Le forme flessibili di lavoro sono individuate principalmente nel contratto a termine e nella somministrazione di lavoro. Nel primo contratto la scadenza viene apposta per esigenze organizzative produttive o sostitutive con evidenza della scadenza garantendo la parità retributiva e le assicurazioni sociali previste dai contratti di lavoro. Nel caso della somministrazione di lavoro (l’ex interinale) lo scopo è rispondere alle esigenze di flessibilità produttiva delle imprese garantendo al lavoratore, in aggiunta alla parità retributiva e assicurativa, una sistema di welfare specifico per i lavoratori che garantisce assistenza e formazione proprio per rafforzarne l’occupabilità e l’occupazione permanente. Per questo motivo la somministrazione costa di più per il 4,3% che finanzia il sistema di welfare di settore.
L’UE prevede che le tipologie contrattuali stabili e flessibili vengano combinate con un sistema di servizi per il lavoro e politiche attive che garantiscano l’occupabilità e l’occupazione dei lavoratori.
Il primo problema riguarda la insostenibilità dei contratti privi di tutele quali le collaborazioni a progetto e le partite IVA con un unico cliente. Con la presenza di una flessibilità in entrata così ampia (36 mesi e 8 proroghe per il primo contratto e 20 % di contratti flessibili) il fenomeno dei contratti privi di tutele (parità di trattamento salariale e welfare) dovrebbe essere rifiutato dalle imprese. Gli accordi tra le parti sociali possono ulteriormente incrementare perfezionare e combinare le necessità di flessibilità con le tutele. La necessità di sostenere servizi alla ricollocazione offerti a tutti i lavoratori che concludono il contratto a termine suggerisce di adottare un modello (già sperimentato in Francia) che preveda un costo maggiore dell’assicurazione contro la disoccupazione per contratti con durata inferiore a 4/6 mesi.
Il secondo problema riguarda l’assenza di qualificati ed omogenei servizi di politica attiva del lavoro presenti in tutto il territorio nazionale che dovrebbero sostenere il reimpiego dei lavoratori con contratto a tempo determinato che terminano il lavoro. Infatti sono ancora poche le regioni che hanno attivato i sistemi di accreditamento per i servizi al lavoro ed ancora incerta l’azione delle politiche attive a favore della ricollocazione dei lavoratori. La situazione paradossale che può accadere ad un giovane lavoratore che ha appena concluso il contratto di lavoro, quindi disoccupato, sia di non poter esercitare il diritto ad una servizio di ricollocazione in quanto nella propria regione tale servizio è finalizzato alle pratiche amministrative e nelle regioni limitrofe è presente con servizi finalizzati alla ricollocazione. La debolezza delle attuali politiche attive per il lavoro è caratterizzata principalmente dal fatto che non partono dal risultato che si vuole raggiungere. Il risultato non può essere che un inserimento al lavoro (almeno 6 mesi) attraverso questo percorso il lavoratore riprende un contatto professionale con un’azienda. A partire da una logica di risultato anche il rimborso sulle attività svolte (orientamento, patto di servizio, bilancio delle competenze, accompagnamento al lavoro, formazione) potrà essere distribuito con una parte “a processo” ed una a “risultato” in funzione al periodo di occupazione.
Diventa più vantaggiosa non solo l'assunzione di nuovo personale, ma anche la stabilizzazione di lavoratori che già lavorano con l'azienda sulla base di un rapporto flessibile, temporaneo o atipico. Le imprese che, da oggi, stabilizzeranno i propri dipendenti mediante l'assunzione a tempo indeterminato potranno, infatti, acquisire un doppio beneficio: l'applicazione delle nuove regole sui licenziamenti, da un lato, e gli incentivi contributivi previsti dalla legge di Stabilità, dall'altro.
Questi benefici si applicheranno, tuttavia, in misura differenziata nelle varie ipotesi di stabilizzazione. Se un'azienda deciderà di assumere a tempo indeterminato un lavoratore che già oggi lavora con un contratto a termine, potrà applicare, nei suoi confronti, le nuove norme sui licenziamenti. Lo stesso datore di lavoro potrebbe beneficiare anche dell'esonero contributivo riconosciuto dalla legge di Stabilità (fino a 8.060 euro l'anno, per tre anni), se l'operazione sarà completata entro il 31 dicembre del 2015 e se il lavoratore interessato dalla stabilizzazione non risulterà titolare, nei 6 mesi precedenti alla data di conversione del rapporto, di un altro rapporto di lavoro a tempo indeterminato (nella stessa azienda o presso una diversa).
Meno evidenti i benefici per i casi di “conversione” a tempo indeterminato del rapporto con un apprendista: nei confronti dell'azienda si applicherà la nuova normativa sui licenziamenti, mentre non spetteranno gli incentivi contributivi introdotti dalla legge di Stabilità.
Un'altra ipotesi nella quale si applicheranno le nuove regole sulle tutele crescenti sarà la trasformazione a tempo indeterminato di contratti atipici come le collaborazioni coordinate e continuative, i contratti a progetto, le collaborazioni occasionali, le prestazioni d'opera e i rapporti intermittenti. Il datore di lavoro che assumerà a tempo indeterminato una persona già impiegata con uno di questi rapporti potrà applicare le nuove regole sui licenziamenti e potrà anche beneficiare dell'esonero contributivo, se ricorreranno le condizioni richieste per l'accesso al beneficio.
Le nuove regole sui licenziamenti si applicheranno, infine, anche nei casi in cui una piccola impresa supererà i 15 dipendenti nell'unità produttiva (o i 60 su scala nazionale) a seguito di nuove assunzioni. In questo caso, entreranno nell'area del contratto a tutele crescenti non solo i nuovi assunti , ma anche il personale già in forza a tempo indeterminato; invece non si applicheranno gli incentivi contributivi, trattandosi di rapporti che sono già stabili.
Un piano di stabilizzazione dei lavoratori precari nella PA era stato già predisposto dalla Legge D'Alia che annunciava che fino al 2016, la metà dei posti disponibili nei concorsi pubblici fossero riservati ai candidati che avessero lavorato per almeno tre anni degli ultimi cinque, presso un'amministrazione statale o locale. Ma, ha fatto sapere il ministro Madia, questo provvedimento è stato congelato per due anni, e quindi fino al termine del 2018, per far posto alle operazioni necessarie al personale in esubero impiegato nelle amministrazioni provinciali.
Tuttavia è in atto una grossa operazione di razionalizzazione delle società pubbliche che operano sulla base della delega sulla PA. Infatti, si sta procedendo alla riorganizzazione industriale e territoriale di queste società per arrivare a decretare quante e quali società di servizi siano realmente necessarie per l'erogazione dei servizi pubblici ai cittadini. Si tratterà, quindi, di un giro di vite sulle poltrone inutili.