mercoledì 11 marzo 2015

Jobs act e la stabilizzazione dei lavoratori



Le forme flessibili di lavoro sono individuate principalmente nel contratto a termine e nella somministrazione di lavoro. Nel primo contratto la scadenza viene apposta per esigenze organizzative produttive o sostitutive con evidenza della scadenza garantendo la parità retributiva e le assicurazioni sociali previste dai contratti di lavoro. Nel caso della somministrazione di lavoro (l’ex interinale) lo scopo è rispondere alle esigenze di flessibilità produttiva delle imprese garantendo al lavoratore, in aggiunta alla parità retributiva e  assicurativa, una sistema di welfare specifico per i lavoratori che garantisce assistenza e formazione proprio per rafforzarne l’occupabilità e l’occupazione permanente. Per questo motivo la somministrazione costa di più per il 4,3% che finanzia il sistema di welfare di settore.

L’UE prevede che le tipologie contrattuali stabili e flessibili vengano combinate con un sistema di servizi per il lavoro e politiche attive che garantiscano l’occupabilità e l’occupazione dei lavoratori.

Il primo problema riguarda la insostenibilità dei contratti privi di tutele quali le collaborazioni a progetto e le partite IVA con un unico cliente. Con la presenza di una flessibilità in entrata così ampia (36 mesi e 8 proroghe per il primo contratto e 20 % di contratti flessibili) il fenomeno dei contratti privi di tutele (parità di trattamento salariale e welfare) dovrebbe essere rifiutato dalle imprese. Gli accordi tra le parti sociali possono ulteriormente incrementare perfezionare e combinare le necessità di flessibilità con le tutele. La necessità di sostenere servizi alla ricollocazione offerti a tutti i lavoratori che concludono il contratto a termine suggerisce di adottare un modello (già sperimentato in Francia) che preveda un costo maggiore dell’assicurazione contro la disoccupazione per contratti con durata inferiore a 4/6 mesi.

Il secondo problema riguarda l’assenza di qualificati ed omogenei servizi di politica attiva del lavoro presenti in tutto il territorio nazionale che dovrebbero sostenere il reimpiego dei lavoratori con contratto a tempo determinato che terminano il lavoro. Infatti sono ancora poche le regioni che hanno attivato i sistemi di accreditamento per i servizi al lavoro ed ancora incerta l’azione delle politiche attive a favore della ricollocazione dei lavoratori. La situazione paradossale che può accadere ad un giovane lavoratore che ha appena concluso il contratto di lavoro, quindi disoccupato, sia di non poter esercitare il diritto ad una servizio di ricollocazione in quanto nella propria regione tale servizio è finalizzato alle pratiche amministrative e nelle regioni limitrofe è presente con servizi finalizzati alla ricollocazione. La debolezza delle attuali politiche attive per il lavoro è caratterizzata principalmente dal fatto che non partono dal risultato che si vuole raggiungere. Il risultato non può essere che un inserimento al lavoro (almeno 6 mesi) attraverso questo percorso il lavoratore riprende un contatto professionale con un’azienda. A partire da una logica di risultato anche il rimborso sulle attività svolte (orientamento, patto di servizio, bilancio delle competenze, accompagnamento al lavoro, formazione) potrà essere distribuito con una parte “a processo” ed una a “risultato” in funzione al periodo di occupazione.

Diventa più vantaggiosa non solo l'assunzione di nuovo personale, ma anche la stabilizzazione di lavoratori che già lavorano con l'azienda sulla base di un rapporto flessibile, temporaneo o atipico. Le imprese che, da oggi, stabilizzeranno i propri dipendenti mediante l'assunzione a tempo indeterminato potranno, infatti, acquisire un doppio beneficio: l'applicazione delle nuove regole sui licenziamenti, da un lato, e gli incentivi contributivi previsti dalla legge di Stabilità, dall'altro.

Questi benefici si applicheranno, tuttavia, in misura differenziata nelle varie ipotesi di stabilizzazione. Se un'azienda deciderà di assumere a tempo indeterminato un lavoratore che già oggi lavora con un contratto a termine, potrà applicare, nei suoi confronti, le nuove norme sui licenziamenti. Lo stesso datore di lavoro potrebbe beneficiare anche dell'esonero contributivo riconosciuto dalla legge di Stabilità (fino a 8.060 euro l'anno, per tre anni), se l'operazione sarà completata entro il 31 dicembre del 2015 e se il lavoratore interessato dalla stabilizzazione non risulterà titolare, nei 6 mesi precedenti alla data di conversione del rapporto, di un altro rapporto di lavoro a tempo indeterminato (nella stessa azienda o presso una diversa).

Meno evidenti i benefici per i casi di “conversione” a tempo indeterminato del rapporto con un apprendista: nei confronti dell'azienda si applicherà la nuova normativa sui licenziamenti, mentre non spetteranno gli incentivi contributivi introdotti dalla legge di Stabilità.

Un'altra ipotesi nella quale si applicheranno le nuove regole sulle tutele crescenti sarà la trasformazione a tempo indeterminato di contratti atipici come le collaborazioni coordinate e continuative, i contratti a progetto, le collaborazioni occasionali, le prestazioni d'opera e i rapporti intermittenti. Il datore di lavoro che assumerà a tempo indeterminato una persona già impiegata con uno di questi rapporti potrà applicare le nuove regole sui licenziamenti e potrà anche beneficiare dell'esonero contributivo, se ricorreranno le condizioni richieste per l'accesso al beneficio.

Le nuove regole sui licenziamenti si applicheranno, infine, anche nei casi in cui una piccola impresa supererà i 15 dipendenti nell'unità produttiva (o i 60 su scala nazionale) a seguito di nuove assunzioni. In questo caso, entreranno nell'area del contratto a tutele crescenti non solo i nuovi assunti , ma anche il personale già in forza a tempo indeterminato; invece non si applicheranno gli incentivi contributivi, trattandosi di rapporti che sono già stabili.

Un piano di stabilizzazione dei lavoratori precari nella PA era stato già predisposto dalla Legge D'Alia che annunciava che fino al 2016, la metà dei posti disponibili nei concorsi pubblici fossero riservati ai candidati che avessero lavorato per almeno tre anni degli ultimi cinque, presso un'amministrazione statale o locale. Ma, ha fatto sapere il ministro Madia, questo provvedimento è stato congelato per due anni, e quindi fino al termine del 2018, per far posto alle operazioni necessarie al personale in esubero impiegato nelle amministrazioni provinciali.

Tuttavia è in atto una grossa operazione di razionalizzazione delle società pubbliche che operano sulla base della delega sulla PA. Infatti, si sta procedendo alla riorganizzazione industriale e territoriale di queste società per arrivare a decretare quante e quali società di servizi siano realmente necessarie per l'erogazione dei servizi pubblici ai cittadini. Si tratterà, quindi, di un giro di vite sulle poltrone inutili.



Jobs act: il contratto a tempo indeterminato



Per contratto di lavoro a tempo indeterminato si deve intendere un accordo fra le parti nel quale un soggetto, il lavoratore, si impegna dietro versamento di una retribuzione e senza vincolo di durata alcuno, a prestare la propria attività lavorativa accettando il potere direttivo, organizzativo e disciplinare di un altro soggetto, il datore di lavoro. Il contratto di lavoro subordinato va inteso quindi a tempo indeterminato, concetto questo già chiaramente espresso dal legislatore già nel 1962 e più recentemente ribadito nel 2007 dopo che la riforma del lavoro con la quale poteva sembrare che il contratto di lavoro subordinato andasse inteso a tempo determinato. In questa sezione del sito trovi tutte le novità in materia, gli approfondimenti e gli incentivi alle imprese che assumono.

Pubblicato in Gazzetta Ufficiale (GU Serie Generale n.54 del 6-3-2015) il Decreto Legislativo attuativo del Jobs Act che dà il via al nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, entrato ufficialmente in vigore dal 7 marzo 2015. Questo significa che la nuova normativa si applica a tutti i contratti stipulati dal 7 marzo 2015 in poi.

Per gli assunti a tempo indeterminato con qualifica di operaio, impiegato e quadro, la disciplina delle tutele crescenti sostituirà il vecchio articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Le nuove regole sanzionatorie in caso di licenziamento nullo, illegittimo o inefficace contenute nel decreto legislativo 23/2015 si applicano in primis agli assunti dalle aziende grandi, cioè quelle con più di 15 dipendenti nelle unità produttiva site nello stesso comune, o più di 60 a livello complessivo.

Il nuovo regime si applica altresì ai nuovi assunti dalle cosiddette organizzazioni di tendenza, cioè da quei datori di lavoro che svolgono attività senza fine di lucro, nonché, limitatamente all'ipotesi dell'ingiustificato licenziamento per motivo oggettivo, e in forma dimezzata, ai nuovi lavoratori delle piccole aziende.

Con le assunzioni effettuate da oggi i datori di lavoro potranno cumulare le due agevolazioni previste dalla legge delega 183/2014, e cioè l'applicazione del regime delle tutele crescenti, nonché l'esonero contributivo introdotto dalla legge di Stabilità 2015 (massimo 8.060 euro all'anno per tre anni). I due interventi dovrebbero infatti rimuovere i limiti legati al contratto a tempo indeterminato, quale contratto economicamente oneroso e dal quale il datore è impossibilitato a recedere, limiti che avevano di fatto costretto le aziende a scegliere forme contrattuali alternative.

Grazie all'importante sconto contributivo, non riconosciuto soltanto per i dipendenti già titolari di un contratto a tempo indeterminato nei 6 mesi antecedenti, il contratto a tempo indeterminato è diventato quello meno oneroso, sia se confrontato ai contratti a termine (soggetti altresì al contributo addizionale dell'1,4%, salvo specifiche deroghe), sia se paragonato alle co.co.co che sopravviveranno dopo l'abrogazione delle collaborazioni a progetto.

Con l'introduzione delle tutele crescenti, il contratto a tempo indeterminato non sarà più vissuto dall'imprenditore come una mancanza di libertà economica, in quanto il nuovo apparato sanzionatorio limita le ipotesi di reintegra a casi gravemente illegittimi (licenziamento nullo o licenziamento disciplinare in presenza di fatto materiale insussistente), e individua gli specifici rischi economici a cui il datore di lavoro si espone in caso di licenziamento ingiustificato (massimo 24 mensilità ridotte a 18, se il lavoratore accetta la nuova proposta di conciliazione).

Senza contare il fatto che rimane l'unico contratto che non origina contenziosi connessi al suo inquadramento, a differenza di quanto succede per i contratti di lavoro autonomo.

Secondo uno studio della UIL il rischio sarebbe legato alla combinazione tra lo sconto sui contributi a carico delle imprese per i primi tre anni di assunzione e l’abolizione dell’articolo 18. Gli indennizzi previsti dal contratto a tutele crescenti sarebbero infatti di molto inferiori agli sgravi fiscali previsti dalla Legge di Stabilità per chi assume. Se questo da una parte incentiverà l’occupazione dall’altra lascerà le aziende libere di licenziare, anche senza giusta causa, dopo tre anni. Nel caso in cui il datore di lavoro assumesse un lavoratore nel 2015 e lo licenziasse a fine anno il saldo risulterebbe positivo di circa 4.390 euro medi. Licenziandolo invece dopo 3 anni il saldo positivo salirebbe a 13.190 euro. Questo considerando uno stipendio medio di 22 mila euro lordi/anno (1.692 euro lordi/mese), con uno sgravio contributivo a favore dell’azienda di circa 6.390 euro. In generale gli ipotetici benefici per i datori di lavoro potrebbero variare dai 763 euro ai 5 mila euro se si licenzia entro il primo anno, mentre se si licenzia alla fine dei 3 anni i benefici variano dai 12 ai 15 mila euro.




Calcolo TFR anticipato in busta paga: caso per caso



In vigore da marzo 2015 la possibilità per il lavoratore di chiedere l'anticipo del TFR in busta paga. Ecco la mini guida.

Quanto aumenta la busta paga mensile con il TFR anticipato e quanto si perde nel lungo periodo per effetto della tassazione ordinaria meno conveniente: calcoli Cgia Mestre.

Quanto aumenta la busta paga mensile con il TFR anticipato e quanto si perde nel lungo periodo per effetto della tassazione ordinaria meno conveniente: calcoli Cgia Mestre.

Il dipendente può effettuare la scelta del TFR anticipato entro settembre 2015: otterrà versamenti mensili fino al giugno 2018 sulla quota maturanda di liquidazione. La scelta può essere fatta una sola volta ed è irreversibile fino a tale data. La variabile fondamentale? Il TFR anticipato è sottoposto a tassazione ordinaria e non alla più favorevole tassazione separata prevista per la liquidazione accantonata.

Vediamo in tabella, in base ai calcoli della CGIA di Mestre, quando prendono in più ogni mese diverse tipologie di lavoratori e quanto perdono, sul lungo periodo, a causa della differenza di tassazione.

Busta paga e TFR
Operaio
Impiegato
Quadro/Dirigente
Stipendio mensile netto
1200 euro
1600 euro
3000 euro
TFR anticipato
71 euro
112 euro
214 euro
Busta paga + TFR anticipato
1271 euro
1712 euro
3214 euro
TFR lordo
106 euro
166 euro
369 euro
TFR netto accantonato
93 euro
134 euro
253 euro
Differenza TFR anticipato
e accantonato
-22 euro
-22 euro
-39 euro


Per fornire una base di calcolo utile per tutti, ricordiamo che la tassazione separata per il TFR accantonato parte dal 23% e sale con la retribuzione superando il 34% per redditi da 94mila euro. La tassazione ordinaria parte sempre dal 23%, aliquota per chi guadagna fino a 15mila euro, salendo al 27% fra i 20mila e i 25mila euro, al 38% fino a 50mila euro, al 41% fino a 75mila e infine al 43% sopra questa cifra.


Proponiamo nella seguente tabella altri calcoli, effettuati dai Consulenti del Lavoro:
Retribuzione annua
TFR anticipato mensile
TFR anticipata annuo
TFR accantonato annuo
Differenza annua
Differenza al giugno 2018
15mila euro
66 euro
798 euro
798 euro
20mila euro
85 euro
1008 euro
1058 euro
-50 euro
-167 euro
25mila euro
105 euro
1261 euro
1311 euro
-50 euro
-167 euro
35mila euro
125 euro
1499 euro
1806 euro
-307 euro
-1022 euro
50mila euro
178 euro
2141 euro
2448 euro
-307 euro
-1022 euro
75mila euro
255 euro
3057 euro
3501 euro
-444 euro
-1481 euro
95mila euro
312 euro
3740 euro
4310 euro
-570 euro
-1897 euro




Il lavoratore interessato deve presentare una domanda  all'ufficio del personale della propria azienda, che poi dovrà chiedere il via libera da parte dell'Inps. La domanda prende il nome di modello QU.I.R, che sta per Quota maturanda del Trattamento di fine rapporto come parte Integrativa della Retribuzione.


Una volta presentata la domanda, spetta alle imprese con meno di 50 dipendenti accedere ad un finanziamento bancario garantito presso un istituto (uno solo) di credito, nel caso in cui il dipendente chieda il Tfr in busta paga. L'azienda deve anche comunicare all'Inps per via telematica gli identificativi dei dipendenti che hanno fatto domanda e l'Istituto certificherà l'importo della retribuzione imponibile utile per il calcolo del Tfr utilizzando il Durc (documento unico di continuità contributiva) sulla base dei periodi di paga dei 15 mesi precedenti la domanda stessa.

Per quanto riguarda gli aspetti fiscali, il TFR anticipato in busta paga viene tassato in via ordinaria, ossia segue le regole delle imposte sui redditi. La liquidazione in busta paga deve arrivare entro il mese successivo alla domanda presentata dal lavoratore. Ma nel caso in cui l'azienda chieda l'accesso al finanziamento bancario di garanzia, il pagamento effettivo arriverà a partire dal mese successivo alla disponibilità finanziaria da parte della banca.

E’ bene ricordare che il Tfr in busta paga da marzo 2015 viene tassato con aliquota ordinaria, e non ridotta come quando viene preso alla fine del rapporto di lavoro: al netto, si registra una +22% di detrazione tutt'altro che conveniente. E ancora, anticipare l'incasso dilazionato incide negativamente sulle tabelle ANF e sulla determinazione dell'ISEE con la sola conseguenza di complicare la vita alle fasce di reddito più deboli, che altresì sarebbero dovute essere le principali beneficiarie della misura.



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