ascendente), minori o maggiorenni inabili, solo nel caso in cui essi sono orfani di entrambi i genitori, non abbiano conseguito il diritto alla pensione ai superstiti e non siano coniugati, previa autorizzazione.

i nipoti in linea retta di età inferiore a 18 anni, viventi a carico dell'ascendente, previa autorizzazione;

Il nucleo per i titolari di pensione ai superstiti ha diritto all’ANF se composto dal coniuge superstite che ha titolo alla pensione e dai figli ed equiparati di età inferiore a 18 anni o maggiorenni inabili titolari o contitolari della pensione. Il nucleo familiare può essere composto da una sola persona se il diritto alla pensione ai superstiti è riconosciuto a orfano minorenne, vedova minorenne o maggiorenne inabile.
 
La domanda deve essere presentata per ogni anno a cui si ha diritto:al proprio datore di lavoro, nel caso in cui il richiedente svolga attività lavorativa dipendente, utilizzando il modello ANF/DIP (SR16).

In tale caso, il datore di lavoro deve corrispondere l'assegno per il periodo di lavoro prestato alle proprie dipendenze, anche se la richiesta è stata inoltrata dopo la risoluzione del rapporto nel termine prescrizionale di 5 anni;

all’Inps nel caso in cui il richiedente sia addetto ai servizi domestici, operaio agricolo dipendente a tempo determinato, lavoratore iscritto alla gestione separata, ovvero abbia diritto agli assegni come beneficiario di altre prestazioni previdenziali, attraverso uno dei seguenti canali:

WEB – servizi telematici accessibili direttamente dal cittadino munito di PIN attraverso il portale dell’Istituto - servizio di “Invio OnLine di Domande di prestazioni a Sostegno del reddito”;

Contact Center - attraverso il numero 803164 gratuito da rete fissa o il numero 06164164 da rete mobile a pagamento secondo la tariffa del proprio gestore telefonico

Patronati – attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi;

Qualsiasi variazione intervenuta nel reddito e/o nella composizione del nucleo familiare, durante il periodo di richiesta dell'ANF, deve essere comunicata entro 30 giorni.

Se la domanda viene presentata per uno o per   più periodi pregressi, gli arretrati spettanti vengono corrisposti nel limite massimo di 5 anni (prescrizione quinquennale).

Se l'erogazione degli ANF è effettuata dal datore di lavoro  è necessaria l'autorizzazione nei casi in cui:

venga richiesta l’inclusione di determinati familiari nel nucleo (fratelli, sorelle, etc.)

nei casi di possibile duplicazione di pagamento (separazione, figli naturali, etc.)

per applicare l’aumento dei livelli reddituali (nuclei monoparentali, nuclei che comprendono familiari inabili a proficuo lavoro)

nei casi in cui il coniuge non sottoscriva la dichiarazione di responsabilità nel modello ANF/DIP

In tali casi l’utente deve presentare domanda di autorizzazione all’Inps, allegando la documentazione necessaria (ovvero relativa dichiarazione sostitutiva), utilizzando uno dei seguenti canali:

WEB – servizi telematici accessibili direttamente dal cittadino munito di PIN attraverso il portale dell’Istituto - servizio di “Invio OnLine di Domande di prestazioni a Sostegno del reddito – funzione Autorizzazioni Anf”;

Patronati – attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi;

Contact - Center attraverso il numero 803164 gratuito da rete fissa o il numero 06164164 da rete mobile a pagamento secondo la tariffa del proprio gestore telefonico.

In seguito l’Inps rilascia all’utente il modello di autorizzazione ANF43 e l’utente presenta la domanda (ANF/DIP) al datore di lavoro con allegato il modello ANF43.

 
Per gli iscritti alla Gestione separata l’assegno per il nucleo familiare non spetta se la somma dei redditi da lavoro dipendente e assimilati, relativi a tutto il nucleo familiare, è inferiore al 70% del reddito familiare complessivo considerando anche i redditi derivanti dalle attività indicate all’art. 2, c. 26, L.335/95). In questa  categoria di redditi rientrano, pertanto:

redditi da lavoro dipendente od assimilati assoggettabili all’IRPEF, compresi quelli a tassazione separata

redditi conseguiti all’estero o presso Enti internazionali residenti nel territorio della Repubblica, non soggetti alla normativa tributaria italiana
redditi da lavoro dipendente esenti da IRPEF ma non superi nel complesso il limite di Euro 1.032,91

pensioni sociali e le pensioni ed assegni agli invalidi civili, ai ciechi civili ed ai sordomuti, in quanto detti trattamenti sono da considerare, ai sensi dell’art. 46, secondo comma, del citato D.P.R. 917/1986, redditi da lavoro dipendente pur non essendo assoggettati all’IRPEF in virtù di specifiche disposizioni

pensioni a carico delle gestioni speciali per i lavoratori autonomi in quanto anch’esse da considerare redditi da lavoro dipendente ai sensi del predetto art. 46, secondo comma, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917

assegni periodici corrisposti dall’altro coniuge – ad esclusione di quelli destinati al mantenimento dei figli, se dal provvedimento giudiziale non risulta la ripartizione della somma destinata al mantenimento del coniuge e dei figli, tali assegni, a norma   dell’art. 3, del D.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, essi costituiscono reddito nella misura del 50%.

L'ANF deve essere liquidato al richiedente dall'azienda, che verifica la spettanza e, rima di procedere all'elaborazione delle  retribuzioni  di luglio,  calcola l'importo dell'assegno, il quale spetta per intero

se permane la continuità del  rapporto di lavoro  - per:

ogni mese (26 giornate) di lavoro, se ha effettuato 104 ore se operaio e 130 se impiegato;

ogni settimana (6 giornate) se, in caso di mancato raggiungimento delle 104 o 130 ore mensili, ha effettuato almeno 24 ore settimanali di lavoro se operaio e 30 ore se impiegato;

ogni giornata lavorata, in caso di mancato raggiungimento delle 24 o 30 ore settimanali.

In sostanza, si riceve anche se in alcune settimane non ha raggiunto le ore ma le ha cumulate nel mese. Se invece nella settimana non si effettuano almeno 24 o 30 ore, il lavoratore ha diritto a tanti assegni giornalieri quanti sono i giorni di effettivo lavoro prestato, nelle settimane o frazioni di esse in cui non sia stato raggiunto il minimo di ore lavorative.




martedì 19 maggio 2015

Bonus pensioni, chi lo incasserà e cosa c’è da conoscere



Il 1° agosto 2015 3,7 milioni di pensionati riceveranno un bonus una tantum a titolo di rimborso per il blocco della rivalutazione decisa dal governo Monti nel 2012.

Un rimborso quasi integrale per le più basse fra le pensioni coinvolte dal blocco-Monti appena bocciato dalla Consulta, e decrescente, in modo piuttosto rapido, man mano che l’assegno cresce, in base a una progressione che azzera l’arretrato quando il lordo mensile arriva a 3.200 euro al mese.

«Se tu prendi 1700 euro lordi di pensione, l'1 agosto il bonus Poletti darà 750 euro, se 2200 euro sarà di 450 euro, se 2700 sarà di 278 euro. Chi percepisce oltre 3.200 euro lordi non avrà alcun beneficio. È un una tantum».

Il meccanismo pensato dal Governo prova a modulare gli obblighi di rimborso sollevati dalla sentenza n. 70 del 2015 della Corte costituzionale unendo i principi di progressività con le esigenze del bilancio pubblico. I primi producono l’alleggerimento del rimborso che accompagna la crescita del reddito da pensione, i secondi spiegano il ritmo veloce della discesa.

Con una pensione da 1.700 euro lordi (poco più di 1.300 netti, con qualche oscillazione in base alle addizionali locali) l’assegno governativo in programma per il 1° agosto vale 750 euro. In quanto arretrati, gli importi dovrebbero essere soggetti a tassazione separata in base all’aliquota media degli ultimi anni, ma le cifre indicate dal Governo dovrebbero essere al netto della tassazione.

Il confronto va quindi effettuato con il beneficio netto che lo stesso pensionato avrebbe ottenuto se avesse ricevuto la rivalutazione piena, pagandoci ovviamente le tasse in base alla propria aliquota marginale dal momento che l’indicizzazione alimenta ovviamente la fetta più alta del reddito. In base alle vecchie regole, il titolare della pensione da 1.700 euro lordi al mese avrebbe dovuto ottenere 1.051 euro netti (1.480 lordi, calcolando anche le addizionali), quindi l’indennizzo sarebbe del 71,4 per cento. Se l’assegno è invece da 2.200 euro, i 450 euro di “bonus” previsti dal nuovo provvedimento rappresentano il 35,2% dei 1.278 euro che sarebbero stati dati con la rivalutazione integrale, e per una pensione da 2.700 euro il rapporto si ferma al 25 per cento. Il dato si assottiglia ancora al crescere della pensione, fino ad azzerarsi a quota 3.200 euro lordi (circa 2.200 netti). È il caso di ricordare che il «salva-Italia» aveva bloccato ogni aggiornamento per le pensioni superiori a 1.443 euro lordi.

La prima cosa da conoscere è che il provvedimento del governo è una grandissima delusione per chi sperava di recuperare i soldi tagliati dagli assegni pensionistici dal decreto Monti del 2011 grazie alla sentenza della Corte Costituzionale. Un pensionato con 1750 euro lordi di pensione mensile – i conti li ha fatti - l’Ufficio Parlamentare di Bilancio - avrebbe avuto diritto a 4.230 euro di rimborsi, per il quadriennio 2012-2015: ne avrà soltanto 750.

La seconda cosa è che si dovrà arrabbiare di più – moltissimo di più - un pensionato “ricco”, ovvero chi ha un assegno mensile di 3200 euro lordi: invece dei quasi 10.000 euro che avrebbe dovuto percepire, tagliati dal decreto Monti, non riceverà nemmeno un centesimo.

C’è qualcosa da fare, bisogna compilare un modulo per avere il “bonus”? No: arriveranno automaticamente nell’assegno pensionistico pagato il 1 agosto dall’ente previdenziale.

Come verranno distribuiti i soldi? Saranno variabili a seconda dell’importo dell’assegno mensile percepito: 750 euro a chi riceve un assegno da 1700 euro lordi, 450 per chi percepisce 2300 euro, 278 a chi prende 2700 euro, zero spaccato a chi percepisce oltre 3.200 euro mensili lordi.

E successivamente, come funzionerà il nuovo sistema di indicizzazione delle pensioni rispetto al costo della vita? Ci sarà in legge di stabilità il varo di un nuovo sistema, che entrerà in vigore dal 2016.

Dopo questo bonus arriveranno altri soldi per i rimborsi? Assolutamente no. Finisce tutto con l’erogazione di agosto.

Quanti soldi avrebbe dovuto dare il governo per assicurare un rimborso totale? 18 miliardi di euro, compresi i trascinamenti per il 2015. Ma ne restituirà soltanto 2,1 miliardi.

Possibile che se la possa cavare con un rimborso così basso? Possibile, sulla base di una certa lettura della sentenza della Corte Costituzionale. Il decreto dà una risposta molto parziale. Ci saranno nuovi ricorsi alla Consulta? Certamente sì, già sono stati annunciati dagli stessi presentatori del primo ricorso accolto prima dal magistrato e poi dalla Corte Costituzionale.

Restano esclusi da ogni restituzione 650mila pensionati, quelli che hanno un assegno superiore a 3.200 euro lordi. Restituire tutto a tutti - ovvero procedere alla totale integrazione degli assegni pensionistici superiori a tre volte il minimo (1.486 lordi al mese nel 2011, quelli a cui si è applicato il blocco delle indicizzazioni dal 2012) - sarebbe costato quasi 18 miliardi di euro.



domenica 10 maggio 2015

Il trattamento di integrazione salariale



L’Inps, con la circolare n. 19 del 30 gennaio, ha comunicato la misura, in vigore dal 1° gennaio 2015, degli importi massimi dei trattamenti di integrazione salariale, mobilità, trattamenti speciali di disoccupazione per l’edilizia, indennità di disoccupazione ASpI e Mini ASpI – al lordo ed al netto della riduzione prevista dall’art. 26 L. 41/86 e distinti in base alla retribuzione soglia di riferimento – nonché la misura dell’importo mensile dell’assegno per le attività socialmente utili.

Com’è noto, la cassa integrazione (sia essa ordinaria o straordinaria) comporta la sospensione totale o parziale dell’attività lavorativa, con esonero del datore di lavoro dall’obbligo di corrispondere la retribuzione. Ciò che si è appena detto rappresenta una eccezione alle regole comuni che, piuttosto, dispongono la permanenza dell’obbligo retributivo in capo al datore di lavoro che rifiuti senza giusta causa di ricevere la prestazione lavorativa. Invece, nei casi di crisi o di ristrutturazione che legittimino il ricorso alla cassa integrazione, il legislatore ha ritenuto di sostenere temporaneamente le imprese, esonerandole dal pagamento della retribuzione e dal versamento dei contributi nei confronti dei lavoratori sospesi in cassa integrazione.

Il meccanismo descritto non avviene però a totale danno dei lavoratori, che – se pur perdono la retribuzione –ottengono però dall’Inps un indennizzo, denominato integrazione salariale. Più precisamente, nel caso di cassa integrazione ordinaria l’integrazione è pari all'80% della retribuzione perduta per effetto della sospensione dal lavoro, anche se dopo i primi 6 mesi di sospensione l’indennità non può superare un tetto massimo fissato dalla legge. Nel caso invece di cassa integrazione straordinaria, l’integrazione è sempre pari all’80% della retribuzione perduta, e sempre nel limite di un tetto massimo previsto dalla legge.

Quanto invece ai contributi previdenziali e assistenziali, la legge prevede (sia nel caso di cassa integrazione ordinaria che in quello di cassa integrazione speciale) l’accreditamento di contributi figurativi. Ciò significa che, anche a fronte del mancato versamento dei contributi da parte del datore di lavoro, il lavoratore non risulta scoperto, ai fini contributivi, durante il periodo di cassa integrazione che, dunque, anche in assenza dei contributi reali, sarà utile in particolare per la maturazione della pensione.

La riforma del mercato del lavoro, approvata con la legge 28 giugno 2012, n. 92 ha introdotto alcune modifiche all’attuale sistema delle tutele in costanza di rapporto di lavoro.

In particolare, la legge di riforma ha definitivamente incluso nel gruppo delle imprese destinatarie del trattamento di integrazione salariale straordinario alcune tipologie di imprese, oggi ammesse solo annualmente al trattamento con specifici provvedimenti legislativi; tale legge ha, parimenti, messo a regime l’indennità di mancato avviamento al lavoro per i lavoratori del settore portuale. La legge di riforma ha, inoltre, modificato i requisiti per la concessione del predetto trattamento per le imprese in procedura concorsuale.

La legge di riforma ha previsto le disposizioni in materia di trattamento straordinario di integrazione salariale e i relativi obblighi contributivi sono estesi alle seguenti imprese:

a) imprese esercenti attività commerciali con più di cinquanta dipendenti;

b) agenzie di viaggio e turismo, compresi gli operatori turistici, con più' di cinquanta dipendenti;

c) imprese di vigilanza con più di quindici dipendenti;

d) imprese del trasporto aereo a prescindere dal numero di dipendenti;

e) imprese del sistema aeroportuale a prescindere dal numero di dipendenti.

Con circolare n. 8 del 20 marzo 2015, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, autorizza l’INPS per l’annualità 2015, ad erogare, entro i limiti previsti di 50 milioni, il trattamento di integrazione salariale autorizzato a seguito di stipula di contratto di solidarietà, nella misura complessiva del 70% della retribuzione persa a seguito della riduzione dell’orario di lavoro.

Le risorse sono destinate in via prioritaria ai trattamenti dovuti nell'anno 2015 in forza di contratti di solidarietà stipulati nell'anno 2014 per cui l’INPS dovrà tenere conto dell’ordine cronologico di firma dei relativi contratti. L’onere, dei 50 milioni di euro per l'anno 2015, è posto a carico del Fondo sociale per occupazione e formazione.

L’INPS dovrà monitorare la situazione delle risorse erogate ed al raggiungimento dell’80% della spesa a sua disposizione, deve effettuare apposita comunicazione al Ministero affinché possa prendere gli opportuni provvedimenti. Comunque l’INPS è tenuta ad interrompere le erogazioni al raggiungimento della somma complessivamente stanziata.

Ecco i limiti stabiliti per il 2015

Per quanto riguarda l’indennità di mobilità, per il 2015 la misura è pari al 100% del trattamento straordinario di integrazione salariale. L’importo massimo stabilito è:

- 971,71 euro lordi / 914,96 netti per retribuzione inferiore o uguale a 2.102,4 euro
- 1.167,91 / 1.099,70 netti per una retribuzione superiore ai 2.102.24 euro.

Per i lavoratori che hanno diritto al trattamento speciale di disoccupazione per l’edilizia stabilito dalla legge 6 agosto 1975, n. 427, l’importo da corrispondere per il 2015, rivalutato ai sensi dell’art. 2, comma 150, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, è fissato in:

- euro 635,34 che, al netto della riduzione del 5,84 per cento, è pari ad euro 598,24.

Per quanto riguarda i due ammortizzatori social,i la retribuzione da prendere a riferimento per il calcolo delle indennità di disoccupazione ASpI e Mini-ASpI è pari, ad 1.195,37 euro per il 2015.

L’importo massimo mensile fissato dall’INPS per l’anno in corso deve essere pari o inferiore a 1.167,91 euro.

Parlando dell’indennità di disoccupazione ordinaria agricola con requisiti normali, da liquidare nell’anno 2015 con riferimento ai periodi di attività svolti nel corso dell’anno 2014, trovano applicazione, in ossequio al principio della competenza, gli importi massimi stabiliti per tale ultimo anno.

L’importo massimo è dunque pari
- 1.165,58 euro per ciò che riguarda il massimale più alto
- 969,77 euro quanto al massimale più basso.

In ultimo l’importo mensile dell’assegno spettante ai lavoratori che svolgono attività socialmente utili è pari nel 2015 a 580,14 euro.




mercoledì 28 gennaio 2015

Assegno nucleo familiare a chi spetta: diritti, requisiti e domande



Che cosa è l'assegno per il nucleo familiare? E' una prestazione a sostegno delle famiglie dei lavoratori dipendenti e titolari di prestazione a carico dell'INPS, che hanno un reddito complessivo al di sotto delle fasce stabilite per legge. E’ un sostegno per le famiglie dei lavoratori dipendenti e dei pensionati da lavoro dipendente, i cui nuclei familiari siano composti da più persone e che abbiano redditi inferiori a quelli determinati ogni anno.

L'assegno (ANF) il cui importo è calcolato in base alla composizione ed al reddito del nucleo familiare. Generalmente è mensile e corrisposto in busta paga ma può essere in alcuni casi anche giornaliero.

L'assegno per nucleo familiare non spetta ai lavoratori autonomi e ai pensionati titolari di pensione con contribuzione nella gestione dei lavoratori autonomi, ai quali compete l'assegno familiare.

L'assegno al nucleo familiare (ANF) costituisce dalla Legge, ed è disciplinato  dal D.L. 13 marzo 1988, n. 69, convertito con modifiche nella legge  maggio 1988, n. 153

Per Assegno nucleo familiare (ANF) la convivenza è un requisito necessario?

L'assegno per il nucleo familiare anche in caso di genitori e figli non conviventi

No, la convivenza non è richiesta quale presupposto perché sorga il diritto a percepire l'assegno per il nucleo familiare (composto dai coniugi e dai figli, compresi quelli naturali legalmente riconosciuti), ma rappresenta soltanto un elemento di fatto idoneo a comprovare presuntivamente  che i figli vivono a carico del genitore. Infatti per il diritto al beneficio ,  sensibilmente diverso da quello agli assegni familiari, è sufficiente che  il genitore cui spetta l'assegno, provveda abitualmente al mantenimento dei figli.

Non è di ostacolo neppure l'ipotesi  di due nuclei familiari in caso di genitori  non coniugati ,  dato che anche per il figlio naturale non riconosciuto opera la prescrizione posta dall'art. 2, comma 8 bis, D.L. 13 marzo 1988, n. 69, secondo cui, per i componenti del nucleo familiare al quale la prestazione è corrisposta, l'assegno stesso non è compatibile con altro assegno o diverso trattamento di famiglia a chiunque spettante.

L’ ANF spetta ai lavoratori in mobilità?

Sì; l'ANF (assegno per il nucleo familiare,) è dovuto anche ai lavoratori iscritti nelle liste di mobilità,. Esso va determinato, in considerazione della specialità della normativa che lo prevede, su base giornaliera e cioè secondo il criterio proprio dell'indennità di mobilità.

A chi spetta l'ANF in caso di separazione dei coniugi?

In caso di separazione legale dei coniugi, l'assegno familiare spetta al coniuge cui sono stati affidati i figli e si calcola sul reddito del suo nucleo familiare.

Ciò vale anche qualora sia l'ex coniuge, in base alla sua posizione lavorativa, ad essere titolare dell'assegno sia che ne abbia diritto in virtù di un suo rapporto di lavoro, sia che di essi sia titolare l'altro coniuge, non affidatario. La Corte d'appello, in quel caso,  ha male interpretato le norme in materia, creando una terza figura di titolare del diritto all'assegno e cioè il nucleo familiare. Questi in realtà è solo il beneficiario dell'assegno, la cui titolarità spetta al coniuge affidatario o  per trasmissione del diritto da parte del titolare.

La titolarità infatti è legata al rapporto di lavoro dipendente anche se viene trasferito al coniuge affidatario. Da nessuna norma emerge la titolarità del nucleo familiare, che è solo il beneficiario finale; da qui la conseguenza che se titolare dell'assegno è il coniuge non affidatario si deve avere riguardo al suo reddito per determinare la spettanza e l'ammontare. Infatti la separazione dei coniugi non fa venire meno l'obbligo del mantenimento a carico del coniuge non affidatario e quindi il suo diritto alla percezione dell'assegno, anche se lo stesso viene poi trasferito all'altro coniuge.

l reddito del nucleo familiare è costituito dalla somma dei redditi del richiedente l'assegno e dei familiari che concorrono alla composizione del nucleo. I redditi devono essere indicati al lordo delle deduzioni e detrazioni di imposta, degli oneri deducibili e delle ritenute erariali.

Concorrono a formare il reddito del nucleo familiare: redditi complessivi assoggettabili all'Irpef: redditi da lavoro dipendente ed assimilati, da pensione, da prestazione (disoccupazione, malattia, cassa integrazione) percepiti in Italia o all'estero compresi gli arretrati; redditi di qualsiasi natura derivanti da lavoro autonomo, da fabbricati, da terreni al lordo dell'eventuale detrazione dell'abitazione principale.

La domanda deve essere presentata:
al datore di lavoro, nel caso in cui il richiedente svolga attività lavorativa dipendente, utilizzando il modello ANF/DIP. In tale caso, il datore di lavoro deve corrispondere l'assegno per il periodo di lavoro prestato alle proprie dipendenze, anche se la richiesta è stata inoltrata dopo la risoluzione del rapporto nel termine prescrizionale di 5 anni;

all’Inps, utilizzando gli appositi modelli, nel caso in cui il richiedente sia addetto ai servizi domestici, operaio agricolo dipendente a tempo determinato, lavoratore iscritto alla gestione separata, ovvero abbia diritto agli assegni come beneficiario di altre prestazioni previdenziali.



mercoledì 10 dicembre 2014

Aspi e mini ASPI cosa cambia nel 2015



Il Jobs Act riforma l'universo degli ammortizzatori sociali. Aspi e Mini Aspi vengono unificati, la tutela viene estesa, ma la cassa integrazione rimane attiva fino al 2016.

Vediamo le novità che entreranno in vigore nel 2015 per quanto riguarda i sussidi di disoccupazione Aspi e Mini Aspi.

La normativa attualmente in vigore (Legge n. 92 del 2012, cioè la riforma Fornero), prevede che in caso d licenziamento al lavoratore siano garantite due indennità: Aspi e Mini Aspi.

L’Aspi viene garantita ai dipendenti del settore privato, ai lavoratori con contratto di apprendistato e ai lavoratori di cooperativa che hanno perso il lavoro per motivi indipendenti dalla loro volontà. Sono esclusi dal sussidio i dipendenti a tempo indeterminato delle PA, gli operai agricoli e i lavoratori extracomunitari con permesso di soggiorno di lavoro stagionale. Per poter ricevere l’Aspi occorre possedere due requisiti: essere assicurati all’Inps da minimo due anni e aver pagato almeno un anno di contributi nei due che precedono il momento in cui si è perso il lavoro.

Chi non possiede i suddetti requisiti può accedere alla Mini Aspi. In questo caso il lavoratore dovrà aver versato almeno 13 settimane di contributi negli ultimi 12 mesi e riceverà un’indennità per un periodo di tempo corrispondente alla metà delle settimane lavorate nel corso dell’ultimo anno.

L’Aspi dal 2015  verrà estesa e universalizzata anche a coloro che perdono il lavoro, senza possibilità di reintegro e tutela anche i co.co.pro. .Per dirla in altri termini, i due ammortizzatori sociali verranno unificati in un’unica indennità, la cui durata varierà proporzionalmente al periodo contribuito maturato dal lavoratore. Il rapporto con la «pregressa storia contributiva del lavoratore» farà si che chi ha lavorato per molti anni, avrà la possibilità di ricevere per un tempo maggiore il sussidio di disoccupazione.

La Legge Delega prevede criteri di delega per la disoccupazione involontaria; nello specifico riguarda:

la rimodulazione dell’ASpI con omogeneizzazione della disciplina relativa ai trattamenti ordinari e ai trattamenti brevi, rapportando la durata dei trattamenti alla pregressa storia contributiva del lavoratore);

l'incremento della durata massima per i lavoratori con carriere contributive più rilevanti ;

l'estensione dell’ASpI ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa (con l’esclusione, in ogni caso, degli amministratori e dei sindaci) mediante l’abrogazione degli attuali strumenti di sostegno del reddito (relativi a tali soggetti), l’eventuale modifica delle modalità di accreditamento dei contributi ed il principio di automaticità delle prestazioni9 e prevedendo, prima dell’entrata a regime, un periodo almeno biennale di sperimentazione a risorse definite);

l'introduzione di limiti massimi relativi alla contribuzione figurativa ;

l'eventuale introduzione, dopo la fruizione dell’ASpI, di una ulteriore prestazione, eventualmente priva di copertura pensionistica figurativa, limitata ai lavoratori, in disoccupazione involontaria, che presentino valori ridotti dell’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), con previsione di obblighi di partecipazione alle iniziative di attivazione proposte dai servizi competenti.

Possono accedere all'ASpI tutti i lavoratori dipendenti, compresi gli apprendisti e i soci lavoratori di cooperativa con un rapporto di lavoro in forma subordinata, i dipendenti a tempo determinato delle pubbliche amministrazioni (mentre ne sono esclusi quelli con rapporto a tempo indeterminato), nonché i soci lavoratori delle cooperative, il personale artistico, teatrale e cinematografico con rapporto di lavoro subordinato. Dal campo di applicazione dell’ASpI sono altresì esclusi gli operai agricoli (a tempo indeterminato e determinato), e i lavoratori extracomunitari con permesso di lavoro stagionale.

Per usufruire dell’ASpI è necessario essere assicurati presso l'INPS da almeno 2 anni ed aver versato almeno un anno di contributi nei 2 anni precedenti all'evento che ha determinato la disoccupazione. L'indennità mensile è rapportata alla retribuzione imponibile ai fini previdenziali degli ultimi 2 anni (comprensiva degli elementi continuativi e non nonché delle mensilità aggiuntive, divisa per il numero di settimane di contribuzione e moltiplicata per il numero 4,33), è pari fino ad un limite massimo pari, nel 2014, a euro 1.192,98. In caso di importo superiore, l'indennità è pari al 75% di 1.192.98 euro incrementata di una somma pari al 25% del differenziale tra la retribuzione mensile e il predetto importo.

L'indennità mensile non può in ogni caso superare l'importo mensile massimo di CIGS.

La durata massima del trattamento, a decorrere dal 1° gennaio 2016 per gli eventi che si verifichino da tale data è di 12 mesi, per i lavoratori di età inferiore a 55 anni (detratti i periodi di indennità eventualmente fruiti negli ultimi 12 mesi, anche in relazione ai trattamenti brevi); 18 mesi, per i lavoratori di età pari o superiore ai 55 anni (nei limiti delle settimane di contribuzione negli ultimi 2 anni, detratti i periodi di indennità eventualmente fruiti negli ultimi 18 mesi).

L’Inps a Circolare numero 101/2014 ha precisato che rientrano nell’ambito di applicazione del decreto interministeriale che determina l’allineamento di Aspi e Mini-Aspi:

i soci lavoratori delle cooperative di cui al D.P.R. n. 602 del 1970, con rapporto di lavoro subordinato;

il personale artistico, teatrale e cinematografico, con rapporto di lavoro subordinato.
Ammontare di Aspi e Mini-Aspi

Le indennità Aspi e Mini-Aspi per i soggetti appena indicati sono quindi liquidate:
con riferimento all’anno 2014, in misura proporzionale all’aliquota effettiva di contribuzione e cioè per un importo pari al 40 per cento della misura delle indennità;
con riferimento all’anno 2015 in misura proporzionale all’aliquota effettiva di contribuzione e cioè per un importo pari al 60 per cento della misura delle indennità come calcolate;
con riferimento all’anno 2016 in misura proporzionale all’aliquota effettiva di contribuzione e cioè per un importo pari all’80 per cento della misura delle indennità;
con riferimento all’anno 2017 in misura proporzionale all’aliquota effettiva di contribuzione e cioè per un importo pari al 100 per cento della misura delle indennità.



martedì 2 dicembre 2014

Naspi: indennità disoccupazione per il 2015-2016. Requisiti, importi e durata



La riforma degli ammortizzatori sociali 2015 inserita nel Jobs Act consiste nel mettere a punto il cosi detto sussidio universale destinato ai lavoratori in disoccupazione involontaria che non hanno i requisiti per accedere all'Aspi o alla mini ASpI. Quindi La nuova indennità di disoccupazione, Naspi, potrà essere estesa anche ai precari.

Si chiama Naspi e sarà il nuovo sussidio di disoccupazione per i precari. O meglio, dovrebbe essere, perché dovrebbe essere contenuto nel Jobs Act. Requisiti: almeno 3 mesi di contributi nell’ultimo anno. Valore: 1100-1200 euro al mese (per poi scendere progressivamente a 700).

La novità assoluta sarà nei requisiti della Naspi, meno stringenti dell’Aspi (contributi da almeno due anni e aver lavorato negli ultimi 12 mesi) e della mini Aspi (13 settimane di contribuzione nell’ultimo anno). Basteranno tre mesi di contributi. Per tutti.

Una volta a regime poi, Naspi sostituirà tutti gli ammortizzatori sociali, esclusa la cassa integrazione (quella in deroga sparirà nel 2016), mentre il 2017, come previsto dalla legge Fornero, sarà l’ultimo anno dell’indennità di mobilità. Ciò consentirà di far entrare nelle casse circa 4 miliardi e mezzo, che andrebbero sempre a vantaggio del Naspi, su cui il nodo delle coperture resta ancora stretto.

Come funziona Naspi? e chi potrà beneficiare della nuova indennità di disoccupazione?

Tutti coloro che perdono il lavoro, inclusi i precari e i collaboratori a progetto, sinora esclusi dall’indennità (circa 400.000 persone), dopo aver svolto l’attività per non meno di 3 mesi.

Le differenze con Aspi e Mini Aspi? In termini contributivi sono riassunte nello schema seguente.

Aspi Richiede 2 anni di contributi e aver lavorato nell’ultimo anno

Mini Aspi Richiede 13 settimane di contributi nell’ultimo anno

Naspi Richiede 3 mesi di contributi nell’ultimo anno

L’importo di Naspi sarà pari a circa 1.100-1.200 euro, che andranno progressivamente a ridursi fino a circa 700 euro.

Quanto dura la Naspi?
massimo due anni per i lavoratori dipendenti;
sei mesi per i lavoratori atipici.

Secondo quanto previsto dalla Legge Delega per la riforma degli ammortizzatori sociali con il Jobs Act dal 2015 in caso di disoccupazione involontaria, i precari e i co.co.co. che attualmente non hanno i requisiti per accedere ai benefici dell'ASpI e mini ASpI, avranno diritto alla nuova NASPI.

La NASpI è infatti il sussidio di disoccupazione universale che sostituisce dal 2015 l'assegno unico di disoccupazione introdotto dalla Riforma Fornero, ovviamente, per l'entrata in vigore si dovranno attendere i decreti attuativi e le disposizioni circa le modalità di fruizione da parte del Ministero del Lavoro di concerto con l'INPS a cui spetta l'erogazione dell'indennità agli aventi diritto.

Una volta a regime poi, la disoccupazione Naspi sostituirà via via tutti gli ammortizzatori sociali, fatta eccezione della cassa integrazione ordinaria che sarà ammessa solo in presenza di determinate condizioni, mentre la CIG in deroga sparirà nel 2016 e la mobilità come previsto dalla precedente riforma degli ammortizzatori sociali non ci sarà più a partire dal 2017 determinando così un risparmio per le casse dello Stato di circa 4 miliardi e mezzo, che andranno a sostenere la Naspi.

Il nuovo sussidio universale NASPI è un assegno che spetta ai lavoratori in disoccupazione involontaria, quindi chiunque perderà il lavoro, avrà diritto ad un assegno di disoccupazione se avrà lavorato almeno 3 mesi. Per cui basta con i ferrei limiti dell'ASPI, contributi da almeno due anni e aver lavorato negli ultimi 12 mesi, e della mini Aspi 13 settimane di contribuzione nell'ultimo anno e avanti con la nuova Naspi anche per i precari e co.co.co. per i lavoratori che avranno versato almeno tre mesi di contributi.

La disoccupazione Naspi 2015, assegno universale per i disoccupati previsto dalla legge delega con l'attuazione del Jobs Act, è un'indennità, che verrà gestita dalla nuova Agenzia unica del lavoro attraverso i centri per l’impiego a cui il lavoratore licenziato si dovrà rivolgere per sottoscrivere la DID, dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro e attivare così le procedure di politica attiva del lavoro, e dall'INPS che avrà il compito di recepire, lavorare le domande telematiche di disoccupazione ed erogare l'indennità spettante.

Cosa cambia con l'introduzione della NASPI? A cambiare è la platea di lavoratori a cui spetterà dal 2015 l'assegno di disoccupazione involontaria, in quanto il diritto nuovo sussidio universale sarà esteso a chiunque perda il lavoro, quindi anche a precari e collaboratori a progetto, sempre se hanno versato e lavorato almeno 3 mesi prima della perdita del lavoro.



lunedì 1 dicembre 2014

Pensioni per il 2015 aumenti saranno una chimera


Gli incrementi sulle pensioni che in genere scattano ogni inizio dell’anno, per essere queste adeguate all'inflazione, quest’anno saranno impercettibili e anzi per i primi mesi del 2015, le rate seppure di qualche euro si abbasseranno

Un’altra brutta notizia per i pensionati: l’inflazione tiene al palo gli assegni. Per il 2015 non ci sarà alcun aumento. Anzi, nei primi due mesi dell’anno – secondo quanto scrive Il Messaggero – l’importo potrà risultare leggermente più basso di quello del 2014, per il recupero di una piccola somma che era stata percepita in più”.

Un'inflazione dannosamente vicina allo zero non è una buona notizia, visto che si associa ad un'economia che non riesce a uscire dalla recessione. Ma gli incrementi ai minimi storici rilevati quest'anno dall'Istat porteranno dal prossimo gennaio 2015 una sorpresa poco gradita per i pensionati: la rivalutazione dei loro assegni sarà quasi impercettibile. Anzi, nei primi due mesi dell'anno l'importo potrà risultare leggermente più basso di quello del 2014, per il recupero di una piccola somma che era stata percepita in più.

Per capire esattamente cosa accadrà bisogna ricordare come funziona il meccanismo di adeguamento annuale delle pensioni, chiamato perequazione. Ogni anno gli importi vengono rivalutati sulla base dell'indice dei prezzi al consumo rilevato dall'Istat per l'anno precedente. Siccome l'Inps effettua i relativi calcoli più o meno a partire dal mese di novembre, viene stimato un indice provvisorio sulla base di quello dei primi nove mesi. Il relativo decreto del ministero dell'Economia sta per essere formalizzato, ma dati gli andamenti recenti si stima un incremento limitato allo 0,3 per cento, livello storicamente bassissimo (nel 2009 si arrivò allo 0,7 per cento).

Gli incrementi da "zero virgola" dell'inflazione, rilevati dall'Istat, porteranno dal prossimo gennaio una sorpresa poco gradita per i pensionati, perché la rivalutazione dei loro assegni sarà quasi impercettibile.

È vero che questi ritocchi, praticamente nulli, corrispondono a un livello dei prezzi di fatto congelato, per cui sulla carta non c'è perdita di potere d'acquisto. Ma per i pensionati, esclusi dal bonus da 80 euro, è un altro duro colpo.

All'inizio di quest'anno, sulla base dell'inflazione 2013, era stato riconosciuto un incremento provvisorio dell'1,2 per cento, che però con i dati definitivi è risultato leggermente più alto di quello effettivo, pari all'1,1. Di conseguenza l'Inps dovrà limare di quello 0,1 per cento gli aumenti dello scorso anno, ed anche recuperare con le prime due rate del 2015 i pochi euro percepiti in più dai pensionati.

L'effetto pratico è gli incrementi saranno quasi inesistenti, anche ragionando sulle cifre lorde. Una pensione pari all'importo del trattamento minimo, originariamente stimato per il 2014 a 501,38 euro al mese, viene rivista a 500,88 e su questa base portata a 502,38. L'aumento è quindi di un euro al mese.

Ma con tutta probabilità, gli interessati vedranno nella propria busta paga una somma ancora più bassa, perché l'Inps dovrà anche recuperare i poco più di 6 euro che non erano dovuti: se, come di consuetudine, lo farà tramite trattenute sulle rate di gennaio e febbraio il totale effettivo risulterà ancora più basso, circa 499 euro.

Su importi un po' più consistenti, più o meno al di sopra dei 600 euro mensili, inizia ad entrare in gioco il fisco. Che per la sua natura progressiva, ed in particolare a causa della detrazione decrescente riconosciuta ai pensionati, va ad intaccare anche i circa 2 euro al mese di aumento effettivo che spettano intorno ai mille euro di pensione o i poco meno di 4 che sarebbero riconosciuti per un assegno di valore doppio. E poi c'è sempre da restituire la manciata di euro in più percepiti nel corso del 2014.

Per ironia della sorte, su un livello di adeguamento all'inflazione già così basso operano anche le decurtazioni stabilite con la precedente legge di Stabilità. Per cui al di sopra di tre volte il trattamento minimo (circa 1.500 euro al mese), quell'esiguo 0,3 per cento teorico va applicato al 95 per cento; al di sopra delle quattro volte al 75 per cento; oltre le cinque volte il minimo al 50 per cento e infine al 45 per cento se l'importo della pensione è superiore a sei volte il trattamento minimo.

In pratica anche quell'esiguo incremento dovuto all'adeguamento alla pur bassa inflazione non ci sarà, anzi le prime due buste paga gennaio 2015 e febbraio 2015 risulteranno ancora più bassi dell’anno precedente proprio per il recupero che l’Inps si accinge a fare. Per fare un esempio una pensione di 501,38 euro al mese con molta probabilità per i primi due mesi del 2015 sarà di circa 499 euro per poi essere rivista e portata a 502,38 euro per il resto dell’anno.



mercoledì 31 ottobre 2012

Lavoro: buonuscita per il licenziamento a chi si rivolge e modalità del tfr

Il trattamento di fine rapporto, buonuscita, è la somma che spetta al lavoratore dipendente al termine del lavoro in azienda. Il TFR è un'indennità di carattere assicurativo, un risparmio forzoso.

Iniziamo con dire che l’indennità di buonuscita è una somma di denaro corrisposta al lavoratore quando termina il servizio. E si rivolge ai lavoratori iscritti al fondo di previdenza per i dipendenti civili e militari dello Stato gestito dall’Inps Gestione ex Inpdap, assunti con contratto a tempo indeterminato entro il 31 dicembre 2000, che hanno risolto, per qualunque causa, il rapporto di lavoro e quello previdenziale con l’Inps Gestione ex Inpdap con almeno un anno di iscrizione.

Per il personale assunto con contratto a tempo indeterminato dopo il 31 dicembre 2000 trova applicazione, la disciplina del trattamento di fine rapporto (Tfr), con esclusione del personale non contrattualizzato (ad esempio: militari, docenti e ricercatori universitari, ecc.) per il quale continua ad applicarsi la disciplina dell’indennità di buonuscita anche se assunti successivamente a tale data.

A partire dalle anzianità maturate a decorrere dal 1° gennaio 2011, l’importo della prestazione è calcolato in due quote:

la prima quota si calcola in base all’anzianità maturata fino al 31 dicembre 2010 ed è pari a tanti dodicesimi dell’80% della retribuzione annua lorda percepita al momento del collocamento a riposo comprensiva della tredicesima mensilità, per quanti sono gli anni utili. Si considera come anno intero la frazione di anno superiore a sei mesi. (decreto del Presidente della Repubblica 1032 del 29 dicembre 1973 e successive integrazioni e modificazioni);

la seconda quota si calcola in base all’anzianità maturata dal 1° gennaio 2011 ed è determinata dall’accantonamento di una quota pari al 6,91% della retribuzione contributiva annua e dalle relative rivalutazioni, per ogni anno di servizio. Le frazioni dell’ultimo anno di servizio sono proporzionalmente ridotte e l’aliquota del 6,91 per cento sarà applicata alla retribuzione contributiva mensile in base alla retribuzione utile mensile. Si considera come mese intero la frazione di mese uguale o superiore a 15 giorni.

Il TFR si calcola sommando, per ciascun anno intero di servizio, e/o mesi, una quota pari e, comunque, non superiore all'importo della retribuzione dovuta, divisa per 13,5.

L’indennità può pertanto essere quindi percepita:
in una sola rata, per importi complessivi lordi non superiori ai 90.000 euro;

in due rate se la cifra, sempre complessiva lorda, sia tra i 90.000 euro e i 149.999, nel qual caso ad una rata da 90.000 ne seguirà una seconda dopo 12 mesi, con la parte restante del trattamento;

in tre rate infine se la buonuscita per il licenziamento è uguale o superiore ai 150.000 euro; per quest’ultima tipologia la prima rata è sempre da 90.000 euro, la seconda è di 60.000 e si percepisce a distanza di 12 mesi, mentre la terza (ad altri 12 mesi dall’ultima) contiene la parte mancante.

E’ bene ricordare  che la buonuscita per il licenziamento non è suddivisibile per rate qualora il rapporto di lavoro si sia concluso, per la presentazione delle dimissioni o il raggiungimento della massima età, entro il 30 Novembre 2010.

Vediamo le modalità di pagamento, in particolare, la norma dispone che l’indennità sia corrisposta:
in unico importo se l’ammontare complessivo lordo è pari o inferiore a 90.000 euro;

in due importi se l’ammontare complessivo lordo è superiore a 90.000 euro ma inferiore a 150.000 euro. In questo caso la prima somma da liquidare è pari a 90.000 euro e la seconda è pari all’importo residuo. La
seconda somma verrà corrisposta dopo 12 mesi dalla decorrenza del diritto al pagamento;

in tre importi se l’ammontare complessivo lordo è uguale o superiore a 150.000 euro. In questo caso la prima somma da liquidare è pari a 90.000 euro, la seconda è pari a 60.000 euro e la terza è pari all’importo residuo. La seconda e la terza somma saranno pagate rispettivamente dopo 12 e 24 mesi dalla decorrenza del diritto al pagamento.

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